lunedì 8 maggio 2023

Quando la Calabria imparerà a leggere...



Appena finito di leggere.

Già la prefazione è una piacevolissima disamina che anticipa in maniera approfondita e competente quello che sarà il piatto forte della lettura.
Una lettura affatto piacevole, sia detto per inciso...

Non una finestra sulla Calabria, ma una enorme veranda da cui si vede tutto (o forse non tutto) il marciume che qui impera. Una lama che, una volta entrati appieno nel racconto, si rigira nella ferita aperta.
Nomi, cognomi e soprannomi elencati ciascuno con il proprio contorno di infamie, commesse o commissionate. E tutti osannati, baciamanati, idolatrati da un popolo che, nel mentre piange, si lamenta, impreca al padreterno, alle urne si prostra a quegli stessi che, quotidianamente da decenni, stanno facendo della Calabria il cesso dell'universo. A parziale attenuante c'è da dire che non ci sono alternative, né al suo governare né ad una possibile alternanza partitica. Non per niente il racconto passa il rasoio su tutti quelli che dagli anni '70 in poi si sono alternati, ufficialmente destra sinistra ambidestri; in realtà una rete a maglie fitte che accomuna, lega, incatena tutti ad un unico ceppo: il grande truogolo che consente mangerie epuloniche a tutti, affratellati nei malaffari che qui vengono puntigliosamente elencati.
Forse l'inserimento nei testi scolastici di questo libro potrebbe, ma ripeto forse, fare aprire gli occhi ai giovani, far vedere che non è questa la Calabria che viene presentata nei (costosi e inutili) spot paraelettorali; la Calabria non è cieli azzurri, mari puliti (😭), gente cordiale... la Calabria vera è quella qui raccontata, ignorarlo significa falsarne la visuale, significa accettarne l'assurda situazione. Significa rinunciare a un futuro che sia almeno parvenza di civile convivenza.

La postfazione è ciliegina sulla torta... intesa come lettura del testo, non sulla torta che i personaggi citati, i più ancora 'degnamente' operativi, continuano a spartirsi, in barba a inchieste, pseudo condanne, assoluzioni che manco un prete concederebbe.

Dio salvi la Calabria... ma mi sa che anche Lui ha rinunciato, anche Lui aspetta e spera.
Sarebbe bello sapere cosa...
Godot?

mercoledì 3 maggio 2023

Aprile, quando era dolce il dormire

Veramente tutto aveva avuto inizio con Marzo pazzo: il marito di una donna, anzianotta e pure malmessa di salute, aveva chiesto aiuto per un malore della moglie. Un malore che le aveva procurato una crisi d'ansia che la spingeva alla fuga dalla casa, con un'apnea pericolosa, la cui mancanza d'aria la portava ad atti di violenta ribellione a chi cercava di tranquillizzarla. Dopo oltre un decennio, avevamo allertato il 118 che, dopo averla flebolizzata, se l'era portata in ospedale. Dopo un paio di giorni di controlli era stata dimessa e il palazzo era sprofondato nel solito apparente tran-tran.
Fine primo tempo.

Aprile 2023, un mese da dimenticare. Per un palazzotto con poche anime stanziali, una quattrina di famiglie e un paio di singoli, dire che è stato un periodo movimentato potrebbe essere letto come un qualcosa che ormai è all'ordine del giorno in tutti i paesi e le città. Basta leggere  le cronache o seguire i tiggì.

Tutto era iniziato il lunedì dopo la domenica delle Palme, con la caduta della ragazza dal balcone sopra di noi. Ne ho già parlato diffusamente in un post apposito, che qui mi limito ad aggiornare.
La ragazza era stata dimessa dall'ospedale dopo qualche giorno, fisicamente abbastanza integra, psicologicamente assai meno. Nel frattempo i carabinieri avevano proseguito le indagini, ufficialmente secretate, ufficiosamente divulgate.
Sembra che la dichiarazione del padre della ragazza non collimasse con la nostra: avrebbe dichiarato che la ragazza non era caduta, tanto meno si era buttata, dal balcone. Secondo la sua versione, avrebbe fatto il giro del palazzo, sarebbe entrata nel nostro giardino passando da una porticina (chiusa dall'interno con chiavistello), avrebbe camminato lungo tutto l'esterno del nostro alloggio, sarebbe salita sul piccolo balcone della cucina, lo avrebbe scavalcato, adagiandosi poi sul terreno... in attesa dei soccorsi.
Questo per sentito dire; in effetti dai carabinieri non abbiamo avuto segnali di messa in dubbio della nostra versione che, al di là del percorso impossibile, dava la ragazza incosciente fino al ricovero in ospedale. Con la madre rintracciata quaranta minuti dopo il fatto e il padre arrivato dopo un'ora; per cui qualunque versione abbiano potuto dare sa di fuffa lontano un miglio. 
Un miglio che avrebbe potuto essere 'verde', se in quel giardinetto ci fosse stato un manufatto di cemento. 
Anche perché, dopo quindici giorni esatti, la ragazza, nuovamente sola in casa, ne era uscita, scalza e infreddolita e piangente, chiedendo a gran voce aiuto, prima al palazzo vicino (silenzio assoluto), poi alle famiglie residenti. Avevamo allertato il 112, erano intervenuti i carabimieri, che per tutta la mattinata erano stati con lei tranquillizzandola, in attesa dei genitori dai quali avere una spiegazione in merito alla disperata richiesta di aiuto. Erano arrivati anche tre addetti dei servizi sociali per verbalizzare le sue dichiarazioni e vedere cosa fare per aiutarla. 
Anche allora, buona ultima era arrivata la madre che, come buongiorno ai carabinieri, li aveva accusati di essere entrati in casa senza mandato...
Fine del secondo tempo.

