mercoledì 21 settembre 2022

Un commento per due letture

Avevo visto la 'promo' di questo libro da qualche parte, forse su Facebook o forse direttamente su Amazon, mentre ordinavo un altro testo.
Confesso che non sono molto amante della poesia, non quella in volume, in cui il poeta riversa il suo spirito, le sue sensazioni, i suoi sogni, seguendo un filone da cui difficilmente scantona. Ad esempio, leggendo Foscolo o Leopardi sarà raro riuscire a trovare qualche virgola che non trasudi una visione cupa di tutto il creato. Preferisco, anche di questi, la poesia tronca, fine a se stessa, separata da tutto il resto.
In un primo momento, vedendo la copertina e il titolo di Faccio bei sogni - Dieci anni dopo, avevo pensato a una raccolta di poesie e la cosa non mi aveva eccitato più di tanto. Il bimbo in copertina, il palloncino verso il cielo blu, l'invito del titolo e l'occhiello di apertura  mi avevano fatto ritenere, appunto, che di poesie si trattasse.
Però, conoscendo il modo di scrivere di Gramellini, avevo messo da parte il dubbio ed avevo acquistato il libro, direttamente su Amazon. Come da qualche anno, ho preferito il testo su e-book: veloce la ricezione, più comodo, più portatile, più pratico nella lettura, senza necessità di segnalibri per ricordare il punto preciso di sosta. E, alla lunga, più economico; che, per un malato di lettura congenito quale sono, ha un suo buon peso.
Non ci avevo messo molto a rendermi conto che non di una raccolta di poesie si trattava, ma di un romanzo a tutto tondo, come peraltro segnalato in copertina e a cui non avevo dato peso. 
Un romanzo che sa molto di autobiografia, con l'uso stabile della prima persona e lo svisceramento di sensazioni intime che portano, appunto, a ritenerlo una forma di confessione di una parte della vita dell'Autore.
In tutto il testo è immanente la figura della madre, persa in un'età che lascia in un adolescente una traccia dolorosa, una ferita, difficili da ignorare. Non ci sono "bei sogni" nella vita del protagonista, anzi i sogni finiscono per essere trasferiti nel suo quotidiano, con ombre del passato che continuano a scorrere, insistenti soprattutto sui momenti più tragici della sua esistenza, nel suo vivere appena post infantile.
Lacrime, nel testo, non ce ne sono molte visto il genere trattato. E quelle poche sono ammantate da un'ironia appena velata, quella che rende la sofferenza ancora più dolorosa, nel vano tentativo di soffocare l'urlo di protesta verso un mondo crudele e cattivo e indifferente.
Mi ha commosso, questo romanzo, per le molte affinità ivi riscontrate con quella che fu la mia vita, in particolare quella parte precedente la maturità; che è ancora da venire... è il Godot che mi perseguita.
Non credo che l'Autore, che apprezzo in particolare proprio per la vena solitamente ironica dei suoi interventi giornalistici, abbia bisogno di questo mio modesto commento per incrementare la diffusione di questa sua opera. Per cui, senza scopo di lucro, posso dire apertamente che è un bel romanzo, che merita la lettura, e che l'amarognolo che lascia nel lettore è dovuto esclusivamente al fatto di trovarsi coinvolto in una vicenda così intima da risultare specchio di tante inquietudini che si preferisce tenere segrete nel timore di giudizi negativi. Che non si è sempre pronti ad accettare.

Finita la lettura avevo, alla voce "recensioni" dato  un parere più che positivo, direi entusiasta; con poche parole (ebbene, sì, ero riuscito ad essere conciso!). Poi l'occhio era scivolato a "Dello stesso autore" e avevo appreso dell'esistenza di un "Fai bei sogni" che aveva preceduto quello di cui ho appena detto. Dieci anni prima...
In fatto di libri non tentenno, per cui l'ho subito ordinato, sulla base del fatto innegabile che se questo 'secondo' testo mi aveva emozionato, quanto meno dal 'primo' avrei ricevuto la stessa goduria.
Ed ecco il commento a quest'altro:


