domenica 28 febbraio 2021

Affidabilità

Sarà perché ho avuto un'educazione costrittiva, quel tipo di educazione che non consentiva di sgarrare a regole comuni create apposta per ragazzini allo stato brado, che mantenevano una libertà d'azione condizionata; sintetizzabile in: siete liberi di fare come più vi aggrada, ma poi le buscate a pareggio del conto. E non erano carezze: a scuola, in chiesa, in ricreatorio, in cortile, nelle rare occasioni della visione di film in quello che pomposamente chiamavamo "salone" quando in realtà era un largo corridoio con lunghe panche, forse residue da qualche chiesa, alle quali erano stati tranciati gli inginocchiatoi e i poggiamani.
A scuola bisognava perlomeno fingere di studiare, salvo che nelle interrogazioni in cui il fingere di non sapere era realtà sacrosanta; ed era sincerità mai premiata.
In chiesa si andava per pregare, mai volentieri, poiché essere strappati al sonno ogni beata mattina, qualunque fosse il tempo esterno, alle coperte, la monotonia delle cantilene imparate a memoria, ma soprattutto quei comandi ufficialmente taciti (in ginocchio, in piedi, seduti, solitamente indotti dall'amen della preghiera precedente) interrompevano bruscamente una sonnolenza endemica per cerimonie di cui non si capiva l'utilità, tanto meno la logica. Unico passatempo era il dar di gomito a compagni vicini di banco quando emettevano sibili simiglianti al ronfare di un gatto, ma che l'assistente avrebbe potuto interpretare come russamenti, pur se sommessi, prima che questi intervenisse dando scrollate violente a tutto il banco, con traumatici bruschi risvegli.
Le parolacce non erano tollerate, ma avevamo un vocabolario talmente limitato che le più verbalmente violente si riducevano a 'stupido', 'cretino', 'imbecille'... per dire, gli stronzi erano il frutto delle defecazioni, mai offerti come insulto. I moderni 'vaffa' non erano neanche concepiti o concepibili. Le bestemmie? Non sapevamo neanche cosa fossero. Ne fosse sfuggita una, non per sbaglio ma per semplice ignoranza dei termini, il rischio sarebbe stato la lapidazione, col doppio guadagno della punizione esemplare dell'incauto blasfemo e della possibilità di ripulire il cortile dalle già scarse pietre.
Nel tempo c'era stata una simil-bestemmia che un assistente aveva ritenuto di captare da una discussione neanche tanto accesa, forse in merito a un contestato fallo di gioco. Al 'colpevole' era sfuggito un Diu mac, profferito da un ragazzo indigeno, che il custode aveva interpretato come un Dio in rumeno, con la certezza che il mac fosse un'offesa diretta a quello. Il poveretto era stato salvato dall'intervento dell'arbitro (altrimenti detto prefetto), per sua fortuna indigeno quanto lui, che aveva tradotto, giustamente in un innocente "dico solo".
Anche la puntualità non aveva alternative: non eravamo pecorelle che potessero smarrirsi, il gregge viaggiava sempre compatto, e non c'erano appuntamenti o impegni disattendibili.
Crescendo, fino a quasi invecchiare, qualche bestemmia talvolta scappa, i suini sono entrati in una espressività verbale da cui nel passato giovanile erano assolutamente assenti. 
La puntualità e il rispetto degli impegni mi sono rimasti pelle su pelle, e ne vado orgoglioso.
Nel quasi ventennio di lavoro interno, con la timbratura del famigerato cartellino, sarò arrivato in ritardo (di non più di qualche minuto) in pochissime occasioni. In seguito, col lavoro all'esterno in piena libertà di decisioni e di orari, senza cartellino appresso, avevo considerato il lavoro come impegno da mantenere, senza deroghe. E così le ore contrattuali finivano per dilatarsi come un elastico, pur di mantenere impegni da me stesso medesimo assunti.
Questo per dire che mi sono sempre ritenuto persona affidabile: se una cosa risultava per me fattibile la portavo a compimento, a costo di rimetterci del tempo e, più raramente, anche del denaro.
In tempi recenti, anzi attuali, sto provando sulla mia pelle quanto questa mia dote sia poco/nulla diffusa.
Si tratta di un paio di professionisti che, con il loro comportamento, stanno mettendo a dura prova la mia convinzione di essere nel giusto, rispettando impegni e persone.
Per semplicità riporto integralmente i messaggi intercorsi con i due miei corrispondenti.

