martedì 23 gennaio 2024

"Nero scolastico" di Scaldini

Tempo di lettura previsto: 4 ore e rotti. L'ho letto in 3 ore e pochi. Basterebbe questo a indicare quanto avvincente sia stata questa galoppata.
 
Scaldini, qui nella veste insolita di Perboni, costringe a una lettura veloce, seppure attenta, per arrivare al più presto a un 'dunque', che non è mai scontato fino alla fine.
 
Un racconto in giallo, con striature di rosa e graffi neri; l'ironia, e il sarcasmo affatto velato, per introdurre in ambienti che nulla hanno da invidiare a letture definite più avvincenti.
 
Ufficialmente, niente di nuovo sotto il sole, se riferito all'Autore; ufficiosamente, una ulteriore sorpresa delle capacità camaleontiche di un Autore che meritatamente è tra i migliori in circolazione.

In corso di lettura, mi è venuta spontanea la corrispondenza di stile con un Autore di lontane e piacevoli letture: Wodehouse. La persistente ironia di questo, bene si sposerebbe con lo stile apparentemente leggero di Scaldini, in questa e nelle precedenti sue opere letterarie. 
Può essere che questa simiglianza sia stata indirizzata dalla comunanza della descrizione di suini in alcune delle storie raccontate dallo scrittore inglese con quelle pubblicate nel corso di oltre un decennio da Scaldini in veste di Perboni, professore di liceo specializzato nel rilievo dei pochissimi pregi e delle moltissime pecche della scuola italiana. Per l'inglese, in quelle storie, soggetto principale era una scrofa, per il prof  beneficiari delle sue perle scolastiche erano, genericamente, i porci.

In questo racconto i suini non compaiono, ma le perle scolastiche, inedite e aggiornate, ci sono, e fanno da corollario piacevolmente ironico a una trama... tutta da leggere.

martedì 26 dicembre 2023

Meccanica celeste



Ho letto questo libro attirato da una recensione su Facebook, su cui non sempre queste rispondono al reale valore dei testi, forzando talvolta a un acquisto di tipo prettamente commerciale.
 
Premiato nel 2017 con lo Stresa, e già il fatto mi aveva lasciato perplesso poiché da sempre guardo con diffidenza ai premi librari troppo altisonanti; in più il titolo mi dissuadeva dall'iniziarne la lettura per via di una "meccanica" che mi aveva portato a ritenerlo zeppo di matematiche che, ancorché celesti, non erano proprio pane per i miei denti.

Presentato come romanzo, dopo poche pagine mi sono reso conto che, sì, di un romanzo si tratta, ma non un romanzo di quelli a perdere, di quelli che, terminata la lettura, pensi "avanti un altro!" e lo passi direttamente nel dimenticatoio.
 
C'è di tutto in questo lungo racconto, dal bucolico al teologico, dal tragico al comico, al filosofico... ogni capitolo costringe a una sosta per approfondire in sé quanto letto, a constatare nel proprio intimo di quanta ignoranza si è intrisi; ignoranza magari non sempre colpevole, ma pur sempre ignoranza.
 
C'è, nel testo, un personaggio che mi ha riportato alla mia seconda infanzia, affatto felice, in cui avevo avuto modo di vedere, conoscere, quasi frequentare, un 'raccoglitore' di foglie; non le suonava, le metteva semplicemente in tasca e rifuggiva da chiunque cercasse di portargliele via. Ma questo è solo un episodio, che mi ha colpito poiché, appunto, personale, e che ha tracciato nel cuore un moto di simpatia specifica verso la poesia insita del personaggio.

Il continuo inserimento nel testo di termini dialettali calabresi, lungi dall'essere stroncante nella lettura invoglia a 'tradurre' i termini affidandosi alla logica del discorso. Alcuni finiscono per entrare nel lessico corrente, per altri è necessario indovinare, alcuni (lasciata ogni speranza) sono rimasti incomprensibili, senza peraltro nulla togliere al valore del racconto sempre coinvolgente. Anzi arricchendolo di fantasie obbligate, forse non rispondenti al pensiero dell'Autore, ma rimaste pendule come grappoli bianchi di vischio dai rami di una grande quercia.

Si tratta di un libro d'una dolcezza amara nella più parte, di una perfidia incredibile in altre, ovunque di una profondità di pensiero che mai mi sarei aspettato da un romanzo, iniziato senza entusiasmo e finito con le mani alzate in un tacito applauso.


