sabato 18 novembre 2023

Premierato e dubbi filologici


Premierato
, ovvero elezione diretta del Presidente del Consiglio.
Se ne parla, chi a favore e chi contro, semplificandone la natura con una ingenuità angosciante. 
Elezione diretta del Presidente del Consiglio, si dice... che aprirà la strada a quella, sempre diretta, del Presidente della Repubblica. 
Sarà il popolo, si dice, a scegliere da chi vuole essere governato, non più dai partiti, come successo dall'immediato dopoguerra in poi. 
Eletto dal popolo, senza interferenze di terzi, senza ricorsi al ballottaggi o trattative più o meno sottobanco: se la quota raggiunta fosse superiore a un minimo (ancora da stabilire) ma non sufficiente a governare, un premio di maggioranza la arrotonderebbe al 55% richiesto per l'ascesa al soglio.

Di chi?
 
Letto così come presentato fa pensare a una, diciamo, trentina di milioni di soggetti che avanzano la propria candidatura personale, distribuendo volantini tra parenti e amici per ottenere più voti per raggiungere il quorum minimo. Eh, sì, se i partiti non potranno metterci lingua, tutti e ciascuno correranno per conto proprio, con le stesse probabilità e con le stesse possibilità, di vittoria.
Certo, chi potrà contare su un ampio spettro comunicativo avrà qualche possibilità in più di uscire vittorioso; chi avrà mezzi o poteri economici potrà premere, spendere e spandere a volontà pur di raggiungere l'agognata meta.
Mi dispiace, su questo argomento so di essere particolarmente tonto, assai più di quanto credessi d'esserlo trattando altri quesiti. Questi li esamino, nel mio piccolo e inutile li valuto, cerco di vedere le due facce delle medaglie, e sovente, per non decidere lascio cadere tutto e passo oltre; e mi rendo conto che il mondo gira benissimo, forse meglio, anche senza il mio parere.
Questa, peraltro, è una medaglia (o moneta) che ha, incredibilmente, più facce, non è un problema piatto, ma un parallelepipedo, un cubo di Rubik, con mille sfaccettature e altrettanti colori. Come mi succede con questo, non è la speranza di riuscire a risolverlo, bensì la sola curiosità, il piacere di una ricerca che so fine a sé stessa come tale. E che troverà mille e mille altri che vedranno altre facce e altri colori, probabilmente più validi e più credibili di questo mio ragionamento.

Le prime prove di accesso al 'premierato' risalgono all'ottobre del 1922. In quel mese fu "proposto" al popolo italiano da una minoranza che chiedeva a gran voce, e non solo, un governo forte che mettesse fine alle scorribande di una controparte che, a sua volta, puntava ad ottenerlo, in nome di una rivoluzione avvenuta cinque anni prima nell'oriente europeo. Storicamente le due parti in lotta erano divise come destra e sinistra, forse per semplificare un riconoscimento più globale dei mille rivoli in cui entrambe si proponevano.
Infatti dietro la voce "socialismo" abbacinavano le genti, dividendole su temi fondamentalmente identici, ma che puntavano all'assunzione del potere in nome di uno stesso popolo, per poter poi guidare la parte riluttante verso una redenzione che unificasse il Paese sotto un'unica bandiera e sotto un unico duce.
Il fine giustifica i mezzi, mi pare abbia detto un certo De Santis... e infatti i mezzi usati, sia per l'offesa che per la difesa dei propri 'ideali', non furono delicati. Non fu l'eloquio degli uni a sottomettere gli altri, ma le randellate e le bombe. Così dice la Storia...
Fatto sta che quel premierato, voluto (?) dal popolo, durò una ventina d'anni, tanto da passare alla Storia etimologicamente indicato semplicemente come Ventennio. Dici, o senti, Ventennio e il periodo viene immediatamente inquadrato, perla nera nella cesta di perle bianche dei millenni di vita di questa nostra Penisola.
Quell'esperimento deve avere avuto un esito soddisfacente, visto che giusto 80 anni dopo viene riproposto, sotto altre forme, almeno apparentemente addolcite sotto la veste di richiesta di stabilità, di forma democratica di ottenere dal popolo un consenso quanto più possibile ecumenico. Un sistema che nel lontano primo esperimento era stato superato con una prova di forza, avvallata da ambigui silenzi e da appoggi sotterranei mai ben chiariti.
Comunque il primo vero affidamento al popolo di una scelta decisiva fu il referendum del '46 che vedeva contrapposti i sostenitori della monarchia verso coloro che auspicavano l'avvento della repubblica. Un ente fisico nella persona del re contro una ancora fantomatica repubblica.
Il popolo scelse la Repubblica. Tale scelta fu inizialmente contestata dai monarchici, che solo l'accettazione da parte del re della sconfitta mise (più o meno) a tacere. Forse nella regia decisione avrà pesato il rimorso, se non la vergogna, per quanto di letale aveva propinato al Paese nel ventennio precedente.
In seguito ci furono altri referendum, dedicati ai più svariati argomenti, con 'sentenze' emesse direttamente dal popolo, quindi di pressoché impossibile contestazione.

