domenica 31 dicembre 2017

Autopsia di fine d'anno

Ho 'rubato' queste testimonianze a laRepubblica... Il copia-incolla non fa parte del mio bagaglio, ma qui si tratta della classica eccezione che conferma la regola. Essendoci, in questo calderone (dove ci si trova cucinati a fuoco più o meno lento), ritengo che migliori auguri non sarebbero possibili. Di questi messaggi, variegati come lo è il mondo della salute in genere, rilevo un invito comune, indirizzato a chi è in buona salute e a chi non lo è (più): vivere, vivere sempre, vivere comunque. Uno dei crucci più sentiti, quando si finisce in questo pentolone, è quello di indurre "gli altri" alla pietà, al 'poverino' o al 'poveretto', quando non al 'poveraccio'. C'è la tendenza a incoraggiare, come se in queste situazioni l'avere coraggio possa essere un toccasana, o quantomeno un placebo. Certo, il mantenere un pizzico di umorismo aiuta molto; ma non si tratta di coraggio: è un dono, una prerogativa, una presa d'atto che cambiare atteggiamento non muterebbe una situazione non più controllabile. O controllabile fino a quando... e comunque non per proprio coraggio ma per interventi esterni, non sempre concessi a tutti e non sempre nella stessa misura. Auguri, auguri a tutti: chi ha la salute se la tenga stretta e la difenda come bene che più prezioso non ce n'è; chi non ce l'ha più si rallegri pensando che difficilmente, nel suo arrancare tortuoso, affonderà il piede in una guano di mucca. Ne siamo già sommersi fino al collo... e, per non farci mancare niente, non solo con i problemi di salute. 
“Le ricorrenze portano sempre con sé grandi emozioni. Perché hai la fortuna di viverle. Perché hai la gioia di poterle condividere con chi ami. Perché il dolore ti attanaglia nel vedere 'quel' posto vuoto. Perché ti senti inutile nel meccanismo… Spesso però interviene l’equilibrio, il sano equilibrio che ti fa pensare che, solo per il fatto di esserci, hai il dovere di vivere, vivere veramente al massimo. Proprio per chi non c'è più. E impegnarti per far si che qualcosa nel meccanismo globale cambi. Con l’aiuto di tutti, con la passione di tutti, con l’amore di tutti. Ecco, un augurio sarebbe proprio quello di trovare, ovviamente non solo in questo periodo, quell’amore da cui siamo nati. Quell’amore che ci fa Persone. Quell’amore che, se lasciato libero, ci indica la strada per migliorarci e migliorare, con il nostro esempio e non le nostre parole, il mondo che ci circonda”. Claudia Santangelo, Ferrara, presidente dell'Associazione “Vivere senza stomaco si può”
 “Ringrazio il mio cancro che mi ha fatto dono di tutto questo e della possibilità di apprezzare maggiormente la gioia del Natale, con l’affetto di altri angeli in terra, di altri nipoti: un Natale, tutto luci e melodie, che rinfranca l’anima e culla il cuore. Un Natale di gioia, di pace e di serenità che auguro, centuplicate, a tutti e, soprattutto, ai tanti bambini e alle donne e agli uomini che hanno avvertito su di sé il brivido del terribile e vivono nel benessere del tollerabile. Di vero cuore i più calorosi auguri”. Giuseppe Perrotta, chirurgo in pensione (71 anni) e paziente, tumore del colon
“Il Natale di quattro anni fa venivo dimesso dall’ospedale, dopo aver ricevuto la diagnosi di un tumore maligno alla testa del pancreas ed aver subito un’operazione, purtroppo non andata a buon fine. Andai a casa dopo tre mesi di ricovero: non camminavo e piano piano, con il mio bastone, mi sono nuovamente trovato tra le mura del mio focolare domestico. Dalla Sicilia venne mia madre, mia sorella con suo marito e il mio nipotino. Insieme con mia moglie abbiamo passato quel Natale del 2013 come se fosse l’ultimo. Il 2 gennaio del 2014 iniziai a sottopormi alle terapie salvavita, che si sono protratte per sedici mesi, poi non è stato possibile andare oltre. E ormai anche il Natale del 2017 è passato e mancano pochi giorni al nuovo anno. Spero di trascorrerlo serenamente con mia moglie e mia madre, e non posso desiderare altro dalla vita. Certo vorrei tanto avere altri pensieri, come quello di affrontare il problema dei canditi sul panettone, invece devo cercare di sopravvivere ancora un po’ con questa malattia. Ho percorso a piedi in quest’anno oltre 6.000 chilometri di cui 2.248 per riuscire a vedere l’oceano Atlantico. Auguro a tutti di passare delle serene festività, pronti per affrontare anche il 2018, un nuovo anno, nel migliore dei modi, con serenità e felicità. Buona vita da un malato di cancro in cammino. Andrea Spinelli, 44 anni, adenocarcinoma del pancreas in stato avanzato

“Un anno fa, il 16 dicembre, ho subito l’intervento di rimozione del linfonodo sentinella a seguito di diagnosi di melanoma. Ricordo bene quei giorni, l’atmosfera del Natale, il timore per l’operazione, l’intervento e il ritorno a casa. Poi un altro intervento, per eliminare altri linfonodi e con essi, definitivamente, il tumore. È passato un anno, sto bene, un nuovo anno è di nuovo alle porte, i ricordi si sommano e si sovrappongono al presente. L’esperienza che ho vissuto mi ha dato una consapevolezza nuova, un senso di leggerezza e distacco dagli affanni del quotidiano che cerco di mantenere. Auguro a chi naviga in questo sito di trovare notizie, informazioni, ma soprattutto auguro di trovare opportunità di condivisione, possibilità di dare voce alle proprie emozioni e intuire nell’esperienza di altri il proprio percorso”. Massimo Olivieri. 45 anni, melanoma

