sabato 28 novembre 2020

Hic sunt leones









Ho avuto la ventura di visitare l'Italia in lungo e in largo e ne vado qui a parlare.
Vado a raccontare dell'Italia, di un'Italia antica, poco conosciuta come tale: come molti sanno, e ad altrettanti molti sfugge, la Calabria in tempi non sospetti era denominata Italia. Non sto a raccontare da chi e perché aveva questo nome, sforerei dal mio essere conciso e non riuscirei ad aprire a sufficienza il velo della storia che riguarda quel periodo. 
Molto in seguito, comunque quel nome si è esteso a tutto lo Stivale, restando di questo a malapena la suola. Pure bucata...
Saltando a pie' pari una grossa manciata di secoli, vado a raccontare della Calabria di oggi, una ex Italia che ha buone ragioni per valersi dell'avviso alla presenza di leoni: invito a girare alla larga ovvero visitare opportunamente armati. I leoni non ci sono mai stati, ma le cautele continuano ad essere valide e consigliate.
A chi ha avuto modo di vedere il video di un mini-commissario alla sanità calabrese non saranno a suo tempo sfuggite le spassose dissertazioni su mascherine, su baci profondi a rischio dopo il quarto d'ora di immersione linguale, sui suoi riposi sessuali dovuti a raggiunti limiti d'età, presumibilmente dopo una carriera da viveur, da sciupafemmine... non può farsi sfuggire il suo secondo capolavoro, sempre in video, sempre lo stesso giorno di diffusione del primo.
Probabilmente quel 25 maggio 2020 era un giorno di particolare esaltazione, un giorno di libertà dei suoi due neuroni che, cogliendo l'attimo fuggente, si erano scatenati in una danza di stronzate che il desso, smaltiti i fumi di chissà quale mixer, forse mai avrebbe affidato a una ripresa video che lascia prove che ormai hanno più valore di uno scritto olografo.
Un paio di considerazioni. La prima riguarda chi designa a compiti, indubbiamente pesanti, di risanamento sanitario per un territorio morente: non sarebbe il caso di prevedere, prima di affidare a persone qualificate (fino a prova contraria, puntualmente esibita) un simile compito, un pre-doping approfondito o, concomitante/alternativa, una seria visita psico/psichiatrica? E una verifica del suo agire in veste di commissario nelle strutture, già calabresi, era proprio fuori da ogni protocollo di verifica?
La seconda si riferisce allo Zuccatelli citato: nel secondo video, con i neuroni più che mai a briglia sciolta, si è lanciato in un apprezzamento (anzi: deprezzamento) della categoria dei virologi, che ritenevo facenti parte del mondo sanitario, come lo sono i farmacisti, i dentisti, i veterinari, i podologi... Qui li ha definiti la coda della coda della coda... quasi all'infinito, del settore sanitario. In un barlume di lucidità i due neuroni non hanno dato una gerarchia caudale agli infermieri... e meno male, bontà loro. Dei neuroni.
Vorrei dire a questo (non più persona, come comprovato) elemento che in nessunissimo settore del vivere civile esistono code di altri, né nelle loro specialità né in un più ampio campo visuale. Anche le attività comunemente ritenute, a torto, più basse di altre, hanno una dignità e un collocamento che, a seconda dei casi e dei luoghi di esercizio, le rendono indispensabili. Non sto a citarle, anche perché, nel caso i neuroni fossero sopiti, non le capirebbe comunque.
La terza considerazione, riferita ai governi che hanno partorito le due abominevoli designazioni: ma non c'è almeno un membro dei due-tre gruppi che effettuano la cernita che si assuma la vergogna di queste due scelte e ne chieda, chiaramente e senza ghirigori politichesi, scusa a chi da queste è stato danneggiato? 
Lo so, sarebbe un caso unico, ma avrebbe la primogenitura di un gesto cui sarebbe bello abituarsi.
Quarta voce: Spirlì. Qui, purtroppo, non è possibile chiamare in causa il governo; questo signore (fino a prova contraria, in corso di presentazione) è stato eletto dai calabresi, presumibilmente per essere prima vicepresidente ed ora facente funzioni di presidente, con un numero di voti bastanti a giustificare la sua salita al podio del governo della Regione. Su questo non ci piove.
Come non piove sul fatto che la miseria nera, l'abbandono del territorio, la presenza di malavitosi che influenzano la vita quotidiana dei cittadini (per fortuna mai il voto degli stessi...!?)... tutte cose che richiedono un orgoglio, pressante e continuo, che ne copra il peso, ormai quasi insostenibile.