Il geometra. La vicenda risale al 1917, e riguardava il disbrigo di alcuni documenti inerenti la casa e il giardino. Parto da fine 2019 per abbreviare il cumulo di messaggi intercorsi da allora in poi, ritenendo i precedenti come prescritti, come fossero reati penali nel mentre sono solo gag comico-assurde. 
Con una precisazione preliminare: nessuno degli appuntamenti dati ha avuto il benché minimo riscontro, né di persona né a voce né in messaggi (salvo la segnalazione di rinvii, puntualmente non rispettati).
Vista la lungaggine dell'iter burocratico il 2 settembre gli avevo scritto: 
"Una volta la stretta di mano era un impegno,oggi è una presa per il culo".
3 settembre 2019: "Scusami sono a letto con la febbre".
20 settembre: "Lo chiedo all'Agenzia?".
 "Ti tel 1o minuti. Ci vediamo martedì mattina perché adesso faccio un corso per la sicurezza a xxxxx e finisco lunedì scusami ciao".
25 Settembre: "la visura catastale senza deleghe, guarda la data. È una presa per il culo?".
14 ottobre: "In attesa della fantomatica busta verde, di cui sento parlare da settembre 2017, che non arriverà mai, la domanda è: la delega che hai voluto nell'ultima visita, a cosa diavolo serve?".
6 novembre: " Per la cronaca: ancora niente".
"Veramente mi è arrivata a me stamattina ti tel e ti fik6".
11 novembre: "Sei diventato un incubo, ti sogno di notte...".
"Che bello tranquillo ci vediamo mercoledì".
13 novembre: "Quando vuoi, noi ci siamo".
"Venerdì mattina".
15 novembre: "È venerdì, ti aspetto?"
"Sono a xxxxx in tribunale per giuramento di una perizia più tardi mi fermo".
22 novembre: "Quando vieni fammi uno squillo sono giù alle olive".
"Ok".
6 dicembre: "Buona sera. Fra poco scade l'Imu. Vado tranquillo sia per il terreno che per il magazzino?".
"Sì ci vediamo domani mattina e ne parliamo".
9 dicembre: "La domanda è sempre la stessa: mi fido a non pagare?".
10 dicembre: "No ti tel più tardi".
E venne il Covid19, per cui il nuovo primo approccio era saltato a maggio 2020, per un'altra operazione.
1° maggio: "Mi si è sfasciato il pannello solare e per la sostituzione, tra le altre carte, viene richiesta la visura catastale. Quella nuova, che hai sempre dato per uscita, c'è? O devo dare quella vecchia, che però non riporta le modifiche apportate? Ciao".
"mi Tel".
2 maggio: "Lista documenti richiesti per pannello solare. Cosa mi puoi passare tu?".
"tutto lunedì ti dico".
"OK, ci vediamo o sentiamo".
4 maggio: "Cosa fai?".
Pausa feriale primavera/estate.
8 settembre: "Come è poi finita l'indagine sulla classe e categoria dell'alloggio?".
"Ti saprò dire martedì prossimo ho appuntamento al catasto con il responsabile".
"Wow!".
17 ottobre: "Si parla troppo di tassa sulla prima casa. Come siamo messi noi?".
"Tutto postò. Tutto ok".
"Ma classe categoria e categoria sono state ridotte, come dici di aver richiesto a suo tempo?".
"Sì".
"Non è possibile avere una visura catastale aggiornata?".
"Giovedì mattina".
"OK".
24 ottobre: "Niente per noi?".
"No sono chiusi appuntamento mercoledì".
1° novembre: "Ancora niente per noi?".
"Sì giovedì mi danno la ricevuta":
6 novembre: "Novità?".
"È alla firma. Stamattina me l hanno confermato".
"Come dire 'campa cavallo' ".
"Tranquillo siamo in zona rossa".
"Quindi tutto bloccato?.
"No lavoriamo da casa".
"Sì, ma loro rispondono?".
"Sì".
"Fusse che fusse... qui la situazione si fa tragica".
"No tranquillo".
16 dicembre: "Per noi ancora niente?".
"Martedì mi fanno tutto".
"Speriamo, sarebbe un bel regalo per Natale".
"Ok".
24 dicembre: "Io gli auguri te li mando, tu cosa mi porti?".
"Ci vediamo lunedì auguri di buon Natale con famiglia".
14 gennaio 2021: "A quale lunedì ti riferivi?".
10 febbraio: "A che punto siamo?".
"venerdì vado a xxxxx".
13 febbraio: "Hai risolto qualcosa?".
"sì ci vediamo martedì mattina amico mio".
16 febbraio: "Se conti di venire ti aspetto".
"oggi no sono a xxxxx ci dobbiamo vedere venerdì mattina".
Siamo al 28 febbraio e nulla appare dalla nebbia delle chiacchiere.
Fine interludio del geometra.