A completamento di quella scelta popolare fu emanata la Costituzione, che per alcune decine d'anni fu ritenuta testo più sacro di Bibbia e Vangeli ad essa collegati/Corano/Talmud/Tipitaka, e chi più ne sa più ne metta. Ogni alito di vento, ogni onda del mare, ogni stormir di foglia, ogni virgola, dovevano ricevere il placet di questo Testo, per il rispetto del quale fu creata una Corte apposita che esaminava, in ultima ed incontestabile anatomia, ogni legge o sentenza emesse o in via di emissione.
La Costituzione venne scritta in un periodo specifico, che portava a valutare sia quel presente che il presumibile immediato futuro. 
Tra gli altri dettati, viste le ferite ancora aperte delle recenti esperienze, fu dato particolare risalto al divieto assoluto, ribadito a più riprese, alla ricostituzione del partito fascista o di altre formazioni che ad esso facessero riferimento. Articoli, come sappiamo, poi aggirati nel tempo, affidando alla libertà di pensiero e divulgazione, altrettanto difese e garantite nel Testo, il superamento di questo scoglio.  
L'art. 1 recitava su cosa si fondava la Repubblica democratica: sul lavoro. Che, al momento dell'emissione di quel sacro testo, non era un problema, vista la frenesia della ricostruzione da macerie ancora fumanti. In seguito, preso atto che proprio il lavoro stava iniziando a latitare, quell'articolo è divenuto oggetto di sarcasmi, per cui quella stessa Repubblica è risultata fondata, via via, sulle farfalle (con la doppia lettura di 'cambiali' e 'prostitute'), sulla corruzione, sui magna-magna (con riferimento affatto velato alla politica e ai politici), sul cemento, ecc. Fino al giorno d'oggi, dove non essendoci lavoro, la Repubblica risulta fondata sul nulla. D'altra parte i padri costituenti non potevano prevedere uno sviluppo tecnologico tale da eliminare posti di lavoro a milioni a botta...

Torniamo sul tema: elezione diretta del Presidente del Consiglio.

Oggi: seguendo il dettato costituzionale, esistono un parlamento e un senato che sono la forma rappresentativa diretta del popolo, che vota per entrambi in base a quanto i vari partiti o movimenti offrono. Su queste offerte, più note come promesse o impegni elettorali, ci sarebbero da scrivere volumi, per il numero e le bizzarrie messe su piatti rimasti poi regolarmente vuoti; alla mancanza di rispetto di questi impegni vengono chiamati in causa accadimenti mai prevedibili, che finiscono per divenire muri invalicabili al mantenimento delle 'promesse'. 
Nei partiti o movimenti c'è sempre e necessariamente un leader, un capo, una guida, un maestro. Votando, è chiaramente a questo guru che l'elettore fa riferimento; non tanto ai programmi, che in fondo sono più o meno similari pur se presentati con vesti diverse, che contano ormai ancora meno delle promesse. Il lavoro, la giustizia, la sanità, il commercio con i suoi derivati, l'economia, la scuola, il valore dei soldi, l'evasione fiscale, le mafie... questi, a grandi linee, sono i cardini su cui tutto ruota.
Finito lo spoglio delle schede, un partito tra tutti avrà ricevuto più cadeau degli altri. Al leader di questo partito, con decisione quasi obbligata, il Presidente della Repubblica offre la presidenza del consiglio, che può essere accettata o rifiutata, nel caso non risultasse possibile creare una maggioranza con numeri tali da governare, più o meno serenamente, la nazione. Questi, prima di accettare l'incarico, deve patteggiare con altri partiti, per quanto possibile prossimi alle sue proprie ideologie o programmi. Smaltite le trattative (uno sfiancante do ut des di ministeri e sottosegretariati e altri contorni sottobanco), l'astro nascente, talvolta ripetente, dà il suo assenso e presenta al Capo dello Stato una lista di ministri che lo aiuteranno nel gravoso compito di portare la barca in porto. Che io ricordi, solo in rari casi un ministro è stato rifiutato dal Presidente; che non è mai un problema, tamponabile nel giro di pochi incontri di vertice tra i molti pretendenti.
Ed è così che, teoricamente, con cinque anni davanti per risolvere problemi giacenti da decenni sul tavolo dei governi precedenti, finisce come sempre: a tarallucci e vino e avanti un altro.