sabato 23 dicembre 2023

Auguri scaramantici



𝑳'𝒂𝙣𝒏𝙤 𝙨𝒄𝙤𝒓𝙨𝒐 𝒂𝙫𝒆𝙫𝒐 𝒇𝙖𝒕𝙩𝒐 𝒈𝙡𝒊 𝒂𝙪𝒈𝙪𝒓𝙞 𝙞𝒏𝙘𝒓𝙤𝒄𝙞𝒂𝙣𝒅𝙤 𝙡𝒆 𝒅𝙞𝒕𝙖 𝙙𝒆𝙡𝒍𝙖 𝙢𝒂𝙣𝒐... 𝙚 𝙨𝒂𝙥𝒑𝙞𝒂𝙢𝒐 𝒄𝙤𝒎𝙚 𝙚̀ 𝙖𝒏𝙙𝒂𝙩𝒂, 𝙘𝒐𝙢𝒆 𝒔𝙩𝒂 𝒂𝙣𝒅𝙖𝒏𝙙𝒐... 
𝙋𝒆𝙧 𝙞𝒍 2024, 𝒄𝙝𝒆 𝒈𝙡𝒊 𝒂𝙨𝒕𝙧𝒐𝙡𝒐𝙜𝒊 𝒅𝙞𝒄𝙤𝒏𝙤 𝙨𝒂𝙧𝒂̀ 𝒔𝙞𝒄𝙪𝒓𝙖𝒎𝙚𝒏𝙩𝒆 𝒎𝙞𝒈𝙡𝒊𝙤𝒓𝙚 𝙙𝒊 𝒒𝙪𝒆𝙡𝒍𝙤 𝙥𝒂𝙨𝒔𝙖𝒏𝙩𝒆 (𝙥𝒐𝙞𝒄𝙝𝒆́ 𝒑𝙚𝒈𝙜𝒊𝙤 𝙙𝒊 𝒄𝙤𝒔𝙞̀ 𝙨𝒂𝙧𝒆𝙗𝒃𝙚 𝙙𝒊𝙛𝒇𝙞𝒄𝙞𝒍𝙚), 𝙥𝒓𝙤𝒗𝙞𝒂𝙢𝒐 𝒂𝙙 𝙞𝒏𝙘𝒓𝙤𝒄𝙞𝒂𝙧𝒆 𝒂𝙣𝒄𝙝𝒆 𝒍𝙚 𝙙𝒊𝙩𝒂 𝒅𝙚𝒊 𝒑𝙞𝒆𝙙𝒊... 𝙘𝒉𝙞𝒔𝙨𝒂̀ 𝒎𝙖𝒊. 
𝙄 𝙘𝒂𝙡𝒍𝙞 𝙚 𝙞 𝙧𝒐𝙨𝒔𝙤𝒓𝙞 𝙙𝒊 𝒒𝙪𝒆𝙡𝒍𝙞 𝙞𝒏 𝒊𝙢𝒎𝙖𝒈𝙞𝒏𝙚 𝙨𝒐𝙣𝒐 𝒅𝙤𝒗𝙪𝒕𝙞 𝙖𝒊 𝒄𝙤𝒏𝙩𝒊𝙣𝒖𝙞 𝙥𝒆𝙨𝒕𝙤𝒏𝙞 𝙚 𝙥𝒆𝙨𝒕𝙖𝒈𝙜𝒊 𝒄𝙝𝒆 𝒂𝙗𝒃𝙞𝒂𝙢𝒐 𝒓𝙞𝒄𝙚𝒗𝙪𝒕𝙤, 𝒆 𝒓𝙞𝒄𝙚𝒗𝙞𝒂𝙢𝒐, 𝙘𝒐𝙣 𝙪𝒏 𝒔𝙖𝒅𝙞𝒔𝙢𝒐 𝒑𝙚𝒓𝙫𝒊𝙘𝒂𝙘𝒆 𝒅𝙖 𝙥𝒂𝙧𝒕𝙚 𝙙𝒊 𝒄𝙝𝒊 𝒓𝙖𝒄𝙘𝒐𝙣𝒕𝙖 𝙙𝒊 𝒒𝙪𝒂𝙣𝒕𝙤 𝙨𝒊𝙖𝒎𝙤 𝙗𝒓𝙖𝒗𝙞, 𝒅𝙞 𝙦𝒖𝙖𝒏𝙩𝒐 𝒔𝙞𝒂𝙢𝒐 𝒔𝙖𝒍𝙞𝒕𝙞 𝙣𝒆𝙡𝒍𝙖 𝙨𝒄𝙖𝒍𝙖 𝙙𝒆𝙡𝒍𝙚 𝙫𝒂𝙡𝒖𝙩𝒂𝙯𝒊𝙤𝒏𝙞 𝙞𝒏𝙩𝒆𝙧𝒏𝙖𝒛𝙞𝒐𝙣𝒂𝙡𝒊. 
𝙎𝒂𝙣𝒊𝙩𝒂̀, 𝙜𝒊𝙪𝒔𝙩𝒊𝙯𝒊𝙖, 𝒗𝙞𝒐𝙡𝒆𝙣𝒛𝙚, 𝒆𝙦𝒖𝙞𝒕𝙖̀, 𝒓𝙞𝒔𝙥𝒆𝙩𝒕𝙤, 𝒆𝙙𝒖𝙘𝒂𝙯𝒊𝙤𝒏𝙚, 𝒄𝙞𝒗𝙞𝒔𝙢𝒐: 𝙨𝒊𝙖𝒎𝙤 𝙜𝒂𝙢𝒃𝙚𝒓𝙞 𝙘𝒉𝙚 𝙝𝒂𝙣𝒏𝙤 𝙥𝒆𝙧𝒔𝙤 𝙞𝒍 𝒈𝙪𝒔𝙩𝒐 𝒅𝙚𝒍 𝒑𝙖𝒔𝙨𝒐 𝒂𝙫𝒂𝙣𝒕𝙞 𝙖 𝙡𝒐𝙧𝒐 𝒂𝙩𝒕𝙧𝒊𝙗𝒖𝙞𝒕𝙤, 𝒂𝙡𝒕𝙚𝒓𝙣𝒂𝙩𝒊𝙫𝒐 𝒂𝙞 𝙙𝒖𝙚 𝙥𝒂𝙨𝒔𝙞 𝙞𝒏𝙙𝒊𝙚𝒕𝙧𝒐 𝒄𝙖𝒏𝙤𝒏𝙞𝒄𝙞. 𝑶𝙧𝒎𝙖𝒊 𝒇𝙖𝒄𝙘𝒊𝙖𝒎𝙤 𝙩𝒓𝙚 𝙥𝒂𝙨𝒔𝙞 𝙞𝒏𝙙𝒊𝙚𝒕𝙧𝒐 𝒊𝙣 𝙤𝒈𝙣𝒊 𝒔𝙚𝒕𝙩𝒐𝙧𝒆, 𝙛𝒊𝙣𝒊𝙧𝒆𝙢𝒐 𝒊𝙣 𝙪𝒏 𝒏𝙪𝒐𝙫𝒐 𝑴𝙚𝒅𝙞𝒐𝙚𝒗𝙤 𝙛𝒆𝙡𝒊𝙘𝒊 𝒆 𝒄𝙤𝒏𝙩𝒆𝙣𝒕𝙞, 𝒆 𝒐𝙨𝒂𝙣𝒏𝙖𝒏𝙩𝒊 𝒂𝙡 𝙣𝒖𝙤𝒗𝙤 𝙘𝒉𝙚 𝙧𝒆𝙜𝒓𝙚𝒅𝙞𝒔𝙘𝒆.