Nel corso dell'ultima decade del mese, in tarda serata il pizzaiolo del ristorante aveva avuto un malore: ambulanza, rimesso in piedi sul posto, una crisi epilettica forse dovuta a stress da lavoro, frenetico in vista dei ponti e ponticelli prossimi.
Fine terzo tempo.

Tra via-vai di ambulanze e di carabinieri, il mese sarebbe già stato ampiamente da ricordare.

Ma il peggio doveva ancora venire. Anzi, il peggio era già in atto da un bel po', ma con tutto 'sto trambusto era passato (quasi) inosservato.
Un giovanotto dell'ultimo piano da un po' di tempo dava segni di strane stranezze: fischiettava in continuazione, salendo o scendendo le scale, ogni tanto cacciando urla senza senso compiuto, dialogando con se stesso a voce alta, tenendo concioni  dal terrazzo, rivolti verso l'infinito; un infinito in cui era compreso tutto il circondario, nessuno escluso.
L'allarme era scattato quando dai fischi e dalle parole era passato ai fatti: lo sbattere il portone d'entrata, il prendere a calci le porte degli appartamenti, i dispetti alle macchine parcheggiate, in particolare a quella degli stranieri con svirgolamento degli specchietti e rigatura delle fiancate, i gesti di malocchio verso altre... 
L'aggressione verbale violenta, non giustificata e gratuita, verso una signora del palazzo aveva fatto drizzare le antenne, creando intorno al soggetto un prudenziale vuoto.
Come succede spesso, la definizione comune, peraltro generica, lo aveva etichettato come pazzo. 
Fino a quando la madre, venuta appositamente dal paese di residenza abituale, non aveva fatto il giro delle "parrocchie" e, piangendo, aveva comunicato a tutti, amministratore compreso, che il figlio è affetto da uno stato di disturbo depressivo bipolare, che è in cura da uno psichiatra, che non prende le medicine che questi gli propone; chiedeva perdono per il fastidio che dava... Che, forse, il fatto di essere disoccupato, lo aveva gettato in una prostrazione psicologica sfociata poi in depressione.
Che no, non era un pericolo, né per sé né per gli altri. Visto il comportamento del giovanotto, è una rassicurazione che lascia il tempo che trova.
Infatti, come messaggi tranquillizzanti, aveva prima preso a calci, in tarda serata, la porta di casa dei genitori della ragazza già traumatizzata da quanto successole nei giorni appena precedenti; e in seguito aveva preso a pugni e sfasciato lo sportello in legno della nicchia che racchiude il contatore della luce scale e dell'autoclave; con un pugno aveva sfasciato l'interruttore della luce delle scale facendone saltare la mascherina, che aveva poi calciato verso la porta di un locale.
Nei due mesi precedenti aveva cambiato posto di lavoro tre volte: nel primo era durato un paio di settimane, nel secondo tre giorni, nell'ultimo una settimana. A detta della madre, posti lasciati per incompatibilità ambientale con i sistemi lavorativi proposti.

Aprile è passato, maggio si dice sia il  mese degli asini (ma non ne so il perché), speriamo sia il mese buono per entrare in un periodo di antica, quasi dimenticata, pace in terra. 
Perlomeno in questa mia povera terra.

lunedì 1 maggio 2023

Blog e commenti di un tempo lontano

Tempo piovoso, per un 1° Maggio francamente uggioso. Tempo da polenta infarcita da ricordi di un passato neanche tanto lontano. Dovrei fare la storia di questo aborto di poesia, da cosa fosse stata suscitata, ma francamente non lo ricordo. Ho lasciato i commenti, che hanno il sapore di amicizie virtuali ormai disperse nel tempo; a modo loro divertenti, al di là di cosa significassero. Colgo l'occasione per un saluto affettuoso a chi ancora c'è, ma soprattutto a coloro che nel frattempo hanno attraversato quella porta che consente solo l'entrata e mai più l'uscita.

LATITANTE

Peregrino se ne va,
nel deserto di città,
ramingo e disperato,
solitario e ricercato.
Guarda a destra,
e c’è un plotone,
di corvi affamati,
sulla sinistra
un altro plotone,
di jene ridenti…

che cercano lui.

Tutto per colpa
di una cassata,
nata dal nulla
e poi svirgolata.
Tutti lo cercano,
nessuno lo vuole,
soltanto perché,
seguendo la cronaca,
ha scoperto un amore.

Che amore non era,
e neanche un calesse:
era solo un miraggio,
seppure palese.
Lo hanno fregato
nella sua ingenuità,
ed ora è in viaggio.

Un viaggio di fuga,
la Legge lo insegue,
chissà quando mai
quei torvi avvocati
vedranno in che guai
si vanno a cacciare.

Lui nella Legge
ha poca fiducia,
ancora di meno
nell’avvocatura.

Ha i suoi legali,
già sull’avviso,
non sono “dottori”,
di Legge non sanno,
ma legge san fare,
e battono bene,
laddove un gattino
vien pesto di gusto.