Ho visto la 'promo' di questo libro su Amazon, mentre commentavo "Fai bei sogni - Dieci anni dopo".
Confesso che non sono molto amante della poesia, non quella in volume, in cui il poeta riversa il suo spirito, le sue sensazioni, i suoi sogni, seguendo un filone da cui difficilmente scantona. Ad esempio, leggendo Foscolo o Leopardi sarà raro riuscire a trovare qualche virgola che non trasudi una visione cupa di tutto il creato. Preferisco, anche di questi, la poesia tronca, fine a se stessa, separata da tutto il resto.
In un primo momento, vedendo la copertina e il titolo di Faccio bei sogni, avevo pensato a una raccolta di poesie e la cosa non mi aveva eccitato più di tanto. Il bimbo in copertina, il palloncino verso il cielo blu, l'invito del titolo mi avevano fatto ritenere, appunto, che di poesie si trattasse.
Però, conoscendo il modo di scrivere di Gramellini, avevo messo da parte il dubbio ed avevo acquistato il libro, direttamente su Amazon. Come da qualche anno, ho preferito il testo su e-book: veloce la ricezione, più comodo, più portatile, più pratico nella lettura, senza necessità di segnalibri per ricordare il punto preciso di sosta. E, alla lunga, più economico; che, per un malato di lettura congenito quale sono, ha un suo buon peso.
Non ci avevo messo molto a rendermi conto che non di una raccolta di poesie si trattava, ma di un romanzo a tutto tondo, come peraltro segnalato in copertina e a cui non avevo dato peso. 
Un romanzo che sa molto di autobiografia, con l'uso stabile della prima persona e lo svisceramento di sensazioni intime che portano, appunto, a ritenerlo una forma di confessione di una parte della vita dell'Autore.
In tutto il testo è immanente la figura della madre, persa in un'età che lascia in un adolescente una traccia dolorosa, una ferita, difficili da ignorare. Non ci sono "bei sogni" nella vita del protagonista, anzi i sogni finiscono per essere trasferiti nel suo quotidiano, con ombre del passato che continuano a scorrere, insistenti soprattutto sui momenti più tragici della sua esistenza, nel suo vivere appena post infantile.
Lacrime, nel testo, non ce ne sono molte visto il genere trattato. E quelle poche sono ammantate da un'ironia appena velata, quella che rende la sofferenza ancora più dolorosa, nel vano tentativo di soffocare l'urlo di protesta verso un mondo crudele e cattivo e indifferente.
Mi ha commosso, questo romanzo, per le molte affinità ivi riscontrate con quella che fu la mia vita, in particolare quella parte precedente la maturità; che è ancora da venire... è il Godot che mi perseguita.
Non credo che l'Autore, che apprezzo in particolare proprio per la vena solitamente ironica dei suoi interventi giornalistici, abbia bisogno di questo mio modesto commento per incrementare la diffusione di questa sua opera. Per cui, senza scopo di lucro, posso dire apertamente che è un bel romanzo, che merita la lettura, e che l'amarognolo che lascia nel lettore è dovuto esclusivamente al fatto di trovarsi coinvolto in una vicenda così intima da risultare specchio di tante inquietudini che si preferisce tenere segrete nel timore di giudizi negativi. Che non si è sempre pronti ad accettare.

Chi amabilmente mi segue avrà avuto un sussulto, un certo disappunto, un commento tipo "Povero gatto, purtroppo è alla frutta, era tanto bravino ma l'età comincia a farsi sentire".
Che è lo stesso disappunto che ho provato io alla lettura di questo primo/secondo libro sull'augurio di fare bei sogni. Fino dall'inizio del primo capitolo, esteso poi alla ri-lettura di tutto il libro alla ricerca di qualcosa che ne dicesse la singolarità. 
Intanto il copia/incolla dei due miei commenti giustifica il titolo di questo post "Un commento per due letture", affatto casuale.
In effetti nella lettura dei due libri non c'è un prequel o un sequel: "Dieci anni dopo" è un reboot di "Fai bei sogni", detto più terra-terra un testo talqual. Ancora più terra-terra, di un copia/incolla che mi ha lasciato perplesso, né più né meno del disappunto suscitato dal mio commento a entrambi.
Salvo leggeri aggiustamenti, travasi da un capitolo all'altro, termini cambiati dal singolare al plurale, qua e là tagli di qualche capoverso... l'accorpamento di due capitoli che hanno fatto sì che il "Fai bei sogni" primigenio chiudesse al 33° capitolo, mentre al "Dieci anni dopo" la simiglianza cessasse al 32°. Ridiventando 33 con l'aggiunta di un nuovo capitolo e dell'epilogo a chiudere. Non meno piacevolmente godibili di quanto sarebbe stata la lettura di uno soltanto dei due testi.
Conclusione: chi avesse perso il primo non lo stia a prendere, legga solo il secondo. Chi ha letto il primo non stia a prendere il secondo: vada in libreria, legga a sbafo il 30° capitolo e il prologo e la soddisfazione sarà la stessa. Entrambi, letti singolarmente non richiedono il supporto l'uno dell'altro, né la degustazione ne uscirà falsata. 

sabato 10 settembre 2022

Ricordando dieci anni or sono

Non che il passato fosse migliore del presente, ma in questo presente è necessario distaccare ogni tanto la spina, raccogliendo dal passato qualche attimo di non-pensiero, concedendosi il lusso di un'assenza mentale, poiché a strizzare troppo il cervello questo, alla lunga, potrebbe stroppiare.