martedì 19 dicembre 2023

Universo Simona


Si dice: a caval donato... Se poi quel caval donato si rivela un puledro veloce, brioso, allegro... ti rendi conto che per appagare lo stomaco non è necessario un lauto pasto. Sovente basta un pasticcino alla crema, offerto al momento giusto, gustato socchiudendo gli occhi, estraniandosi da quello che succede intorno, ignorando quello che di brutto avviene in un periodo che dovrebbe parlare di sola dolcezza e serenità.
Nel breve racconto che la Fruzzetti (Simona per gli amici, Simo per i suoi amici lettori; quindi per tutti) propone (e offre a 0 euri e 0 centesimi per un breve periodo, come dono natalizio) la dolcezza e la serenità traboccano come da una tazza di cioccolata calda riempita per distrazione oltre l'orlo.
Il tempo di sorseggiare un drink e il racconto passa nei "già letto", senza escludere la possibilità di una rilettura, magari carezzando un gatto, quando la frenesia del tempo natalizio rischia di mandare in tilt anche il più pacioso dei lettori.
Grazie Simo, e tanti auguri... a te e a tutti i tuoi personaggi che, pur essendo frutto di fantasia, sono passati dal mondo virtuale a quello nostro, umanamente infelice, per dare un tocco di pace laddove pace non c'è più. 

venerdì 8 dicembre 2023

Aspettando Natale

 
𝕹𝖆𝖙𝖆𝖑𝖊 𝖉𝖊 𝖌𝖚𝖊𝖗𝖆 𝖉𝖎 𝕿𝖗𝖎𝖑𝖚𝖘𝖘𝖆

𝕬𝖒𝖒𝖆𝖑𝖆𝖕𝖕𝖊𝖓𝖆 𝖈𝖍𝖊 𝖘’𝖊̀ 𝖋𝖆𝖙𝖙𝖔 𝖌𝖎𝖔𝖗𝖓𝖔
𝖑𝖆 𝖕𝖗𝖎𝖒𝖆 𝖑𝖚𝖈𝖊 𝖊̀ 𝖊𝖓𝖙𝖗𝖆𝖙𝖆 𝖓𝖊 𝖑𝖆 𝖘𝖙𝖆𝖑𝖑𝖆
𝖊 𝖊𝖗 𝕭𝖆𝖒𝖇𝖎𝖓𝖊𝖑𝖑𝖔 𝖘’𝖊̀ 𝖌𝖚𝖆𝖗𝖉𝖆𝖙𝖔 𝖎𝖓𝖙𝖔𝖗𝖓𝖔.

– 𝕮𝖍𝖊 𝖋𝖗𝖊𝖉𝖉𝖔, 𝖒𝖆𝖒𝖒𝖆 𝖒𝖎𝖆❗ 𝕮𝖍𝖎 𝖒’𝖆𝖗𝖎𝖕𝖆𝖗𝖆❓
𝕮𝖍𝖊 𝖋𝖗𝖊𝖉𝖉𝖔, 𝖒𝖆𝖒𝖒𝖆 𝖒𝖎𝖆❗ 𝕮𝖍𝖎 𝖒’𝖆𝖗𝖎𝖘𝖈𝖆𝖑𝖑𝖆❓

– 𝕱𝖎𝖏𝖔, 𝖑𝖆 𝖑𝖊𝖌𝖓𝖆 𝖊̀ 𝖉𝖎𝖛𝖊𝖓𝖙𝖆𝖙𝖆 𝖗𝖆𝖗𝖆
𝖊 𝖈𝖔𝖘𝖙𝖆 𝖙𝖗𝖔𝖕𝖕𝖔 𝖈𝖆𝖗𝖆 𝖕𝖊̀ 𝖈𝖔𝖒𝖕𝖗𝖆𝖑𝖑𝖆…

– 𝕰 𝖑’𝖆𝖘𝖎𝖓𝖊𝖑𝖑𝖔 𝖒𝖎𝖔 𝖉𝖔𝖛’𝖊̀ 𝖋𝖎𝖓𝖎𝖙𝖔❓

– 𝕿𝖗𝖆𝖘𝖕𝖔𝖗𝖙𝖆 𝖑𝖆 𝖒𝖎𝖙𝖗𝖆𝖏𝖆
𝖘𝖚𝖗 𝖈𝖆𝖒𝖕𝖔 𝖉𝖊 𝖇𝖆𝖙𝖙𝖆𝖏𝖆: 𝖊̀ 𝖗𝖊𝖖𝖚𝖎𝖘𝖎𝖙𝖔.

