mercoledì 28 novembre 2018

Risate e commozione

Risate contagiose... 

https://www.facebook.com/alessiamoranipd/videos/389862288220810/


&

Commozione contagiosa...

https://video.corriere.it/commovente-spot-natale-che-costato-solo-50-euro-ma-che-diventato-virale/6315ea7e-ef1c-11e8-9117-0ca7fde26b4

domenica 25 novembre 2018

Il vizio della violenza

Quello che segue, dopo questo mio superfluo corsivo, è un articolo del giornalista Martino Ciano, pubblicato nel 2017, con riferimento a scritti di Flaiano, inseriti nel suo Diario notturno di fine anni '50. Da allora molte cose sono cambiate. Chiaramente in peggio; anzi, mi sia consentito, in molto peggio. Purtroppo la voce 'cambiamento' non offre a priori l'opzione positiva o negativa; purché cambiamento sia, solo il futuro dirà la giustezza della direzione presa. Succede in tutti i settori della vita, e ne prendiamo atto giorno dopo giorno...
Nel suo articolo Martino elenca, in maniera sintetica, i vizi degli italiani. Di 'alcuni' vizi degli italiani... ché la lista completa credo sia troppo infinita per un elenco assolutamente esaustivo. In seguito splendido e acuto Autore di Zeig, già mi aveva dato la possibilità di un breve commento a quell'opera su questo blog. 
Con la speranza che non mi richieda i diritti d'Autore... magari per festeggiare, con il mio contributo al pranzo luculliano per il suo compleanno, che cade proprio oggi, in una giornata ufficialmente dedicata ad altro argomento.
Questo elenco lo avrei visto meglio nel Diario degli errori, sempre di Flaiano, poiché avrebbe dato modo di valutare una facile comparazione: gli italiani, commessi gli errori, anziché agire per correggerli fanno che trasformarli in 'vizi', rendendoli abito proprio, adattabile a ogni circostanza o a seguire il vento che tira.
Rileggendo questo articolo mi ha colpito il (solo casuale?) posizionamento come primo vizio degli italiani quello della violenza, sovente assassina, sulle donne. Forse meno casuale di quello che sembra, è comunque coincidente con questa Giornata dedicata alla battaglia contro questa specifica infame violenza, e da questa prendo spunto per due parole in merito.
[Gli altri vizi li lascio in lettura, poiché trattandosi di un bell'articolo, merita a prescindere. E li metto in deposito, per ripescarli eventualmente in una giornata a ciascuno di essi dedicata. Aggiungendo ai vizi citati l'abitudine ormai conclamata della fissazione di giornate di presa di coscienza che lasciano il tempo che trovano. Le Giornate del Ricordo siano sempre benvenute, poiché tengono, dovrebbero tenere vivi i ricordi della Storia per evitare (evitare?) errori in un futuro ritenuto lontano e invece sempre prossimo].
Una giornata contro la violenza, contro la violenza sulle donne, purtroppo, non è un ricordo: è una situazione attuale, sempre più attuale, da combattere con nuove armi, nuovi sistemi, nuove leggi.
Una giornata che nasce come incitamento alla denuncia, quando è evidente che, a parte le chiacchiere, ci sono armi spuntate per contrastarla. O, dove ci sono, queste armi sono malamente usate.
Davvero è possibile credere che la denuncia di una violenza subita allontani un epilogo di altre peggiori violenze, fino all'assassinio, di chi, invogliata dal sostegno 'virtuale' dei più, affida alla legge e alle istituzioni la propria futura incolumità o, come si vede poi, la propria vita?
Il fatto che il violento (probabile-possibile futuro assassino, come raccontano le cronache ormai quotidiane) sia ufficialmente uno e siano invece migliaia, milioni, coloro che ritengono costui una bestia feroce qual è, non possono essere argine sufficiente a questa dilagante assurda bassezza.
