sabato 31 marzo 2018

Buona Pasqua...

... ma non per tutti


Dignità e onore

C'era una volta il samuraji, una specie di cavaliere senza macchia e senza paura. 
Il suo agire, in caso di manchevolezza, di errore, di tradimento al giuramento di fedeltà a un signore o una comunità, aveva una sola conclusione, che è ancora oggetto di ammirazione, di mitizzazione epica.
Ignorato fino a che riusciva a tenere un modo di operare limpido, alla minima macchia, al minimo dubbio sulla sua integrità morale, non ci pensava due volte e faceva harakiri: l'implicita richiesta di perdono consisteva in una lama infilata da sé nella propria pancia, gesto che chiudeva ogni polemica sul suo (anche solo ventilato) errore.
Da reprobo, con quel gesto si autosantificava.

C'era una volta il comandante delle navi, di qualunque genere o stazza: su queste era il solo, unico, responsabile e 'padrone' su qualunque evento avesse a verificarsi sui suoi ponti. 
In plancia di comando solo Dio era al di sopra del comandante. 
Ma non risulta che il padreterno sia mai intervenuto a smentire o comunque mettere in discussione o correggere errori o salvare natanti. 
Da ciò a dedurre che il comandante era unico dio sulla sua nave il passo è breve.
Come dio umano, con la faccenda del libero arbitrio, poteva anche sbagliare.
La nave, nel momento che veniva affidata al comando di un ufficiale, con questo diveniva un tutt'uno, indissolubile.
Una legge antica, forse mai scritta, ma da (quasi) tutti rispettata, si è tramandata nei secoli: la legge del mare.
Che prevedeva che il comandante di una nave la quale, per i motivi più vari, fosse destinata a "colare a picco", ne seguisse il destino affondando con essa. 
Era un matrimonio senza possibilità di separazione, tanto meno di divorzio.
In versioni più recenti, quella stessa legge era stata ammorbidita: imponendo a qualsiasi comandante di mezzo marino di essere l'ultimo ad abbandonare il naviglio, una volta accertato il salvataggio di tutti i naviganti a lui affidati.
E provvedendo di persona al ripescaggio di quanti fossero stati vittime della sua imperizia. Pur se questa fosse dovuta a fatti non prevedibili e/o casuali.

Era il 13 di gennaio del 2012, nei pressi dell'isola del Giglio: una manovra stupidamente azzardata di una nave passeggeri ha provocato 32 morti.
Il comandante, più che di imperizia, è stato accusato dal sentire comune di assoluta imbecillità.
Dal processo sono emersi comportamenti che hanno evidenziato incompetenza, vigliaccheria, supponenza, in ogni grado di giudizio. 
In aule della nostra giustizia, che quanto a manica larga non ha rivali.
Ci sono voluti circa sei anni per affibbiarne 16 di carcere. forse non tanto per l'errore quanto per un arrampicamento indecoroso sugli specchi, nel tentativo di scaricare su altri ogni responsabilità per quanto accaduto.
Altrove avrebbe ricevuto 16 anni per ogni morto a causa sua; 512 anni.
Non l'ergastolo, che pare sia una condanna a morte procrastinata; e neanche i trent'anni in totale che si danno per crimini efferati.
Da noi meno di sei mesi per ciascun cadavere recuperato.
Che, come da prassi, non sconterebbe per intiero: buona condotta, motivi di salute, incompatibilità col regime carcerario, inumanità del far crescere una figlia senza il padre e una moglie senza un marito (pur se notoriamente fedifrago)... in poco tempo sarebbe libero e, probabilmente, nuovamente al comando di un naviglio. Foss'anche solo un vaporetto nei canali veneziani.
Nel frattempo una colorita interiezione, a lui personalmente indirizzata, ha portato allo scranno parlamentare colui che, in un momento a dir poco concitato, l'ha proferita. Se a chiunque sfuggisse, per svariati motivi, il sostantivo che ha accompagnato l'invito, fosse data questa possibilità, avremmo un popolo di onorevoli e alle elezioni andremmo a votare i pochi (probi) cittadini rimasti.
Che poi un tentativo di suicidio, magari simulato (con tutte le dovute cautele che non giungesse a 'buon' fine) avrebbe lavato un pochino la sua colpa. O avrebbe magari portato a una assoluzione piena per evidente incapacità di intendere e volere al momento del fatto, secondo la formula che mette tutti d'accordo.
Invece no, ricorre alla corte di Strasburgo.

(ANSA) - Una vicenda processuale che presenta ''sintomi di iniquità''. Caratterizzata da una campagna mediatica che avrebbe condizionato il processo, soprattutto quello di primo grado, dalla deroga al principio costituzionale del giudice naturale precostituito (con l'assegnazione del giudizio di appello a una sezione della Corte scelta ''ad hoc'') e da una sostanziale iniquità dell'intero procedimento. Sono i punti salienti del ricorso alla Corte europea di Strasburgo presentato dai legali di Francesco Schettino, che sta scontando una condanna a 16 anni di reclusione per il naufragio della Costa Concordia. I motivi dell'istanza presentati alla Corte europea dei diritti dell'uomo, e che nei giorni scorsi ha superato un primo filtro di ammissibilità, sono stati illustrati dagli avvocati Saverio Senese, Pasquale De Sena, Paola Astarita, Irene Lepre e Donato Staino. In caso di accoglimento del ricorso, come hanno spiegato i legali, si aprirebbe la strada a una revisione del processo in Italia.