– 𝕰𝖗 𝖇𝖔𝖛𝖊❓
 
– 𝕻𝖚𝖗𝖊 𝖖𝖚𝖊𝖑𝖑𝖔…𝖋𝖚 𝖒𝖆𝖓𝖓𝖆𝖙𝖔 𝖆𝖗 𝖒𝖆𝖈𝖊𝖑𝖑𝖔.

– 𝕸𝖆 𝖑𝖎 𝕽𝖊 𝕸𝖆𝖌𝖌𝖎 𝖆𝖗𝖗𝖎𝖛𝖊𝖓𝖔❓ 

– 𝕰’ 𝖎𝖒𝖕𝖔𝖘𝖘𝖎𝖇𝖇𝖎𝖑𝖊
𝖕𝖊𝖗𝖈𝖍𝖊̀ 𝖓𝖚𝖓 𝖈’𝖊̀ 𝖑𝖆 𝖘𝖙𝖊𝖑𝖑𝖆 𝖈𝖍𝖊 𝖑𝖎 𝖌𝖚𝖎𝖉𝖆;
𝖑𝖆 𝖘𝖙𝖊𝖑𝖑𝖆 𝖓𝖚𝖓 𝖛𝖔’ 𝖚𝖘𝖈𝖎’: 𝖕𝖔𝖈𝖔 𝖘𝖊 𝖋𝖎𝖉𝖆
𝖕𝖊’ 𝖕𝖆𝖚𝖗𝖆 𝖉𝖊 𝖖𝖚𝖆𝖗𝖈𝖍𝖊 𝖉𝖎𝖗𝖎𝖌𝖌𝖎𝖇𝖇𝖎𝖑𝖊…-

𝕰𝖗 𝕭𝖆𝖒𝖇𝖎𝖓𝖊𝖑𝖑𝖔 𝖍𝖆 𝖈𝖍𝖎𝖊𝖘𝖙𝖔: 

– 𝕴𝖓𝖉𝖔𝖛𝖊 𝖘𝖙𝖆𝖓𝖓𝖔
𝖙𝖚𝖙𝖙𝖎 𝖑𝖎 𝖈𝖆𝖒𝖕𝖆𝖌𝖓𝖔𝖑𝖎 𝖈𝖍𝖊 𝖑’𝖆𝖓𝖙𝖗’𝖆𝖓𝖓𝖔
𝖕𝖔𝖗𝖙𝖆𝖛𝖊𝖓𝖔 𝖑𝖆 𝖗𝖔𝖇𝖇𝖆 𝖓𝖊 𝖑𝖆 𝖌𝖗𝖔𝖙𝖙𝖆❓
𝕹𝖚𝖓 𝖈’𝖊̀ 𝖓𝖊𝖕𝖕𝖚𝖗𝖔 𝖚𝖓 𝖘𝖆𝖈𝖈𝖔 𝖉𝖊 𝖕𝖔𝖑𝖊𝖓𝖙𝖆,
𝖓𝖊𝖒𝖒𝖆𝖓𝖈𝖔 𝖚𝖓𝖆 𝖋𝖗𝖔𝖈𝖊𝖑𝖑𝖆 𝖉𝖊 𝖗𝖎𝖈𝖔𝖙𝖙𝖆…

– 𝕱𝖎𝖏𝖔, 𝖑𝖎 𝖈𝖆𝖒𝖕𝖆𝖌𝖓𝖔𝖑𝖎 𝖘𝖙𝖆𝖓𝖓𝖔 𝖎𝖓 𝖌𝖚𝖊𝖗𝖗𝖆,
𝖙𝖚𝖙𝖙𝖎 𝖆𝖗 𝖈𝖆𝖒𝖕𝖔 𝖊 𝖈𝖔𝖒𝖇𝖆𝖙𝖙𝖊𝖓𝖔. 
𝕷𝖆 𝖒𝖆𝖓𝖔 𝖈𝖍𝖊 𝖘𝖊𝖒𝖎𝖓𝖆𝖛𝖆 𝖊𝖗 𝖌𝖗𝖆𝖓𝖔
𝖊 𝖈𝖍𝖊 𝖘𝖊𝖗𝖛𝖎𝖛𝖆 𝖕𝖊’ 𝖛𝖆𝖓𝖌𝖆’ 𝖑𝖆 𝖙𝖊𝖗𝖗𝖆
𝖆𝖉𝖊𝖘𝖘𝖔 𝖛𝖎𝖊’ 𝖆𝖉𝖉𝖔𝖕𝖗𝖆𝖙𝖆 𝖚𝖓𝖎𝖈𝖆𝖒𝖊𝖓𝖙𝖊 
𝖕𝖊𝖗 𝖆𝖒𝖒𝖆𝖟𝖟𝖆’ 𝖑𝖆 𝖌𝖊𝖓𝖙𝖊…
𝕲𝖚𝖆𝖗𝖉𝖆, 𝖑𝖆𝖌𝖌𝖎𝖚̀, 𝖑𝖎 𝖑𝖆𝖒𝖕𝖎
𝖉𝖊 𝖑𝖎 𝖇𝖔𝖒𝖇𝖆𝖗𝖉𝖆𝖒𝖊𝖓𝖙𝖎❗
𝕷𝖎 𝖘𝖊𝖓𝖙𝖎, 𝕯𝖎𝖔 𝖈𝖊 𝖘𝖈𝖆𝖒𝖕𝖎,
𝖑𝖎 𝖖𝖚𝖆𝖙𝖙𝖗𝖔𝖈𝖊𝖓𝖙𝖔𝖛𝖊𝖓𝖙𝖎
𝖈𝖍𝖊 𝖘𝖕𝖆𝖈𝖈𝖍𝖊𝖓𝖔 𝖑𝖎 𝖈𝖆𝖒𝖕𝖎❓ 