Quell'unico maledetto continuerà a infierire su quell'unica sua vittima, e le migliaia, milioni, degli altri che aprono campagne di sdegno, come detto puramente virtuale, leggeranno le pagine di cronaca che raccontano l'evoluzione di vicende abominevoli.
Del come sono nate e del come sono finite, comunque tragicamente. 
Giusti sdegni e giuste condanne... senza altri sviluppi possibili.
Indignazione, richiesta di pene severe, giustizia fai da te... giornate contro la violenza sulle donne: potremmo proclamarne 365/366 all'anno di queste giornate, ma senza una vera rivoluzione, legislativa e procedurale, con l'immediata applicazione di pene che allontanino queste belve dalle loro prede, con la creazione di un canale privilegiato specifico per questi reati, in modo da impedire che tra la denuncia e il giudizio rimanga tempo al violento/assassino di completare la sua opera demolitiva.
Con la famosa, declamata, certezza della pena, costantemente disattesa da cavilli e premi per 'buona condotta'... in carcere, dove la non buona condotta è quasi impossibile.
Fare in modo che le segnalazioni non debbano necessariamente essere seguite da una denuncia specifica per avviare adeguati meccanismi di protezione...
La violenza, in particolare sulle donne, non rende; viene considerata reato marginale senza un ritorno soppesabile. 
Le mafie, le corruzioni, gli abusivismi, il marciume politico... hanno un riscontro visibile e concreto, con tangenti o mazzette quando sono reati da perseguire; continuano a dare reddito una volta portati alla luce, tra parcelle di studi legali e, più sottobanco, con altre forme di mazzette o ricatti.
Quando una vittima di mafia denuncia un estortore viene, più o meno, protetta, almeno fino a che la longa manu della malavita 'offesa' non riesca a raggiungerlo, allargando il rischio di punizione a tutta la famiglia e agli amici; quei pochissimi rimasti, una volta annusato il pericolo di ritorsioni.
La violenza sulle donne cosa dà?
La segnalazione alle forze dell'ordine dall'esterno, fuori dall'ambito famigliare direttamente coinvolto, ottiene come risultato immediato la "non parte in causa" del segnalante con conseguente accantonamento come pratica non rilevante; nel contempo, altrettanto immediato, consegue un inasprimento della violenza qualora emerga il solo dubbio di "aver parlato" di cose che non dovevano trapelare fuori dai muri di casa.  
La difesa legale dei violenti punta da subito a insinuare il dubbio su 'colpe' della vittima, su connivenza, o addirittura complicità, di quest'ultima, segnalando i ritardi nella denuncia come accettazione di uno status quo di violenza in cambio di un ipotizzato quieto vivere; dà pane e companatico ai mezzi d'informazione solo se si tratta di violenza talmente efferata da non poter essere ignorata; e più è ributtante più viene data in pasto a un popolame che ormai di questo si nutre, in alternativa al malaffare della politica, che con la violenza divide i palcoscenici cartacei e televisivi.
La violenza sulle donne continua a rientrare nell'antico adagio: "I panni sporchi si lavano in famiglia". 
Quando i panni sporchi venivano lavati negli appositi lavatoi o sulla riva dei torrenti; dove quei panni venivano battuti e sbattuti fino ad apparire puliti, quanto meno a occhi non troppo pignoli. Ecco, le mogli e le donne in casa di un violento sono panni, che vengono battuti e sbattuti come fossero sporchi, fino a che raggiungano una 'pulizia' totale, fatta di sottomissione e ubbidienze assolute... troppo sovente 'pulizia' letale.
Fuori casa, il 'lavaggio' avviene ormai ovunque, con gli stessi risultati.