Uno fa il cuoco,
l’altro è insegnante,
l’altro è buon mastro
di muratura,
e un altro intercetta
rompendo i contatti
tra chi lo ricerca
per fargli la festa.

E’ un misero gatto,
e oltre che nero,
è pure granata,
che è come dire
“che bella giornata!”.

Chi vuol la sua pelle
per farne zerbino
è bene che sappia
che pur latitante,
(gatto vagante),
ricerca la pace,
la cerca ogn’istante.

E quando sul ponte
vedrà sventolare
bandiera bianca,
o una colomba
con foglia di fico,
che copra in silenzio
un amore cortese,
che altro non era
che una grande cassata
ed un picciol calesse,
sarà segno di fine
della sua latitanza.

.E, comunque, abbasso giulio!



24 commenti:

  1. Questo pezzo è bellissimo. Ho riso, mi ha fatto ridere, è bello. Mi piace. E' cazzuto, però mi piace. Ah, intendo questo:

    E’ un misero gatto,
    e oltre che nero,
    è pure granata,
    che è come dire
    “che bella giornata!”.

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  2. Ci accomuna un gatto!!!
    Simpatico il tuo testo.
    Saluti
    Giulia

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  3. Ma questa poesia...
    non sarà rivolta a me, vero?

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  4. Caro Itsat è per me e per te!
    Gattone ailoviu!

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  5. Lo voglio anch'io il mutuo di topi per Piumino!!!!!
    Un sorriso a te e grazie del commento (simpatico)che mi hai lasciato
    Kisses
    Giulia

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  6. @ Itsas: certo che no! Potrebbe essere usata contro di me in tribunale. Ma come ti vengono in mente certe idee?

    @ Stefy: ovviamente idem come sopra.
    Tra l'altro, i miei legali li ho citati, Itsas pure (domani intervista in tedesco?), degli indagati mancano InfraReDito e Grace (e tutto quel che segue). Di parte lesa manchi tu: se tanto mi dà tanto, i tuoi saranno Gaccaedinì e Pekorinella.

    (Chiedo il rinvio delle udienze perché ho iniziato la vendemmia, e dell'aiuto dei miei legali in questa operazione non mi fido; so che resterei senza uva e senza vino. Alle cose serie penserò dopo).

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  7. Gatto..ci sono delle novità..appena puoi..passa a leggermi da Itsas..
    QUESTA STORIA DEVE FINIRE!

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  8. La gattanza nera come sai ti accomuna anche a me... un saluto dallo scrittore pazzo e dal suo Isidoro... :D

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  9. Grazie per le belle parole che hai lasciato nel mio posticino, sono felice perchè sono riuscita a comunicare qualcosa e in questo mondo in cui tutti pensano a sè stessi, vanno veloci e pensano soltanto ad arrivare e non anche al cammino che compiono per arrivare, l'avere fatto pensare o almeno riflettere anche una sola persona mi rallegra e mi sprona a fare sempre di meglio. A presto Gatto.

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  10. Che casino. Mi spiace a prescindere, ma te la caverai.

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  11. L'ho letta con gusto un paio di volte
    saluti

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  12. grazie gatto..... ho un posto libero come correttore di bozze.... è tuo.... assunto senza colloquio.... per titoli

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  13. Gatto?????? Ma mi dici che ti è pigliato l'altra sera ? Cosa ti ha infastidito, posso saperlo?
    Grazie,
    Heidi

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  14. @ QUASI TUTTI: non ero più tornato sul blog, perché ritenevo il fatto esaurito. Stasera vado per postare l'ennesima fesseria, e mi trovo il finimondo...
    Cerco di essere conciso, e tutti sapete a che sacrificio mi obbligate: Orwell '84 ci fa un baffo (veramente sarebbe un baffetto, ma qualcuno potrebbe pensare al politico, che, almeno in questo caso, è innocente).
    Per mia fortuna e felicità ho incocciato un gruppetto di bloggeristi (spero di non perdere il posto testé offertomi da Bussolina) che, da una virgola piuttosto che dal colore di una mutandina, sanno 'svariare' a tutto campo, creando commedie tragedie gialli... musical no, perché, almeno io, sono negato (alcuni lo sanno bene), in modo talmente sequenziale ed esponenziale da apparire alla fine dell'avventura fatto realmente voluto.
    L'input alla vicenda è partito da Stefy, seguita da Itsas che (coda di paglia) aveva subito detto non sono stato io, seguiti, tra gli altri, da un gatto ingenuo (e anche stravaccato dall'inizio del campionato di B, e non dico altro), che per gelosia ha puntato il dito accusatore verso il negazionista a priori.
    Poi le smentite sono fioccate, anche su giornali mai sentiti nominare, in anglo-inglese e in ispano-spagnolo; sono spuntati, come corvi e jene, avvocati di merda pronti a spolpare gatti itsas stefanie grace alligatori...
    Insomma, un grandissimo casino, partito da un dolcissimo "I LOVE", che qualunque persona dotata di sentimento esprime ogni dì verso l'amato/a.
    Sarebbe stato il The end, se non fosse spuntato un fantomatico Giulio...
    Chiunque si chiami, o sia chiamato Giulio, è candidato al prosieguo del dramma (e qualcuno, volpinamente, lo ha già fatto, subito allontanato dal piedino 36 della Stefy).
    Concisione volevate, circoncisione avete avuto.