Giusto orgoglio, unico retaggio rimasto disponibile in un territorio che ha perso tutto.
Ma se questo orgoglio viene manifestato in maniera prepotente, offensiva, ecco che da dote diventa difetto. Lo è quando il facente funzioni di presidente della Regione, respinge con termini brutali un aiuto, per quanto se ne sappia disinteressato.
Succede che dopo il fallimento, con un finale che induce pietà oltre a una desolazione mentale pressoché assoluta, del non intervento del commissario Cotticelli, ex generale dell'Arma sorretto, a suo tempo, dal bagaglio di fiducia in quella, ha chiuso la sua epopea in maniera affatto dignitosa, il suo immediato sostituto, lo Zuccatelli citato, è stato nominato commissario per la sanità calabrese, previo licenziamento in tronco del predecessore.
Di Cotticelli si è detto e scritto ormai tutto e di tutto: da una intervista che ha suscitato reazioni variabili, che vanno dall'indignato al comico, in precisazioni successive è scivolato nel penoso. E quando una persona induce alla pena, la cosa migliore (la più buonista?) è chiudere l'argomento, cassarlo come cronaca spicciola, e passare ad altro.
E quell'altro prende il nome di Gaudio, Eugenio Gaudio.
Lo Spirlì citato aveva chiesto, non a gran voce ma con megafono ultrapotente, che a commissario alla sanità per la sua Regione fosse designato un calabrese doc, un personaggio che, anche da fuori dei confini regionali, portasse un bagaglio di capacità e onorevolezza tali da cancellare l'offesa dei due precedenti, appena abortiti. Detto, fatto, designato... quello che da subito era apparso il migliore salvatore della patria regionale possibile, per un treno sbilenco avviato ormai su un binario morto; al termine del quale era aperto un baratro, tomba definitiva di tutte le porcherie nate e pasciute sul territorio nel corso di decenni. E gaudio fu, per un solo giorno.
La prima cosa che era saltata subito in cronaca era il fatto che questo esimio professore era sotto schiaffo per presunte agevolazioni in concorsi universitari e in spintarelle poco eleganti per promozioni e avanzamenti di suoi sodali. Pare che le inchieste sul suo operato siano in via di archiviazione, che non è proprio un'assoluzione ma un rinvio alla Storia... di cui si perderà traccia in breve tempo. Per chiunque osteggiasse la sua nomina sarebbe stato gioco facile tirare in ballo la faccenda, non come accusa specifica ma come punto interrogativo permanente. Una spada di Damocle virtuale che gli avrebbe reso la vita difficile.
A salvarlo pare sia intervenuta la di lui signora che, con un rifiuto alla papa Celestino, aveva declinato la possibilità di trasferirsi nel capoluogo calabro. Su questo rifiuto sono state disegnate vignette, create battute, ipotizzate ipotesi... Tutto senza conferma alcuna, salvo il rifiuto netto. Uno dei molti casi che confermano che dietro ogni uomo, per grande appaia ai più, vigila e impera una donna. Grande o meno, è scelta soggettiva.
Ab ovo, questa benedetta scelta di un predestinato è ancora in itinere, un cammino lento che sa di maratona, senza uno striscione di  traguardo che ne indichi la fine.
In diverse occasioni quello striscione è sembrato prossimo ad essere tagliato, poi ogni volta un altro appariva più avanti. Nomi, chiacchiere, illazioni e illusioni... tutto sembra contribuire a mantenere un'aura di mistero su quello che sarà il predestinato. 
C'è quasi la stessa attesa che dicono ci fosse per il Re d'Israele, quel Messia annunciato da profeti e veggenti; il quale, tanta fu l'attesa, che non venne neanche riconosciuto, se non da una dozzina di persone, che accettarono il suo messaggio e se ne fecero portatori verso il resto del mondo.
Ecco, la Calabria avrebbe bisogno di un Messia... i missionari, africani e non, sono stati divorati dalle belve locali. Un Messia che godrà di onori e deferenze, entrerà in quella terra non a cavallo di un asinello ma a bordo di un blindato, tra gli osanna del popolo e l'obtorto collo dei maggiorenti. Un Messia che sia conscio che nel suo futuro c'è una croce e che su quella croce finirà inchiodato. Che sulla sua strada troverà un console (romano, tanto per cambiare) che, in caso di fallimento della missione, di lui se ne laverà le mani...
Con il popolo che continuerà a mugugnare e i maggiorenti a sogghignare.