Questo è l'articolo di Ciano, cui addebito la responsabilità di questo mio sproloquio che, come tutte le altre chiacchiere fini a se stesse, lascerà solo l'ennesima giornata di parole senza fatti a seguire. Altro tipico vizio italiano.


Volevo leggere qualcosa sui vizi degli italiani e mi sono soffermato su Diario notturno di Ennio Flaiano. Sono andato sul sicuro, certo che avrei trovato risposte esaustive. L’ironia di questo scrittore-giornalista-cronista ha l’effetto di un digestivo.


Accettarci è difficile, eppure, conviviamo con i nostri sensi di colpa, lasciandoci cullare dai complessi. Forse ne abbiamo bisogno; d’altronde, come faremmo a giustificare il nostro immobilismo e la nostra incapacità di reagire? Già negli anni Cinquanta, Flaiano scriveva del vizio dei mariti italiani di uccidere e di picchiare le loro mogli. Già parlava della spettacolarizzazione del macabro che ci rende allegri necrofili. Già descriveva i nostri peccati e i mille modi escogitati per leccare il culo al potere.
Il posto fisso; la sfrenata ambizione; il moralismo esasperato, usato per mascherare le porcherie quotidiane; la finta indignazione davanti agli scandali, grazie alla quale ci sentiamo un po’ meno corrotti; il nostro bisogno di apparire, ossia, l’antitesi della volontà di potenza.
Volere è potere: la divisa di questo secolo. Troppa gente che «vuole», piena soltanto di volontà (non la «buona volontà» kantiana, ma la volontà di ambizione); troppi incapaci che debbono affermarsi e ci riescono, senz’altre attitudini che una dura e opaca volontà. E dove la dirigono? Nei campi dell’arte, molto spesso, che sono oggi i più vasti e ambigui, un West dove ognuno si fa la sua legge e la impone agli sceriffi. Qui, la loro sfrenata volontà può esser scambiata per talento, per ingegno, comunque per intelligenza. Così, questi disperati senza qualità di cuore e di mente, vivono nell’ebbrezza di arrivare, di esibirsi, imparano qualcosa di facile, rifanno magari il verso di qualche loro maestro elettivo, che li disprezza. Amministrano poi con avarizia le loro povere forze, seguono le mode, tenendosi al corrente, sempre spaventati di sbagliare, pronti alle fatiche dell’adulazione, impassibili davanti ad ogni rifiuto, feroci nella vittoria, supplichevoli nella sconfitta. Finché la Fama si decide ad andare a letto con loro per stanchezza, una sola volta: tanto per levarseli dai piedi.
Ed oggi, c’è in giro qualche nuovo Flaiano?
No! La qualità dei nostri cronisti è scadente. Tutti vanno alla ricerca degli scoop, ma di quelli che scoperchiano una passeggera e provinciale indignazione. Mancano opinionisti degni di nota. Più che bastioni della cultura, abbiamo prigioni dentro cui il nostro cervello non deve pensare. Tutto deve andarci bene.
La critica è affidata ai comici. Abbiamo dato a Made in Sud e a Zelig il compito di aprirci la mente. (A questi aggiungo di mio Striscia la notizia e Le iene, tra i principali divulgatori della cultura dell'indignazione, che la suscitano senza peraltro poter influire più di tanto alla soluzione dei problemi, essendo perlopiù ritenuti programmi ricreativi o esclusivamente comici). I nostri difetti ci fanno tenerezza, rappresentano un patrimonio inestimabile, che esportiamo con fierezza.
Le case crollano con i ponti, le coste continuano ad essere erose dal mare. Finita la speculazione edilizia è iniziata quella culturale. Ma in fondo Ennio Flaiano ha anticipato questo fenomeno… cosa sarebbero gli italiani senza i cognati e i parenti, senza l’attesa di un miracolo che risolva ogni problema, all’improvviso, senza far vittime, ridando a tutti lo status di innocente? Il nostro nepotismo ha fatto scuola, in Europa già viene imitato.
L’Italia è quindi un paese immenso che può finire in un diario che si scrive di notte, quando le tenebre nascondono meglio i nostri peccatucci, grazie ai quali si ride, si piange e si spera in un domani migliore.



giovedì 22 novembre 2018

1968 - 2018

Sono passati cinquant'anni da quel lontano e quasi dimenticato '68. Gli studenti di allora sono ormai prossimi alla pensione, o sono già pensionati o in attesa che dall'alto arrivino i miracoli. Pubblico il comunicato come notizia, lasciando commenti e critiche a chi se ne intende. Voglio solo rilevare che questo risveglio è comunque segno di una vitalità che cinquant'anni di silenzio non hanno sopito.
 Altrove c'è chi lotta contro l'aumento dei carburanti che, a confronto di queste rivendicazioni, a noi sembra rivolta d'importanza secondaria, se ignoriamo i motivi sotterranei che l'hanno provocata. 
Altrove ancora, è prossimo un referendum per dare o meno sovvenzioni agli allevatori che non tagliano le corna alle loro mucche. Qui possiamo solo sorridere, compiaciuti che ci siano ancora al mondo cittadini senza guai che li distraggano...
Spulciato da sapori politici questo comunicato chiede cose sacrosante; oltretutto espresso in maniera educata pur se decisa. La consapevolezza e la rivendicazione dei propri diritti non deve avere colori politici.

