sabato 29 aprile 2023

Argomento sempre attuale

ODE AI CAMBIATORI DI CASACCA

Ma sono solo io a vedere il cambio di casacca tra parlamentari come atto immoralmente ignobile?
Dice: una persona può rendersi conto a un certo punto del cammino di avere sbagliato strada... 
Benissimo, la libertà è una conquista che coinvolge tutti e tutti rende liberi...

Ma se hai sbagliato strada, devi avere il pudore di tornare indietro e riprenderla dall'inizio. Da quando sei stato votato, da quando hai intortato i tuoi elettori elargendo pillole di una ideologia, o comunque di un programma, che i tuoi elettori hanno recepito come rispondente a quanto da essi desiato.
Se a metà, o anche prima, del percorso politico intrapreso, ti rendi conto di avere sbagliato, caro onorevole, devi lasciare la poltrona, tornare nell'uovo come pulcino bagnato, poiché non stai tradendo il tuo partito, stai 'introiettando' le migliaia di persone che ti hanno votato. 
È ignobilmente immorale che tu, spostando le tue preziose terga da un settore all'altro, cambiando casacca, accettando un nuovo contratto che solo tu accetti e sottoscrivi, possa mantenere inalterato il tuo trattamento pecuniario e i benefici ad esso connessi. 
Se hai un minimo di onestà mentale devi chiedere a chi a suo tempo ti ha votato se concorda con il cambiamento che proponi; e se è d'accordo, saranno questi a darti l'OK per il cambio.
Altrimenti, che tu sia camaleonte di sinistra, di destra, di centro e di macedonia, il tuo comportamento oltre che immorale è pure disonesto.


mercoledì 5 aprile 2023

Oltre una notizia di cronaca

"Ragazza cade dal balcone di una palazzina", questo il titolo di una comune notizia di cronaca, seguito dalla sintetica descrizione di quanto accaduto. Vaga, poiché le notizie definitive sono ancora frammentarie, per un fatto successo un paio di giorni fa.

Succede, si dice. 
Ma quando succede sotto casa propria è un 'succede' che non era previsto succedesse.
Una ragazza cade dal balcone del piano di sopra, pochi metri, al di sotto dei quali terra bagnata, che attutisce il botto della caduta. Un cagnolino abbaia furiosamente, i gatti in giardino che corrono come impazziti, spaventati non si sa da cosa.
Una donna, abitante col marito nell'appartamento sottostante, cercando di capire cosa stesse succedendo, si è affacciata e ha visto qualcosa, uno straccio, un vestito, adagiato sul terreno. Succede sovente che, malamente stesi, indumenti cadessero in quel giardinetto...
Ma stavolta dentro al vestito c'era una persona, una ragazzina poco più che quindicenne; riversa nel prato, appoggiata al fianco sinistro, il viso rivolto verso terra, gli occhi chiusi, chiaramente incosciente.
Alle grida di allarme della donna, il marito, in assenza di altra entrata a quel sito, era saltato dal suo terrazzino, non molto alto, circa un metro e mezzo, ma che la sua età ne aveva reso ardua la scesa; non sapeva nulla di primo soccorso, durante una vita affatto breve non gli era mai successo di dover intervenire in un tentativo di salvataggio, nulla che lo potesse aiutare, a parte i "sentito e visto" televisivi. 