Il Messia è arrivato, tal Guido Longo, definito super-poliziotto, uomo delle istituzioni, possibile salvatore della terra calabra. Non è calabrese, è siciliano di Catania, e presenta un curriculum di tutto rispetto. Nonostante ciò è stato bene accolto, perlomeno ad uso dei media, dalla classe dirigente della Regione, in primis dal facente funzioni.
Si sa che per far camminare il ciuco servono un bastone e una carota.
Nello specifico, visti i pregressi, Longo può essere visto (rispettosamente) come il bastone.
La carota? In simbiosi con la nomina di Longo, la regione Calabria da rossa che era dalla mezzanotte sarà arancione. Il cambio di coloritura non cambierà di molto la vita dei cittadini, ma è stata presentata come una vittoria dell'establishmen, ancora furente per l'appaiamento con regioni come il Piemonte e la Lombardia, le quali chiaramente non avevano nessun titolo da opporre al rosso fiamma assegnato.
Da rosso ad arancione, un salto di qualità importante, che ha come base miglioramenti visibili e tangibili nella gestione sanitaria delle Regioni promosse. La Calabria, rossa da venti giorni e in profondo rosso da oltre dieci anni, in una ventina di giorni, orfana di commissario, ha fatto il miracolo di dipanare nodi irrisolti, che apparivano irrisolvibili senza un intervento divino. Che è arrivato nella veste del Messia... quando questo intervento appare superfluo, superato.
A cosa serve un commissario alla sanità in una Regione che con un gioco di prestigio ha risolto in pochi giorni i suoi problemi? Possibile che siano bastate un paio di tendopoli militari, con destinazione anti-Covid, a risanare tutto? Altri cambiamenti non ce ne sono stati: i contagi, nello stesso periodo, hanno continuato a salire, e i decessi pure; non ci sono risposte alle richieste di verifica di sospetti positivi; gli ambulatori per altre patologie sono tuttora interdetti; i medici di base brancolano nel buio alla ricerca di dritte precise per la gestione dei pazienti, per quanto di loro competenza; i posti letto ci sarebbero, ma mancano i letti; le apparecchiature di pronto intervento sono tuttora obsolete... È vero, la migrazione sanitaria verso altre Regioni è cessata... ma perché queste, vuoi per loro propri problemi causa l'emergenza vuoi per sicurezza, hanno sospeso le accettazioni per ricoveri, visite e analisi.
Se uno fosse maligno, il pensiero correrebbe alla massima do ut des, io do se tu dai in una traduzione casereccia: il governo offre l'agognato arancione, in cambio cessa l'ostracismo verso l'eletto, che peraltro ha tutte le carte in regola per ben operare; il governo salva la faccia, nello specifico piuttosto annebbiata, il facente funzioni pure, il popolo si calma, un capro (per ora non espiatorio) si presta all'olocausto... 
Molto diverso sarebbe stato il risultato di fronte ad un do ut facias, avrai se fai, sempre in casereccio.
Appunto: intanto, con la carota di una promozione colorica, il ciuco arranca. 
Il bastone... verrà poi.
 