– 𝕹𝖊𝖗 𝖉ı̀ 𝖈𝖔𝖘ı̀ 𝖑𝖆 𝕸𝖆𝖉𝖗𝖊 𝖉𝖊𝖗 𝕾𝖎𝖌𝖓𝖔𝖗𝖊
𝖘’𝖊̀ 𝖘𝖙𝖗𝖊𝖙𝖙𝖆 𝖊𝖗 𝕱𝖎𝖏𝖔 𝖆𝖗 𝖈𝖔𝖗𝖊
𝖊 𝖘’𝖊̀ 𝖆𝖘𝖈𝖎𝖚𝖌𝖆𝖙𝖆 𝖑’𝖔𝖈𝖈𝖍𝖎 𝖈𝖔’ 𝖑𝖊 𝖋𝖆𝖘𝖈𝖊.

𝖀𝖓𝖆 𝖑𝖆𝖌𝖗𝖎𝖒𝖆 𝖆𝖒𝖆𝖗𝖆 𝖕𝖊’ 𝖈𝖍𝖎 𝖓𝖆𝖘𝖈𝖊,
𝖚𝖓𝖆 𝖑𝖆𝖌𝖗𝖎𝖒𝖆 𝖉𝖔̀𝖗𝖈𝖊 𝖕𝖊’ 𝖈𝖍𝖎 𝖒𝖔𝖗𝖊…

lunedì 4 dicembre 2023

𝟑 𝐃𝐢𝐜𝐞𝐦𝐛𝐫𝐞: 𝐆𝐢𝐨𝐫𝐧𝐚𝐭𝐚 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐞 𝐃𝐢𝐬𝐚𝐛𝐢𝐥𝐢𝐭𝐚̀

Ho passato l'infanzia, l'adolescenza e la prima maturità circondato da persone disabili. Ma non le chiamavamo disabili: per noi tutti erano semplicemente invalidi.

Erano ciechi, monchi, sordomuti, sciancati, focomelici (ma questa 'specialità' l'ho appresa molti anni dopo)... ma anche scemi, epilettici... e vecchi, alcuni bavosi e strani.
Non erano diversi da noi, anche noi eravamo invalidi, mancanti di qualcosa: chi di un papà, chi di una mamma, i più di entrambi.
Mia madre era morta prima che 'facessi' i due anni, mio padre mi dicevano che 'stava' in ospedale, ma avevo saputo che invece 'stava' in carcere; non ho mai chiesto il perché, né me lo sono mai chiesto. Quando mi avevano portato a salutarlo era uno sconosciuto, come tanti altri che in seguito avrei imparato a conoscere, alcuni ad apprezzare, altri meno, altri meno assai.
Era da poco finita la guerra (la seconda, per non invecchiarmi più del necessario), ed ero stato ospitato in un ospizio, un orfanotrofio per vecchi, e qui avevo avuto i primi contatti con la disabilità. Il fatto che fossi un frugoletto implume non li aveva spaventati, né io ero stato turbato dalla loro decrepitezza.
In seguito, in un passaggio affatto indolore nel lasciare piccoli amici e ambienti noti e amati, ero stato portato in un orfanotrofio vero, che si affacciava su altri orfanotrofi, per adulti, sfortunati come noi. Non eravamo in grado di soppesare le reciproche invalidità, né di provare vicendevoli compassioni particolari.
Personalmente, crescendo avevo avuto modo di frequentarli tutti, e di tutti avevo provato invidia.
Di Giorgio, il cieco che suonava la trombetta, leggeva libri in braille e che, con una piccola macchinetta, scriveva lettere e mi faceva vedere come funzionava una serie di punzoni che bucherellavano fogli di carta leggermente più spessi di quelli dei miei quaderni.
C'era Didimo, privo delle gambe fino sopra il ginocchio, che faceva il barbiere a tempo perso, seduto su una panchetta, alla quale sembrava avere il sedere incollato tanto la manovrava a suo piacere, girando intorno al 'cliente' nel tagliare i capelli o fare la barba.
E Gaetano, focomelico, che nella piccola banda musicale suonava la grancassa: con il percussore fissato al moncherino da una cinghietta di cuoio batteva il tempo quasi con furia. Era lo strumento che preferivo tra tutti, bastava battere e ribattere facendo un fracasso altrimenti vietato.
Dei sordomuti andavo pazzo per quell'agitar di mani, quelle espressioni del viso che 'parlavano' meglio delle nostre lingue.
C'era lo sciancato che aveva la manutenzione di tutte le caldaie, a carbone, posizionate sotto ogni palazzone. Ogni sera le andava a caricare e al mattino a recuperare i residui, a noi noti come 'maciafer'.
C'era lo scemo che correva dietro alle foglie, le raccoglieva, le metteva nelle tasche e scappava come si sentisse colpevole di furto; e i tentativi di 'fregargliele' erano respinti anche con violenza. Bastava lasciarlo in pace e non avrebbe fatto male a una mosca...
Non c'erano barriere architettoniche 'da abbattere': c'erano solo tante barriere da superare, e le vedevo superare con una naturalezza a noi (ragazzini diversamente disabili ma abili e scavezzacolli) sconosciuta.
Eravamo tutti abilmente disabili, chi nel fisico chi negli affetti, non avevamo la possibilità di compatirci, ma non era cinismo: era condivisione tacita e inconscia di situazioni non cercate e impossibili da modificare.
Poi i tempi sono cambiati: oggi definire un invalido col termine invalido è ritenuto quasi offensivo, l'invalido è divenuto disabile, con tutte le derivazioni. Così il cieco è divenuto non vedente; il sordo, non udente... e così via. Il diverso approccio filologico imposto per legge. Con l'estensione del diversamente abile, che fa a pugni con la metrica filologica e col buon senso.
In cambio il rispetto spontaneo che noi, orfani e ignoranti, portavamo alla categoria degli sfortunati, non esiste più. Sono visti come un ingombro, una croce che noi, sani di fisico ma non più di mente, malamente sopportiamo. Noi, divenuti croce per loro...
C'è solo una categoria che nel cambio di 'ragione sociale' ci ha guadagnato: quelle che un tempo erano definite battone, passeggiatrici, meretrici, per i più colti peripatetiche, per i volgari semplicemente puttane... affatto cordialmente disprezzate, oggi sono diventate "escort", apprezzate, portate, come si dice, in palmo di mano, chiamate come opinioniste di punta nei programmi... ignorando le (a)scese in politica... ecco il guadagno è evidente. E, per dirla tutta, anche le tariffe sono, giustamente, lievitate.