Il suo primo pensiero non era stato che fosse viva o che non lo fosse più: intanto aveva pensato ad allontanare il viso dalla terra, l'aveva con delicatezza messa supina, e aveva pensato che potesse prendere freddo; infatti sia la maglia della salute, e un'altra maglietta, che il pantalone di quello che sembrava un pigiama, nella caduta le avevano lasciato scoperto l'addome. Con una pioggerellina costante e raffiche di vento gelido, era stato proprio il pensiero che questa poco più che bambina potesse prendere freddo, viva o meno che fosse, che lo aveva spinto a chiedere alla moglie delle coperte e un cuscino da metterle sotto la testa...
Mentre le picchiettava sulle gote nel tentativo di rianimarla, aveva lanciato grida disperate, con tutto il fiato che aveva in gola; in questi casi non c'è fumo di sigaretta che tenga, urlare a squarciagola, ripetendo il richiamo, chiedendo aiuto... che era rimasto senza risposta per quasi mezz'ora. 
Maledetti doppi vetri?... Non riusciva a credere che si trattasse di indifferenza elevata a potenza. Sarebbe stato da criminali.
Occhi chiusi, palpebre tremolanti, il gargarozzo che si muoveva, un respiro appena percettibile, facevano ritenere che fosse ancora in vita. L'uomo non conosceva altri modi per risvegliare un'incosciente, o forse l'agitazione glieli aveva fatti dimenticare: buffetti sulle guance, tenerle la mano nelle mani. Che era fredda, la sua, ma piano piano stava riprendendo calore dalle sue... ma senza altre reazioni apparenti.
Poi era arrivata gente, qualche decina di persone, che stavano affacciate dal terrazzino, chiedendo, commentando; altre se ne stavano appoggiate alla cancellata che delimita la strada soprastante. A nessuno era venuto in mente di saltare giù per dare una mano a scaldare, a tentare qualcosa in attesa dei soccorsi ufficiali... poi qualcuno, alla buon'ora, aveva chiamato il 118, un altro aveva rintracciato la madre della ragazza, una movimentazione che aveva dell'incredibile a fronte del silenzio assoluto alle urla precedenti.
All'arrivo dell'ambulanza... gli occhi della ragazza si erano aperti, ma restando fissi in un vuoto da buco nero. Portata al nosocomio provinciale, circa 140 chilometri, con un posto di primo intervento a un paio di chilometri... È la sanità locale che dimostra ancora una volta la propria (in)efficienza.
Erano arrivati anche i carabinieri, avevano preso atto di quanto presumibilmente accaduto, avevano relazionato su quanto erano riusciti a raccogliere, tempi e modalità del ritrovamento, e... buonanotte.
In serata la ragazza si era risvegliata, dando l'impressione che tutto fosse a posto, perlomeno a livello di fisicità. 
Solo lei, se lo vorrà, potrà dire cosa sia successo, se incidente o evento voluto, cercato...
Questa la cronaca, nuda e cruda. E questa cronaca è presentata in terza persona, come da prassi, a indicare un distacco formale dai fatti.