“Bob Marley cantava don't give the fight: non smettere di lottare. Ecco, il mio augurio per chi sta combattendo è di avere sempre energie per farlo, di trovarle anche quando si crede di non averne più. È per gli affetti di chi non ce l'ha fatta (sono loro che ci fanno capire quanto siamo fortunati) e per chi ce la farà. I malati di cancro sono guerrieri non violenti che conoscono il valore della vita e quello dei sentimenti in modo profondo. Non fosse altro perché hanno rischiato, o rischiano, di perderla. Chi sopravvive al cancro testimonia che ce la si può fare, che vale la pena tentare, con la consapevolezza che può non bastare. Auguri di trovare la terapia giusta, il sorriso del medico che ti rassicura, gli esami che vanno bene: questa è la felicità per chi è ammalato. Auguri di avere sempre il referto che ci aspettiamo, in modo che ogni volta sia Natale o l'inizio dell'Anno nuovo. Auguri ai ricercatori, ai medici, agli infermieri, a tutti quelli che lottano insieme a noi. Don't give up the fight e donate per la ricerca”. Marco Dell'Acqua, 51 anni, mieloma

“A coloro che hanno passato il primo Natale senza la persona che hanno amato, a quelli che devono andare via, fuggire dai luoghi che hanno condiviso con chi non ce l’ha fatta, perché non ce la fanno a resistere senza, vanno i miei primi auguri. Poi auguro buon anno e quelli che sono in terapia: avanti, forza! Mettiamoci ottimismo nelle cure contro questa malattia, anche se gli effetti sono pesanti, possiamo farcela. Moltissimi ce la fanno. Siamo tanti, non siamo soli! Auguri anche a chi ci sta accanto, ai nostri caregiver: ai nostri coniugi, figli, genitori. Gli effetti delle cure possono essere pesanti anche per loro, difficile da sopportare può essere l’umore. Noi sappiamo che a volte non è facile starci accanto. Infine un pensiero per il nuovo anno e per sempre: ricordiamo a noi stessi e a tutti quelli che incontriamo l’importanza della prevenzione. Non dimentichiamo mai di farci controllare i nei, se abbiamo un dubbio togliamocelo! Andiamo nei centri specializzati, rivolgiamoci agli specialisti. Non aspettiamo: prevenire salva la vita". Monica Forchetta, Associazione Italiana Melanoma

Ricevuto, li giro a chi li voglia

AUGURI A TUTTI



Quello che è stato lo sappiamo
Quello che sarà lo sapremo
Quello che È è ciò che viviamo
Quello che È è l'attimo fuggente
da vivere comunque
Bello o brutto che sia
non lo troveremo mai più.

mercoledì 27 dicembre 2017

Oggi, 27 dicembre, dovrebbe diluviare...

... invece, dopo un inizio nuvoloso, è pure uscito il sole.

Ci sono, nella vita, occasioni o, per meglio dire, situazioni che costringono a rivedere le proprie convinzioni, fino a poco prima garantite da esperienze accumulate da lunghissima data.
Passo al dunque, così non perdiamo tempo.

Lo specialista, in vista di un prossimo controllo, tra gli altri esami ha richiesto l'RX torace.
Nella visita di controllo precedente, questo esame mi aveva fatto fare i tuffi carpiati per riuscire ad ottenerlo. Telefonicamente, al CUP mi avevano rimandato al 2018; solo per avviare la prenotazione, con l'esame da prevedere sine die.
Mi ero rivolto a una clinica privata e, logicamente, lo avevo potuto avere la settimana successiva alla richiesta.
Eravamo a giugno di quest'anno.
Avevo saputo che le prenotazioni per gli esami clinici, oltre che al CUP era possibile tentarle allo sportello ticket, direttamente all'ospedale.
Molto dubitoso (si può dire?), stamattina, complice anche la giornata discreta, verso le 9,30 mi sono avviato verso la bolgia di attesa per l'accesso a quel benemerito ufficio.
Dicevo "bolgia", ché quella solitamente si trova in quei ritrovi, numerino di accesso bene in vista, occhiate e occhiatacce verso chi si presume voglia "accelerare" il colloquio saltando la coda.
Vuoto, non un'anima, come si dice.
Brutto segno.
Buttato lo sguardo oltre la porta, allo sportello c'era una signora..
Non ho preso il numero.
Dialogo allo sportello:
Io: "Vorrei prenotare questi raggi".
Lui: "Le prenotazioni, per quest'anno sono state chiuse; se ne parla dal 2 gennaio in poi".
Io, rassegnato: "Bene, ci vediamo settimana prossima".
Lui: "OK... ma, aspetta...".
Per una conoscenza profonda mi dà del "tu"...
Conoscenza profonda unilaterale, ovviamente.
Lui, di me, sa tutto: nome e cognome, luogo e data di nascita, residenza, codice fiscale; sa cosa chiedo e sa perché lo chiedo... È tutto nell'impegnativa.
Io, di lui, so neanche il nome...
I miei capelli grigio-pallido, evidentemente, invitano alla tenerezza; la stessa in uso verso un bambino.
Casualmente un po' cresciuto.
Lui smanetta per un po' alla tastiera del computer di servizio, poi...
"Mi dispiace...".
Io: "Non importa, ritorno più avanti...".
Lui: "No, no, mi dispiace che, se vuoi, puoi andare a a farti un giro e tornare qui verso mezzogiorno, direttamente in radiologia...".
Mi consegna il foglio di prenotazione.
Sono circa le 10, posso tornare a casa a prendere il referto precedente, utile per un confronto immediato sull'andamento toracico.
Prenotato per le 12,06.
Ore 11,45: consegnato il foglio al bancone della radiologia.
Nell'antistadio tre file di sedie, tutte occupate, una ventina di persone.
In attesa.
Prevista l'uscita per cena. A saperlo mi sarei portato un panino di prosciutto e formaggio, con una provetta da un quartino di vino rosso.
L'addetta: "Si accomodi, bisogna aspettare un pochino, chiamo io".
Ore 12,10, invito in sala raggi...
Mannaggia, ha ragione chi dice che quando c'era Lui (l'altro lui, non il mio di stamane) gli orari si rispettavano!.
Quattro minuti di ritardo, non ci posso credere... dove andremo a finire con questo passo?
12,20: fine dell'esame.
"Se vuole aspettare in sala d'attesa, le diamo subito il cd e il referto".
12,30: esco a rivedere il cielo.
E non diluvia...
Il mondo sta per finire.
Alleluja!