    (Ricordate: sparare ai gatti è reato! E anche tirare scarpe, se non accoppiate).

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  15. @ HEIDI: prima di tutto MIAO a te. Non devi esagerare con l'acqua minerale (oh, quando cerco una rima, manco a pagarla...): ho riletto tutto tutto, e non mi pare mi fosse preso nulla di diverso da quello che ho detto.
    Nada verso il tuo post, delicato e sensibile come sempre; nada de nada verso i commenti precedenti e seguenti il mio, li ho trovati aderenti al mio pensare in merito al discusso.
    Voglio sapere dove ho dato l'impressione di essermi infastidito.
    Se non vuoi seguire la strada maestra, il sentiero alternativo lo conosci, è sempre aperto...
    Fammi comunque sapere; nel frattempo ho pronto un secchio di cenere, fredda, e se ho fatto, involontariamente, una cassata, mi ci arravoglio in penitenza. Vabbé, penitenza: lo sai che la cenere per i gatti è la migliore alcova. Però fammi alcovare felice...

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  16. Ciao, mi è sembrato che te la fossi presa quando mi hai scritto: "Heidi, mi sa che con le mie scuse stasera ti fai un cuscino..."
    Mi è sembrato che da me ti aspettassi una risposta diversa e CREDIMI, non ho capito quale.
    Comunque detto questo, non è neanche tanto bello che tu mi indichi la strada maestra caro Sig. Gatto mentre cerchiamo di capirci, perchè ci arrivo comodamente da sola.
    Mi dispiace per tutto e ti chiedo scusa se è il caso di chiedere scusa ma alla porta, anche se virtuale, non mi ci faccio mettere da nessuno!
    Buona Vita
    Heidi

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  17. @ HEIDI: o io sto rincoglionendo (del tutto) o tu insisti troppo con la minerale o è un attimo di non comprensione reciproca. Riprovo:

    a) il cuscino di scuse (le mie scuse) era dovuto al fatto che in poche righe mi ero scusato più volte per non essere riuscito a farmi capire; non era un'ipotesi di sprezzo di queste scuse da parte tua; l'ho creduto un modo originale per darti la buona notte;

    b) devi essere proprio incazzata, per leggere a quel modo le mie indicazioni "stradali":

    LA STRADA MAESTRA INDICATA SONO I COMMENTI DIRETTI E PUBBLICI A UN POST QUALUNQUE.

    IL SENTIERO ALTERNATIVO ERA QUELLO CHE HAI SEGUITO, FORSE CASUALMENTE, PER ENTRARE NELL'ALTRO BLOG PARALLELO, NEL CASO AVESSI RITENUTO PRIVATIZZARE IL TUO MESSAGGIO.

    Non è nel mio carattere troncare un dialogo, per difficile e antipatico possa essere (e non è questo il caso nostro!), invitando l'interlocutore a togliersi dai piedi. Sono testardo nel difendere le mie ragioni, ma altrettanto umile da riconoscere quando ho torto. E in tal caso non mi vergogno di chiedere scusa... fino ad offrirne cuscini, se è il caso, ma mai in modo offensivo).

    Se mi sono spiegato a sufficienza, sono sempre qui, però sempre e solo gatto. Il Sig. l'hanno mangiato i topi.

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  18. Concordo in pieno sul fatto che i bloggeristi in questione sono fantastici ad inventarsi una montagna da un granello di sabbia! :)
    Comunque la qui scrivente cenerentola porta il 39!
    AHAHAHHAH
    Se posso: Heidi, credi a me, Gattone non è il tipo! ;-)
    Fate pace.
    :)

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  19. Gatto, ti chiedo scusa. Sicuramente di persona riuscirei a capirti e a farmi capire meglio, ma così è difficile. Probabilmente sono stata un pochino permalosa e mi stupisce perchè solitamente non lo sono, comunque vuoi un po' d'insicurezza e un po' di sindrome...ormonale, non ho capito le tue intenzioni e tanto meno l'invito. Mi piace troppo quello che scrivi un po' qui e un po lì... che non potrei mai rinunciare a seguirti.
    Ti chiedo scusa e spero di non averti fatto arrabbiare troppo. Dai mettiamoci una pietra sopra, che dici?

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  20. Heidi: ti amo come e più di prima!

    @ Stefynuccia: trentanove!
    Siamo pari: tu mi facevi più giovane (sigh! bisigh! trisigh!), e io ti avevo dato un piedino cenerentoliano.
    Se può farti piacere, ma non so perché dovrebbe, anch'io porto il trentanove.
    E quando compro le scarpe ci sono montagne di 38 e caterve di 40, ma niente 39. O è un piede universale, o viene ignorato contando sulla crescita in età crescitiva, o sul raggrinzimento in quella decrescitiva.
    Qualche 38 mi va già bene...

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  21. Certo, mi fa veramente piacere. Se vuoi ti presto un paio delle mie. Sai portare i tacchi alti? No? Nemmeno io. Ti presterò le scarpette da tennis, ok?
    Mi fai morire! :D

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sabato 29 aprile 2023

Argomento sempre attuale

ODE AI CAMBIATORI DI CASACCA

Ma sono solo io a vedere il cambio di casacca tra parlamentari come atto immoralmente ignobile?
Dice: una persona può rendersi conto a un certo punto del cammino di avere sbagliato strada... 
Benissimo, la libertà è una conquista che coinvolge tutti e tutti rende liberi...