COMUNICATO OCCUPAZIONE LICEO T. TASSO, 20/11/18
Oggi, 20 novembre, un gruppo di studenti e studentesse del liceo Torquato Tasso di Roma, in seguito ad una votazione svoltasi in una seduta del Collettivo Politico Tasso, ha deciso a maggioranza di voti di occupare la scuola.
Dopo numerosi e approfonditi dibattiti il corpo studentesco si è mostrato favorevole ad aderire alla piattaforma di protesta già seguita dai licei Mamiani, Virgilio, Socrate, Albertelli e Righi, con le loro occupazioni, in opposizione ai primi provvedimenti attuati dal governo insediatosi a seguito delle elezioni del quattro marzo.
In primo luogo, esprimiamo il nostro dissenso riguardo alle politiche economiche e sociali.
Ribadiamo ancora oggi con forza che il sistema configurato a scaglioni progressivi debba essere il tratto fondamentale del sistema di tassazione.
Ribadiamo anche energicamente come la Repubblica Italiana sia fondata, come si evince dal primo articolo della nostra Costituzione, sul lavoro e sulla dignità del lavoratore. Dignità svilita o addirittura cancellata da una forma di sussistenza sociale quale il reddito di Cittadinanza.
In secondo luogo dimostriamo il nostro dissenso al Decreto Scuole Sicure. Decreto che in malafede confonde la sicurezza nelle scuole con un controllo militare degli studenti. Tutto questo attuato al costo di investimenti molto onerosi che potrebbero essere indirizzati alla risoluzone dei veri problemi della sicurezza.
Una scuola è sicura quando non cade il cornicione, una scuola è sicura quando d'inverno funziona il riscaldamento: una scuola è sicura quando è in tutto e per tutto a norma.
Inoltre ci opponiamo con forza al Condono, ennesima manovra che finisce per nutrire una criminalità fin troppo presente nel nostro Paese. Esso stabilisce un prezzo alla legalità, permettendo ai più abbienti di agirarla con facilità e con il favore della legge. Riteniamo parimenti che si tratti di una "mazzetta" richiesta dallo Stato.
Ci schieriamo altresì contro alla demagogia del governo Gialloverde, che continuamente strumentalizza e demolisce la solidarietà umana, trasformando in criminali coloro che cercano di dare dignità a tutti. Dignità alla vita di migranti, esseri umani, che, fuggendo da guerre, povertà, fame, passano poi come capri espiatori di tutti i mali del Paese. Esprimiamo quindi la nostra vicinanza al sindaco Mimmo Lucano, ed al centro Baobab (come alle altre strutture occupate prese di mira dalla "Giustizia").
Con questo atto forte e deciso gli studenti vogliono dimostrare, oltre che la loro coscienza politica, il proprio dissenso alle politiche esecutive portate avanti dal governo ed in particolare dal Ministero degli Interni.
Con quest'occupazione noi studenti del Tasso, intendiamo lanciare un appello allo Stato, ai cittadini e a noi studenti stessi:
Riteniamo infatti che il cambiamento sia nel dare dignità al lavoro, nel rendere valore alla vita umana, nell'investire sull'efficienza delle strutture sanitarie, e dei trasporti: il cambiamento è nell'investimento sulla Scuola Pubblica.
Durante il periodo di occupazione verranno offerti agli studenti assemblee politiche e corsi sulle materie d'indirizzo, tenuti da studenti universitari e da professori. Allarghiamo inoltre l'invito ai docenti del liceo Tasso, ad aderire alla nostra azione. Essi darebbero spessore alla protesta con le loro lezioni aperte a tutti gli studenti. Non intendiamo infatti questi giorni come un buco di tempo in cui riposarci, vediamo al contrario quest'occupazione come una piattaforma in cui noi studenti possiamo portare avanti un discorso di contestazione fondata sullo scambio tra di noi e sulla cultura portataci dai docenti.