mercoledì 13 dicembre 2017

Quando il nuovo avanza


Le auto da corsa puntano a correre ad "almeno" 500 all'ora.
I treni per farli arrivare prima stanno eliminando le stazioni intermedie; i pochi minuti di sosta in quelle più importanti (ma ancora intermedie) vengono rosicchiati uno ad ad uno e cumulati fino a guadagnare almeno il quarto d'ora.
Gli aerei fanno la gara per collegare i continenti nel minor tempo possibile; i progettisti vanno a scuola da Kim-Jong-un per apprendere come trasformare gli uccelli di metallo in veri e propri missili. Con passeggeri a bordo e senza testate. Si spera.
È il futuro, bellezza...
Che poi sia un futuro che spende risorse a livello stratosferico solo a vantaggio di pochissimi, che per molto ancora resteranno pochissimi, è un particolare assolutamente insignificante.
D'altra parte si spendono fantastilioni per produrre armi ed armamenti, per poi passare a discussioni infinite per evitarne l'uso. Con poche possibilità di riuscire nell'intento.
Retorica vorrebbe che sarebbe meglio che venissero spesi per migliorare la vita nel mondo, ma per come va il mondo d'oggi questa sarebbe vista come segnale di demagogia anti progresso e retriva.
♥  ♦  ♣  ♠
Ho messo il logo delle nostre poste per indicare che l'argomento di questo post è un altro.
Queste nostre Poste hanno investito bei soldoni nell'ammodernamento strutturale dell'Azienda, e molti altri (miliardi) ne hanno stanziati per "correre di più" e rendere il cittadino partecipe delle future migliorìe che intende apportare sul territorio, sempre a favore degli utenti.
Poiché di questo futuro credo di essere vittima anonima e di nessun peso (quindi, vergin di servo encomio...) mi è venuto il buzzo di raccontare un episodio che ancora non è concluso pur essendo, forse, in dirittura d'arrivo.
Da me, la posta in cassetta viene distribuita una settimana per un giorno, quella successiva per "ben" due giorni. In quei dì fortunati la cassetta straripa di pubblicità, di mensili cui sono abbonato, di lettere che annunciano crediti/debiti liquidati un paio di mesi prima e altre bazzecole di peso relativo.
Preciso che non abito in una foresta pluviale né in un deserto. Appoggio le mie stanche membra nell'immediato circondario del paese marino, sull'unica strada di transito per arrivare al borgo interno. Poco oltre sono in corso scavi archeologici che fanno risalire questa zona a circa 2500 anni fa, quindi più che stabilizzata in loco.
Sporadici ordini di piccole merci li faccio su internet e questi rispettano sempre tempi e modalità di consegna (perfino quelli che passano da Sda, nota figlia delle Poste nostre).
Ogni tanto, ma molto raramente, arriva una raccomandata, di solito preannunciata dal mittente come data di spedizione e come contenuti di massima. Attesa, quindi indolore.
Poi, una volta nella vita, ne arriva una, spedita da ignoto e paragonabile ai telegrammi di una volta, che creavano un'angoscia cronicizzata nel tempo. Che avevano il vantaggio di essere inoltrati con vettori dedicati e a tutte le ore del giorno.
A meno che non fossero chiaramente forieri di cose belle, matrimoni lauree et similia, riconoscibili dalla ripetitività e identificabili dagli agenti postali come tali poiché in lande sperdute venivano scritturati a mano in barba alla privacy; non c'era da stupirsi che il paese venisse a conoscenza dei messaggi prima dei diretti interessati.
(Ho ancora da parte, con l'immancabile album delle foto, quelli ricevuti in occasione delle nostre nozze; scorrendoli un pensiero grato mi corre verso coloro che ci hanno fatto dono di auguri e felicitazioni. Soprattutto verso quelli che so non esserci più).
Tornando alle raccomandate e al tempo che fu.
In illo tempore venivano consegnate con la posta regolare, la cui distribuzione era prevista giornaliera. La presenza di un plico raccomandato era vincolo al portalettere a non trascurarne la consegna. Se nel suo giro di routine non trovava chi ne firmasse la ricevuta, la rimetteva in borsa e ne tentava la consegna la volta successiva.
Se anche quella andava buca, lasciava un messaggio in cui, con termini appropriati, comunicava il suo tentativo a vuoto con l'invito al ritiro direttamente all'ufficio postale, dove l'avrebbe depositata al rientro dal giro.
Tipo: "Te l'ho portata e non l'hai voluta; se la vuoi te la vai a prendere...".
La frase era più o meno così, non c'erano i finalini aggiunti poi e divenuti prassi di completamento, magari con altre interiezioni colorite.
Oggi, vuoi per la drastica riduzione dei giorni di distribuzione, vuoi per altri fattori di tipo sociologico e organizzativo, quella frase non viene più detta o scritta: viene messa in atto, punto (2.0 of course) e basta. Per la seconda parte, e modernamente aggiornata.
Cronologia:
- mercoledì 6 dicembre: trovo in cassetta un avviso di mancata consegna di una raccomandata, lasciato alle 15,30, in orario di consegna assolutamente inusuale;
- giovedì 7: verso le 12 vado in posta, fiducioso che la mia missiva sia colà giacente. Non lo è, poiché la posta inevasa viene riportata presso un centro di raccolta, nello specifico situato a circa due chilometri presso l'ufficio postale del paese vicino. Ignorando il mittente, accenno alla possibilità di andarmela a prendere... direttamente là: "Non te la darebbero poiché deve essere smaltita assolutamente da qui. E qui ritorna martedì prossimo". Bel colpo. Col pensiero di chi diavolo è questo accidenti di raccomandata: sanzioni stradali no; rilievi dal Comune lo escluderei, anche se le scarse possibilità di cassa potrebbero avere aguzzato l'ingegno ai nostri amministratori per riuscire a raschiare il fondo del barile; convocazioni per le mie visite di controllo salute? quando mai, visto che per avere un appuntamento devi piangere in cinese e quando lo ottieni viene spontaneo l'obbligo di metterti prono alla 'fedele islamico' con tanto di tocco fronte-pavimento per ringraziare la tua buona stella;
- martedì 12: puntuale come l'influenza o le gaffes dei nostri politici, in ufficio postale, sempre sul tardi, vuoi che la diligenza abbia forato la ruota di legno: "Guardo, ma mi pare che non sia arrivata...". Smanettamento sulla tastiera del pc, con inserimento del codice relativo alla mia lettera.
Negativo. Posso almeno sapere da chi arriva? No. Punto (sempre 2.0) e basta. "Torna domani".
- mercoledì 13: sarà il giorno fortunato? Sul tardi, ormai so cosa fare, e il rischio che il pony express abbia perso un ferro alla zampa è sempre possibile. Scotimento di testa iniziale come benvenuto. "Non l'ho ancora vista, forse manca ancora; al limite prova ad andare al deposito, domattina prima delle nove, sperando che te la diano (la raccomandata, mi sembra chiaro...). Comunque aspetta un attimo che sto passando quella arrivata...". Passano i minuti, ne passa davanti al sensore a decine (tra cui le temute color verde carico, notoriamente chiaro regalo per le Feste agli aspiranti suicidi). Niente, ma c'è ancora un plico sigillato, accuratamente cellophanato. Ebbene, qui c'è, finalmente e vivaddio! "C'è, eccola qui... ma non la puoi ritirare oggi, devi venire domani... Vedi sul monitor? Ritiro dal giorno 14/12/2017".