Ma se hai sbagliato strada, devi avere il pudore di tornare indietro e riprenderla dall'inizio. Da quando sei stato votato, da quando hai intortato i tuoi elettori elargendo pillole di una ideologia, o comunque di un programma, che i tuoi elettori hanno recepito come rispondente a quanto da essi desiato.
Se a metà, o anche prima, del percorso politico intrapreso, ti rendi conto di avere sbagliato, caro onorevole, devi lasciare la poltrona, tornare nell'uovo come pulcino bagnato, poiché non stai tradendo il tuo partito, stai 'introiettando' le migliaia di persone che ti hanno votato. 
È ignobilmente immorale che tu, spostando le tue preziose terga da un settore all'altro, cambiando casacca, accettando un nuovo contratto che solo tu accetti e sottoscrivi, possa mantenere inalterato il tuo trattamento pecuniario e i benefici ad esso connessi. 
Se hai un minimo di onestà mentale devi chiedere a chi a suo tempo ti ha votato se concorda con il cambiamento che proponi; e se è d'accordo, saranno questi a darti l'OK per il cambio.
Altrimenti, che tu sia camaleonte di sinistra, di destra, di centro e di macedonia, il tuo comportamento oltre che immorale è pure disonesto.


mercoledì 5 aprile 2023

Oltre una notizia di cronaca

"Ragazza cade dal balcone di una palazzina", questo il titolo di una comune notizia di cronaca, seguito dalla sintetica descrizione di quanto accaduto. Vaga, poiché le notizie definitive sono ancora frammentarie, per un fatto successo un paio di giorni fa.

Succede, si dice. 
Ma quando succede sotto casa propria è un 'succede' che non era previsto succedesse.
Una ragazza cade dal balcone del piano di sopra, pochi metri, al di sotto dei quali terra bagnata, che attutisce il botto della caduta. Un cagnolino abbaia furiosamente, i gatti in giardino che corrono come impazziti, spaventati non si sa da cosa.
Una donna, abitante col marito nell'appartamento sottostante, cercando di capire cosa stesse succedendo, si è affacciata e ha visto qualcosa, uno straccio, un vestito, adagiato sul terreno. Succede sovente che, malamente stesi, indumenti cadessero in quel giardinetto...
Ma stavolta dentro al vestito c'era una persona, una ragazzina poco più che quindicenne; riversa nel prato, appoggiata al fianco sinistro, il viso rivolto verso terra, gli occhi chiusi, chiaramente incosciente.
Alle grida di allarme della donna, il marito, in assenza di altra entrata a quel sito, era saltato dal suo terrazzino, non molto alto, circa un metro e mezzo, ma che la sua età ne aveva reso ardua la scesa; non sapeva nulla di primo soccorso, durante una vita affatto breve non gli era mai successo di dover intervenire in un tentativo di salvataggio, nulla che lo potesse aiutare, a parte i "sentito e visto" televisivi. 
Il suo primo pensiero non era stato che fosse viva o che non lo fosse più: intanto aveva pensato ad allontanare il viso dalla terra, l'aveva con delicatezza messa supina, e aveva pensato che potesse prendere freddo; infatti sia la maglia della salute, e un'altra maglietta, che il pantalone di quello che sembrava un pigiama, nella caduta le avevano lasciato scoperto l'addome. Con una pioggerellina costante e raffiche di vento gelido, era stato proprio il pensiero che questa poco più che bambina potesse prendere freddo, viva o meno che fosse, che lo aveva spinto a chiedere alla moglie delle coperte e un cuscino da metterle sotto la testa...
Mentre le picchiettava sulle gote nel tentativo di rianimarla, aveva lanciato grida disperate, con tutto il fiato che aveva in gola; in questi casi non c'è fumo di sigaretta che tenga, urlare a squarciagola, ripetendo il richiamo, chiedendo aiuto... che era rimasto senza risposta per quasi mezz'ora. 
Maledetti doppi vetri?... Non riusciva a credere che si trattasse di indifferenza elevata a potenza. Sarebbe stato da criminali.
Occhi chiusi, palpebre tremolanti, il gargarozzo che si muoveva, un respiro appena percettibile, facevano ritenere che fosse ancora in vita. L'uomo non conosceva altri modi per risvegliare un'incosciente, o forse l'agitazione glieli aveva fatti dimenticare: buffetti sulle guance, tenerle la mano nelle mani. Che era fredda, la sua, ma piano piano stava riprendendo calore dalle sue... ma senza altre reazioni apparenti.
Poi era arrivata gente, qualche decina di persone, che stavano affacciate dal terrazzino, chiedendo, commentando; altre se ne stavano appoggiate alla cancellata che delimita la strada soprastante. A nessuno era venuto in mente di saltare giù per dare una mano a scaldare, a tentare qualcosa in attesa dei soccorsi ufficiali... poi qualcuno, alla buon'ora, aveva chiamato il 118, un altro aveva rintracciato la madre della ragazza, una movimentazione che aveva dell'incredibile a fronte del silenzio assoluto alle urla precedenti.
All'arrivo dell'ambulanza... gli occhi della ragazza si erano aperti, ma restando fissi in un vuoto da buco nero. Portata al nosocomio provinciale, circa 140 chilometri, con un posto di primo intervento a un paio di chilometri... È la sanità locale che dimostra ancora una volta la propria (in)efficienza.
Erano arrivati anche i carabinieri, avevano preso atto di quanto presumibilmente accaduto, avevano relazionato su quanto erano riusciti a raccogliere, tempi e modalità del ritrovamento, e... buonanotte.
In serata la ragazza si era risvegliata, dando l'impressione che tutto fosse a posto, perlomeno a livello di fisicità. 
Solo lei, se lo vorrà, potrà dire cosa sia successo, se incidente o evento voluto, cercato...
Questa la cronaca, nuda e cruda. E questa cronaca è presentata in terza persona, come da prassi, a indicare un distacco formale dai fatti.