... e il naufragar m'è dolce in questo mare (non sempre)

... e mi son preso una secchiata mica male

Un po' di riposo, in effetti, ci poteva stare

Non solo computer, anche faccende di casa

Avevo toccato una presa... non avrei dovuto

Ero quasi andato... anzi fuso

Non mi restava che pregare...

... li avevo pregati tutti, senza riscontri

Avevo iniziato a preoccuparmi

Per giorni a bagno, sperando che nessuno tirasse lo sciacquone

Appunto, solo questo chiedevo...

Ero schiacciato da un peso un po' strano

Alla fine un po' di luce

Beh, per come tira il vento...

In generale, a chi lo merita... e non sono pochi.

sabato 3 settembre 2022

Cronaca della serie "oggi ci siamo, domani chissà"

Parlare di gas di questi tempi non è un discorrere originale.
Ne parlano tutti, ne parliamo tutti. 
Fino a ieri in fila alla posta, nell'anticamera del medico, in coda alla farmacia, gli 'attacca bottone' più gettonati erano il tempo, la pandemia, la guerra, la politica: da un po' si attacca bottone parlando di bollette, di quella del gas in particolare. Seguiamo le oscillazioni della Borsa ad Amsterdam, il prezzo del gas sale e le bollette seguono a ruota; il prezzo a megawattora scende ma le bollette restano invariate; sappiamo le quotazioni di mercato, quando a malapena conosciamo i metri cubi dei nostri consumi medi. Delle bollette ci interessa la cifra da pagare, il resto, per noi ignoranti, è fuffa. 
È il mercato dell'economia, quella cosa oscura di cui si capisce poco/niente all'ingrosso, ma quel poco è sufficiente a mandare in crisi Paesi interi, mettere in ginocchio continenti adusi ad un'abbondanza, a un 'troppo', che era ritenuto intangibile.

Poi ci sono le fughe. Le fughe di gas. Le senti nell'aria e ti allarmi, non pensi alle bollette, non pensi a quanto quelle fughe peseranno sulle prossime... Non pensi ai Putìn, all'Europa, al grano che manca...
Pensi ad altro: a case sventrate, a palazzi distrutti, a vite spezzate, a vigili del fuoco, ad ambulanze... alle indagini per cercare di capire come e perché questi eventi siano successi. Quando tutto è finito.

Da poco più di una settimana, uscendo al mattino in giardino sentivamo odore di gas. Da dove provenisse l'effluvio non era possibile saperlo, anche perché il fatto strano era che dopo poco spariva, e fino al mattino successivo non c'era più traccia; qualche volta si ripeteva alla sera, con le stesse modalità.
Di primo acchito avevamo pensato a qualche accensione di caldaia, tutte esterne come da disposizione di legge, per via della sicurezza. Avevo sentito, in merito a queste, che nell'attimo prima dell'entrata in funzione della scintilla piezoelettrica, una piccola dose di gas si diffonde nell'aria disperdendosi rapidamente al minimo accenno di brezza.
Avevo accantonato il problema, preso atto che, non sentendone accennare dagli altri condomini, probabilmente sarei stato il solo ad allarmarmi.
Però... ho un brutto difetto: io, a tempo perso, penso. C'è chi dice 'troppo', ma è un vizio congenito, quasi impossibile da svellere.
Quindi: se davvero si fosse trattato di una caldaia difettosa, o di un residuo di fiamma della stessa, avrei dovuto sentire il tipico olezzo da molto tempo prima, forse da sempre, da quando il palazzo si era collegato al metano; se da pochi giorni mi solleticava le narici, pur se in modo così anomalo nei tempi, qualcosa non quadrava. 
Il metano ti dà una mano, dicevano; ma se quella mano ti accarezza va bene, se va giù pesante c'è la possibilità che non il costo della bolletta ti stenda, ma un cumulo di macerie.