Domani: con la cosiddetta elezione diretta da parte del popolo, il premier non sarà più nominato dal Capo dello Stato, ma dal popolo stesso. E qui mi impantano...
Elezioni: a meno che, come accennato, una trentina di milioni di italiani presentino direttamente la propria personale candidatura, ci sarà un partito o più partiti o movimenti che proporrà al popolo un proprio candidato, probabilmente coincidente col capo bastone dei partiti interessati alla gara. Colui che otterrà più voti riceverà un premio di maggioranza che glieli arrotonderà fino al 55% richiesto dalla nuova norma. E il candidato vincente si presenterà al Capo dello Stato dichiarandogli il suo premierato, acquisito ufficialmente dal voto popolare.
Avendo così una maggioranza sua personale, indipendente dall'appoggio di altri sodalizi, ai quali sarà proposta un'adesione senza bisogno di trattative, offrendo in cambio la garanzia di un quinquennio completo di governabilità. 
La differenza sostanziale? 
Non sarà più il Capo dello Stato a dire "tu es Petrus, et super hanc petram aedificabo republic mea", ma sarà il Pietro di turno che dirà al Capo "io sono Pietro, delegato dal popolo all'edificazione della mia Repubblica, et oppositio non prevalebit adversus eam". 
Che piaccia o meno al Presidente della Repubblica in carica nel periodo... 
Basta avere, che so, tre o quattro sodali che accettino un premierato unico in fieri, e il gioco è fatto. Il popolo deciderà quello che il partito o i partiti in combutta decideranno. E per cinque anni, tanto per iniziare, ci sarà "un uomo solo al comando", che difficilmente sarà uno sportivo. Con più ampi poteri e con minore dipendenza dai placet del Presidente della Repubblica o del testo costituzionale.
In omaggio alla par condicio per "uomo" si intende una persona, un individuo, indipendentemente dal suo proprio genere...

Sicuramente cento anni fa la faccenda fu più sbrigativa, senza tanti fronzoli e chiacchiere e, soprattutto, senza la fastidiosa necessità di modificare una Costituzione che all'epoca manco era nominabile.
In pratica domani mi sarà detto chi eleggere a premier, lo voterò perché questo passerà il convento, e potrò vantarmi coi nipoti di avere votato direttamente un Presidente del Consiglio.
Sono soddisfazioni mica da tutti.

Ancora una considerazione prima di chiudere questa elucubrazione, chiaramente frutto della mia ignoranza in merito.
Oggi, alla guida del Paese c'è una Triade... no, Triade no, che potrebbe far pensare a gente malavitosa... meglio Trinità di partiti, ciascuno con un proprio leader, che in occasione delle ultime elezioni hanno praticamente anticipato il premierato, oggi proposto come soluzione di buona parte dei mali che affliggono il nostro Paese. Si erano detti, prima dello spoglio delle preferenze: chi avrà più voti sarà premier. Un po' contro le aspettative, una su tre ha ricevuto più consensi degli altri due messi insieme. Leggermente "a collo storto" questi hanno dovuto confermare quanto concordato e la prescelta è salita al Colle a "ricevere" l'investitura da parte del Capo dello Stato. 
Che, quasi mai come stavolta, aveva poco da scegliere; poteva solo 'accettare' una candidatura pre-concordata dai partiti interessati.
Cosa fatta, capo ha... Resta solo una perplessità, dovuta a una coincidenza che, forse, definire casuale sarebbe insulto alla mia pur scarsa intelligenza.
Nel programma presentato agli elettori da questi partiti c'era un paniere di previsioni, direi rosee, che toccavano quasi ogni settore delle attività della vita quotidiana di tutti. Purtroppo, come già detto in precedenza e more solito, i famigerati eventi non prevedibili hanno costretto a riduzioni o variazioni di quei piani di sviluppo. Quando c'è qualcosa di (almeno apparentemente) buono in pentola, ecco che guerre, cataclismi, pestilenze, buttano la pentola in aria, rovesciandone il contenuto e costringendo a tentare di racimolare quanto più possibile, raschiando il pavimento alla ricerca di qualcosa ancora commestibile.
Tutto da rivedere, tutto rivisto, tutto tagliato...
Restava in piedi soltanto, a costo zero, la richiesta di questo benedetto premierato "nuova" maniera; alla fin dell'avventura ha finito per diventare l'apice, lo zenit, di tutto il programma elettorale, l'unico non influenzabile dai fattori esterni citati.
Il caso ha voluto che a proporlo in maniera così prioritaria sia un partito che ideologicamente si aggancia, senza remore o pudori, a quello che cento anni fa aveva fatto la stessa "proposta", in maniera più vivace, ottenendone pronto riscontro da parte del popolo e del regnante. Con la Trinità compatta anche in questa battaglia è facile prevedere che stavolta la richiesta andrà a buon fine senza violenze e senza spargimenti di sangue o lacrime.
Il Popolo comanda, viva il Popolo!