venerdì 16 novembre 2018

In illo tempore

In illo tempore è l'incipit usuale di molti racconti evangelici. Indica un tempo senza tempo, comunque inteso come lontano, molto lontano. Ebbene, a quel tempo, tra le svariate attività che hanno occupato la mia vita, immagazzinate poi come esperienze, c'è anche quella di fiorista.
Attenzione: fiorista, non fioraio. Venditore di fiori, non coltivatore degli stessi, anche se nell'uso comune i due termini si equivalgono. Mai avuto il pollice verde; semmai il mio pollice era nero... di inchiostro.
Anche definirmi fiorista, a dire il vero, è una forzatura, un alzarmi di grado assolutamente abusivo... In realtà ero un aiuto-fiorista, e perfino così quell'abito mi starebbe molto largo.
Era andata così: lei, la moglie, aveva voluto la bicicletta del negozio di fiori e io dovevo pedalare.
Nel vero senso della parola: non aveva la patente e non la voleva, da qui le levatacce prima dell'alba per portarla al mercato specifico per fioristi, le consegne delle varie composizioni o piante, il disbrigo delle pratiche burocratiche che, a confronto del peso specifico di quell'attività, erano più pesanti che le alzate mattutine (per fortuna non a cadenza quotidiana).
Un'attività che, volente o nolente, ha lasciato ricordi che hanno caratterizzato un discretamente lungo periodo della vita lavorativa.
Piacevoli e anche amari.
Ripropongo uno di quei ricordi, uno tra quelli che più hanno lasciato il segno
.
Ho rubato un fiore 