I sentimenti successivi, invece, li voglio esporre con la prima persona, visto che di quel fatto sono stato involontario, tremante, protagonista.
Dietro il freddo del racconto ci sono punti che mi fanno agitare più dell'intervento effettuato. 
Come primo (e unico per oltre mezz'ora) soccorritore ho prestato i primi soccorsi (per carità di patria, chiamiamoli così) chiedendo alla ragazza di svegliarsi, picchiettandole le guance, fissandole il viso in cerca di una reazione qualunque fosse, scaldandole la mano sperando in una stretta di ricambio...
Delle urla di richiamo ho detto; ribadisco che preferisco pensare ai doppi vetri delle abitazioni che ad altro. Anche se il successivo arrivo, quasi in combinata, di tante persone mi lascia il dubbio che il passaparola abbia avuto più effetto delle mie urla.
Non sapevo come si chiamasse la ragazza. Pur abitando al piano sotto il suo, pur avendola incrociata sulle scale un sacco di volte, con un sorriso e un ciao ricambiati a ogni casuale incontro... non sapevo il suo nome. Non avevo mai avuto modo di chiederglielo, sia perché non c'era motivo, sia come reazione (probabilmente inconscia) ad evitare un contatto che, con l'aria che tira di caccia alle streghe, avrebbe potuto essere interpretato come molestia.
Anche perché i nostri rapporti con i suoi genitori non sono mai stati idilliaci: l'ancestrale conflitto tra chi, in un palazzo, abita al piano di sopra e si comporta poco civilmente, e chi, al piano di sotto, è costretto a subire la mala educazione di chi sta più in alto. La stesura di panni grondanti, malamente stesi e lasciati al sole e alle piogge per giorni, che regolarmente cadevano nel nostro giardino,  il lavaggio del terrazzo con acqua corrente indirizzata verso il basso con la scopa, oggetti vari lanciati di sotto, grida e rumori esasperanti nelle ore più strane del giorno e della notte... 
Ai primi tentativi per chiarire i nostri rapporti, avevano avuto una reazione talmente violenta che avevamo rinunciato. All'inizio, circa due anni fa, il fatto che fossero stranieri ci aveva spinto ad offrire una collaborazione particolare, sì da renderli meno soli in una contrada affatto benevola nei confronti degli estranei. Ma la loro alcuna civiltà ci aveva costretti al ritiro formale degli ambasciatori.
Il buongiorno/buonasera negli occasionali incontri era rimasto, ma niente più; la ragazza, questa ragazza, invece, non aveva motivo di essere coinvolta in una diatriba tra grandi (grandi più piccoli di lei), per cui il ciao sorridente e reciproco veniva spontaneo.
Ma non era il peggio: nell'ora successiva, molto prima del 118 e dei carabinieri, nessuna delle decine di persone che erano venute ad osservare, tutte abitanti nei dintorni, alcune addirittura dirimpettaie, nessuna sapeva quale fosse il nome di questa ragazza, poco più che bambina.
Una terza cosa mi ha lasciato in bocca un amaro da fiele: nella chiamata al 118 era stato specificato l'accaduto, sintetizzato in "una ragazza è caduta dal balcone", che sottintendeva una gravità che solo un medico avrebbe potuto valutare; sul posto, magari con un intervento più immediato, forse salvavita, viste le sue condizioni. Pare ci fosse solo un'ambulanza medicalizzata, in servizio altrove, per cui si erano presentati due portantini, che, preso atto dell'incoscienza della ragazza, l'avevano caricata su una specie di tavola, fermandone il corpo con una lentezza esasperante. 
Per me, ignorante, dopo una caduta del genere almeno un collare di fermo della cervicale ci sarebbe stato tutto. 
È la nostra sanità, che non è più solo malasanità ma mortasanità. Salvo quando, molto, troppo sovente, gli elisoccorso vengono chiamati anche per un semplice malore, che di solito non richiede neanche un ricovero osservativo...
Bene, di tutta la vicenda, forse conclusa positivamente, non mi interessa tanto se quanto successo sia stato incidente domestico o altro: sono sconvolto dal fatto che una persona, vivente in un consesso ufficialmente 'urbano', in una contrada piccina piccina e quasi picciò, non abbia potuto tentare il risveglio di una ragazzina che forse aspettava solo di sentirsi chiamare per nome per aprire gli occhi e rispondere "ci sono!". 
Da tafazzarsi con un bidone pieno da venti litri, o col battacchio di una campana, tanta è la delusione di un mondo che non è più mondo ma solo fredda, stupida, anacronistica tecnologia.