venerdì 13 novembre 2020

Letture incatenate

Chi ha qualche anno alle spalle sa che la lettura, il leggere, ha plasmato le gioventù d'un tempo, quando, oltre a questo, poche erano le possibilità di allargamento delle proprie conoscenze. Chi ha avuto la fortuna di trovare, nella prima scuola, insegnanti appassionati che riuscivano a fare appassionare anche gli scolari, da questi riceveva l'invito pressante alla lettura. Già allora, il 'fumetto' era la lettura preferita, quella che colpiva l'immaginazione dei ragazzini, lasciando impresse, con le immagini, le cognizioni, le conoscenze che, in mancanza di altri mezzi di comunicazione, si stampavano nelle menti, protese a un sapere di cui non erano ben chiare le finalità. Quei tentativi, peraltro più che positivi, avevano un paio di 'pecche' che solo gli anni sarebbero meglio visualizzate.
Chi era dedito all'insegnamento, sovente risultava essere appassionato a poche materie specifiche, e queste puntava ad instillare precipuamente nei virgulti affidati alle sue cure; fossero argomenti di storia, di geografia, di matematica (gulp! sob! aita!), e quant'altro, era difficile fare apprendere in maniera profonda le materie, complice la tendenza dei piccoli e degli adolescenti a che il gioco fosse il meglio per un futuro di cui non si aveva il minimo sentore: il presente, l'immediato presente, era passato e futuro, per cui non c'erano grandi stimoli, sia alo studio di ciò che fu che a quello che sarebbe stato. Un limite dei tempi, tra l'altro fortemente influenzati da un presente molto nebuloso.
Le immagini di allora sono la televisione dell'oggi, i computer, i cellulari ormai minuscoli computer portatili... che danno risposte a quasi tutto, che consentono una visione della Terra e del mondo in presa diretta; le notizie quotidiane non fanno in tempo a essere completate che altre le si accavallano, modificando, distorcendo, contrastando le precedenti: il passato è ignorato, del futuro si parla in termini limitati alle contingenze momentanee. Non è il caso di andare troppo lontano, basta avere seguito le vicende legate al Covid.19, tuttora in via di sviluppo: la confusione creata intorno a questo malanno ha fatto quasi più danni che l'accidente stesso. Politici ed esperti hanno fatto gara a chi riusciva a confondere di più i malcapitati cittadini. Non è più possibile trovare il tempo di approfondire, di scremare, quello che viene propinato sovente con scopi se va bene non chiari, ma più spesso manipolati e manipolanti.
I libri, per essere gustati come dio comanda, hanno bisogno di una abbondante dose di fantasia. Le immagini che la lettura provoca sono soggettive, un libro più che essere letto deve essere vissuto. Il sapersi calare nei personaggi, il 'vedere' i paesaggi e le circostanze che i vari autori espongono, è fattore indispensabile per un'assimilazione dei contenuti che non ha limiti né preclusioni. E la fantasia è quella che sta mancando in tutti i sistemi di comunicazione in atto; cioè, la fantasia c'è, ma è la fantasia di altri, di terzi che la propongono come prodotto originale. Fantasie fasulle, false... La fantasia vera è quella che ognuno si crea, in sé e solo per sé.
Leggere mi piace, mi piace da sempre, anche nei periodi di impegno lavorativo, uno spicchio di tempo per la lettura me lo sono sempre ritagliato; magari a notte fonda, col rischio di influenzare i sogni successivi. 
Adesso che il tempo non mi manca, a parte il minimo di impegni volutamente assunti, le letture si sono accumulate, e ho pensato bene di fare una breve carrellata di quelle che più mi si sono introiettate nel subconscio. Cito solo le ultime, quelle degli ultimi cinque mesi, dedicando a ciascun libro due parole di commento, che, more solito, non vogliono essere recensioni; sono sensazioni veloci che voglio condividere con chi legge questo blog, non sono un influencer, ma se queste righe dovessero suscitare la curiosità di alcuno, ne sarei felice.
Leggere, non solo per apprendere, ma per il semplice piacere, fisico, che il farlo dà.