Per completare l'opera dovrei postare domani (toh, è il 14 dicembre!), ma sarebbe una conclusione non scontata. A questo punto mi aspetto di tutto, chi legge aspetti con me.

Il mondo intero corre in avanti, noi pure corriamo ma all'indietro.

P.S.: vista la busta so che non è nulla di tragico, sono tranquillizzato e pronto a tutto. Anche al peggio, tipo che andasse a fuoco l'ufficio postale con il suo contenuto; ovviamente solo le suppellettili e il materiale in giacenza. Ci sono le vittime, io modestia a parte tra quelle, al di qua dello sportello, e ci sono quelle al di là del vetro, arrotate anche loro da un modernismo che non conosce vergogna e limiti alla decenza.
Sarebbe un bel finale per una stupida saga...

domenica 22 ottobre 2017

VECCHIAIA
Uno dei problemi della vecchiaia, oggi, è arrivarci.
Diventare “vecchi”.
Quando pensi di avercela fatta, ti ritrovi carico di acciacchi, di accidenti sanitari, di cretinerie burocratiche...
E di un mondo che corre velocemente.
Troppo velocemente, a confronto della lentezza dello scorrere della vita.
Quella passata.
Ché anche il tempo solare, a mano a mano che gli anni avanzano, sembra prendere una corsa da 100 metri piani.
Un anno trascorre in pochi secondi.
Poi salta su un ministro che dice: “Gli anziani italiani muoiono troppo tardi”, resistono a oltranza, non vogliono saperne di lasciare questa vita, nonostante noi facciamo di tutto per rendergliela assolutamente invivibile.
Per colpa degli anziani i conti dell'INPS vanno a puttane.
E l'INPS (con la RAI e Alitalia e le Banche) è il fiore all'occhiello di questa Italia bella.
È un problema grosso, troppo grosso per essere affrontato con faciloneria.
Una prima idea sta bazzicando in menti eccelse, lautamente retribuite per risolverlo.
A causa di ostracismi inaspettati, e per loro incomprensibili, le loro proposte vengono di volta in volta accantonate.
Accantonate, non cancellate.
'È la politica che gioca', dicono, e non vuole risolvere la faccenda, forte del detto “finché c'è vita, voto é”.
Un primo, timido, tentativo era stato l'inserimento in un sempre prossimo legiferare sull'eutanasia, di un piccolo, insignificante, paragrafo che consenta di eutanasizzare ope legis gli anziani riottosi a farsi da parte con scelta volontaria.
Vista l'età media abbondante di chi dovrebbe votare il provvedimento, nel timore di coinvolgimenti diretti personali, stanno rinviando sine die tutta la legge relativa all'interruzione della vita.
La seconda ipotesi avanzata, basata su dati scientifici inoppugnabili, è in uno stadio di attenta valutazione, e già avviata in via sperimentale "per vedere l'effetto che fa".
Ha preso lo spunto da studi approfonditi di uno scienziato sulla cui serietà e concentrazione nel problema nessuno ha dubbi.
Austro-tedesco, il che dà un imprimatur di inimitabilità alla sua opera.
Il cui sunto, quasi cancellato dagli anni, è stato parafrasato dai nostri studiosi e che in poche parole racchiude un piano che passerà alla storia.
Chiarissimo, nella sua semplicità, dice che “Arbeit hält jung”, il lavoro mantiene giovani. 
E che, non dimentichiamolo, nobilita pure.
Non fosse che ricorda leggermente una scritta in entrata di un purtroppo ben noto b&b tedesco, delocalizzato in Polonia per un fatto di costi, potrebbe un domani diventare il logo dell'Istituto.
I giovani, secondo gli studiosi, non “pesano”, ergo più si è costretti a restare giovani più i conti si risanano, senza colpo ferire e senza ulteriori imposte o tasse, deleterie per l'economia generale.
Il progetto prevede di arrivare gradualmente al top, a un non plus ultra, che consenta il passaggio dalla gioventù alla miglior vita, evitando le forche caudine della vecchiaia.
Molto umilianti, in contrasto di un fine vita nobilitato fino all'ultimo respiro.
È lapalissiano che quella del ministro era una battuta, stralciata da un contesto di chiaccherata amichevole, da amici al bar.
Una di quelle battute che se ne fanno tante.
Uno, ad esempio, dice Roma ladrona (che va inteso non per la Città in sé, ma per tutti gli apparati in essa dimoranti) ed è chiaramente una battuta.
C'è chi, a ogni spicchio di pioggia, dice (magari alzando gli occhi al cielo, come alla ricerca di un governo massimo) Governo ladro (pluralizzabile, visto che di Governi onesti, a mia memoria, non ce ne sono mai stati), non in riferimento al Governo in sé, ma a tutte le strutture che nel tempo questo ha rappresentato.
Più battuta di così si muore.
Con il grazie del ministro, dell'INPS, delle pompe funebri...
E degli eredi.