E passiamo al secondo professionista: l'idraulico. 
Non un idraulico della mutua, quello che gira con una chiave a pappagallo, rotolini di fil di ferro agricolo, con nastro isolante e sputo di lumaca per interventi a tempo determinato, che solitamente non vanno oltre il pagamento della parcella, in nero, che non lascia tracce né del lavoro né fiscali... no, il mio ha un negozio fornito di tutto, emette fatture a richiesta, ha più furgoni che un polipo tentacoli. Qui il fatto da raccontare è assai più breve, ma ugualmente esilarante (che è un modo di dire, per evitare altri termini che potrebbero coinvolgere suoi avi e discendenti per generazioni).
Questa la sequenza dell'evento, il cui inizio risale a fine estate 2019. Avevo notato che dal serbatoio del pannello solare (quello che fornisce acqua calda a gogò, purché il sole semini i suoi raggi con dovizia accettabile) scendevano gocce d'acqua, non dovute all'allentamento di un raccordo. Avevo chiamato il medico lattoniere che aveva diagnosticato una perforazione del serbatoio stesso, guaio curabile solo con il cambio della parte danneggiata.
L'impianto aveva oltre vent'anni, quindi un guasto poteva starci, senza imprecare al destino infame.
Aveva prospettato due soluzioni: cambio del serbatoio a tot euro, ovvero cambio di tutto l'impianto, pannelli e montaggio compreso, per un totale di tot euro seconda ipotesi. La seconda costava esattamente il doppio del cambio del pezzo. Avevo chiesto un preventivo per un contratto di installazione, prima di Natale mi aveva mandato il tutto, depliant e dettagli dell'operazione, con lo smontaggio e il ritiro dei pezzi vecchi compreso nel lavoro.
Con l'inverno, ovviamente il pannello era andato in letargo, per cui avevamo ripreso il discorso nella primavera del 2020. Nel frattempo, complice Covid19, si era fermato il mondo, per cui tutto era stato rinviato a tempi migliori.
Verso metà maggio si era aperto uno spiraglio e la pratica era stata avviata. Una delle condizioni sine qua non per procedere era stato l'invio di un bonifico a saldo totale della fattura, nel frattempo prontamente inviata dal produttore/venditore delle parti materiali dell'impianto.
Era sopravvenuta l'estate, e il montaggio era stato rinviato a causa del lavoro eccessivo per le manutenzioni urgenti di impianti difettosi in seconde case, che alla riapertura estiva dopo il sonno invernale presentavano guai di urgente riparazione.
Pazienza, tanto nel frattempo il pannello antico continuava imperterrito a funzionare, ignaro di essere ormai in stato comatoso. 
Verso metà ottobre, finalmente era venuto a completare il cambio.
E qui ha inizio l'avventura, con una messaggistica che riporto e che si aggancia perfettamente sia al titolo di questo post che alla parte precedente questa.
31 ottobre, sabato: "Buon pomeriggio, scusa se turbo il tuo giusto riposo, ma nel pannello qualcosa non va. Viste le giornate di sole buono e caldo, abbiamo spento il gas, sperando in un'acqua almeno tiepida. Zero assoluto. Te lo passo come compito a casa, da studiare. Intanto buon week end e ciao".
"Buonasera lunedì passo".
2 novembre: "Buongiorno.Ti aspetto o hai altro da fare?".
"Buongiorno, pomeriggio passo".
5 novembre: "Se vieni, quando puoi venire fammi uno squillo, se non piove siamo in giardino per lavori. Buonasera".
"Buonasera scusami domani o al massimo sabato vengo".
18 novembre. " 'Perdete ogni speranza' scriveva Dante. La stessa frase che ripetiamo noi, a distanza di secoli".
31 dicembre: arrivano i suoi auguri, di quelli preconfezionati che aprono con un beneaugurante "Possa questo anno spazzare via il male che ha portato... E con l'augurio più grande che tutto possa ritornare a splendere anche più di prima", completato dal logo del suo negozio.
1 febbraio: "31-10-2020/31-01-2021: fanno tre mesi tondi".
"Buonasera hai ragione con il fatto che piove sempre il pannello non funziona e non mi sonno affrettato cerco di venire in questi giorni".
Fine del dialogo, sono ancora fermo in paziente attesa.
Anche qui siamo al 28 febbraio; una giornata splendida, come altrettante ne abbiamo avute da ottobre in poi, alternate ad altre di pioggia che sembrava essere incessante. L'acqua calda, bollente e abbondante, mi viene fornita dal termocamino, per cui dei pannelli possiamo fare ancora a meno. Prima della primavera/estate spero di vedere risolto il problema.