TG5 di qualche giorno fa: "Francesco Schettino ha superato il primo scoglio, la Corte di Strasburgo ha dichiarato ammissibile il ricorso..." ecc.; ma molto poco eccetera, visto che la notizia era stringata al massimo.
Si dice: non parlare mai di corda in casa dell'impiccato. Al TG5 fu vera gaffe, fu umorismo nero o fu ignoranza voluta del fatto che il primo scoglio fu centrato da Schettino, provocando 32 morti, feriti e danni a non finire?
Da scarse notizie successive sui media stampati si apprende che le sentenze, in tutti i gradi di giudizio, sarebbero state condizionate da una pressione mediatica non giustificata, che avrebbe provocato a priori la condanna, al fine di appagare gli umori del popolino che a gran voce la richiedeva.
Mi chiedo: a quando un pool di studi legali che promuova una class action a favore di tutti i condannati con destinazione 41bis? I Riina buonanima, i Provenzano, domani (o mai) un Messina-Denaro, si rivolteranno, chi nella tomba e chi in cella, esigendo di brutto una riduzione di pena commisurata alla maggiore pressione mediatica che li ha danneggiati nel corso dei processi...
Annamaria Franzoni, Rosa e Olindo Romano, Sabrina e Cosima Misseri, e molti altri, accusati e poi condannati, avrebbero diritto di essere beneficiari di un ricorsino alla stessa Corte, visto che anche i giudizi su di loro furono "influenzati" da pressioni mediatiche superiori a quelle che si applicano, che so, al furto di una melanzana o di una mela per fame?

Dignità e onore, vergogna e pudore... dove siete? 
A puttane, con sconto comitiva!

domenica 25 marzo 2018

Agonia di una Fata...


Nella quarta di copertina, quella che dà il benvenuto al lettore, questo libro viene presentato come "romanzo". Dissento: un romanzo, per come lo intendo io forse sbagliando, è puro frutto di fantasia, libero di spaziare in ogni campo del creato e anche oltre, senza briglie, senza vincoli che lo costringano su binari di logiche prefissate. Accettarlo come romanzo sminuirebbe il peso e il valore come contenuto di umanità e di amaramente dolci sentimenti. Parere personale, che non ne intacca il valore. Leggerlo come diario, racconto o romanzo, resta un fatto soggettivo e niente influente sul piacere della lettura.

I precedenti "bambini" di Nicola erano (sono) divertenti, un passatempo e un piacere di lettura veramente godurioso, soprattutto nelle sue singole peculiari esplosioni di pazzia al quadrato; penso a tutti i personaggi messi in campo nel tempo, alcuni (poco-poco) riflessivi, molti altri chiaramente fuori di testa, allegramente anarchici, e, forse proprio per questo essere diversamente pazzi, di una simpatia rara, anzi unica.
Dire qualcosa di quest'ultima sua creatura dopo le "scampagnate" nelle precedenti, è cosa dura, è un secchio d'acqua gelida che risveglia brutalmente da una sbronza solenne e prolungata. Francamente, più che romanzo o racconto o altro, lo vedo e sento come un improvviso pugno nello stomaco, affibbiato proditoriamente dopo una lunga serie di carezze, che sembravano non avere fine.
Lo metterei 'fuori catalogo', così come 'fuori catalogo' direi dell'Autore.
È una lunga cartella clinica, diluita in più di quattrocento pagine, in uno spazio temporale di poco meno di quattro mesi; i quindici anni trascorsi dalla sua 'chiusura' definitiva non sono bastati a farla apparire soltanto come un ricordo, non l'hanno sbiadita nel tempo, anzi il tempo stesso pare averne ravvivato l'inchiostratura.
E fossero centocinquanta gli anni dall'evento, non sarebbero sufficienti a cancellare quel periodo; è come se un laser micidiale avesse inciso, cesellato, scolpito, nella mente e nel cuore dell'Autore i mesi, i giorni, le ore, i minuti tutti, precedenti l'amputazione di una parte di sé, la migliore.
La più migliore, direbbe l'ineffabile minestra Fedeli...
Un materasso di rovi, puntuti e pungenti, come madre natura vuole che siano tutti i rovi.
Ci si trova sdraiati a pieno corpo e, giorno dopo giorno, ci si rivolta e rigira, quasi a cercare sollievo da un pungimento ininterrotto e doloroso, prontamente sostituito da altri rami spinosi, freschi di giornata e sempre più puntuti, mano a mano che si avanza nella lettura.
Con Nicola che, in ogni capitolo, getta su quelle spine ampie manate di petali di rose, sorrisi amorevoli e amarevoli, tentativi di copritura e spuntamento di quelle maledette spine; "altri sfaceli" che dovrebbero lenire il dolore delle punture inflitte; scaglie di un vivere quotidiano, affatto quieto, che nella sua apparente normalità quasi finiscono per fare più male delle spine stesse.
Per raggiungere lo scopo, ce la mette tutta, aiutandosi con la fervida fantasia, mettendoci il suo "mestiere" (nello specifico un brutto termine, da intendere esclusivamente come capacità innata di vedere e soffrire, soffrire e raccontare, esternando il tutto senza farsi sopraffare dalla giusta e logica e umana emozione), senza peraltro riuscire nell'intento.
A ogni inizio di capitolo, dopo la data del giorno 'guadagnato', una nuova spina si conficca in chi legge, e non bastano le camionate di 'petali' successive a tentativo di cancellare il dolore.
E non credo che questo lui volesse: attenuare l'impatto forse sì, certo non aggirarlo o annullarlo.
La mamma che, con una lentezza velocissima, si avvia alla chiusura del suo diario, ha trovato nel figlio un cronista che ne racconta ogni sospiro, ogni pensiero, ogni desiderio...
Ogni sofferenza.
Ma questo figlio cronista va oltre quello che potrebbe essere il freddo resoconto di una lenta agonia, di una morte annunciata: racconta le sue di speranze, le sue disperazioni, i suoi timori e tremori, gli esperimenti, le imprecazioni, le bestemmie...
E le preghiere: rivolte a entità astratte, nelle quali ha smesso da tempo di credere, smaliziato da evidenze negative; ma anche elevate, queste invocazioni, verso altre divinità lontane, frutto di chiare fantasie romanzate; si affida a prove empiriche che ritiene assurde, che sa quanto siano truffaldine verso menti labili, ingabbiate in credulità ancestrali, che lui respinge schifato pur nel suo speranzoso metterle in atto.
Quasi vergognandosene...
Quando non esistono freni o vergogne nel tentare tutto (tutto-tutto-tutto) per allungare il più possibile la vita di una persona amata, ancor più se questa ti è madre.
Nel suo percorso, non manca di proporre i vari personaggi che ruotano intorno a tutta la vicenda: buoni, meno buoni, indifferenti e figli di puttana...
Questi ultimi la più parte, come sempre, da sempre.
Dice della dolcezza e della disponibilità di persone mai, o poco, conosciute prima.
Dice della inumanità di altre che per 'mestiere' (qui quanto mai spregiativo) vivono quotidianamente a contatto del dolore e della sofferenza e della morte, e che di queste hanno fatto motivo di lauta vita; freddi robot, carogne semoventi.
Dice della burocrazia, questa presenza bieca che già avvelena l'esistenza delle vite quotidiane, e che, di fronte a gravi malattie, diventa becera e ossessiva, avvelenando e avvilendo chi è costretto ad incocciare nei suoi stupidi labirinti.
Credo che anche oggi la sua Fata, la stessa che, lei sofferente, gli chiedeva "E tu, come stai?", a distanza di tanti anni gli direbbe ancora, come allora, "Te völet, l'è inscì!", 'cosa vuoi, è così!', il mondo non è cambiato...
Non sa che, da allora, il mondo è cambiato, sta cambiando...
In peggio, in molto più peggio...