IRREHAUS di Nicola Pezzoli

Chi ha letto questo libro, può averlo catalogato a piacimento: romanzo, racconto lungo, diario, poesia... L'interpretazione della lettura è soggettiva, e ciascuna, nello specifico, non si scosterebbe di molto da quello che è la sostanza del testo.
Io l'ho letto, e goduto come uno spartito musicale.
Per essere preciso, nella modalità sinfonica.
Come molti libri di questo Autore, l'inizio è un'entrata allegretta, che ha lo scopo di mettere il lettore a suo agio, costringendolo a inabissarsi nei vari personaggi, nuovi per la più parte, con fuggevoli richiami ad altri conosciuti in opere precedenti.Il libro avanza poi in un lungo percorso lento, di quell'adagio che non è anestetizzante; è l'ulteriore invito a godere appieno, lentamente appunto, paesaggi e situazioni che, altrimenti, potrebbero sfuggire all'attenzione del lettore. Ma credo che quella lentezza sia impressa anche per consentire a chi legge di calarsi appieno nel personaggio principale, una specie di voce narrante la vita e i pensieri di un ragazzo, non più bambino ma ancora lontano dall'essere adulto.
Un ragazzo i cui pensieri e le cui emozioni costringono a ripensare ai pensieri propri e alle emozioni tipiche provate in un'età ormai tramontata.A tutti capita di ripercorrere quei periodi, perlomeno a me capita. Ma quel tempo erano inquadrati in una visione più ampia, difficilmente oggi si riescono a focalizzare i momenti preciso di determinati accadimenti, che allora erano magari stati etichettati come indimenticabili. Solo le cose brutte restano indelebili, con tanto di data e ora dei fatti: la morte della madre o del padre, un incidente balordo, un amico d'infanzia prematuramente scomparso... le cose belle entrano facilmente nel calderone delle cose accantonate, messe in un cassetto, con la certezza (sovente vana) che al richiamo in memoria sarebbero ricomparse.
Ecco, Nicola invita il lettore a vedere quell'età con gli occhi di un ragazzo, di quel bambino che è rimasto in lui.
Sogni, desideri, pulsioni... fiori che al mattino spalancano le loro corolle, offrendosi come buongiorno a chi ne riesce a vedere e godere la bellezza.
E il tempo minuetto prende la forma di un alter ego, uno specchio che riflette le avventure del protagonista e quelle che il lettore, con poche o nessuna variante, finisce per rivivere.
Amore e odio, il primo obbligatoriamente mentalmente platonico, il secondo materialmente impossibile da completare. Sfoghi fisici, ai quali lui (e noi per lui, ma al passato remoto) non riesce a dare spiegazioni; rabbie represse, impotenze a reagire con la violenza a torti o amarezze subiti...
Chi ci è passato, tutti, finisce per ricordare, e sono ricordi amari.
Poi, d'improvviso, la musica cambia, anzi non è più musica, è galoppo sfrenato in una prateria senza fine. La dolcezza delle note precedenti si trasforma in angoscia, quel sentimento per la cui diluizione si deve arrivare alla fine.
Galoppando a briglia sciolta.
Leggere quest'opera ha fatto passare i primi periodo delle quarantene, appunto la parte musicale, nella lentezza temporale di cui parlavo; il finale del libro quel tempo lo ha quasi annullato, letteralmente... bere un bicchiere d'acqua, espirare il mezzo metro cubo d'aria appena inspirato... non c'è stato tempo per altro.