Nel frattempo ho inviato alla Santa Sede Apostolica Romana un pre-curriculum, da tenere in evidenza per una santificazione immediata, senza se e senza ma e senza miracoli, non appena abbia esalato l'ultimo respiro. Chiederò di essere nominato santo protettore dei 'gatti pazienti', categoria ignorata poiché risultano essere una minoranza insignificante; tanto limitata che so che alla fine sarò santo protettore di me stesso medesimo.

Comunque, incredibilmente, queste due vicende mi divertono: hanno talmente sbracato che perfino alterarsi sarebbe ira sprecata. Inoltre questi due capolavori di affidabilità non leggeranno queste righe, per cui non potrò vedere le reazioni immediate. So anche che una lettera da un legale li porterebbe a collassarsi, non per la presa visione dell'assurdo comportamento, ma per la sicumera che tra amici queste cose non si fanno. Appunto, tra amici...

martedì 9 febbraio 2021

Cronaca postale

Non so quando morirò, ma so di cosa morirò.
So quale sarà la sindromi assassina che mi rispedirà al creatore, o a chi per lui.
Non morirò di tumore, che oggi è quello che, tra le tante malattie, va per la maggiore, appaiata agli incidenti stradali e a quelli sul lavoro.
Non morirò per eccesso di attività sportive: la più spericolata è una camminata sul lungomare o, quando l'adrenalina è alle stelle, sul bagnasciuga, quando il mare è forza -0.
Non morirò per una carie o per un'unghia incarnita...
L'infarto probabilmente sarà il punto finale, provocato a lungo andare da un infame batterio.
So per certo che morirò a causa di un accidenti creato in laboratorio, per il quale pare non esista rimedio.
Le sto provando tutte, neanche Google, che sa tutto e tutto sa, riesce a trovare una cura, un palliativo, un placebo.
Non si tratta di una malattia rara, una delle tante su cui cui non si fa ricerca poiché il gioco non vale la candela.
Che poi, in realtà, molto rara non è.
Mi capita sovente di parlarne con coetanei, incazzati neri o rassegnati, ma anche con giovanotti che, pur avendo davanti teorici decenni di vita, di fronte a questo accidente allargano le braccia, dando per scontata la sconfitta in una tenzone con un solo vincitori, a tavolino, per assoluta mancanza di mezzi di contrasto.
Poste.punto.it è il malanno che, in maniera subdola, strisciante, tenia che disarma l'organismo fino allo spengimento dell'ultimo soffio di vita.
C'è un altro accidente, un 'equivalente' per dirla il termini farmaceutici, che attenta alla mia già malandata salute, ed è Tim.punto.it, del quale parlerò più avanti, dando qui spazio alla più attuale attualità. Con Tim.punto.it il problema si è ormai incancrenito, quasi accorpato ai tanti altri accidenti che mi perseguitano.

Salto il periodo, lungo decenni, del rapporto diretto con una persona vivente allo sportello. Se avevi la fortuna di imbroccare un addetto svicio uscivi dall'ufficio con in tasca la felicità.
Vabbè, prima di arrivarci, allo sportello, c'era da affrontare la battaglia del "chi è l'ultimo?", che non sempre filava liscia; ogni volta c'era il tipo, o la tipa, che astutamente si infilava nella coda, vuoi "solo per un'informazione", o per un'urgenza vitale per cui il salto della fila era l'ultimo anelito di vita. Non frequente, quello del "lei non sa chi sono io", che pare fosse il passepartout come diritto acquisito di precedenza.
Il più delle volte l'impiegato da affrontare era un caprone, e se non lo era tale si presentava, magari in 'giornata no' per fattacci suoi, che scaricava sul malcapitato di turno le sue ambasce o le sue evidenti incazzature.
Ma era pur sempre un essere umano che, perlomeno mentalmente, potevi mandare a quel paese o, nei casi più gravi, mandare a morì ammazzato... A voce, ancor meno ad alta voce, era vietato inveire verso il padreterno al di là del bancone: come benefit in aggiunta al non sempre lauto stipendio si ammantavano del titolo di 'pubblico ufficiale', la cui offesa era espressamente prevista nel codice penale. Laddove dare dello stronzo a uno stronzo dava, in via non amichevole, luogo quantomeno a rogne.

