martedì 6 marzo 2018

Dimissioni e dismissioni

Una vita travagliata, oserei dire infame, per la parte infantile e per quella adolescenziale.
Divenuto adulto (o 'battezzato' come tale da un servizio militare fortunosamente evitato e da una cartella elettorale coincidente con la prima carta d'identità) ho avuto la fortuna nella vita di svolgere un lavoro che mi piaceva, e che in più mi ha dato la possibilità, agli inizi, di sopravvivere, poi di vivere in maniera dignitosa per tutto il periodo lavorativo.
Non che fosse il lavoro che avevo sognato.
Non era quello dei miei sogni, poiché questi sogni non li ho mai potuti avere.
Il mio domani era limitato al domani successivo all'oggi, a sua volta successivo a ieri.

Nella vita mi sono dimesso due sole volte.
Dismesso effettivo una volta. Una seconda lo sarò tra non molto, spero senza troppa fretta.
La prima volta che ho dato le dimissioni (per la stesura fisica delle quali mi aveva dato una mano il mio primo datore di lavoro; non dico con le lacrime agli occhi, ma apertamente dispiaciuto per la mia decisione) le avevo date per la prospettiva di un posto migliore, economicamente e logisticamente più favorevole.
Tempo una cinquina di mesi e alla prima dimissione aveva fatto seguito la prima dismissione.
Messa in atto senza tanti fronzoli o comunicazione specifica: cancelli chiusi, affidamento dei nostri stipendi a un curatore fallimentare... e addio sogni di gloria per un centinaio di lavoratori.
Niente sindacati, niente cortei, niente casse integrazione.
Niente politici alla ribalta, anche perché l'operazione era stata messa in atto da un politico in vista delle elezioni. Trombato a queste, aveva passato a noi lavoratori il frutto del suo insuccesso.
Pazienza, eravamo tutti abbastanza giovani e in buona salute... si era alle porte della primavera... un periodo adatto a mettere le fregature nel catalogo delle esperienze.
Le seconde, e ultime, dimissioni erano scaturite da una situazione famigliare in cui avevo ritenuto che la mia presenza stabile in casa facesse premio sulla convenienza economica, soprattutto in vista di un futuro pensionistico più ricco.
Era stata una scelta libera e nel contempo obbligata.
Nel deciderla (a favore di una situazione non diversamente risolvibile) c'era un peso contrario, che tuttora, a distanza di decenni, è un bolo che continuo a masticare senza riuscire a digerirlo.
Ho dato una delusione a un amico, un amico che aveva agevolato il mio inserimento in una squadra magnifica, garantendo per me su una lunga partecipazione a un piano di lavoro molto interessante.
Al momento della chiamata a questa nuova operazione, l'entusiasmo e la convinzione che sarebbe stata eterna (salvo il limite di un alt prematuro dall'alto) erano alle stelle.
Come la gratitudine verso quell'amico che, senza alcuna pressione o richiesta da parte mia, aveva valutato le mie capacità (sopravvalutandole, per come le pesavo io), quasi imponendomi ai massimi dirigenti, i quali per il giustissimo peso che gli davano avevano accettato l'immissione di un estraneo nello staff.
Credo fossi il primo (e forse unico) caso nella casistica di quella Ditta.
Ultracentenaria e autorevole, mica bruscoletti.
In pochissimo tempo la situazione era cambiata, sottoponendomi a forche caudine che mai avrei immaginato di dover attraversare.
L'assistenza a persone che amavo e l'affetto grato a un amico.
Come detto, scelsi la prima versione ma la seconda ancora mi tormenta.
Sono passati ventisei anni...
E il 2 di gennaio sono stati vent'anni che lui è morto.

Vado al vero "dunque" di questo post. Ossia al tentativo di spiegare la differenza tra dimissioni e dismissioni, dal mio modesto punto di vista.
Le prime perché oggi sono un po' sulla bocca di tutti, le seconde perché talvolta lasciano in bocca un (falso) gusto retroamaro.
In queste elezioni è stato dismesso un brillante senatore, che molto ha dato alla nostra politica estera. In particolare ha curato, in contrasto col resto del mondo, la pacificazione di una penisola asiatica, dilaniata da decine di anni di incomprensioni, in cui insulti, minacce e qualche missilino a supporto, hanno tenuto noi mondo col fiato sospeso.
Un'apnea permanente, che rischiava di farci affogare.
Il sogno del nostro era arrivare perlomeno a un dialogo, possibilmente attorno a un tavolo imbandito; si sa che a tavola le vicende si visualizzano diversamente che da dietro una postazione di cannoni o di missili.
Per quest'opera di pacificazione mondiale, per un lustro intero (pensione maturata, wow!) ha seminato. In un campo minato. Chapeau al coraggio e all'impegno indefesso (senza ironia).
Qui da noi, più che da politico praticante, era noto per essere, diciamo, divertente, guascone, con battute e gag fuori dall'ingessato diplomatico.
Adesso che è stato accantonato, il più dispiaciuto credo sia Crozza, rimasto orfano di un suo personaggio, che tanto ha fatto per portare lustro alla sua satira.
Ma quello che lascia basiti è il fatto che, lui cancellato, quanto da lui seminato finalmente pare stia germogliando. È di questi giorni la notizia di una parvenza di dialogo tra i due tronconi di quella penisola, favorita anche da Olimpiadi invernali che, teoricamente, non avrebbero avuto alcun motivo per svolgersi colà.
"Anche" alle Olimpiadi, ma soprattutto (forse) al lavorìo sottotraccia del nostro. Se ci sarà un embrassons-nous sarebbe doverosa la sua presenza, giusto premio del bene fatto, quasi in silenzio.

E ci sono le dimissioni di un segretario di partito, che le presenta inattese-attese, auspicate-deprecate, richieste-respinte...
Anche lui ha fatto di tutto, al contrario del precedente esimio senatore, per dividere una penisola.
Le ultimissime notizie ci dicono che ci è riuscito appieno.
E, come giustamente mai avviene in politica, si è dimesso, offrendo in pasto ai lupi la sua testa in un estremo rigurgito di dignità.
Fuori dalla politica, nel mondo imprenditoriale o bancario, l'amarezza delle dimissioni dei pezzi da novanta, a fronte di gestioni catastrofiche, fallimentari, sovente criminali, è ampiamente edulcorata da fior di milioni, cosiddetti di liquidazione,
Che fanno da infame incomprensibile contraltare a migliaia di lavoratori sbattuti sul lastrico, con annesse famiglie ridotte ad una umiliante miseria.
Ma il nostro, con le sue dimissione immediate, avrebbe offerto il rischio che il suo lavoro finisse a schifìo.
In sua assenza ci sarebbe il fondato dubbio che i 'vincitori' possano giungere a un accordo, seppur minimale e provvisorio, per una riunificazione peninsulare, che la sua presenza sul podio, pur in posizione defilata, ostacolerebbe.
Così ha lanciato le dimissioni posticipate, che faranno scuola nel futuro della nostra politica, che non aspetta altro che fagocitare qualunque iniziativa che consenta la sopravvivenza della specie.
Dimissioni procrastinate, direbbe chi sa di latino.
Sarà senatore e, pur essendo di altra sponda che il benemerito coreano, ne prenderà degnamente il posto.
Macchietta era il primo, dismesso; macchietta sarà il secondo, dimesso con beneficio d'inventario.




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