Quasi quello che avviene per le pensioni agli invalidi, ai quali sono state 'addolcite' le pillole della disabilità, lasciando queste invariate, come prima e più di prima da semplici invalidi, nonostante i vari cambi di destinazione che li collocano tra i diversamente abili. Hanno ricevuto una promozione con adeguamenti che hanno il sapore di elemosine.
A questo proposito con una curiosa distinzione: se hai una invalidità congenita e sei inabile (o disabile) riconosciuto, ricevi i gradi e il contributo; se il destino ti 'dona' la disabilità dopo i 65 anni di età, ricevi i gradi ma non il contributo. In pratica è vietato invalidarsi dopo una certa età, casualmente quella che più necessiterebbe di sostegni, e non di pacche di affettuoso compatimento.

sabato 18 novembre 2023

Premierato e dubbi filologici


Premierato
, ovvero elezione diretta del Presidente del Consiglio.
Se ne parla, chi a favore e chi contro, semplificandone la natura con una ingenuità angosciante. 
Elezione diretta del Presidente del Consiglio, si dice... che aprirà la strada a quella, sempre diretta, del Presidente della Repubblica. 
Sarà il popolo, si dice, a scegliere da chi vuole essere governato, non più dai partiti, come successo dall'immediato dopoguerra in poi. 
Eletto dal popolo, senza interferenze di terzi, senza ricorsi al ballottaggi o trattative più o meno sottobanco: se la quota raggiunta fosse superiore a un minimo (ancora da stabilire) ma non sufficiente a governare, un premio di maggioranza la arrotonderebbe al 55% richiesto per l'ascesa al soglio.

Di chi?
 
Letto così come presentato fa pensare a una, diciamo, trentina di milioni di soggetti che avanzano la propria candidatura personale, distribuendo volantini tra parenti e amici per ottenere più voti per raggiungere il quorum minimo. Eh, sì, se i partiti non potranno metterci lingua, tutti e ciascuno correranno per conto proprio, con le stesse probabilità e con le stesse possibilità, di vittoria.
Certo, chi potrà contare su un ampio spettro comunicativo avrà qualche possibilità in più di uscire vittorioso; chi avrà mezzi o poteri economici potrà premere, spendere e spandere a volontà pur di raggiungere l'agognata meta.
Mi dispiace, su questo argomento so di essere particolarmente tonto, assai più di quanto credessi d'esserlo trattando altri quesiti. Questi li esamino, nel mio piccolo e inutile li valuto, cerco di vedere le due facce delle medaglie, e sovente, per non decidere lascio cadere tutto e passo oltre; e mi rendo conto che il mondo gira benissimo, forse meglio, anche senza il mio parere.
Questa, peraltro, è una medaglia (o moneta) che ha, incredibilmente, più facce, non è un problema piatto, ma un parallelepipedo, un cubo di Rubik, con mille sfaccettature e altrettanti colori. Come mi succede con questo, non è la speranza di riuscire a risolverlo, bensì la sola curiosità, il piacere di una ricerca che so fine a sé stessa come tale. E che troverà mille e mille altri che vedranno altre facce e altri colori, probabilmente più validi e più credibili di questo mio ragionamento.