Da leggere...
Da gustare proprio no, il dolore non si gusta.
Per farlo bisognerebbe stralciare tutti gli 'sfaceli' contenuti nel tomo, gustando solo quelli, però risulterebbe snaturato l'impianto nel suo complesso.
La Fata e l'Autore qui sono in simbiosi, inscindibili l'una dall'altro. Soffrire e sorridere, sorridere e tornare a soffrire: non ci sono altre possibilità.
Finché c'è una impossibile incredibile speranza che avvenga un 'miracolo'...
Durante e dopo non restano che le lacrime.








martedì 20 marzo 2018

E la crisi?

Quasi sottobanco, da far pensare a una fake, su La Stampa di oggi è apparso questo articolo firmato Passerini.
Da rilevare:
☻ notizia in sordina, con una cinquina di giorni a disposizione per mettere insieme le scartoffie necessarie a quello che viene definito 'concorso';
☻  riservato a categorie limitate di pensionati, dà l'impressione di essere leggermente discriminatorio nei confronti degli altri;
☻i politici, i sindacalisti, i grand commis, già discretamente pensionati sono compresi nel numero dei possibili gaudenti?;
☻ma l'INPS fino a ieri era in crisi, o me lo sono sognato?

IN VACANZA GRAZIE ALL’INPS. ESTATE INPSIEME SENIOR È UN BANDO DI CONCORSO ANNUALE CHE OFFRE A CIRCA 4 MILA PENSIONATI, LORO CONIUGI E FIGLI DISABILI CONVIVENTI, CHE COMPAIONO NELL’ATTESTAZIONE ISEE, IN CUI È PRESENTE IL TITOLARE DEL DIRITTO, LA POSSIBILITÀ DI FRUIRE DI SOGGIORNI ESTIVI IN LOCALITÀ MARINE, MONTANE, TERMALI O CULTURALI ITALIANE NEI MESI DI LUGLIO, AGOSTO E SETTEMBRE.

POSSONO PARTECIPARE AL CONCORSO:





•A CARICO DELLA GESTIONE DIPENDENTI PUBBLICI O CHE ABBIANO ADERITO ALLA GESTIONE UNITARIA DELLE PRESTAZIONI CREDITIZIE E SOCIALI; 

•A CARICO DELLA GESTIONE FONDO EX IPOST. LA DECORRENZA, LA DURATA E LE DESTINAZIONI DEI SOGGIORNI SONO INDICATE NEL BANDO DI CONCORSO, CONSULTABILE NELLA SEZIONE WELFARE, ASSISTENZA E MUTUALITÀ.
QUANTO SPETTA. L’INPS RICONOSCE UN CONTRIBUTO A TOTALE O PARZIALE COPERTURA DEL COSTO DI UN PACCHETTO DI SOGGIORNO IN ITALIA, ORGANIZZATO E FORNITO DA SOGGETTI TERZI CHE OPERANO NEL SETTORE TURISTICO (TOUR OPERATOR E AGENZIE DI VIAGGIO) SCELTI DAL RICHIEDENTE LA PRESTAZIONE. 
IL PACCHETTO DOVRÀ COMPRENDERE LE SPESE DI ALLOGGIO PRESSO STRUTTURE TURISTICHE RICETTIVE, DI VITTO, DI VIAGGIO, EVENTUALI SPESE CONNESSE A GITE, ESCURSIONI, ATTIVITÀ SPORTIVE E ATTIVITÀ LUDICO-RICREATIVE. 
L’ENTITÀ DELL’AIUTO VARIA A SECONDA DELLA DURATA: PER LE VACANZE BREVI (UNA SETTIMANA) È PREVISTO UN CONTRIBUTO MASSIMO DI 800 EURO, MENTRE PER I SOGGIORNI DI DUE SETTIMANE È PREVISTO UN CONTRIBUTO MASSIMO DI 1.400 EURO. TUTTE LE INFORMAZIONI DEL CASO SONO COMUNQUE REPERIBILI PRESSO IL SITO UFFICIALE INPS O REPERIBILI IN UN PATRONATO. 
PER L’INVIO DELLE DOMANDE C’È TEMPO FINO AL 26 MARZO. 
IL CONTRIBUTO EROGABILE È DETERMINATO DALL’ ISEE DEL NUCLEO FAMILIARE DEL TITOLARE DEL DIRITTO, IN PERCENTUALE AL VALORE MASSIMO STABILITO DAL BANDO DI CONCORSO.

venerdì 16 marzo 2018

Commenti ad hoc

Stamane ho trovato un commento a Ciucia 'n cio, che copi-incollo pari-pari, compresa la tri-ripezione.
Lo divulgo, poiché è la prima volta (dopo anni di bloggeraggio), che trovo un commento così assurdamente fuori dal seminato. 
Va da sé che lo riporto offrendolo solo come strana curiosità, non come promozione di un'operazione che sa di muffa se non di truffa.
Buona giornata. 

Ciao,
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danielapetrucci07@gmail.com
Grazie


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mercoledì 14 marzo 2018

Ciu-cia-'n-cio

Potrebbe essere un detto cinese (forse mandarino) per indicare un periodo di indecisione, di stallo, del non sapere che pesci pigliare, del non avere santi cui appellarsi.
Tradotto liberamente in italiano lo si potrebbe definire un gran casino.
In realtà è un monito, un invito alla ponderazione, alla meditazione, a concentrarsi alla soluzione di un problema. Prendendosi tutto il tempo necessario per arrivare alla sua soluzione.
Che prevede talvolta l'obbligo di scegliere il meglio da un ventaglio del peggio.
Solo che il più delle volte questo tempo non c'è.