Ci siamo chiusi a riccio, per difenderci da altri, a loro volta chiusi a riccio. Con gli eventi che, come onde violente di mare, finiranno per scaraventarci sulla spiaggia, rinsecchiti dal sole, inariditi dalla salsedine, avvelenati da acidità reciproche, via via accentuate, come per accelerare la nostra stessa fine. 
  

lunedì 3 aprile 2023

Burocrazia canaglia: 44

Ricordando il passato, ripropongo un pezzullo come passatempo di un tempo piovoso.

Non sono un esperto del gioco del lotto, pertanto ciò che vado a scrivere va preso con beneficio d’inventario.

Un numero singolo, tipo quello citato nel titolo, puntato da solo si dice “ambata”; è da quando ho saputo dell’esistenza di questa fregatura venduta come “gioco” che mi chiedo perché un numero solitario sia definito ambata, divenendo “ambo” quando al single si aggiunge un compagno.

Dopodiché tutto procede con la sequenza progressiva della buona aritmetica: terno, quaterna, cinquina; che è il top della giocata, soprattutto se si vince.
Il mio primo incontro con questo “sport” risale a un accadimento drammatico avvenuto dalle parti di Cuneo (tra l’altro una città a me molto cara) molti, ma veramente molti, anni fa.
Non deve stupire che i numeri da giocare nascano il più delle volte da fatti tragici, avvenimenti eccezionali o da sogni, di solito con defunti che si materializzano “dando i numeri”, non nel senso metaforico della pazzia improvvisa ma fornendo direttamente quei segnetti, che dell’arabo sono l’unica cosa che conosciamo (a parte la Bonino che, non paga dei numeri noti ai comuni mortali, è andata sul loro posto natìo per imparare qualche parola alternativa al politichese nostrano imperante, a malapena oscurato dal parlare forbito di recenti neonati movimenti).
I numeri su quanto successo in quell’occasione non li avevo elaborati di persona (allora ne capivo una beneamata cippa di ‘ste cose, adesso invece… pure); li avevo ricevuti da un’esperta, che mi aveva garantito la vincita, purché li avessi giocati per almeno tre volte.
Detto-fatto, mi ero presentato in ricevitoria (un bugigattolo, poco più che un sottoscala, fiocamente illuminato, una specie di antro, con uno stretto banconcino dietro il quale stazionava una befana, con naso adunco e occhi grifagni; da allora, pensando o parlando di Fisco, ne abbìno l’ipotetica sua figura a quella di questa megera, in ciò confortato da tutte le caricature satiriche che ancora meglio lo descrivono), avevo esposto i miei numeri, la ‘personcina’ li aveva scritti a mano su una sottile strisciolina di carta verdognola…
“Su quale ruota?”.
“Cuneo”.
“Non esiste una ruota su Cuneo”.
Allora non ero sboccato come adesso (lo sono un pochino oggi, per adeguarmi al parlare quotidiano), ma sono certo che avrò pensato “Cazzo!”, come rafforzativo al disappunto per una notizia inattesa, di quelle che tagliano da subito le gambe a una prospettiva di gioco vincente.
Che allora sarebbe pure stata espressione originale, visto che  i vocabolari del tempo non la riportavano; a malapena questi, e  neanche tutti, citavano “Pene”, senza allargarsi più di tanto: organo di riproduzione maschile. Punto.
Una breve ricerca su alcuni di quelli in mio possesso, mi porta a scoprire che in uno del 1936 e in un altro del 1965, quel termine non compare. Figuriamoci “cazzo”…
Per curiosità, cercando il suo contrapposto fisico, alla voce “Vagìna” ho trovato, su quello del ’36: “in anat. Vagìna si usa a significare il canale che conduce all’Utero”; quello del ’65 è più esplicito: “Guaìna, fodero; tegumento (citando poi, di Dante: “la vagina delle membra sue”, riferito allo spellamento di Marsia da parte di Apollo). Punto, anche qui.
Provate a immaginare, in tempi più attuali, un De Falco che urla (incazzatissimo) a Schettino: “Torni subito a bordo, pene!”.
Peraltro, se  mai mi fosse sfuggito di bocca, ho il dubbio che la strega, certamente più esperta di me in quel campo specifico, più che esserne scandalizzata, mi avrebbe annunciato che:
“No, neanche la ruota sul Cazzo esiste… le ruote sono dieci, le vede lì appese al muro, su quale di quelle metto ‘sti numeri?”.
Un po’ scornacchiato, non ricordo su quale di quelle esposte li avevo puntati.
Come buon inizio di incoraggiamento non avevo vinto, in uscita manco un numero.
E sono certissimo che se ci fosse stata la ruota di Cuneo qualche soldino lo avrei portato a casa.
Va da sé che le altre due giocate non le avevo più fatte.

All'epoca le estrazioni avvenivano in ciascuna delle dieci città onorate del titolo di "ruota", e ricordo che venivano trasmesse in diretta televisiva, con affollamenti esterni in attesa fuori dalle singole sedi cittadine, con il ragazzino/ragazzina con gli occhi bendati che estraeva la pallina dall'urna a rete, ovalizzante ellittica, seguita dal passamano della biglia tra i funzionari schierati dietro il tavolone, fino alla fatidica esposizione del numero estratto, con l'urlo di gioia o delusione degli (a)spettatori.