Le cui lacrime, più che ai giovani-vecchi finalmente defunti, saranno dedicate più alle tasse di successione, salate e amare come le stesse. 

giovedì 19 ottobre 2017

lunedì 9 ottobre 2017

Racconto (di cronaca nera)

Pietro, oggi più di ieri e meno di domani, era incazzato nero.
Incazzato come un gatto.
Incazzato nero, proprio come un gattonero.
Nel racconto la causa del suo incazzamento.
Nel suo palazzo, diversi anni fa, il proprietario di un appartamento, Emilio è il suo nome, lo aveva venduto, senza riuscire ad appioppare all'acquirente un piccolo box, semi abbandonato, privo di luce e acqua.
Un ripostiglio, un pochetto più grande.

Fax simile del box 
Poiché abitava a un centinaio di chilometri da questo palazzo, aveva affidato le sue speranze di vendita come unità singola a un cartello "vendesi" attaccato alla serranda, con il recapito telefonico per informazioni sul prezzo.
Senza tenere conto che nel vano garage transitavano non più di due o tre persone, alcune saltuariamente.
Nessuna di queste (Pietro compreso) era interessata all'acquisto di quel bugigattolo, essendo già tutte proprietarie sul posto di un box o di un magazzino.
Non direttamente, aveva saputo che la richiesta  era di 10.000 euro, ufficiosamente leggermente trattabili.
Fuori valutazione (perlomeno da parte sua).
Aveva lasciato passare una quattrina d'anni, trovandosi ogni giorno davanti quel cartello, che nel tempo gli era diventato particolarmente antipatico.
Trovava stupida l'idea di vederlo attaccato nel seminterrato, anziché in vista sulla strada.
Un condòmino buontempone aveva offerto a Emilio 8.000 euro, rifiutati, a conferma di quel "leggermente" trattabili.
Essendo questo buco adiacente al suo box (niente auto, solo legna, attrezzature per fare il vino e deposito di tante bagatelle che non trovavano posto in casa), in uno dei rari colpi di genio che gli cadevano periodicamente tra capo e collo, aveva telefonato al venditore dando una specie di aut-aut (come un passatempo per un perditempo), che pensava sarebbe caduto nel vuoto, o forse addirittura ritenuto offensivo della serietà della richiesta.
A lui interessava relativamente, ma quel cartello lo infastidiva.
In fondo si trattava di un locale di una sedicina di metri quadrati, niente di che...
Aveva offerto 5.000 euro, prendere o lasciare.
Per telefono niente pernacchia, però era intervenuta la moglie (Teresa) di Emilio:
"È troppo poco, ci venga incontro e facciamo l'affare...".
Le donne, le mogli in particolare, hanno occhi di lince e senso della realtà che contrasta con il granitico pensiero degli uomini: qui aveva capito che, dopo tanti anni, non si trattava più di "vendere" ma di liberarsi di quello che era ormai un peso inutile.
Pietro era sempre stato sensibile alle richieste delle donne; purtroppo non sapeva dire di no alle loro istanze, soprattutto se accorate.
E questa lo era.
Si capiva chiaramente che quella famiglia si trovava in difficoltà economiche, e svendeva i suoi gioielli pur di sopravvivere.
"OK, 5.500, di più non posso e non voglio spendere...".
Con la certezza che questo rilancio sarebbe risultato ancora più offensivo della prima offerta.
Risultato: tre giorni dopo erano arrivati a casa sua, in comunione fisica e legale, con tutte le carte e il testo per il compromesso di vendita.
Firme, assegno...
Provvisoriamente nessun atto notarile che avrebbe appesantito il costo dell'acquisto.
Preso possesso dell'immobile, Pietro aveva provveduto a ripulirlo di terricci e umidità, sintomi qualificativi di un abbandono ultra decennale.
Un cavo fatto passare dal box primigenio, tramite un semplice buco nel muro divisorio, e luce fu anche nel nuovo acquisto.
Rilevati i dati degli ex proprietari, aveva provveduto da subito ai versamenti della tassa sugli immobili, allora denominata ICI, ancora a loro nome. La seccatura era nel dover compilare il doppio modulo, essendo questi, come detto, in comunione legale.
Correva l'anno 2010.
Tre anni dopo, altro "colpo di genio": regolarizzare la vendita con rogito notarile, rinviato al momento della stesura del compromesso.
Questa bella pensata era dovuta a una pulce nell'orecchio, infilatasi nottetempo in uno dei momenti di dormiveglia, quella volta dovuto forse ai peperoni crudi in insalata, mangiati ingordamente alla cena precedente.
Gli piacciono molto, quelli con la polpa spessa un dito, noti come ''di Carmagnola'', e non riteneva fosse questo un peccato di gola grave.
La pulce: atto notarile per evitare che la coppia venditrice decidesse, in qualunque modo e a qualsiasi titolo, di passare a miglior vita, andandosi a godere i suoi risparmi in un paradiso non ben identificato, e trovarsi magari con i figli eredi a contestare la vendita, riappropriandosi del box, e offrendoglielo magari in nuova vendita a un prezzo pure maggiorato, contando sulla stessa disponibilità dimostrata verso i loro (ormai ex, senza possibilità di ripensamenti) genitori.

Fine della prima parte

Nella seconda parte racconterà di catasto-geometra-notaio
e sarà quella che giustificherà l'incazzatura segnalata all'inizio.


venerdì 4 agosto 2017

domenica 23 luglio 2017

Le tappe di una vita

La vita vista come una corsa ciclistica, tipo un Tour de France o un Giro d'Italia... 
Come queste, è fatta di tante tappe, luoghi di sosta, con tempi variabili, ciascuna con motivazioni che lasciano il segno nella memoria. 
Tappe che sul momento non prendi in considerazione, le consideri luoghi di transito che, nello scorrere del tempo, ti lasci alle spalle per affrontare strade nuove, sovente in salita. Capita di girarsi indietro, guardare la tappa appena conclusa, ma l'arrancare nella nuova te la fa vedere come un traguardo ormai passato, concluso, quasi fine a se stesso.
È quando ti trovi ad affrontare l'ultima tappa (quella finale, definitiva, quella che darà il The End senza possibilità di rimonta), che ti viene il buzzo di rivedere tutte le sedi di tappa trascorse, una per una, rivisitandone i ricordi, rivivendo in essi sia quelle felici che quelle aspre, talvolta amare.
Ho chiesto una mano a Google per avere immagini satellitari, focalizzate su ognuna delle sedi di tappa; immagini attuali, ma che, nel loro complesso, riportano abbastanza fedelmente gli stessi fotogrammi impressi nella memoria.