I sentimenti successivi, invece, li voglio esporre con la prima persona, visto che di quel fatto sono stato involontario, tremante, protagonista.
Dietro il freddo del racconto ci sono punti che mi fanno agitare più dell'intervento effettuato. 
Come primo (e unico per oltre mezz'ora) soccorritore ho prestato i primi soccorsi (per carità di patria, chiamiamoli così) chiedendo alla ragazza di svegliarsi, picchiettandole le guance, fissandole il viso in cerca di una reazione qualunque fosse, scaldandole la mano sperando in una stretta di ricambio...
Delle urla di richiamo ho detto; ribadisco che preferisco pensare ai doppi vetri delle abitazioni che ad altro. Anche se il successivo arrivo, quasi in combinata, di tante persone mi lascia il dubbio che il passaparola abbia avuto più effetto delle mie urla.
Non sapevo come si chiamasse la ragazza. Pur abitando al piano sotto il suo, pur avendola incrociata sulle scale un sacco di volte, con un sorriso e un ciao ricambiati a ogni casuale incontro... non sapevo il suo nome. Non avevo mai avuto modo di chiederglielo, sia perché non c'era motivo, sia come reazione (probabilmente inconscia) ad evitare un contatto che, con l'aria che tira di caccia alle streghe, avrebbe potuto essere interpretato come molestia.
Anche perché i nostri rapporti con i suoi genitori non sono mai stati idilliaci: l'ancestrale conflitto tra chi, in un palazzo, abita al piano di sopra e si comporta poco civilmente, e chi, al piano di sotto, è costretto a subire la mala educazione di chi sta più in alto. La stesura di panni grondanti, malamente stesi e lasciati al sole e alle piogge per giorni, che regolarmente cadevano nel nostro giardino,  il lavaggio del terrazzo con acqua corrente indirizzata verso il basso con la scopa, oggetti vari lanciati di sotto, grida e rumori esasperanti nelle ore più strane del giorno e della notte... 
Ai primi tentativi per chiarire i nostri rapporti, avevano avuto una reazione talmente violenta che avevamo rinunciato. All'inizio, circa due anni fa, il fatto che fossero stranieri ci aveva spinto ad offrire una collaborazione particolare, sì da renderli meno soli in una contrada affatto benevola nei confronti degli estranei. Ma la loro alcuna civiltà ci aveva costretti al ritiro formale degli ambasciatori.
Il buongiorno/buonasera negli occasionali incontri era rimasto, ma niente più; la ragazza, questa ragazza, invece, non aveva motivo di essere coinvolta in una diatriba tra grandi (grandi più piccoli di lei), per cui il ciao sorridente e reciproco veniva spontaneo.
Ma non era il peggio: nell'ora successiva, molto prima del 118 e dei carabinieri, nessuna delle decine di persone che erano venute ad osservare, tutte abitanti nei dintorni, alcune addirittura dirimpettaie, nessuna sapeva quale fosse il nome di questa ragazza, poco più che bambina.
Una terza cosa mi ha lasciato in bocca un amaro da fiele: nella chiamata al 118 era stato specificato l'accaduto, sintetizzato in "una ragazza è caduta dal balcone", che sottintendeva una gravità che solo un medico avrebbe potuto valutare; sul posto, magari con un intervento più immediato, forse salvavita, viste le sue condizioni. Pare ci fosse solo un'ambulanza medicalizzata, in servizio altrove, per cui si erano presentati due portantini, che, preso atto dell'incoscienza della ragazza, l'avevano caricata su una specie di tavola, fermandone il corpo con una lentezza esasperante. 
Per me, ignorante, dopo una caduta del genere almeno un collare di fermo della cervicale ci sarebbe stato tutto. 
È la nostra sanità, che non è più solo malasanità ma mortasanità. Salvo quando, molto, troppo sovente, gli elisoccorso vengono chiamati anche per un semplice malore, che di solito non richiede neanche un ricovero osservativo...
Bene, di tutta la vicenda, forse conclusa positivamente, non mi interessa tanto se quanto successo sia stato incidente domestico o altro: sono sconvolto dal fatto che una persona, vivente in un consesso ufficialmente 'urbano', in una contrada piccina piccina e quasi picciò, non abbia potuto tentare il risveglio di una ragazzina che forse aspettava solo di sentirsi chiamare per nome per aprire gli occhi e rispondere "ci sono!". 
Da tafazzarsi con un bidone pieno da venti litri, o col battacchio di una campana, tanta è la delusione di un mondo che non è più mondo ma solo fredda, stupida, anacronistica tecnologia.