PECCATI IMMORTALI di Aldo Cazzullo e Fabrizio Roncone


Un romanzo, una storia, che va a sfruculiare in ambienti di cui poco si conosce e sui quali molto ci si affida alle fantasie. Suscitate e alimentate da secoli di Storia e di storie, che hanno creato un alone di mistero che quegli stessi che ne sono oggetto ben si guardano dal dissipare. Un 'giallo', ma più noir che giallo, che appassiona con tutti gli ingredienti, le credulità e le credenze, ipotesi ed evidenze regolarmente sballate. Un libro leggero e veloce da leggere, ma pesante nella sostanza, scorrevole nello svolgimento ma pesante nel suo profondo; a parte la piacevolezza del racconto in sé, porta a pensieri e considerazioni che fanno parte delle chiacchiere da bar o da circoli specificamente 'anti' i personaggi e gli ambienti qui descritti. I peccati, o perlomeno quelli considerati tali da una parte di credenti, alcuni dei quali della religione hanno fatto mestiere. Scorrevole nel racconto e nel contempo impegnativo, che ispira considerazioni, ragionamenti e dubbi nel corso del procedere nella lettura. I peccati, solitamente vengono considerati come veniali e mortali; non ci sarebbero vie di mezzo, non esistono peccati veniali con sfumature di mortale, né di mortali addolciti da un filo di venialità. Entrambi i generi sarebbero soggetti alla possibilità di perdono, a condizione che vengano 'confessati' a chi è preposto al compito di assolvere chi è comunemente definito 'penitente' pentito. Tecnicamente e, forse, teologicamente non esistono peccati non condonabili. I peccati 'immortali' sono, nel racconto, peccati comuni, diffusi, veniali e mortali, per come la vita e le consuetudini li hanno catalogati. Diventano immortali a causa di chi li commette, teoricamente immune dalle miserie che colpiscono il resto del genere umano. Dante, nel suo Inferno, aggrava la portata delle mancanze di preti, prelati, porporati e papi, per il solo fatto che da queste categorie ci si attenderebbe siano sempre, tutti, 'vergini' delle umane debolezze
Un intreccio, quello di questo libro, che espone una galleria di personaggi e di azioni che lasciano, a fine lettura, il dubbio che non tanto di racconto o di giallo, si tratti, quanto di un'attenta, misurata, esposizione di un qualcosa che 'sembra' sia, e che invece forse è.
   

L'ANGELO DI MONACO di Fabiano Massimi

Niente di meglio, per far passare le sonnolente giornate di questa lunga quarantena, che insistere con testi che costringano alla veglia. Questo di Massimi, consigliatomi da un amico che con la letteratura ci va a letto, è il secondo 'giallo' che mi sono sciroppato nel periodo in esame. Anche in questo, come nel precedente, ci si cala in un periodo storico ben definito, a modo suo indimenticabile. L'impressione che si tratti solo di un romanzo a tinte forti viene sommersa dalla scoperta di 'altarini'che non fanno parte della storiografia conosciuta.Sconosciuta ai più, in considerazione del fatto che non ha influenzato più di tanto l'andamento degli avvenimenti di quel tempo, che hanno lasciato ben altri segni, indelebili nelle memorie e nella Storia. Omicidi, suicidi, intrighi tra politica e malaffare politico, indagini che alla fine di ogni capitolo sembrano essere la chiusura del caso, subito riaperto e stravolto in quello successivo. Avvincente, a modo suo istruttivo su sistemi radicali che oggi si crede(va) fossero tramontati e che, sotto sotto, ancora persistono. Vestiti in doppiopetto, con una eleganza che tutto fa pensare meno che possa essere anche assassina.