1ª tappa: il "via!" al mio Giro. Nascita e infanzia. Vabbé, infanzia... si fa per dire. Questo dovrebbe essere un periodo della vita da ricordare per le attenzioni, le cure, l'affetto, le coccole verso un nuovo arrivato. Niente di tutto questo, zero via zero. I ricordi di quel passaggio ci sono, qua e là un po' sfocati, ma quelle cose belle che di solito rendono indimenticabile quel tempo non ci sono. Infanzia dedicata solo alla crescita (e quella fisica neanche tanto), con un orizzonte limitato, senza speranze particolari.



2ª tappa: qui la prima parte di quella comunemente nota come adolescenza. Proseguimento di qualcosa, l'infanzia, già bruciata. Ricordi più nitidi, peraltro buoni ai soli fini statistici. Nonostante tutto, utile quantomeno per una prima crescita (quella fisica sempre scarsa).



3ª tappa: non una vera tappa, tante semitappe estive nella colonia. Il barcone di cemento proteso nel mare, con rocce intorno che il fràngito delle onde coprivano di schiuma a lavare mille granchiolini; la sabbia bollente sotto piedi non ancora foderati dal cuoio degli anni; il primo orologio da polso, dono di un Natale più ricco dei soliti, perso nel boccaporto a prua del manufatto in una delle rare tempeste di mare (infilato nella canottiera per proteggerlo dalle ondate, in fase di cattura di un granchietto era scivolato dritto in acqua, sprofondando nelle rocce circostanti); qui ho imparato a nuotare, dopo aver bevuto litri di acqua salmastra; il cancello di ferro che dava direttamente sulla statale, sempre assolutamente chiuso, con uno spiraglio alla base che consentiva di vedere il transito delle vetture, con il gioco dell'indovinarne le targhe...  



4ª tappa: seconda parte dell'adolescenza. A modo suo più vivace dei precedenti periodi. Apprendimento di un percorso lavorativo che avrebbe poi aperto le porte a una neanche tanto agognata libertà. Cambio in corso d'opera alla ricerca di qualcosa di maggiormente redditizio, quanto meno sufficiente per sopravvivere.



5ª tappa: primissima esperienza lavorativa retribuita, in una città sconosciuta che, nonostante la sua fama di chiusura, ha dato calore e affetto a una esistenza altrimenti grigia. Pochi anni, il cui ricordo rimane come periodo nel suo insieme piacevole. Fatte le ossa, valigia pronta per una nuova avventura.



6ª tappa: quasi un ritorno alle origini, in una città già conosciuta e amata. Pochi mesi iniziali bruciati da un imprenditore disgraziato e fellone, messi in conto esperienza in vista di un futuro che comunque non appariva nebuloso. Per la verità, neanche roseo... Durante quella tappa era arrivato il posto di lavoro che sarebbe rimasto invariato per oltre un quarto di secolo. Qui sono stato abbindolato da quella che sarebbe divenuta mia moglie, che tale è poi stata per quasi cinquant'anni. Ricordi tanti, rimpianti pure.



7ª tappa: stessa città, cambio di sede. Sottotetto, sesto piano senza ascensore, gambe in ottimo stato. Non era stata una scelta bohémien, erano tempi di magra e un cielo di tegole rispondeva bene alle possibilità del portafoglio. Una bella esperienza per due balde gioventù che, puntellandosi a vicenda, si preparavano alla conquista di un posto al sole.



8ª tappa: casa nostra completa, in affitto ma completa. Un po' caruccia, ma nel frattempo le cose di lavoro si erano assestate e potevamo tranquillamente affrontare la spesa. Mobili tutti nuovi, un anno di farfalle; il primo pranzo in casa nostra seduti fianco a fianco su un baule a causa del ritardo nella consegna delle sedie. Buon periodo, belle nuove amicizie durate poi nel tempo. Esperienza floreale a livello commerciale, ceduta non appena la sua gestione aveva richiesto troppo impegno, non compatibile con la mia attività lavorativa: levate prima dell'alba, nottate impegnate in confezioni urgenti... non era più cosa.



9ª e ultima tappa: la più lunga di tutte e la più sofferta, nel primo e nell'ultimo suo tratto. I primi segnali che sarebbe stata una tappa pesante li avevano dati tre eventi luttuosi che avevano colpito altrettanti compagni di corsa: il primo improvviso e inatteso, gli altri due per fine naturale del percorso. A sopperire, successivamente si è affiancata una giovane promessa che da subito ha dovuto pedalare, assistita e coccolata dalle esperienze dei predecessori. A seguire un periodo di vita serena.
Acquisto della casa, a rate ma senza farfalle, in una treina d'anni eravamo proprietari a tempo pieno; ampia, con spazio per cinque adulti, con piccolo giardino poi ampliato nel tempo. 
Via vai lavorativo, conoscenza di località e persone nuove, una miriade di caratteri e sentimenti e reazioni diverse. 
Fine dell'attività lavorativa.
Poi avrebbe dovuto essere una tappa di riposo, un avvìo sereno verso il traguardo finale. 
È andata, e sta andando, diversamente... 


lunedì 12 giugno 2017

Scrivi "burocrazia", leggi "cialtroneria"

Tanto pe' cantà...