Ci siamo chiusi a riccio, per difenderci da altri, a loro volta chiusi a riccio. Con gli eventi che, come onde violente di mare, finiranno per scaraventarci sulla spiaggia, rinsecchiti dal sole, inariditi dalla salsedine, avvelenati da acidità reciproche, via via accentuate, come per accelerare la nostra stessa fine. 
  

lunedì 3 aprile 2023

Burocrazia canaglia: 44

Ricordando il passato, ripropongo un pezzullo come passatempo di un tempo piovoso.

Non sono un esperto del gioco del lotto, pertanto ciò che vado a scrivere va preso con beneficio d’inventario.

Un numero singolo, tipo quello citato nel titolo, puntato da solo si dice “ambata”; è da quando ho saputo dell’esistenza di questa fregatura venduta come “gioco” che mi chiedo perché un numero solitario sia definito ambata, divenendo “ambo” quando al single si aggiunge un compagno.

Dopodiché tutto procede con la sequenza progressiva della buona aritmetica: terno, quaterna, cinquina; che è il top della giocata, soprattutto se si vince.
Il mio primo incontro con questo “sport” risale a un accadimento drammatico avvenuto dalle parti di Cuneo (tra l’altro una città a me molto cara) molti, ma veramente molti, anni fa.
Non deve stupire che i numeri da giocare nascano il più delle volte da fatti tragici, avvenimenti eccezionali o da sogni, di solito con defunti che si materializzano “dando i numeri”, non nel senso metaforico della pazzia improvvisa ma fornendo direttamente quei segnetti, che dell’arabo sono l’unica cosa che conosciamo (a parte la Bonino che, non paga dei numeri noti ai comuni mortali, è andata sul loro posto natìo per imparare qualche parola alternativa al politichese nostrano imperante, a malapena oscurato dal parlare forbito di recenti neonati movimenti).
I numeri su quanto successo in quell’occasione non li avevo elaborati di persona (allora ne capivo una beneamata cippa di ‘ste cose, adesso invece… pure); li avevo ricevuti da un’esperta, che mi aveva garantito la vincita, purché li avessi giocati per almeno tre volte.
Detto-fatto, mi ero presentato in ricevitoria (un bugigattolo, poco più che un sottoscala, fiocamente illuminato, una specie di antro, con uno stretto banconcino dietro il quale stazionava una befana, con naso adunco e occhi grifagni; da allora, pensando o parlando di Fisco, ne abbìno l’ipotetica sua figura a quella di questa megera, in ciò confortato da tutte le caricature satiriche che ancora meglio lo descrivono), avevo esposto i miei numeri, la ‘personcina’ li aveva scritti a mano su una sottile strisciolina di carta verdognola…
“Su quale ruota?”.
“Cuneo”.
“Non esiste una ruota su Cuneo”.
Allora non ero sboccato come adesso (lo sono un pochino oggi, per adeguarmi al parlare quotidiano), ma sono certo che avrò pensato “Cazzo!”, come rafforzativo al disappunto per una notizia inattesa, di quelle che tagliano da subito le gambe a una prospettiva di gioco vincente.
Che allora sarebbe pure stata espressione originale, visto che  i vocabolari del tempo non la riportavano; a malapena questi, e  neanche tutti, citavano “Pene”, senza allargarsi più di tanto: organo di riproduzione maschile. Punto.
Una breve ricerca su alcuni di quelli in mio possesso, mi porta a scoprire che in uno del 1936 e in un altro del 1965, quel termine non compare. Figuriamoci “cazzo”…
Per curiosità, cercando il suo contrapposto fisico, alla voce “Vagìna” ho trovato, su quello del ’36: “in anat. Vagìna si usa a significare il canale che conduce all’Utero”; quello del ’65 è più esplicito: “Guaìna, fodero; tegumento (citando poi, di Dante: “la vagina delle membra sue”, riferito allo spellamento di Marsia da parte di Apollo). Punto, anche qui.
Provate a immaginare, in tempi più attuali, un De Falco che urla (incazzatissimo) a Schettino: “Torni subito a bordo, pene!”.
Peraltro, se  mai mi fosse sfuggito di bocca, ho il dubbio che la strega, certamente più esperta di me in quel campo specifico, più che esserne scandalizzata, mi avrebbe annunciato che:
“No, neanche la ruota sul Cazzo esiste… le ruote sono dieci, le vede lì appese al muro, su quale di quelle metto ‘sti numeri?”.
Un po’ scornacchiato, non ricordo su quale di quelle esposte li avevo puntati.
Come buon inizio di incoraggiamento non avevo vinto, in uscita manco un numero.
E sono certissimo che se ci fosse stata la ruota di Cuneo qualche soldino lo avrei portato a casa.
Va da sé che le altre due giocate non le avevo più fatte.

All'epoca le estrazioni avvenivano in ciascuna delle dieci città onorate del titolo di "ruota", e ricordo che venivano trasmesse in diretta televisiva, con affollamenti esterni in attesa fuori dalle singole sedi cittadine, con il ragazzino/ragazzina con gli occhi bendati che estraeva la pallina dall'urna a rete, ovalizzante ellittica, seguita dal passamano della biglia tra i funzionari schierati dietro il tavolone, fino alla fatidica esposizione del numero estratto, con l'urlo di gioia o delusione degli (a)spettatori.



Adesso i “giochi”, tutti quelli di questo genere, sono diventati in molti casi l’ultima ratio, talvolta troppo sovente prima di un suicidio.
Laddove l’articolo 1 della Costituzione ormai si basa su tutto meno che sul lavoro, una “Repubblica fondata sul gioco (d’azzardo)” farebbe la sua sporca bella figura.
Non avevo pensato di fare un post esplicito sul gioco del lotto, ma un fatterello ha stuzzicato il parto, consentendomi di porgere a quanti interessati un altro numerino da abbinare al già citato 44.
Da giocare per tre volte consecutive, su una ruota a piacere.