La creazione dei computer (sicuramente partorita nel settimo giorno, quello che la bibbia racconta fosse destinato al riposo) aveva diradato le visite all'ufficio postale.
Se era indispensabile l'accesso per operazioni non fattibili sul sito, l'urgenza cadeva irrimediabilmente nei primi giorni del mese, quelli destinati all'erogazione delle pensioni. Il che voleva dire affrontare orde di anziani inviperiti  per le elemosine che andavano a ritirare; quando non lo erano, incazzati, l'incontro in posta era l'occasione per scambiarsi notizie, pettegolezzi, malignità... un cicaleccìo che costringeva la direttora dell'ufficio a richiamare al silenzio il branco, richiesto per ridurre il rischio di errori nei conteggi dell'argent corrisposto; richiami che avevano un effetto immediato, lanciato a persone già convinte che se errore ci fosse stato lo sarebbe a loro scapito.
Comunque con l'avvento del pc (leggasi picì) molte operazioni risultavano sbrogliabili da casa, e era cosa buona.
Il primo impatto, come tutti i primi impatti, non era stato così semplice, un po' per retrogradìa congenita, un po' perché il 'parlare' a un elettrodomestico appariva come un segnale di decadenza mentale; ben diversa dal parlare a un animale domestico che, talvolta, dà l'impressione di capire quello che si vuole comunicare.
Il pc ha un suo linguaggio, se non si è capaci di capire il suo idioma, con la massima precisione, meglio lasciar perdere.
Sulla messaggistica, sull'informazione, sulle letture, su piccoli acquisti niente da dire, è stato un progresso, un'apertura, una finestra, verso un mondo altrimenti limitato da una logistica territoriale o cartacea. Un'alternativa all'informazione televisiva, solitamente legata a questo o quell'interesse.
Per le operazioni finanziarie il sito specifico consente manovre che evitano la costrizione del recarsi agli sportelli bancari.
Certo, è necessario dotarsi di un username (troppo semplice presentarlo come nome/cognome, titolare, utente...), cui è indispensabile abbinare una password (infantile chiamarlo codice d'accesso...) alfanumerica, senza limiti di stesura; e qui la precisione richiesta deve raggiungere vette di perfezione: se è previsto un punto, punto dev'essere, se virgola, virgola sia; altrimenti l'entrata va in default, blocca il proseguimento dell'operazione.
Una volta appresi i rudimenti, memorizzati nome e codici vari, riconosco che anche questo fu cosa buona.
Per l'uso della carta indipendente dal pc era, ed è, necessario abbinare un pin, codice di cinque cifre esclusivamente numeriche.

La sicurezza per Poste.punto.it è oggetto di continue ricerche, in cui l'ente versa buona parte dei suoi utili. Così aveva inventato il LettoreBancoPosta, fornito (gratuitamente) a tutti gli utenti del servizio. Era uno scatolino di 5x8,5x0,5 cm, con una fessura laterale per l'inserimento della carta/plastica nominativa col microchip con i dati del relativo conto.
Per i movimenti in uscita da questo, al nome e al codice per l'accesso al sito sul pc, era necessaria una serie di operazioni, per la creazione di un codice usa-e-getta da inserire in apposita finestra.
Altra buona parte degli utili fu gettata in spot televisivi e sui media cartacei, per reclamizzare e istruire e invogliare l'apertura di conto corrente presso quell'istituto. Inframmezzo, l'invito pressante a memorizzare i codici, a operare lontano da occhi indiscreti, a non perdere, o farsi depredare, la carta e, nel deprecabile caso che ciò avvenisse, provvedere immediatamente al blocco della stessa, procedendo subito alla denuncia presso le autorità di pubblica sicurezza.
Bon, anche questa pillola era andata giù, pur se, a distanza di anni dal suo lancio, ancora oggi (anzi, ieri) non è che l'operazione andasse sempre a buon fine al primo tentativo.
Essere imbranati forse non è una malattia, sicuramente non è una dote...