Comincio dalle sigle, la prima ufficiale, le altre ufficiose.
INPS: istituto nazionale previdenza sociale.
Irps: istituto regionale previdenza sociale.
Ipps: istituto provinciale previdenza sociale.
Ilps: istituto locale previdenza sociale.
La Casa Madre opera ufficialmente a livello nazionale; poi ci sono le varie derivazioni, che portano la mai sufficientemente esecrata burocrazia a divenire cialtroneria allo stato puro, mano a mano che si localizza.
Il fatto, sperando di riuscire a sintetizzarlo.
Ab ovo.
Le caserme delle Forze dell'Ordine, come altri benemeriti enti pubblici, affidano il servizio di pulizia delle stesse tramite appalti.
Onde evitare infiltrazioni e corruttele, che sarebbero particolarmente disonorevoli per Corpi che della legalità fanno missione e virtù, alle ditte che concorrono agli appalti pare venga fatta una specie di autopsia ante mortem, con l'esame dei casellari giudiziari di ciascuna.
Questo non impedisce alle mani lunghe del malaffare di metterci mano.
Pacchia per i media, rovina (si fa per dire) di politici e amministratori che da quelle assegnazioni traggono vantaggio: notizie i primi, benefici diretti i secondi.
Oltre ai dati giudiziari si dice vengano valutate anche la consistenza e la solvibilità, nonché la capacità di svolgere gli interventi di cui propongono l'assegnazione.
Appunto tramite appalti, ufficialmente pubblici.
Chi li "vince" assume, o meglio si trova già in carico, il personale necessario allo svolgimento del servizio avendolo "ereditato" dai precedenti vincitori, nel frattempo decaduti.
Per i dipendenti, alla prima entrata in servizio, tra le varie esibizioni di documenti,  viene richiesto il certificato del casellario giudiziario, sempre per il motivo di evitare di mettersi una serpe in casa, che un domani potrebbe provocare casini, a livello informativo o terroristico o mediatico.
Gli appalti hanno una durata prestabilita, di solito 'venduta' per un triennio; talvolta l'affido del servizio viene limitato a un anno, ma ci sono casi eccezionali e provvisori di tre mesi, o anche di un mese soltanto.
Per ogni base d'asta il punto fondamentale è il verbo "tagliare".
I costi: visto che il classico 'taglio delle teste' applicato nelle grandi aziende, in questo contesto sarebbe impossibile a meno di riaffidare le pulizie alle antiche mitiche corvée di militare memoria, i tagli possibili si riferiscono alla riduzione delle ore lavorative, unico modo per ridurre quelli diretti.
Una volta 'vinto' l'appalto, le ditte trovano il modo di tagliare i costi, a modo loro, limitando quanto più possibile la fornitura dei materiali, peraltro previsti con voci e quantità specifiche in ogni nuovo capitolato.
Faccio un esempio, non teorico ma realmente vissuto: un appalto iniziale del 2000, 15 ore settimanali assegnate a una caserma di media grandezza, distribuite in cinque giorni, taglia che ti taglia nel 2015 erano diventate 5.
Senza che la caserma si sia ristretta, e sempre compresi palestra, sala mensa, garages e alloggi ad essa connessi.
Ai dipendenti, oltre al materiale d'uso, 'teoricamente' venivano forniti un paio di càmici da lavoro, guanti, scarpe antinfortunistiche, badge personalizzato per l'accesso ai locali...
Nel 2000.
Nel 2015, dopo il 'passaggio' di una decina di ditte diverse, con le immutate voci di fornitura iniziali, i càmici erano gli stessi del 2000, le scarpe mai viste, i guanti chirurgici, tra l'altro poco adatti alle operazioni di pulizia ma meno costosi, centellinati ed elargiti solo su reiterata esplicita richiesta degli addetti; il badge no, quello sempre rinnovato con logo e indicazioni sommarie del nuovo titolare di turno.
Quando gli appalti hanno una durata triennale, gli operatori soffrono mese dopo mese l'arrivo dei salari, con tempi affidati al buon cuore degli appaltatori.
Il brutto, sempre per esperienze vissute, viene verso fine appalto.
I segnali che la fine si avvicina sono ripetitivi: cambio improvviso della ragione sociale, telefoni muti o impiegati che non sanno e rimandano a capi regolarmente assenti...
Il culmine di questo fuggi-fuggi è quando il pagamento dell'ultima mensilità slitta, fino a scomparire del tutto.
E inizia l'attesa della liquidazione, il famoso e sempre benvenuto Tfr, Trattamento di Fine Rapporto.
Quando va bene viene fatto sospirare a lungo; quando va male scompare, come l'ultima mesata.
Hai un bel telefonare, chiedere aiuto ai comandanti delle caserme, sperando di riuscire a bloccare i pagamenti da parte dell'amministrazione...
Questi si mostrano svisceratamente interessati al problema; in realtà l'attenzione è solo di cortesia, è un po' il discorso su chi avendo la pancia piena non capisce chi ha fame. Almeno tre casi hanno dimostrato la veracità del detto.
Ci si rivolge al sindacato, di solito alla Camera del Lavoro, branca della CGIL, che offre l'assistenza legale per il tentativo di recupero delle spettanze.
Fatte tutte le pratiche, compresa la dichiarazione di fallimento della ditta fellone da parte del tribunale, queste sono inoltrate all'INPS, la casa madre, che esamina il materiale ricevuto, fa i conti e, se tutto collima, manda il relativo assegno.
Senza fretta.
La richiesta doveva essere inoltrata al Fondo di Garanzia, creato a tutela dei lavoratori fregati del proprio Tfr.
Un paio d'anni dopo la domanda, se e quando approvata, parte il pagamento e la pratica viene liquidata e chiusa.
Quando tutto fila liscio.
Nel caso oggetto di questo post è successo questo.
Due caserme, situate nella stessa regione, distanti una ventina di chilometri una dall'altra; un'addetta per ogni caserma; identiche ore lavorative e identico contratto...
Definibili come gemelle...
Una residente nella provincia del luogo di lavoro, che chiameremo provincia A, l'altra in una regione immediatamente limitrofa, che chiameremo provincia B.
Quindi due province differenti di domicilio, stessa provincia di sede lavorativa.
Il legale assegnato dalla Camera del Lavoro prepara le pratiche in duplice copia, identiche, salvo l'intestazione nominativa delle due operatrici; inoltro simultaneo delle pratiche...
Passati poco oltre i due anni, all'addetta della provincia A arriva l'assegno dell'Inps a saldo. Secondo il legale lo stesso dovrebbe avvenire a breve anche a quella della provincia B.
Passa il tempo, silenzio assoluto, sia cartaceo che comunicativo.
Un bel giorno messaggio sul cellulare: "Domani sarà contattato per informazioni sulla pratica...".
Il "domani" era passato da una ventina di giorni senza che domani fosse.
Messaggio e-mail con richiesta educata di chiarimento sul termine "domani": era forse un sine die tradotto malamente?
E-mail diretta all'Irps, che la dirotta all'Ipps, che a sua volta la sbologna all'Ilps...
Telefonata offesa, anzi irritata, anzi proprio incazzata, dell'impiegato Ilps che "avrebbe" dovuto esaminare il malloppo, tentativo nostro di spiegazione naufragato in un mare offeso.
Successivamente, sbollita parzialmente l'ira, convocazione immediata nel suo ufficio, portando i dati bancari e i documenti per l'accredito, peraltro a suo tempo già allegati alla pratica.
Finalmente!!!
No, niente finalmente: dopo due anni e mezzo dall'esame della pratica emerge che questa è stata inviata al Fondo di Garanzia (gestito dall'INPS) quando, invece, andava indirizzata al Fondo di Tesoreria (gestito invece dall'INPS).
Come dire: non qui ma allo sportello accanto...
A dimostrazione della sua buona volontà, fa vedere in un tabulato il rigo di riferimento con importo da erogare e date varie relative alla pratica.
"Ma guardi che l'Inps della collega ha pagato regolarmente due mesi fa".
"Hanno sbagliato loro... bisogna rifare la domanda, indirizzando i documenti al Fondo di Tesoreria entro pochi giorni, altrimenti scade e viene respinta".
Circa un mese dopo, lettera di diniego e chiusura della pratica.
Respinta.
Legale, ricorso all'INPS con tutte le specifiche del caso; pare che la risposta al ricorso fosse prevista entro novanta giorni...
Era il 28 luglio 2016, e oggi ancora tutto tace.