Nel campetto di una parrocchia, una parrocchia d'élite, con accesso limitato a giocatori scelti dall'alto (spacciati come scelti dal basso, ma proprio basso, quasi da bassifondi), con tanto di pass e, alcuni, con tanto di scorta.
Erano molti, questi giocatori, anzi troppi.
Avevano partecipato ad un torneo, di quelli ad eliminazione diretta (tipo "hai perso, sei fuori!"), che aveva sfrondato la più parte delle squadre, quelle con scarso fisico e con minore sostegno di tifoseria.
Sul campo era rimasta solo la crema (appunto il meglio del peggio), ossia quei club con maggiori possibilità, vuoi di pecunia e, quasi conseguente, di tifoserie organizzate.
Dalle partite finali era emersa la supremazia di tre squadre, che alla vigilia avevano divulgato, declamato, conclamato, asserito, garantito alle rispettive tifoserie la sicura, netta e indiscutibile vittoria del torneo, ciascuna già prenotando la coppa del premio, con annessi e connessi.
Con tre squadre in campo (più una squadretta, che si era iscritta al torneo contando sul fatto che laddove un pallone rotola, può essere che finisca nella rete avversaria, offrendo quei punti detti "del fondoschiena"), la finalissima si era ridotta a un triangolare.
In questo tipo di torneo, come detto ormai ristretto, l'eliminazione avviene per punti, ossia si sommano il punteggio ottenuto nelle gare effettuate fino ad arrivare allo scontro diretto tra le due migliori.
Si era arrivati, dopo partite accese e vibranti, a due squadre in campo a fronteggiarsi, ciascuna sicurissima della propria possibilità di vittoria, con la concessione del secondo e terzo posto sul podio alle altre due (perdenti e incazzate).
La quarta, senza speranze di podio, aveva accettato di fare da guardalinee, pronta a festeggiare la squadra vincitrice, qualunque fosse.
Le due squadre "forti" si fronteggiano; potessero, e la legge glielo consentisse, più che a pallonate si affronterebbero con scimitarre, archibugi, colubrine e dita negli occhi.
Con l'arbitro pronto al fischio d'inizio della gara...
Ma non dimentichiamoci che stiamo parlando del campetto di un (ricco) oratorio.
Chi, in un pur lontano passato, li ha frequentati sa che il perdente, inviperito dalla eliminazione, si prendeva talvolta il pallone e si defilava, impedendo così lo svolgersi dell'attesa finale.
A quel punto, finiti i richiami a non ben precisate responsabilità delle squadre, restavano solo due soluzioni.
Una affidata al "buon senso civico" delle due squadre in campo, l'altra affidata all'arbitro.
La possibilità data alle due squadre era l'antico, bucolico, "pari o dispari, bim-bum-bam" e il vincitore si trovava con la coroncina di alloro sul capo e la coppetta fra le mani.
Al perdente uno scherzoso (ma neanche tanto) "cicca cicca chi ruba s'impicca".
L'arbitro: poteva lanciare in aria la moneta ("testa o croce") et voilà ecco il vincitore, quello che aveva imbroccato il -bam giusto; modalità di festa eguali a quelle descritte appena qui sopra.
Il terzo, quello del furto del pallone, per vendetta lo bucava e lo gettava in discarica, tanto non sarebbe più servito.

Bene, usciamo dal campetto della parrocchia e parliamo di cose serie.
La situazione attuale è quella splendidamente illustrata da Giannelli sul Corriere della Sera prima delle elezioni.
Quella era di sicura previsione, oggi di confermata conferma.


Ufficialmente il permanere di queste posizioni avrebbe pochi sbocchi per l'arbitro Mattarella: 
♥ affidamento a una delle due compagini dell'onore/onere di formare un nuovo governo, col fondato rischio di vederselo impallinare, anche solo per dispetto;
♦ affidare a un governo esclusivamente tecnico il traghettamento verso una nuova legge elettorale; anche in questo caso l'impallinamento non sarebbe da escludere, solo per ripicca;
♣ fermare il tempo, "costringere" al dialogo i duellanti fino a che non offrano una soluzione valida e garantita, ovvero fino a che morte non li separi;
☻dimettersi (con dimissioni immediate e irreversibili) e mandare tutti al diavolo.

Tra tutte le sue scelte pare faccia premio la seconda, quella che affiderebbe a una persona super partes il compito nell'immediato della soluzione di un problema che appare altrimenti irrisolvibile.
A sentirsela offrire dà l'impressione di essere, permanendo questi chiari di luna, la più logica.
Logica forse, ma anche questa di non facile applicazione.
Ammesso e non concesso che si riesca ad arrivare a nuove elezioni, sarebbe necessario (indispensabile) che chi raccoglie più voti riceva un premio che garantisca una maggioranza tale da potersene infischiare altamente della concorrenza, detta opposizione per sviare dal campo commerciale.
Dunque: per poter tornare al voto è necessario che le Camere vengano sciolte entro fine aprile. 
Le consultazioni per la loro formazione prevedono, intanto, la nomina dei presidenti di Camera e Senato (forse agli inizi dei aprile).
Tre settimane di tempo, insufficienti ad adempiere a tutte le disposizioni che consentano la votazione di una nuova legge elettorale e il ritorno alle urne prima dell'estate. 
E d'estate l'andare a votare sarebbe una via crucis difficile da percorrere.
Oltre tutto un voto estivo rischierebbe di premiare vistosamente un partito, penalizzando gli altri.
A causa della mai dimenticata differenza tra il nostro nord e il nostro sud, che le recenti votazioni hanno ben chiaramente evidenziato.
Facendo slittare il voto all'autunno, gli adempimenti necessari per rimettere in moto la macchina governativa renderebbero molto, ma molto, difficile l'approvazione della legge finanziaria, con lo spettro dell'aumento dell'IVA, nel rispetto delle cosiddette clausole di salvaguardia.
Il che porterebbe a un immediato aggravio di spesa superiore agli 800 € per famiglia, che sarebbe da sommare ai circa 300 milioni di € del costo approssimativo di ogni tornata elettorale.
Ammesso e non concesso che si riesca ad approvare una nuova legge elettorale in tempo utile, magari con un governo purchessia, se la situazione di blocco sulle proprie posizioni dovesse permanere, quale sarebbe la soluzione?
Se la sapessi, non sarei qui a raccontare la favola del lupo, già sentita e raccontata da altri in modi meno caserecci dei miei.