I capelli li ho ancora tutti, o quasi.
Sommo oltraggio alla mia fede granata, sono bianchi e neri, sale e pepe; diciamo allegramente brizzolati.
Vado a raccontare un episodio del mio periodo floricolo, che forse ha contribuito all’innevamento della mia chioma.
Erano venuti in negozio marito e moglie a ordinare un cuscino per un defunto. Non doveva essere un parente, né stretto né prossimo né lontano, perché non apparivano addolorati più di tanto per la dipartita.
Per quel poco di esperienza accumulata, mi erano sembrati più seccati del ‘dovere’ di partecipare a quel lutto.
Pesati i soggetti, avevo proposto, in alternativa al cuscino, un puff, che sarebbe poi un cuscinotto rotondo, contenuto nelle misure e nella spesa.
Fiori semplici, nastro adeguato, scritta spartana, costo sostenibile senza patemi.
Erano talmente compunti nel dolore, che se avessi suggerito di lasciar perdere i fiori, offrendo in loro vece un abbraccio consolatorio ai parenti, avrebbero raccolto volentieri il consiglio.
Preso l’ordine, fatto il puff, con la solita Simchetta tuttofare lo avevo portato a destinazione, alla camera mortuaria di un ospedale della città.
La camera mortuaria è una specie di deposito, in cui i cadaveri attendono la successiva sistemazione nelle casse e l’avvio alle rispettive ‘camere ardenti’.
Non so se chi legge abbia mai avuto modo, non dico di frequentarle, ma solo di passarci, magari per errore o per necessità.
Per chi non le conosce, sappia che sono di una freddezza e di una desolazione senza uguali. Si ha un bel da dire che lì, o in posti similari, dobbiamo finirci tutti: visitandole da vivi la reazione di brividi alla schiena viene spontanea.
E non sono brividi da freddo.
Questa camera era situata in una specie di scantinato, la porta spalancata, illuminazione al limite dell’inciampo.
All’esterno un cortiletto, deserto.
All’interno, una serie di tavoli di marmo lungo una parete, della misura dei letti singoli; su ciascuno era adagiato un cadavere, ricoperto da un lenzuolo.
Una targhetta di cartone, attaccata con cerotto sanitario ai piedi del tavolaccio, con i dati dell’ex vivente, per un pronto rintraccio da parte degli addetti delle onoranze funebri.
Lungo la parete di fronte a questi ‘lettini’, c’era un lungo ripiano, con varie attrezzature, pile di lenzuola, sacchi di cotone e altro non individuabile.
Nel locale, più o meno ancora vivo, c’ero io.
E 'loro'.
Trovato il mio ‘cliente’, avevo depositato il puff ai piedi del suo giaciglio, e stavo per andarmene.
Andarmene è eufemistico, più esatto sarebbe ‘per scappare’.
Ma non era giornata per una fuga, peraltro ingloriosa: con la coda dell’occhio mi era ‘sembrato’ di vedere qualcosa che si era mosso sul ripiano degli attrezzi.
(Il gatto è lontano parente del coniglio, quando è il caso anche della lepre, talvolta del giaguaro; di diverso da questi ha, forse, la curiosità, che, sovrapponendosi alla fifa e alla velocità di fuga, gli infonde un coraggio che di solito non ha).
Avevo guardato meglio, e tutto sembrava tranquillo.
Il battito del cuore, nel frattempo, era ridotto ai minimi termini; convinto che il movimento fosse stato frutto di stupida fantasia, alimentata dall’ambiente, e mi stavo allontanando…
No, accidenti, su quel ripiano qualcosa si muoveva!
Non me l’ero fatta addosso solo perché tutto di me si era ristretto a tal punto da non consentire movimenti corporali di sorta.
Gola, cuore, stomaco, intestino e canali evacuativi… tutto bloccato.
La tentazione di una fuga precipitosa era fortissima, ma la curiosità lo era di più.
Avevo individuato, nella semi oscurità, il punto preciso di quel movimento.
Mi ero avvicinato a una copertina, stesa in lungo su quel tavolato; allungando la mano per sollevarla, questa si era di nuovo agitata, con mio conseguente soprassalto.
Ma ormai non potevo tornare indietro.
Sollevatala, da sotto era volato via un passero, terrorizzato a sua volta, quasi urtandomi nella fuga.
Neanche il tempo di chiedergli come fosse finito lì sotto.
Ed era stato il primo botto a un sistema nervoso ormai fatto a budino.
Il secondo era stato la scoperta, sotto quella copertura, del corpicino di un bambino, una creaturina che forse aveva fatto in tempo a vedere in che razza di mondo era finito, e aveva preferito dire: ‘grazie, passo la mano e me ne vado’.
Fortemente scosso (se doveste leggere ‘sconvolto’, sappiate che non siete stati colpiti da un attacco dislessico: è la vera verità del mio stato d’animo in quell’istante, e per parecchi lunghi istanti successivi), non mi era neanche passato per la mente l’abbinamento del passerotto con l’anima di quel bimbo che, finalmente libera, volava verso il cielo.
Ci ho pensato molto tempo dopo, ricordando.
Racconto, e dopo tanti anni posso anche sorridere, pensando al passerotto spaventagatti, ma gli occhi sono gonfi, come allora.
Ero andato al mio puff, avevo tolto un fiore, una modesta gerbera bianca (che è come una grossa margherita), e l’avevo messo sotto la copertina, a fianco di quella piccola creatura, ormai ex tale.
Sono sicuro che il mio ‘cliente’ non se la sarà presa a male per un innocente furtarello.
Anzi, mi piace pensare che si siano ritrovati in un fantastico prato verde punteggiato di fiori, e che il bambino l’abbia restituita, ringraziandolo per il prestito.
Non sono passati mesi o anni, sono passati parecchi lustri, ma quel bambino, quel passerotto e quella gerbera sono ancora in me, li ho assimilati e, quando sarà ora, li porterò con me, oltre 'quella' porta.

mercoledì 14 novembre 2018

Illusione magica

Forse lo hanno visto tutti... lo metto sul blog per tenerlo in memoria per quando sarò vecchio, triste e stanco. Se poi qualcuno no lo avesse visto, eccolo qui. disponibile come passatempo.