Questo è il post vero: 32 da giocare


Credo che tutti, chi più chi meno, più volte nella vita abbiamo avuto a che fare con la burocrazia.
(S)parlarne è come sparare sulla benemerita Croce Rossa.
Questa fantomatica signora esiste in almeno due versioni: quella plateale, fatta di muri e di paletti che ostacolano lo sviluppo di ogni settore della vita, bloccando nei suoi iter farraginosi un procedere lineare e sereno; di per sé già notoriamente stupida e incomprensibile, i burocratizzati ci mettono del proprio per renderla più personalizzata.
Esiste poi una burocrazia becera, sviluppata di solito a livello locale, ciliegina su una torta fatta di citazioni e riferimenti che fanno comodo solo a chi vuole che la semplicità sia ulteriormente nascosta o manipolata.
Di quest’ultima forma qui vado a raccontare.
Trentadue, trentadue anni…
Da quando mi sono trasferito qui, dove tutt’ora abito, sono passati trentadue anni.
Da allora, stesso mare, che guardo ogni mattina sorseggiando il primo caffè della giornata; stesso cielo; stesso giardino, variegato dai colori stagionali…
Stessa casa: qui hanno chiuso gli occhi sia mio suocero prima che mia suocera poi, quando la loro residenza è stata trasferita definitivamente nei mini alloggi comunali, recintati e rallegrati da piccoli vasetti di fiori e, la notte, da tante lucine tremolanti.
La mia famigliola ed io sono trentadue anni che abbiano qui la residenza; non abbiamo casa al mare poiché già ci siamo, non l’abbiamo ai monti accontentandoci del precollinare su cui la casa è costruita.
Luce, gas, acqua, allacci fognari, recapiti postali… tutto a posto, da appena arrivati qui.
Isi (la madre primaria di una vituperata tassa), Ici, Imu: tutto in regola, arrotondati al centesimo.
Fiscalmente siamo in una botte di ferro.
Ricevo una lettera (gialla) dal Comune: datata 03/05/2013, busta timbrata in posta il 16 di questo mese, infilata nella mia cassetta il 25, sempre di questo maggio.
Una tale celerità mi ha fatto subito pensare a qualche comunicazione importante e sicuramente sgradevole.
Infatti.
Cito, letteralmente, rispettando le maiuscole, le espressioni e la punteggiatura:

«Oggetto: censimento 2011
Se non vi presentate a chiarire la vostra posizione, sarete cancellati per irreperibilità.
(Ari-ri-omissis), 03/05/2013
L’Ufficiale d’Anagrafe»

Bene, à la guerre comme à la guerre.
Pertanto mi sono armato (di tutte le carte del censimento citato, comprensive di ricevuta dell’inoltro e di una lettera di un’aiutatrice alla compilazione, nella quale dichiarava di essersi recata al mio domicilio per aiutarmi, appunto, nella compilazione dei fascicoli censuari; mai vista) e sono andato in Comune.
Sportello, stranamente libero da code (forse uno dei motivi per cui non smette di piovere e ogni tanto tempesta pure):
“Ho ricevuto questa lettera…”.
Mimma, c’è un signore per il censimento…”.
Mimma (forse Domenica, anche se era lunedì, capa del dipartimento), da un ufficio all’interno:
Venga di qua”.
Per l’ufficio, a sinistra, prima porta a destra.
Faccio vedere la lettera, e mi appresto a sciorinare la lenzuolata delle dichiarazioni a suo tempo rilasciate per essere regolarmente censito…
No, non è necessario, è sufficiente che mi faccia una dichiarazione, in foglio di carta semplice, in cui dichiara di essere residente in questo Comune”.
Avrei voluto mettere in mostra un’espressione intelligente, quella di uno che ha capito al volo; credo invece che mi sia uscita una faccia da piciu, da scemo, poiché ha ritenuto di ripetermi una seconda volta il messaggio.
A casa ho battuto su Word la dicitura richiesta (il sottoscritto, nome, cognome, data e luogo di nascita, codice fiscale “dichiara di essere residente in questo Comune”, via, numero civico e, mi son voluto rovinare, ho aggiunto anche i distinti saluti, che l’Ufficio Anagrafe aveva trascurato) e son tornato a portare questa solenne pomposa dichiarazione.
L’avesse letta, avesse dato almeno uno sguardo per vedere se corrispondeva a quanto da lei desiato, sarei uscito da quel manicomio parzialmente appagato.
Manco pù cazz, neanche quello.
Ah, bene, finisco qui (al computer, giurerei che si stava facendo un solitario di carte) e metto a posto”.
La burocrazia, se non ci fosse bisognerebbe inventarla, tanto è divertente.
E se, con questi chiari di luna, finisce il divertimento, significa che siamo prossimi alla fine.
Lo so, lo so, ci siamo lo stesso, ma farlo sghignazzando colora d’arcobaleno questo periodo, che oltre al grigio offre soltanto il nero.


Nota finale: il numero 44 suggerito non corrisponde in cabala alla burocrazia, ma alla voce Assurdità; credo sia il minitmo dovuto.