In barba a tutte queste precauzioni, Poste.punto.it fece la pensata del contactless, che rende i pagamenti più spicci, senza necessità di digitazione del pin, per pagamenti immediati fino a 25 €.
Utile, soprattutto per le persone che non hanno dimestichezza con il sistema, o per coloro con problemi di vista o mancanza di memoria. Inoltre il non dover battere il pin riduce la possibilità di "furto" dello stesso da parte di malintenzionati, che in fatto di nuove tecnologie sono sempre un passo avanti del comune utente, ma anche degli esperti della materia.
Attivati su tutte le carte bancarie come dotazione predefinita, è come avere fra le mani un biglietto da venti più uno da cinque euro, che avrebbero il pregio della vecchia carta moneta per effettuare piccoli pagamenti.
L'idea pare sia ottima, a patto di non perdere, o farsi fregare, la carta.
Poiché, in quel caso, chi la trova in strada o nelle tasche o nelle borse, si trova fra le mani non due biglietti ma una mazzetta intera: un chip aggiuntivo a quello dei dati del conto rende noto al mariuolo (che, comunque, tale è chiunque e comunque la trovi, nel caso la usasse per illeciti prelievi) che può spendere e spandere fino a 600 €, purché sia veloce e già predisposto allo spendacciare. La cifra non è eclatante, comunque equivale a una pensione minima media; a parte il fatto che oggi anche pochi centesimi sono denaro...
Che poi, avuto sentore dei miei motivati dubbi sull'opportunità di questa forma di pagamento, BancoPosta ha deciso di modificare l'importo portandolo a 50 €: quella che si dice pronta risposta ai bisogni impellenti dei correntisti... Le Poste Italiane non sono Mamma che, si sa, è una sola ed è mamma Rai, ma sono un'ottima zia, da affiancare alla matrigna Tim: tra le tre non saprei chi mettere al primo posto sul podio dei 'migliori'.
C'è la possibilità di disattivare quella dote, mantenendo la seccatura della battitura del pin; cosa fatta, senza pentimenti, col solo disagio di avvisare il commerciante al momento del pagamento. Avviso regolarmente ignorato, in quanto a lui fa fede il loghetto appresso il chip, per cui prima di inserire la carta la struscia sul lettore che, essendo disattivata, resta muto senza provvedere all'accredito; rassegnato infila la carta stessa nell'apposita fessura e, vivaddio, digitando il pin si completa l'acquisto.
Ho sentito dire di gente astuta che, munita di lettore pos portatile, gira con l'aggeggio acceso per posti affollati (poste, mercati, supermercati, nei giardini... quando era lecito fossero affollati), strusciano le persone catturandone l'accredito in automatico, senza muovere un dito e facendo nel contempo la spesa... a spese di terzi sconosciuti, che mai verranno a sapere da chi sono stati rapinati.

Passarono gli anni, gli stessi necessari a mettere insieme tutti i passaggi indispensabili alla manovrabilità dei propri pochi denari liquidi. Giusto il tempo di rilassarmi, addirittura per spacciarmi per esperto con altri più lenti o meno apprendenti o più mentalmente pelandroni, e Poste fa un'altra bella pensata.
Preso atto che tutti, e dicendo tutti non intendo un tutti limitativo, penso a un tutti 100%, compresi anziani rincitrulliti (il riferimento è puramente casuale, ma dovuto), suore, lattanti, puerpere, dentisti, operatori (superfluo fare dei distinguo, ormai chiunque non abbia un titolo da anteporre al proprio cognome segna "operatore"; sta alla specializzazione scelta far seguire ... scolastico, ecologico, ambulante, ecclesiastico, cassintegrato, percettore-di, e via andare), ecc., dicevo tutti abbiano un cellulare, nelle varie sue formulazioni.
Che tutti, idem quanto prima, su questi cellulari sappiano far danzare i polpastrelli delle dita...
Che per tutti, bis-idem, questi cellulari siano ormai una propaggine diretta dei propri corpi (quanto a questo i pensatori di Poste non sono molto lontani dalla realtà, visto l'uso permanente che se ne fa), tanto da essere inscindibili da questi; solo con un'amputazione sarebbe possibile farli posare o spengere. Non si posa una mano, un occhio, un orecchio o una milza sul tavolino per dedicarsi esclusivamente ad altro con gli organi rimanenti, tanto meno si ritiene opportuno ogni tanto spegnerli... Salvo incidenti talmente gravi da rendere obbligatorie queste operazioni.
E allora perché non affidare a questa nuova parte del corpo la gestione diretta e assoluta dei propri risparmi? Altre utilità veramente pratiche non ne avrebbero (sono sempre quei pensatori ad averlo rilevato), visto che per secoli di questa terza mano ne aveva fatto a meno senza che lo sviluppo dell'umanità subisse rallentamenti. Ma, forse, qui mi sbaglio: è chiaro che all'homo sapiens, nonostante per il suo sviluppo siano stati necessari un'eternità di anni, qualcosa mancava, forse un arto o forse un senso: il cellulare ha, in effetti, riempito un vuoto evolutivo che sembrava incolmabile.
Dunque, le menti eccelse di Poste, forti di questa convinzione hanno deciso di affidare a questa nuova propaggine umana l'accesso, non prioritario bensì assoluto, alla gestione dei propri conti via web. Così si potrebbe avere un computer tipo quelli della Nasa, di una generazione, di una capacità e velocità che quelle del suono o della luce siano lumache claudicanti... ma se non hai un cellulare sei, come si dice in dialetto patois, fottuto.
Se questo piccolo elettrodomestico viene smarrito o viene sottratto, ci si trova nella stessa situazione descritta dall'aggettivo verbale testé citato. 