IL DOPO di Ilaria Capua

Nella nostra Storia abbiamo visto, vissuto, infiniti "dopo". Il più prossimo in ordine di tempo è il dopoguerra, il dopo dell'ultima guerra, con le sue stragi, le sue distruzioni, le sue infamie... i suoi morti. C'è un "dopo" attuale che rischia di offuscare quanto di peggio ci fu allora. È questo 'Il dopo' di cui tratta la Capua, il dopo virus covid 19, come anticipato nel sottotitolo. Un dopo prematuro, a dar retta ai recenti scenari che si sono ri-aperti quando la pur parziale sosta estiva  aveva fatto ritenere che potesse esserci un dopo limpido, in un orizzonte che da nero tendeva quantomeno al grigio, sperando in un pronto rosaceo di speranza.
L'Autrice, nota ricercatrice, racconta con parole semplici, rivolte a gente semplice, l'evoluzione di questo malanno, quelli che nel tempo lo hanno preceduto, i perché e i percome questa pandemia rischia di surclassare le altre, abbattutesi nel corso dei secoli sull'umanità.
Fatti prettamente scientifici spiegati con una chiarezza espositiva che coinvolge nel piacere di una conoscenza altrimenti destinata a pochi eletti. Fatti, informazioni, dubbi, supposizioni, falsità... il tutto presentato con una pacatezza che è scomparsa in altre forme di informazione scientifica. Laddove luminari della ricerca, medici, analisti, matematici, si sfidano a colpi di contraddizioni, sovente scendendo al sottosuolo degli insulti reciproci, con la coerenza delle dichiarazioni che un giorno per l'altro viene spudoratamente rinnegata.
Copiando pari-pari la peggiore politica recente, per la quale il nero di ieri può diventare bianco oggi, senza neanche accennare a un "mi sono sbagliato ieri, ma oggi..." che attenuerebbe leggermente l'impatto di sconsiderate affermazioni. La gente, i cittadini, il popolo ha bisogno di certezze, se non si hanno meglio (assai) sarebbe tacere. Si dice, e lo ribadisce la Capua, che sta creando più danni la mala informazione che la pandemia in sé. Cattiva informazione che si ripercuote sulla politica, quella che naviga nel buio, con la speranza che studiosi che si presume 'sappiano' la illumini e la indirizzi in maniera univoca ad agire il meno peggio possibile. Al resto provvedono i regnanti delle varie Regioni: fratelli (a leggere la Costituzione), col coltello tra i denti, pronti a sgozzarsi verbalmente gli uni con gli altri nel tentativo di far prevalere tesi e cure e primati, in una situazione che non vedrà vinti o vincitori, ma soltanto cadaveri... non in senso metaforico.
Ecco, questo libro riappacifica le persone con una scienza che ormai non ricerca e non informa, tesa a far prevalere personalismi beceri. In un libro è possibile ponderare, valutare, scegliere... senza un contraddittorio confusionario e violento: leggere e giudicare la validità delle tesi esposte, godendo anche del piacere di riferimenti storici che rendono questa lettura veramente piacevole, pur trattando un argomento così pesante... attuale e pressante.
La conclusione è abbastanza scontata: l'educazione civica è la sola vera arma che abbiamo contro questo virus. La Svezia, il cui comportamento è stato aspramente criticato, non ha imposto l'uso delle mascherine, non ha delimitato le distanze fisiche (che noi, erroneamente, continuiamo a dire sociali) tra individui, non ha vietato assembramenti... li ha semplicemente consigliati, confermando questi inviti anche nel corso di questa seconda ondata, della quale il tutto il mondo non si intravede la fine. E i cittadini, educati a credere in chi li governa, hanno preso alla lettera queste direttive amichevoli. Non è necessaria la dittatura dove il civismo impera.  


I  LEONI  DI  SICILIA di Stefania Auci



Quando un amico me ne aveva parlato, consigliandomene la lettura, nel dirmi che trattava di Florio lo avevo stoppato, non avevo tempo né voglia di leggere il resoconto di una Targa che, per gloriosa che fosse, avrebbe trattato solo di motori e del piccolo universo che gira intorno a questi. No, mi aveva detto, è il racconto della famiglia Florio nel corso di decenni. Lo avevo preso, più per la fiducia nel mio consigliere che per convinzione... convinta.
Nel sottotitolo questo racconto è segnalato come "saga", nello specifico della famiglia Florio, siciliana, che la mia ignoranza aveva relegato, e legato, esclusivamente alla Targa citata.
Mi sbagliavo, chiaramente, ma da quell'errata concezione è nata una lettura raramente così piacevole e avvincente. Una storia che ha toccato la Storia, calandosi in periodi, fatti ed episodi che quest'ultima ha finito per inglobare nel suo immenso calderone, in cui finiscono per essere nascosti avvenimenti che solo approfondimenti mirati possono portare alla luce.
Questo della Auci è stato un lavoro certosino, una ricerca di particolari, sensazioni, reazioni che portano a calarsi nei vari personaggi, a leggerne le impressioni, le reazioni, di volta in volta affettuose e violente, temporeggiatrici o decisionali. Il tutto con una descrizione degli ambienti che ad ogni pagina offre una fotografia, un'immagine che accompagna il lettore alla scoperte di fatti e avvenimenti altrimenti ignorati, il più delle volte assolutamente sconosciuti.
In veste di romanzo l'Autrice apre uno spaccato di vita siciliana, che a buon diritto finisce per apparire, ed essere, un gioiello della Storia nazionale.