Ecco, Ciucia 'n cio è l'invito rivolto a Mattarella ed è traducibile con Succhia un chiodo, Sergio, e, quando sarà completamente consumato, tutti i problemi saranno risolti, senza colpo ferire.
In fondo, siamo tutti fratelli.
Solo per prudenza, anche un pochino coltelli. 





  


giovedì 8 marzo 2018

8 Marzo, età della pietra


Questo è lo spot che che oggi compare su tutti i siti, mediatici e cartacei.
Questo dovrebbe essere, questo non è.
L'8 Marzo viene 'spacciato' come Festa della Donna.
Abbracci, baci, rametti di mimosa, Wledonne, fanno da supporto a sentimenti diffusi, ma limitati a questa giornata.
Nata come Giornata Internazionale della Donna nel lontano 1910, o giù di lì, nel tempo è diventata Festa della Donna, e non se ne capisce il perché.
Ci sono, nel corso dell'anno Giornate che non potranno mai divenire Festa. C'è quella dell'Olocausto, quella delle Foibe, quella delle Fosse Ardeatine... solo per citarne alcune.
Tutte Giornate create per non dimenticare genocidi, eccidi, assassini, vendette assurde.
Non saranno mai Feste, non è possibile che lo diventino.

In un non lontano passato siamo stati Je suis... per Parigi, per Barcellona, per Londra, per Berlino, e per tante altre località nel mondo colpite da attentati assassini, motivati perloppiù da motivi pseudo-religiosi, ma in realtà coincidenti con motivazioni politiche ed economiche che usano le religioni come paravento del loro vigliacco agire.
Un Je suis... unanime, sentito, corale, mondiale, come reazione a caldo di atti infami contro il genere umano nel suo complesso, nella sua umanità, nel suo essere persone che amano la pace e la vita, per grama che sia.
Un Je suis... che dura qualche giorno, qualche mese, poi si esaurisce, forse perché ad esso se ne sovrappone un altro, più immediato, magari più crudele ed efferato.
Credo che gli avvenimenti degli ultimi tempi, relativi alle Donne (e a quello che i media sviscerano con una crudeltà e un cinismo degni dei migliori esaminatori autoptici), ci abbia portato a una situazione in cui Je suis Femme dovrebbe diventare il grido di tutti, per tutto l'anno senza ignorare i bisestili.
Per sentirsi donna, oggi, non è necessario cambiare fisicamente genere...
Siamo stati Je suis... a sostegno di tanti Paesi, senza sapere una parola della loro lingua, senza conoscere i loro ideali, o magari non condividendoli per una visione politica o religiosa diversa.
Siamo stati fratelli, perché in fondo fratelli siamo, e non sarà il colore della pelle o la diversa credenza religiosa a modificare questo dato di fatto, che solo menti contorte e distorte vorrebbero diversificare.
Bene, cioè malissimo, è in corso un attentato continuo, contro la donna, contro le donne.
Lo chiamano femminicidio, che presuppone la morte di donne, uccise da uomini che non sono più uomini e neanche animali. La scienza non riesce a collocarli in una icona precisa. Nel frattempo macellano (e non è più per modo di dire, visti fatti recenti) ogni giorno, con una ferocia di cui è impossibile chiarire la fonte. Usano armi da fuoco, armi da taglio, acidi, martelli, attrezzi di ferramenta i più svariati, per imporre un loro volere alla donna, alle Donne come genere.
Ecco, Je suis Femme sia la risposta di tutti, contro ogni tipo di violenza verso un genere che fa parte del nostro universo, e di cui dobbiamo assolutamente impedire la persecuzione.
Respingendo anche quella occasionale, nascosta, ignota poiché ignorata o taciuta.
Sia fisica che psicologica, contro tutte le violenze siamo tutti Je suis Femme.
Che questo giorno rimanga Giornata di ricordo e ribellione verso un eccidio che pare non avere più fine.
Mettiamoci bene in testa che la donna non è un patrimonio dell'Unesco, non è un rudere antico da salvare o una bellezza naturale da preservare: la donna è noi, parte essenziale della nostra vita... Colpire la donna è un colpire se stessi, uccidere la donna equivale a renderci monchi, orbi, claudicanti.
È un'amputazione del nostro stesso corpo...
Inaccettabile e insopportabile.

martedì 6 marzo 2018

Dimissioni e dismissioni

Una vita travagliata, oserei dire infame, per la parte infantile e per quella adolescenziale.
Divenuto adulto (o 'battezzato' come tale da un servizio militare fortunosamente evitato e da una cartella elettorale coincidente con la prima carta d'identità) ho avuto la fortuna nella vita di svolgere un lavoro che mi piaceva, e che in più mi ha dato la possibilità, agli inizi, di sopravvivere, poi di vivere in maniera dignitosa per tutto il periodo lavorativo.
Non che fosse il lavoro che avevo sognato.
Non era quello dei miei sogni, poiché questi sogni non li ho mai potuti avere.
Il mio domani era limitato al domani successivo all'oggi, a sua volta successivo a ieri.