L'uso del mezzo prevede intanto l'installazione sullo stesso di una app (che ritenevo fosse un'abbreviazione di 'applicazione', smentita da esperti in termini trancianti), che nel suo insieme non presenta particolari difficoltà; ma per il cui accesso successivo è indispensabile superare passaggi vincolati tra loro senza possibilità di errori o posposizioni. 
Per l'ultima volta è entrato in funzione l'obsoleto lettore BancoPosta, con il suo proprio pin, bisogna comunicare al computer il numero di cellulare di appoggio (che in realtà diventa unico ponte di comando per tutte le operazioni via web). Una volta terminate tutte le operazioni, quel lettore può andare in discarica, milioni di lettori (ottici, viene specificato, e meno male, altrimenti i già pochi che della lettura fanno svago sarebbero come inutili pensionati, a carico delle mammelle dello Stato) spediti a una rottamazione tra i rifiuti speciali; a ben vedere milioni e milioni di lire buttati, milioni e milioni di dati incamerati da chissacchì e tenuti in serbo per eventuali altri usi futuri...
È indispensabile creare un nuovo pin, cinque lettere alfanumeriche, specifico per quella app.
Una volta sbrigate tutte le operazioni, se tutte vanno a buon fine, dall'aggeggio sarà possibile visionare i propri dati, il conto, le carte di debito o credito, ricevere segnalazioni su entrate e uscite... a sentire Poste dovrebbe essere possibile procedere a pagamenti tramite bonifico o cartelle esattoriali... Per nulla fiducia non ho mai proceduto a queste ultime operazioni, preferendo effettuarle dal pc fisso, su cui tra l'altro lettere e numeri sono più leggibili, e dalla cui tastiera le possibilità di errore sono parecchio ridotte.
È tutto? No... per niente. 
È solo l'inizio di un'odissea che ogni volta inizia da capo, novella Penelope.

Voglio vedere il mio conto sul computer, sia per una miglior visione che per un più agevole accesso tramite tastiera. Voglio solo controllare il conto, non devo fare operazioni, bonifici, pagamenti, versare cartelle esattoriali, bollo auto o bollettini postali... Solo vedere.
Chiamo il sito, chiedo l'accesso al conto, inserisco le credenziali (le stesse che da anni mi consentivano la visualizzazione dei fatti miei), username e password. In basso un riquadro arancione che invita, con la confidenza propria degli istituti bancari verso i clienti, ad accedere ai 'tuoi' dati. Ci clicco sopra e viene aperta un'altra finestra, che chiede con quale sistema intendi accedere: autorizzazione tramite app BP o con altro sistema.
In teoria ci sono almeno tre modalità per riuscire a vedere il conto. Illusorie: in realtà l'unico modo di arrivare al dunque è quello di avere a portata di mano il cellulare. Senza questo, non ci sono altri sistemi. È un po' come il detto: 'tutte le strade portano a Roma', il che non è detto, poiché, per esempio, difficilmente in Groenlandia esiste un'indicazione stradale for Rome...
Qui se non si arriva al cellulare, nel conto non si entra.