Le prime prove di accesso al 'premierato' risalgono all'ottobre del 1922. In quel mese fu "proposto" al popolo italiano da una minoranza che chiedeva a gran voce, e non solo, un governo forte che mettesse fine alle scorribande di una controparte che, a sua volta, puntava ad ottenerlo, in nome di una rivoluzione avvenuta cinque anni prima nell'oriente europeo. Storicamente le due parti in lotta erano divise come destra e sinistra, forse per semplificare un riconoscimento più globale dei mille rivoli in cui entrambe si proponevano.
Infatti dietro la voce "socialismo" abbacinavano le genti, dividendole su temi fondamentalmente identici, ma che puntavano all'assunzione del potere in nome di uno stesso popolo, per poter poi guidare la parte riluttante verso una redenzione che unificasse il Paese sotto un'unica bandiera e sotto un unico duce.
Il fine giustifica i mezzi, mi pare abbia detto un certo De Santis... e infatti i mezzi usati, sia per l'offesa che per la difesa dei propri 'ideali', non furono delicati. Non fu l'eloquio degli uni a sottomettere gli altri, ma le randellate e le bombe. Così dice la Storia...
Fatto sta che quel premierato, voluto (?) dal popolo, durò una ventina d'anni, tanto da passare alla Storia etimologicamente indicato semplicemente come Ventennio. Dici, o senti, Ventennio e il periodo viene immediatamente inquadrato, perla nera nella cesta di perle bianche dei millenni di vita di questa nostra Penisola.
Quell'esperimento deve avere avuto un esito soddisfacente, visto che giusto 80 anni dopo viene riproposto, sotto altre forme, almeno apparentemente addolcite sotto la veste di richiesta di stabilità, di forma democratica di ottenere dal popolo un consenso quanto più possibile ecumenico. Un sistema che nel lontano primo esperimento era stato superato con una prova di forza, avvallata da ambigui silenzi e da appoggi sotterranei mai ben chiariti.
Comunque il primo vero affidamento al popolo di una scelta decisiva fu il referendum del '46 che vedeva contrapposti i sostenitori della monarchia verso coloro che auspicavano l'avvento della repubblica. Un ente fisico nella persona del re contro una ancora fantomatica repubblica.
Il popolo scelse la Repubblica. Tale scelta fu inizialmente contestata dai monarchici, che solo l'accettazione da parte del re della sconfitta mise (più o meno) a tacere. Forse nella regia decisione avrà pesato il rimorso, se non la vergogna, per quanto di letale aveva propinato al Paese nel ventennio precedente.
In seguito ci furono altri referendum, dedicati ai più svariati argomenti, con 'sentenze' emesse direttamente dal popolo, quindi di pressoché impossibile contestazione.

A completamento di quella scelta popolare fu emanata la Costituzione, che per alcune decine d'anni fu ritenuta testo più sacro di Bibbia e Vangeli ad essa collegati/Corano/Talmud/Tipitaka, e chi più ne sa più ne metta. Ogni alito di vento, ogni onda del mare, ogni stormir di foglia, ogni virgola, dovevano ricevere il placet di questo Testo, per il rispetto del quale fu creata una Corte apposita che esaminava, in ultima ed incontestabile anatomia, ogni legge o sentenza emesse o in via di emissione.
La Costituzione venne scritta in un periodo specifico, che portava a valutare sia quel presente che il presumibile immediato futuro. 
Tra gli altri dettati, viste le ferite ancora aperte delle recenti esperienze, fu dato particolare risalto al divieto assoluto, ribadito a più riprese, alla ricostituzione del partito fascista o di altre formazioni che ad esso facessero riferimento. Articoli, come sappiamo, poi aggirati nel tempo, affidando alla libertà di pensiero e divulgazione, altrettanto difese e garantite nel Testo, il superamento di questo scoglio.  
L'art. 1 recitava su cosa si fondava la Repubblica democratica: sul lavoro. Che, al momento dell'emissione di quel sacro testo, non era un problema, vista la frenesia della ricostruzione da macerie ancora fumanti. In seguito, preso atto che proprio il lavoro stava iniziando a latitare, quell'articolo è divenuto oggetto di sarcasmi, per cui quella stessa Repubblica è risultata fondata, via via, sulle farfalle (con la doppia lettura di 'cambiali' e 'prostitute'), sulla corruzione, sui magna-magna (con riferimento affatto velato alla politica e ai politici), sul cemento, ecc. Fino al giorno d'oggi, dove non essendoci lavoro, la Repubblica risulta fondata sul nulla. D'altra parte i padri costituenti non potevano prevedere uno sviluppo tecnologico tale da eliminare posti di lavoro a milioni a botta...

Torniamo sul tema: elezione diretta del Presidente del Consiglio.

Oggi: seguendo il dettato costituzionale, esistono un parlamento e un senato che sono la forma rappresentativa diretta del popolo, che vota per entrambi in base a quanto i vari partiti o movimenti offrono. Su queste offerte, più note come promesse o impegni elettorali, ci sarebbero da scrivere volumi, per il numero e le bizzarrie messe su piatti rimasti poi regolarmente vuoti; alla mancanza di rispetto di questi impegni vengono chiamati in causa accadimenti mai prevedibili, che finiscono per divenire muri invalicabili al mantenimento delle 'promesse'. 
Nei partiti o movimenti c'è sempre e necessariamente un leader, un capo, una guida, un maestro. Votando, è chiaramente a questo guru che l'elettore fa riferimento; non tanto ai programmi, che in fondo sono più o meno similari pur se presentati con vesti diverse, che contano ormai ancora meno delle promesse. Il lavoro, la giustizia, la sanità, il commercio con i suoi derivati, l'economia, la scuola, il valore dei soldi, l'evasione fiscale, le mafie... questi, a grandi linee, sono i cardini su cui tutto ruota.
Finito lo spoglio delle schede, un partito tra tutti avrà ricevuto più cadeau degli altri. Al leader di questo partito, con decisione quasi obbligata, il Presidente della Repubblica offre la presidenza del consiglio, che può essere accettata o rifiutata, nel caso non risultasse possibile creare una maggioranza con numeri tali da governare, più o meno serenamente, la nazione. Questi, prima di accettare l'incarico, deve patteggiare con altri partiti, per quanto possibile prossimi alle sue proprie ideologie o programmi. Smaltite le trattative (uno sfiancante do ut des di ministeri e sottosegretariati e altri contorni sottobanco), l'astro nascente, talvolta ripetente, dà il suo assenso e presenta al Capo dello Stato una lista di ministri che lo aiuteranno nel gravoso compito di portare la barca in porto. Che io ricordi, solo in rari casi un ministro è stato rifiutato dal Presidente; che non è mai un problema, tamponabile nel giro di pochi incontri di vertice tra i molti pretendenti.
Ed è così che, teoricamente, con cinque anni davanti per risolvere problemi giacenti da decenni sul tavolo dei governi precedenti, finisce come sempre: a tarallucci e vino e avanti un altro.