Adesso i “giochi”, tutti quelli di questo genere, sono diventati in molti casi l’ultima ratio, talvolta troppo sovente prima di un suicidio.
Laddove l’articolo 1 della Costituzione ormai si basa su tutto meno che sul lavoro, una “Repubblica fondata sul gioco (d’azzardo)” farebbe la sua sporca bella figura.
Non avevo pensato di fare un post esplicito sul gioco del lotto, ma un fatterello ha stuzzicato il parto, consentendomi di porgere a quanti interessati un altro numerino da abbinare al già citato 44.
Da giocare per tre volte consecutive, su una ruota a piacere.

Questo è il post vero: 32 da giocare


Credo che tutti, chi più chi meno, più volte nella vita abbiamo avuto a che fare con la burocrazia.
(S)parlarne è come sparare sulla benemerita Croce Rossa.
Questa fantomatica signora esiste in almeno due versioni: quella plateale, fatta di muri e di paletti che ostacolano lo sviluppo di ogni settore della vita, bloccando nei suoi iter farraginosi un procedere lineare e sereno; di per sé già notoriamente stupida e incomprensibile, i burocratizzati ci mettono del proprio per renderla più personalizzata.
Esiste poi una burocrazia becera, sviluppata di solito a livello locale, ciliegina su una torta fatta di citazioni e riferimenti che fanno comodo solo a chi vuole che la semplicità sia ulteriormente nascosta o manipolata.
Di quest’ultima forma qui vado a raccontare.
Trentadue, trentadue anni…
Da quando mi sono trasferito qui, dove tutt’ora abito, sono passati trentadue anni.
Da allora, stesso mare, che guardo ogni mattina sorseggiando il primo caffè della giornata; stesso cielo; stesso giardino, variegato dai colori stagionali…
Stessa casa: qui hanno chiuso gli occhi sia mio suocero prima che mia suocera poi, quando la loro residenza è stata trasferita definitivamente nei mini alloggi comunali, recintati e rallegrati da piccoli vasetti di fiori e, la notte, da tante lucine tremolanti.
La mia famigliola ed io sono trentadue anni che abbiano qui la residenza; non abbiamo casa al mare poiché già ci siamo, non l’abbiamo ai monti accontentandoci del precollinare su cui la casa è costruita.
Luce, gas, acqua, allacci fognari, recapiti postali… tutto a posto, da appena arrivati qui.
Isi (la madre primaria di una vituperata tassa), Ici, Imu: tutto in regola, arrotondati al centesimo.
Fiscalmente siamo in una botte di ferro.
Ricevo una lettera (gialla) dal Comune: datata 03/05/2013, busta timbrata in posta il 16 di questo mese, infilata nella mia cassetta il 25, sempre di questo maggio.
Una tale celerità mi ha fatto subito pensare a qualche comunicazione importante e sicuramente sgradevole.
Infatti.
Cito, letteralmente, rispettando le maiuscole, le espressioni e la punteggiatura:

«Oggetto: censimento 2011
Se non vi presentate a chiarire la vostra posizione, sarete cancellati per irreperibilità.
(Ari-ri-omissis), 03/05/2013
L’Ufficiale d’Anagrafe»

Bene, à la guerre comme à la guerre.
Pertanto mi sono armato (di tutte le carte del censimento citato, comprensive di ricevuta dell’inoltro e di una lettera di un’aiutatrice alla compilazione, nella quale dichiarava di essersi recata al mio domicilio per aiutarmi, appunto, nella compilazione dei fascicoli censuari; mai vista) e sono andato in Comune.
Sportello, stranamente libero da code (forse uno dei motivi per cui non smette di piovere e ogni tanto tempesta pure):
“Ho ricevuto questa lettera…”.
Mimma, c’è un signore per il censimento…”.
Mimma (forse Domenica, anche se era lunedì, capa del dipartimento), da un ufficio all’interno:
Venga di qua”.
Per l’ufficio, a sinistra, prima porta a destra.
Faccio vedere la lettera, e mi appresto a sciorinare la lenzuolata delle dichiarazioni a suo tempo rilasciate per essere regolarmente censito…
No, non è necessario, è sufficiente che mi faccia una dichiarazione, in foglio di carta semplice, in cui dichiara di essere residente in questo Comune”.
Avrei voluto mettere in mostra un’espressione intelligente, quella di uno che ha capito al volo; credo invece che mi sia uscita una faccia da piciu, da scemo, poiché ha ritenuto di ripetermi una seconda volta il messaggio.
A casa ho battuto su Word la dicitura richiesta (il sottoscritto, nome, cognome, data e luogo di nascita, codice fiscale “dichiara di essere residente in questo Comune”, via, numero civico e, mi son voluto rovinare, ho aggiunto anche i distinti saluti, che l’Ufficio Anagrafe aveva trascurato) e son tornato a portare questa solenne pomposa dichiarazione.
L’avesse letta, avesse dato almeno uno sguardo per vedere se corrispondeva a quanto da lei desiato, sarei uscito da quel manicomio parzialmente appagato.
Manco pù cazz, neanche quello.
Ah, bene, finisco qui (al computer, giurerei che si stava facendo un solitario di carte) e metto a posto”.
La burocrazia, se non ci fosse bisognerebbe inventarla, tanto è divertente.
E se, con questi chiari di luna, finisce il divertimento, significa che siamo prossimi alla fine.
Lo so, lo so, ci siamo lo stesso, ma farlo sghignazzando colora d’arcobaleno questo periodo, che oltre al grigio offre soltanto il nero.


Nota finale: il numero 44 suggerito non corrisponde in cabala alla burocrazia, ma alla voce Assurdità; credo sia il minitmo dovuto.