https://video.corriere.it/campione-mondiale-magia-2018-ecco-suo-trucco-le-carte/7702af5a-e7f0-11e8-b8c4-2c4605eeaad

giovedì 8 novembre 2018

Meditazione di un giovedì qualunque

https://www.facebook.com/epccattelan/videos/272576150034837/

venerdì 2 novembre 2018

Riciclo di poesia

Da un libretto, piccolo quanto prezioso, editato nel 1984 da Ruggero Battaglini, editore in Parma, nel 1984, prendo, tra altre di Autori vari, questa poesia in vernacolo romagnolo.
Non c'è un motivo particolare per offrirla: semplicemente mi piace e se qualcosa piace il condividerla raddoppia il piacere.
Alitata da Leonardo Maltoni nel 1979. Di questo Autore so poco, l'ho scoperto e apprezzato abboccando all' "amo" gettatomi da Ruggero, e che qui ancora ringrazio. Giornalista, scrittore, insegnante, nato nel '36 a Cesenatico e morto, giustamente rimpianto dalla Romagna tutta, a Cesena nel 2016. E poeta, che definire dialettale sarebbe riduttivo.
A questa ho fatto seguire la lettura di altre sue poesie, sempre in romagnolo, e tutte mi hanno lasciato un misto di dolcezza amarognola, quasi il ricordo dei rametti di dulcamara che suggevo da ragazzino nei tempi di colonia marina.
Di Leo Mantoni propongo questa poiché la trovo divertentemente sentimentale.
Chi ha voglia, e tempo, la legga nel dialetto originale; potrebbe essere l'occasione per cominciare a capirsi, visto che l'italiano, lingua molto più antica e sempre bella, sta lentamente scomparendo, storpiato senza pietà, senza peraltro dare spazio ai dialetti, che sono la lingua che tutti abbiamo poppato per prima.

L'imbarìgh

Da quand ch’ho vèst che i’an i ciàpa via,
che mor i dè senza un po’ ’d rimissiòn,
ho mes da un chént la mi reputaziòn
e am so zarchè e mi post in ‘t l’ustarìa.

D’in sdài in ‘t’la scaràna ad lègn e ‘d paja,
la nòta la’s strabìga pièn pianìn,
un zìgar, un sbadài, un pér ‘d quartìn,
do ciàcri, e ac-sé… a m’ingòz fin a la scaja.

E cun la testa pèrsa in ‘t un élt mond
cun la chitàra a bagàt una canzòn
par zarché and chilzè via che magòn,
ch’l’ha ardòt la mi vita a un mér ad piomb.

L’ingarbòj ad tot i dè, d’incùa e ad ììr
par un pér d’ori ài las in ‘t’un cantòn
e vers e zìl a soffi un’uraziòn
ch’im lassa sté pr’un po’ i mi pansìr.

Pu a m’imbarìgh pien pien, cun discreziòn,
a stagh so e a m’invèj longh a la stréda,
a trabàl cùme un scàf a l’ingulfèda
fin che a mardùs in péta a e mi purtòn…

… E a lè a m’afèrum, e quési cun rispét
a guérd cun i guzlùn in ti oc cla stéla
che a guardèva, agrapé a cla burdèla
che un dè la m’ha vlù ben. E am vagh a lét.


L’ubriaco

Da quando ho visto che gli anni scappano,
che muoiono i giorni senza pietà,
ho messo da parte la mia reputazione
e mi sono cercato un posto all’osteria.

Seduto su un sedia di legno e di paglia,
la notte si trascina pian pianino,
un sigaro, uno sbadiglio, un paio di quartini,
due chiacchiere, e così bevo fino alla sbornia.

E con la testa perduta in un altro mondo
con la chitarra rovino una canzone
per cercare di calciare via quel magone,
che ha ridotto la mia vita a un mare di piombo.

Le delusioni della vita, di oggi e di ieri
per un paio d’ore le lascio in un angolo
e verso il cielo soffio una preghiera
affinché per un po’ i miei pensieri mi lascino in pace.

Poi mi ubriaco pian piano, con discrezione,
mi alzo e mi avvio lungo la strada,
vacillo come una barca nella tempesta
finché mi trascino di fronte al mio portone…

… E lì mi fermo, e quasi con rispetto
guardo con le lacrime agli occhi quella stella
che guardavo, abbracciato a quella ragazza
che un giorno mi ha voluto bene. E vado a letto.