Domani: con la cosiddetta elezione diretta da parte del popolo, il premier non sarà più nominato dal Capo dello Stato, ma dal popolo stesso. E qui mi impantano...
Elezioni: a meno che, come accennato, una trentina di milioni di italiani presentino direttamente la propria personale candidatura, ci sarà un partito o più partiti o movimenti che proporrà al popolo un proprio candidato, probabilmente coincidente col capo bastone dei partiti interessati alla gara. Colui che otterrà più voti riceverà un premio di maggioranza che glieli arrotonderà fino al 55% richiesto dalla nuova norma. E il candidato vincente si presenterà al Capo dello Stato dichiarandogli il suo premierato, acquisito ufficialmente dal voto popolare.
Avendo così una maggioranza sua personale, indipendente dall'appoggio di altri sodalizi, ai quali sarà proposta un'adesione senza bisogno di trattative, offrendo in cambio la garanzia di un quinquennio completo di governabilità. 
La differenza sostanziale? 
Non sarà più il Capo dello Stato a dire "tu es Petrus, et super hanc petram aedificabo republic mea", ma sarà il Pietro di turno che dirà al Capo "io sono Pietro, delegato dal popolo all'edificazione della mia Repubblica, et oppositio non prevalebit adversus eam". 
Che piaccia o meno al Presidente della Repubblica in carica nel periodo... 
Basta avere, che so, tre o quattro sodali che accettino un premierato unico in fieri, e il gioco è fatto. Il popolo deciderà quello che il partito o i partiti in combutta decideranno. E per cinque anni, tanto per iniziare, ci sarà "un uomo solo al comando", che difficilmente sarà uno sportivo. Con più ampi poteri e con minore dipendenza dai placet del Presidente della Repubblica o del testo costituzionale.
In omaggio alla par condicio per "uomo" si intende una persona, un individuo, indipendentemente dal suo proprio genere...

Sicuramente cento anni fa la faccenda fu più sbrigativa, senza tanti fronzoli e chiacchiere e, soprattutto, senza la fastidiosa necessità di modificare una Costituzione che all'epoca manco era nominabile.
In pratica domani mi sarà detto chi eleggere a premier, lo voterò perché questo passerà il convento, e potrò vantarmi coi nipoti di avere votato direttamente un Presidente del Consiglio.
Sono soddisfazioni mica da tutti.

Ancora una considerazione prima di chiudere questa elucubrazione, chiaramente frutto della mia ignoranza in merito.
Oggi, alla guida del Paese c'è una Triade... no, Triade no, che potrebbe far pensare a gente malavitosa... meglio Trinità di partiti, ciascuno con un proprio leader, che in occasione delle ultime elezioni hanno praticamente anticipato il premierato, oggi proposto come soluzione di buona parte dei mali che affliggono il nostro Paese. Si erano detti, prima dello spoglio delle preferenze: chi avrà più voti sarà premier. Un po' contro le aspettative, una su tre ha ricevuto più consensi degli altri due messi insieme. Leggermente "a collo storto" questi hanno dovuto confermare quanto concordato e la prescelta è salita al Colle a "ricevere" l'investitura da parte del Capo dello Stato. 
Che, quasi mai come stavolta, aveva poco da scegliere; poteva solo 'accettare' una candidatura pre-concordata dai partiti interessati.
Cosa fatta, capo ha... Resta solo una perplessità, dovuta a una coincidenza che, forse, definire casuale sarebbe insulto alla mia pur scarsa intelligenza.
Nel programma presentato agli elettori da questi partiti c'era un paniere di previsioni, direi rosee, che toccavano quasi ogni settore delle attività della vita quotidiana di tutti. Purtroppo, come già detto in precedenza e more solito, i famigerati eventi non prevedibili hanno costretto a riduzioni o variazioni di quei piani di sviluppo. Quando c'è qualcosa di (almeno apparentemente) buono in pentola, ecco che guerre, cataclismi, pestilenze, buttano la pentola in aria, rovesciandone il contenuto e costringendo a tentare di racimolare quanto più possibile, raschiando il pavimento alla ricerca di qualcosa ancora commestibile.
Tutto da rivedere, tutto rivisto, tutto tagliato...
Restava in piedi soltanto, a costo zero, la richiesta di questo benedetto premierato "nuova" maniera; alla fin dell'avventura ha finito per diventare l'apice, lo zenit, di tutto il programma elettorale, l'unico non influenzabile dai fattori esterni citati.
Il caso ha voluto che a proporlo in maniera così prioritaria sia un partito che ideologicamente si aggancia, senza remore o pudori, a quello che cento anni fa aveva fatto la stessa "proposta", in maniera più vivace, ottenendone pronto riscontro da parte del popolo e del regnante. Con la Trinità compatta anche in questa battaglia è facile prevedere che stavolta la richiesta andrà a buon fine senza violenze e senza spargimenti di sangue o lacrime.
Il Popolo comanda, viva il Popolo!