Nella vita mi sono dimesso due sole volte.
Dismesso effettivo una volta. Una seconda lo sarò tra non molto, spero senza troppa fretta.
La prima volta che ho dato le dimissioni (per la stesura fisica delle quali mi aveva dato una mano il mio primo datore di lavoro; non dico con le lacrime agli occhi, ma apertamente dispiaciuto per la mia decisione) le avevo date per la prospettiva di un posto migliore, economicamente e logisticamente più favorevole.
Tempo una cinquina di mesi e alla prima dimissione aveva fatto seguito la prima dismissione.
Messa in atto senza tanti fronzoli o comunicazione specifica: cancelli chiusi, affidamento dei nostri stipendi a un curatore fallimentare... e addio sogni di gloria per un centinaio di lavoratori.
Niente sindacati, niente cortei, niente casse integrazione.
Niente politici alla ribalta, anche perché l'operazione era stata messa in atto da un politico in vista delle elezioni. Trombato a queste, aveva passato a noi lavoratori il frutto del suo insuccesso.
Pazienza, eravamo tutti abbastanza giovani e in buona salute... si era alle porte della primavera... un periodo adatto a mettere le fregature nel catalogo delle esperienze.
Le seconde, e ultime, dimissioni erano scaturite da una situazione famigliare in cui avevo ritenuto che la mia presenza stabile in casa facesse premio sulla convenienza economica, soprattutto in vista di un futuro pensionistico più ricco.
Era stata una scelta libera e nel contempo obbligata.
Nel deciderla (a favore di una situazione non diversamente risolvibile) c'era un peso contrario, che tuttora, a distanza di decenni, è un bolo che continuo a masticare senza riuscire a digerirlo.
Ho dato una delusione a un amico, un amico che aveva agevolato il mio inserimento in una squadra magnifica, garantendo per me su una lunga partecipazione a un piano di lavoro molto interessante.
Al momento della chiamata a questa nuova operazione, l'entusiasmo e la convinzione che sarebbe stata eterna (salvo il limite di un alt prematuro dall'alto) erano alle stelle.
Come la gratitudine verso quell'amico che, senza alcuna pressione o richiesta da parte mia, aveva valutato le mie capacità (sopravvalutandole, per come le pesavo io), quasi imponendomi ai massimi dirigenti, i quali per il giustissimo peso che gli davano avevano accettato l'immissione di un estraneo nello staff.
Credo fossi il primo (e forse unico) caso nella casistica di quella Ditta.
Ultracentenaria e autorevole, mica bruscoletti.
In pochissimo tempo la situazione era cambiata, sottoponendomi a forche caudine che mai avrei immaginato di dover attraversare.
L'assistenza a persone che amavo e l'affetto grato a un amico.
Come detto, scelsi la prima versione ma la seconda ancora mi tormenta.
Sono passati ventisei anni...
E il 2 di gennaio sono stati vent'anni che lui è morto.

Vado al vero "dunque" di questo post. Ossia al tentativo di spiegare la differenza tra dimissioni e dismissioni, dal mio modesto punto di vista.
Le prime perché oggi sono un po' sulla bocca di tutti, le seconde perché talvolta lasciano in bocca un (falso) gusto retroamaro.
In queste elezioni è stato dismesso un brillante senatore, che molto ha dato alla nostra politica estera. In particolare ha curato, in contrasto col resto del mondo, la pacificazione di una penisola asiatica, dilaniata da decine di anni di incomprensioni, in cui insulti, minacce e qualche missilino a supporto, hanno tenuto noi mondo col fiato sospeso.
Un'apnea permanente, che rischiava di farci affogare.
Il sogno del nostro era arrivare perlomeno a un dialogo, possibilmente attorno a un tavolo imbandito; si sa che a tavola le vicende si visualizzano diversamente che da dietro una postazione di cannoni o di missili.
Per quest'opera di pacificazione mondiale, per un lustro intero (pensione maturata, wow!) ha seminato. In un campo minato. Chapeau al coraggio e all'impegno indefesso (senza ironia).
Qui da noi, più che da politico praticante, era noto per essere, diciamo, divertente, guascone, con battute e gag fuori dall'ingessato diplomatico.
Adesso che è stato accantonato, il più dispiaciuto credo sia Crozza, rimasto orfano di un suo personaggio, che tanto ha fatto per portare lustro alla sua satira.
Ma quello che lascia basiti è il fatto che, lui cancellato, quanto da lui seminato finalmente pare stia germogliando. È di questi giorni la notizia di una parvenza di dialogo tra i due tronconi di quella penisola, favorita anche da Olimpiadi invernali che, teoricamente, non avrebbero avuto alcun motivo per svolgersi colà.
"Anche" alle Olimpiadi, ma soprattutto (forse) al lavorìo sottotraccia del nostro. Se ci sarà un embrassons-nous sarebbe doverosa la sua presenza, giusto premio del bene fatto, quasi in silenzio.

E ci sono le dimissioni di un segretario di partito, che le presenta inattese-attese, auspicate-deprecate, richieste-respinte...
Anche lui ha fatto di tutto, al contrario del precedente esimio senatore, per dividere una penisola.
Le ultimissime notizie ci dicono che ci è riuscito appieno.
E, come giustamente mai avviene in politica, si è dimesso, offrendo in pasto ai lupi la sua testa in un estremo rigurgito di dignità.
Fuori dalla politica, nel mondo imprenditoriale o bancario, l'amarezza delle dimissioni dei pezzi da novanta, a fronte di gestioni catastrofiche, fallimentari, sovente criminali, è ampiamente edulcorata da fior di milioni, cosiddetti di liquidazione,
Che fanno da infame incomprensibile contraltare a migliaia di lavoratori sbattuti sul lastrico, con annesse famiglie ridotte ad una umiliante miseria.
Ma il nostro, con le sue dimissione immediate, avrebbe offerto il rischio che il suo lavoro finisse a schifìo.
In sua assenza ci sarebbe il fondato dubbio che i 'vincitori' possano giungere a un accordo, seppur minimale e provvisorio, per una riunificazione peninsulare, che la sua presenza sul podio, pur in posizione defilata, ostacolerebbe.
Così ha lanciato le dimissioni posticipate, che faranno scuola nel futuro della nostra politica, che non aspetta altro che fagocitare qualunque iniziativa che consenta la sopravvivenza della specie.
Dimissioni procrastinate, direbbe chi sa di latino.
Sarà senatore e, pur essendo di altra sponda che il benemerito coreano, ne prenderà degnamente il posto.
Macchietta era il primo, dismesso; macchietta sarà il secondo, dimesso con beneficio d'inventario.




lunedì 5 marzo 2018

Comprare dai cinesi?