Bolletta, numero verde dedicato al pronto intervento; risponde dall'Italia, chiamata registrata per evitare scherzi da prete e individuare eventualmente lo scherzoso che scherzasse, tempo un'ora e il tecnico verrà a verificare.
Tempo un'ora, aveva detto la speaker... Beh, non so i secondi ma il sessantesimo minuto lo aveva spaccato, che manco i treni quando c'era Lui...
Aveva scaricato dal furgone, bianco con un delicato logo sulle portiere a indicare la specialità dell'intervento, un borsone, attrezzature varie, chiavi inglesi.
Nei dintorni il deserto, solo l'essere pensante, già pentito per una richiesta che forse si sarebbe rivelata fasulla.
Si era fatto raccontare come-quando-perché avevo deciso di chiedere la sua consulenza, e aveva subito iniziato ad operare. Dal mio contatore.
Dopo averlo annusato tutto intorno con una specie di sondino metallico collegato a una scatola nera dotata di un piccolo monitor e una fila di led lampeggianti, lo aveva letteralmente sventrato, aveva infilato un tubicino di gomma nelle due aperture create e aveva letto i dati ricevuti da quell'assaggio.
L'aggeggio si era messo a pigolare furiosamente... speravo fosse un segnale di 'negativo', e non osavo chiedere nel timore di avere una risposta inversa. 
Un po' come quando si fa un ecocolordoppler e l'apparecchio continua ad ansimare seguendo il flusso sanguigno, e viene da pensare alla prossima fine; poi il medico posa il sensore e dice che tutto va bene, premurandosi di precisare che tutto va quasi bene, che bisogna smettere intanto di fumare, di mangiare grassi (saturi, in particolare, ma anche con gli insaturi è meglio andarci cauti; e subito pensi a google che, paternamente, ti chiarirà le differenze), la necessità di fare almeno un po' di esercizio fisico...

Si era fatta quasi ora di pranzo, e aveva chiesto di spegnere tutte le manopole del gas. Avevamo chiuso quelle della cucina che, in effetti, erano in funzione. La caldaietta era già spenta dalla primavera scorsa; col fatto che abbiamo i pannelli solari per l'acqua calda, questa fa da supporto solo nei cambi di stagione inverno/primavera ed estate/autunno. L'autunno e l'inverno sono bene coperti dal termocamino, sia per l'acqua calda che per il riscaldamento.
Diagnosi definitiva: c'era una perdita a valle del contatore, per cui era necessario chiuderlo, sigillarlo e provvedere all'individuazione della perdita. No, lui non poteva andare oltre; se la perdita fosse stata dal contatore o a monte di questo il suo intervento sarebbe stato immediato. Così, invece, dovevamo contattare un tecnico che avrebbe provveduto a trovare e riparare la dispersione. Però, attenzione, non un idraulico sciuè-sciuè: doveva essere abilitato a intervenire, poiché in seguito avrebbe dovuto compilare i moduli richiesti per la riattivazione dell'impianto; e ai moduli doveva allegare i dati dell'impresa, sì da consentire la validazione dell'attività.
Avevo avuto fortuna: la pasta e ceci per il pranzo era già fatta, per il secondo due fettine abbrustolite nel fornetto elettrico, insalata verde e pomodori, uva. Per la sera, un paio di pizze avrebbero salvato anche la serata; neanche da andare lontano, visto che la pizzeria è nel palazzo...
Avevo tentato di convincerlo che, se perdita era, doveva trattarsi di cosa minimissima, visto che le bollette del gas, le mie bollette, sono costantemente basse, compresi gli ultimi bimestri, causa per altri di alti lai e qualche imprecazione. Avevo avanzato l'ipotesi di non usare il gas e nel pomeriggio stesso avrei provveduto alla sistemazione dell'impianto.
Niente da fare, aveva mandato immagini dal tablet e dal cellulare, con il rapporto di quanto effettuato. 
Non avevo chiesto il suo nome, ma avevo tirato a indovinare: Eligio, sono sicuro che si chiamasse. 
Anzi, È-ligio.

Non doveva essere giornata: anche il contatore della pizzeria, adiacente al mio, disperdeva gas. Il blocco del contatore avrebbe costretto l'esercizio alla chiusura, e non è alle mie pizze che pensavo, ma al danno economico che ne sarebbe derivato al ristorante.
Nel frattempo, spuntato dal nulla, si era formato un capannello. Il caso mio, ormai, era chiuso, ma tra titolare dell'esercizio, suo padre, gestori del locale, qualche cameriere, i vicini, tutti a invocare da È-ligio una mano sul cuore, a proporre quello che già avevo proposto per me: niente da fare. Lo avevano implorato quasi a mani giunte, non mi stupirei che avessero pure tentato di corromperlo... Era stato inflessibile: chiuso e sigillato, senza pietà.