Il primo: BP manda un bip sul cellulare per inserire una seconda volta le proprie credenziali, confermandole con il secondo pin a suo tempo creato ad hoc. Può succedere che il bip al cellulare non arrivi; in quel caso occorre andare nella bacheca di BP, sempre sul cellulare, e trovare l'avviso per l'accesso. Si compila, come detto, si clicca su 'autorizza' e il gioco è fatto.
Il secondo: per allungare il brodo potrei ripetere quanto appena detto; di riffa o di raffa si arriva al cellulare e, con le operazioni si ottiene il medesimo risultato.
Il terzo: torno indietro di una schermata, alla finestra di prima autenticazione. C'è, sulla destra, un piccolo riquadro, vagamente astratto, con la invitante possibilità di un accesso più veloce a quanto vado cercando. Si tratta del riquadro detto QR, illeggibile a mente umana e che solo quella artificiale avanzata riesce e decodificare; più complesso dei già complicati codici a barre delle ricette sanitarie o dei prodotti confezionati in vendita.
Qui bisogna, sempre dal cellulare, inquadrare il codice QR che, con una velocità ammirevole, rimanda alla stessa finestra dei due metodi precedenti.
Alla fine si ha la possibilità di vedere finalmente il maledetto conto, sia sul computer e che sul cellulare.

Conto cointestato? Ahi ahi ahi!
Succede che tra moglie e marito, tra cui mettere il dito può essere periglioso, esista un conto cointestato, solitamente a firma disgiunta. Il conto è uno, entrate e uscite sono in comune... mai fosse anche in comune la possibilità di accesso da un unico cellulare. Mai, appunto...
Per due cointestatari ci vogliono due cellulari, due pin diversi e personali... per tre, che lo dico a fare, tre cellulari e tre pin...e così via. Senza alcuna possibilità di poter usare il maledetto pin sul cellulare del coniuge: uno vale uno, tutti gli altri son nessuno.

Dicono che si tratta di innovazione che garantisce la sicurezza, per assicurare l'inaccessibilità a terzi felloni di agire in maniera fraudolenta sul proprio conto corrente.
Fatto sta che, in sostanza, se non si ha uno smartphone o un i-phone, il conto online te lo puoi scordare. D'altra parte, in qualche modo bisogna pur dare qualcosa da fare ai circa quarantamila uffici postali seminati su tutto lo Stivale... Che poi anche l'accesso a questi sia reso difficoltoso da periodi di elargizione delle pensioni, da limitazioni dovute a un virus, da carteggi burocratici le cui scadenze portano greggi di persone ad ammucchiarsi in locali non sempre vasti e arieggiati... è tutto un altro discorso.
Che lo smarrimento, o il prelievo manolesta, tolgano ogni possibilità di accesso ai fatti tuoi non è neanche preso in considerazione.
Tanto, dovesse succedere, che ce vò: basta recarsi in una caserma abilitata alla raccolta delle denunce, raccontare a un appuntato già smagato da altre precedenti, come 'pensi' siano andate le cose, ritirare la copia della deposizione debitamente timbrata e firmata, recarsi all'ufficio postale e ricominciare una trafila di autorizzazioni; ricordando, prima di tutto ciò, di chiamare il numero appositamente dedicato per bloccare tutto l'apparato postale di immediato interesse.
Quanto sopra non per esperienza diretta riferita al cellulare, ma in base a uno smarrimento (forse) di una carta di debito postale: il piatto forte resta quello del blocco immediato di tutto... per il poi bisogna affidarsi al buon cuore (non oso dire alla competenza per non provocare scioperi di protesta sindacale) dell'addetto nelle cui mani affidi il tuo futuro bancario.
In passato avevo dei dubbi sulla capacità di manovra, sia delle carte che del cellulare, pensando ai ladri antichi, assolutamente selvaggi in fatto di tecnologie, ai quali assegnavo il dono di una mano delicata nel prelievo da tasche o borse dei loro mezzi di sostentamento; quelli più arditi arrivavano al piede di porco per scassare porte o finestre e penetrare nelle abitazioni... Mai avrei pensato che quelli attuali arrivassero a una conoscenza tecnologica così avanzata da lasciare a bocca aperta. Gli ingenui come me.
Probabilmente li ho sempre misurati col mio metro, che all'ignoranza della materia spesso abbina una dabbenaggine degna di un po'... non lo dico, per un residuo senso di autorispetto.