MAI e poi MAI!!!!
Perché?
Bisogna sostenere l'economia nazionale.
Bisogna difendere i posti di lavoro.
I prodotti definiti "cinesi" sono frutto di taroccamenti.
Talvolta sono dannosi per la salute.
Vengono prodotti e confezionati senza alcun rispetto per i lavoratori e per l'ambiente.
Sfruttano i minorenni, facendoli tra l'altro vivere in condizioni disumane.
Per poter stare nel mercato prezzano al minimo i prodotti in vendita.
Si tratta di prodotti scadenti, destinati a un uso limitato nel tempo.

MAI dire MAI!
Una carrellata in giro per la città, per curiosità.

(A) Negozio di abbigliamento (italiano, gestito da italiani) 
      giaccone in poliestere in vendita € 65, in offerta € 50 
      misura M - pellicciotto al cappuccio staccato ma in dotazione
           (A)



(B) Mercato rionale settimanale (italiano, marito e moglie italiani)
          giaccone in poliestere, identico ad (A) richiesti € 45, contrattato a € 40
          misura M - pellicciotto al cappuccio staccato ma in dotazione
            (B)
























(C) Negozio cinese (cinesi, gestito da cinesi)
       giaccone in poliestere identico ad (A) e (B), richiesti € 27, venduto a € 25
       misura L - pellicciotto al cappuccio
           (C)
Stesso produttore, stesso importatore, stesso distributore.
Stessa marca.
Il negozio A giustifica la differenza di prezzo con il costo del locale, delle bollette, delle tasse, del personale (peraltro assente).
Il mercato B giustifica il prezzo con il costo del parcheggio, i costi di trasporto, le tasse.
Il cinese C non giustifica il costo del plodotto, si limita a vendele, con tanto di scontlino.







domenica 4 marzo 2018

Io sono già in post-elezioni


Urbi et Orbi et Sordi
HO VuOTATO

Note di colore:

  • in bella vista cartello di divieto d'entrata nel seggio di cellulari o altri mezzi atti a riprendere schede o altro nella zona destinata al voto. Pena: da 3 a 6 mesi di arresto e sanzione da 300 a 1000 €. Non ho visto i Commodore 64, il resto c'era tutto.
  • siamo andati a votare dopo le 11, contando sulla religiosità degli indigeni. Conclusione: o siamo in un mondo di atei politicizzati, o il parroco ha rinviato le funzioni a dopo le elezioni; anche lui con la frenesia del "dopo".  Quattro sezioni, quattro file manco fosse un Friday di sconti. Già trovare un parcheggio è stata una botta di cu...ore.
  • nei pressi dell'entrata del seggio stazionano, ben distaccati gli uni dagli altri, capannelli di persone, forse interessate all'evento in corso. Si ha un bel da dire, ma la politica continua ad appassionare. Aguzzando l'udito, sento che in un paio di gruppetti ne discutono animatamente: del mancato gol del Bologna e di quello a tempo scaduto della Juventus. Le elezioni dovrebbero essere tenute ogni quattro anni, in occasione e durante i mondiali. Si parlerebbe di gol “mano di Dio” e di brogli di arbitri venduti.
  • tempi di attesa, una volta arrivati al cospetto della Presidente, abbastanza rapidi nonostante lo stacco dei tagliandi anti-frode. Anziché dettare i codici, come previsto nelle circolari, questi vengono trascritti direttamente dalla addetta (quote rosa qui strasuperate, tutte ragazze, wow!) che le passa alla Presidente per il trapasso all'elettore. Astuto! Vedo che sulle fessure scorre un foglio A4 a coprirle onde evitare inclusioni di schede distratte. E alla fine il famoso tagliando non viene prelevato tramite adesivo ma con strappo della linguetta e inserimento in apposita busta.
  • un cagnolino si aggira tra le sezioni 3 e 4. Sembra indeciso, non capisco se per la sezione o per il voto. Per fare lo spiritoso gli chiedo se deve votare anche lui. Per tutta risposta mi dà l'impressione di alzare la zampa posteriore, nella classica mossa che precede una minzione canina. Zampa destra. Un traduttore di atti  canine saprebbe leggere in svariati modi il gesto. E capirebbe se la minzione sarebbe: a) diretta verso chi vota a dritta; b) da domani questa è la risposta verso chi non ha votato a dritta.
  • fa un caldo boia e siamo tutti col giaccone invernale; sole poi pioggia poi di nuovo sole.
  • per festeggiare il dente cavato, oggi tortino a base di the verde e di konkuat.

Promozione IKEA


sabato 3 marzo 2018

venerdì 2 marzo 2018

"Doppo l'elezzioni" by Trilussa

Nun c'era un muro senza un manifesto,
Italia s'era vestita d'Arlecchino;
ogni passo trovavi un attacchino
c'appiccicava un candidato onesto,
còr programma politico a colori
pè sbarajà la vista a l'elettori.
Promesse in verde, affermazioni in rosso,
convincenti in giallo e in ogni idea
ce se vedeva un pezzo di livrea
ch'er candidato s'era messa addosso
cò la speranza de servì er Paese....
(viaggi pagati e mille lire ar mese).
Ma ringrazziamo Iddio! 'Sta vorta puro
la commedia è finita, e in settimana
farà giustizia la Nettezza Urbana
che lesto e presto raschierà dar muro
l'ideali attaccati co' la colla,
che so' serviti a ingarbujà la folla.
De tanta carta resterà, se mai,
schiaffato su per aria, Dio sa come,
quarche avviso sbiadito con un nome
d'un candidato che cià speso assai...
Ma eletto o no, finché l'avviso dura,
sarà er ricordo d'una fregatura.
 