Tra gli astanti c'era stato uno scambio di informazioni in merito agli olezzi di gas percepiti. 
Due donne, una anziana e chiaramente suonata, l'altra mentalmente giovane, direi letteralmente infantile, che come riempitivo delle giornate chiacchierano per ore da un balcone all'altro (casualmente proprio sullo spiazzo dei contatori), si erano fatte sfuggire che l'odore del gas lo sentivano dall'inverno scorso; la giovane, che parcheggiava davanti ai contatori, ogni volta che prendeva o lasciava la vettura era infastidita da quel puzzo. Da quasi un anno, le due linguacciute avevano sentito odore di gas e, anziché dare l'allarme, lo avevano ritenuto, che so, peto di piccioni o gabbiani...
(Qui, il narrante è costretto ad autocensurarsi: gli insulti, le offese, quasi le mani addosso, non sono riportabili in un blog che della moderazione ha fatto virtù precipua. Ma il tragico è che, nonostante le sue benedizioni, le due avevano continuato a sorridergli e raccontare della loro imbecillità, forse divertite da quelle sue uscite estemporanee: o a lui o a loro manca, evidentemente, qualcosa).

Di fronte, al di là di un piccolo parcheggio per due vetture, c'erano altri due contatori, di una bifamiliare adiacente il nostro palazzo; nella quale abita anche la donna quasi giovane, testè malmenata. Da uno dei due impianti fuoriusciva gas. Però a monte del contatore, per cui È-ligio era intervenuto a sanare il danno.
Aveva dato le dritte per ottenere la riapertura degli impianti: visita del tecnico (abilitato, mi raccomando), riparazione, compilazione delle carte. Avendo queste in mano, chiamare lo stesso numero verde, dare le informazioni richieste e... o lui o un altro, sarebbero intervenuti a dissequestrare i due peccatori.
Pur condividendo l'ambascia dei ristoratori, ciascuno avrebbe dovuto pensare per proprio conto alla sistemazione della vicenda, al meglio e nel più breve tempo possibile. Così, già nel pomeriggio mi ero subito dato da fare: avevo chiesto a colui che a suo tempo aveva fatto l'impianto di conduzione del gas al domicilio, di venire appena possibile a risolvere il problema. Aveva mandato immediatamente un suo operaio, che aveva individuato la perdita, riparata con un paio di giri di chiave a pappagallo. Era nel collegamento alla caldaietta, dove, a causa forse del caldo o dell'inutilizzo, una stramaledetta guarnizione di gomma si era ammosciata, allentando il bullone di tenuta.
In serata avevano compilato le carte, l'indomani ero andato a ritirarle direttamente nell'ufficio, poiché tra l'altro, era indispensabile presentare gli originali.
Avute le carte, avevo chiamato il numero verde memorizzato, risponde dall'Italia ecc. e... no, signore, questo numero vale per il pronto intervento, per la riattivazione deve chiamare quest'altro numero, sempre verde. Fatto: risponde dalla Bulgaria, nome/cognome del titolare dell'impianto, dati del tecnico che ha provveduto alla riparazione, ha tutte le carte? Bene, entro 24 o 48 ore verranno a togliere i sigilli e a riattivare la fornitura; buongiorno.
Vista la precisione del primo intervento, ci eravamo attrezzati per affrontare tutte le 48 ore di no-gas. 
Il mattino successivo, invece, verso le otto e qualcosa, aveva chiamato il tecnico per avere le dritte per arrivare da noi. Dopo mezz'ora era arrivato. Solito furgone bianco, stessa dotazione di arnesi. Si era diretto verso i contatori con me appresso, per indicargli quale fosse da riattivare; e... c'era puzza di gas.
Glielo avevo fatto notare e lui: eh, un po' rimane sempre.
Un-po'-rimane-sempre? Uno sano, due bloccati alla fonte e... 'un po' rimane sempre'? Dopo quasi tre giorni di quarantena?
Devo smettere di pensare...
Non aveva chiesto, come pensavo, le carte prima di intervenire; era andato dritto al contatore, aveva strappato i sigilli, aveva scattato fotografie, aveva fatto le prove col sondino termometrico e solo dopo aveva preso visione delle scartoffie: altre foto, foglio per foglio, firme sul tablet (che se mai venissero sovrapposte per verificarne la simigliarietà, darebbero un mosaico pompeiano che solo un bravo egittologo saprebbe interpretare)... Le carte in cartella, grazie e buongiorno.

Ero a posto. Almeno spero.
Il ristorante, evidentemente, aveva avuto problemi a trovare il tecnico riparatore, per cui la riattivazione era arrivata il giorno successivo. Ma avevano continuato a cucinare, forse ricorrendo a una bombola, dopo aver cambiato gli ugelli della cucina.

Tre contatori, su cinque, puzzolenti: una bella media, in vista di una possibile esplosione.