Schede elettorali 2018

La passo come "Comunicazione di servizio", pur avendo il dubbio di essere uno dei pochi tonti che non avevano fatto caso alla novità (peraltro, mi pare, poco reclamizzata dai media; oppure mi è proprio sfuggita) del cosiddetto tagliando elettorale antifrode. Pur nella sua semplicità espositiva, non mi stupirei se alla fine dell'avventura elettorale dovessero scoppiare furibonde polemiche, sia per l'informazione che per la sua pratica applicazione.
Decenni di votazioni per i più svariati motivi, nazionali regionali comunali condominiali, ci avevano abituato a un itinere di voto ormai consolidato: presentazione della scheda e dei documenti, voto in cabina, inserimento del papiro nell'apposita urna, senza passaggio in altre mani "impure", il canonico "Tizio ha votato" (già pugno nell'occhio alla privacy; tutta la sezione veniva a sapere che il Tizio con barba finta e occhiali scuri per evitare i questuanti del voto, aveva votato; anche quando il fatto fregava a nessuno, escluse le votazioni comunali, dove il conto delle pecorelle ha una sua importanza, fotografando l'attimo fuggente dell'appartenenza), restituzione del documento e della scheda timbrata, buongiorno/buonasera e arrivederci alla prossima.
Da quest'anno è tutto quasi come prima, con la modifica di un piccolo passaggio che potrebbe invalidare il voto di Tizio: il presidente del seggio, all'atto della consegna del papiro reciterà un codice alfanumerico a un peone, che lo annoterà nell'apposito registro; una volta dato il voto, la scheda DEVE assolutamente tornare nelle mani del presidente che staccherà un tagliando riportante il codice prima dettato per poi immettere la scheda stessa nelle relative urne.
Poi il rito riprenderà l'andazzo del passato: Tizio ha votato, buongiorno/buonasera e arrivederci in primavera (rima baciata casuale, senza malizia).
Non so se questa novità riuscirà ad evitare la denuncia di brogli; se riesce sarà già un bel passo avanti.
Spero che i presidenti operativi abbiano il lampo di genio di tenere qualcosa sopra la fessura d'entrata delle urne, visto che l'introduzione diretta (per fretta, per ignoranza della disposizione o per semplice disattenzione) da parte dell'elettore comporta l'automatico annullamento del voto; non recuperabile, poiché non credo ci siano possibili deroghe per un'apertura occasionale delle urne per recupero del voto.
È un'idea che è venuta a me, tonto patentato, quindi penso che verrà anche a menti più lucide e pronte.
Ne parlo poiché chi va a votare in questa tornata già ci va (ma è una mia personale impressione) col naso turato; se a ciò dovesse aggiungersi l'annullamento la reazione potrebbe diventare violenta.
Metto qui sotto uno dei comunicati che ho trovato sul web, con la certezza che sto seminando in un campo già pienamente e opportunamente coltivato.
Tra uno più uno meno, meglio uno in più.
Un consiglio, che supera il rispetto della nuova regola: portarsi appresso un panino o altro commestibile. Mi sa che i tempi saranno decisamente più lunghi, e un po' di ristoro nell'attesa potrebbe essere utile. 

La tornata elettorale del 4 marzo segnerà  l’entrata in vigore di una novità: il “tagliando antifrode".
Sarà la prima volta che verrà sperimentata questa modalità nel nostro Paese.
Ogni scheda elettorale sarà dotata di una linguetta staccabile con sopra riportato un codice alfanumerico. Al momento della consegna della scheda all’elettore, il presidente di seggio controllerà il codice e lo riporterà sul registro elettorale della sezione.
Poi la scheda passerà nelle mani dell’elettore, che si recherà nella cabina per esprimere la sua preferenza di voto. Terminato questo passaggio, l’elettore ripiegherà la scheda votata per poi riconsegnarla al presidente di seggio.
Il presidente verificherà che il codice alfanumerico della scheda restituita dall’elettore sia lo stesso di quello annotato in precedenza sul registro elettorale: un meccanismo per accertarsi che la scheda sia la medesima e che, nella cabina, non sia stata sostituita.
Se tutto combacerà, il tagliando con il codice verrà staccato dalla scheda (in modo che sia garantita la segretezza del voto), che a sua volta verrà introdotta nell’urna.
Si tratta di un sistema studiato dal Ministero dell’Interno per evitare l’utilizzo di schede pre-votate.
Tali operazioni richiederanno un tempo superiore a quello normalmente impiegato per le operazioni di voto.  Gli elettori sono quindi pregati di attendere pazientemente il proprio turno e, se possibile, non aspettare le ultime ore della giornata per recarsi ai seggi.

A chi ha deciso di non andare a votare tutta la faccenda fa un baffo, ma l'informazione potrebbe tornare utile per un eventuale futuro ripensamento. Magari più prossimo di quanto si pensi, a giochi già chiaramente delineati, in cui anche un voto potrebbe far pendere la bilancia su uno di due piatti, anziché sulla decina di piattini di questo giro.
Dimenticavo: auguri a Lazio e Lombardia, sapremo il loro voto verso la fine della settimana prossima. 
Se tutto va bene.



giovedì 1 marzo 2018

Abbondante abbandono


Pianta di kiwi, abbandonata al di là di un recinto, trascurata probabilmente dalla morte del proprietario del giardino stesso. Forse mai potata o curata nelle sue ramificazioni.
A detta degli esperti, questa pianta sta letteralmente grondando vitamina C, sostituita da pasticche a pagamento nelle farmacie e para-tali.
Peccato, peccato veramente.
Mi ricorda la distruzione programmata di agrumi e frutta e ortaggi, sistematicamente maciullati con le ruspe, per sostenere l'economia dei prezzi.
L'immagine emblematica di un'Italia sprecona, che distrugge credendo di costruire.
O abbandona, lasciando che il degrado diventi virtù.
La stessa Italia che non muove un dito per trattenere menti brillanti, giovani visibili promesse, in vista di un futuro più umanamente accettabile. Quelle stesse menti che in prossimo domani saranno volano di progresso a livello mondiale. La Storia del passato lo insegna e lo conferma.
La stessa Italia che accoglie a braccia aperte l'entrata di forze straniere nelle nostre produzioni, salvo poi mordersi le mani ogni volta (ormai sovente) che le stesse decidono unilateralmente di lasciare il territorio per approdare in posti che promettono migliori condizioni fiscali. Magari a scapito di diritti minimi dei lavoratori e delle loro famiglie.
Ma sono considerazioni senza alcun peso nelle loro scelte.
Peso che resta, tragicamente, sulle spalle di un'Italia che ha colto l'attimo fuggente della ripresa post-bellica, sfruttando l'entusiasmo di allora per distruggere quel poco di buono che era riuscita a costruire. E che ora non è più in grado, né mentalmente né economicamente, di tirarsi su le braghe, accettando supinamente che altri ci usino a loro piacere e gradimento.
Quante considerazioni da una povera pianta di kiwi, come noi sedotta e abbandonata!