La vigilanza...

"La vigilanza, sai... è come il vento...".
Cantava tantissimi anni fa Mimmo Modugno...
C'è quella di Roma Matrona, che in caso di emergenza (tipo le Feste di fine anno) consente a centinaia di agenti di assentarsi dal posto di lavoro, ben supportati da provvidenziali certificati medici, sulla cui autenticità non c'è motivo di dubitare. Denunciati con l'accusa di diversi reati, assolti un anno dopo... Il sapere il perché o il percome l'abbiano fatta franca sarebbe perdita di tempo e, probabilmente, offesa all'intelligenza del cittadino medio.
C'è quella di Avellino che, in prossimità di un pestaggio 'calcistico' ai danni di dirigenti di una squadra ospite, ignorano l'aggressione e guardano con noncuranza le stelle che da quella colluttazione salgono verso il cielo. Non so come si giustificheranno, ma tiro a indovinare... Erano colà in veste antiterroristica, un compito ben più importante e rischioso che il controllo di accadimenti pseudo-calcistici; ovviamente per "terroristi" si intendono quelli brutti barbuti allahakbar osannanti. Quelli indigeni, forse di buona famiglia (ché di "buone famiglie" la zona è zeppa...) non erano previsti nelle cosiddette 'regole d'ingaggio'... a questi avrebbero dovuto provvedere la polizia o i carabinieri i quali, oltre a potersi vedere le partite agratisi, a questo sono specificamente demandati.
Poi c'è quella di Moncalieri che, vivaddio, fa il suo dovere fino in fondo, senza guardare in faccia a nessuno, verbalizzando senza battere ciglio ovunque ci sia da verbalizzare. Capita, ad esempio, che un ragazzaccio si dia allo spaccio all'interno di una scuola cittadina. Di merendine, ma tant'è sempre di spaccio si tratta. Il delinquente viene sospeso e viene valutato l'affidamento ai servizi sociali per la rieducazione, il famigerato 'lavaggio del cervello' di sovietica/cinese memoria. È vero, nel frattempo lo sciagurato viene premiato da una Fondazione, che già nel nome la dice lunga su quella che era considerata "economia" in un tempo lontano; ma queste sono considerazioni che a quella Vigilanza fanno né caldo né freddo. "Commercio abusivo", senza titoli per espletarlo. Sanzione: 5000 €, da versare sull'unghia.

Tre facce di questa nostra bella Italia, patria del diritto e del buon senso. 






lunedì 29 maggio 2017

Poste Italiane S.p.A.



In un tempo lontano le Poste erano un fiore all'occhiello dei Paesi che ne avevano fatto servizio essenziale, alla pari dei servizi sanitari e dei trasporti, su strada, aerei, fluviali e marittimi.
Anche la politica era considerata essenziale fino a che è stata al servizio dei cittadini tutti; poi è divenuta mestiere al servizio di pochi, talvolta sovente con fini e legami malavitosi. Ma questo è un altro discorso, che esula da quanto qui incipitato.
Dai tempi antichi (ma che dico: anche prima), la comunicazione tra popoli era punto fondamentale per una convivenza quanto più possibile pacifica. E tale compito era affidato, sotto varie forme, a sistemi di inoltro dei messaggi: piccioni, cavalli, dardi, passaparola da un paese all'altro...
Le dichiarazioni d'apertura di belligeranza rispettavano un rigido protocollo che prevedeva l'inoltro di scritti nero-su-bianco che avvisavano "State in guardia, appena avrete ricevuto, brevi manu, questo avviso, avremo mano libera per venirvi a menare e anche peggio".
Qualche volta (attacco alla Polonia, nel '39, da parte dei neri con svastica e attacco a sorpresa da parte dei gialli col sole in fronte alla base americana nel '41) i servizi postali hanno fatto cilecca; ma in casi talmente rari da passare alla storia come classiche eccezioni a conferma della regola.
Regole che prevedevano: intanto la consegna, poi la riservatezza, poi la sicurezza sui contenuti, poi la mancia di Natale ai postini...
Questo 'na vorta!
Regole peraltro ufficialmente valide anche al giorno d'oggi.
Tralasciando i servizi postali a.C. (avanti Cristo, ma di migliaia di anni), un breve esame dei servizi postali "moderni" mi porta a scoprire che al tempo dei Romani i cursores (corrieri) percorrevano circa 270 km in 24 ore; che nel Medioevo Stati e staterelli avevano messo in piedi servizi postali, prima a livello locale poi estesi e quasi unificati a livello nazionale e internazionale; che Stati, che ancora oggi inconsciamente e per mia ignoranza somma considero poco più che selvaggi, avevano sviluppato una copertura pseudo-postale quasi completa; che la "selvaggia" Gran Bretagna nel 1516 aveva istituito la Royal Mail, ancora oggi fiore all'occhiello di quella illustre Nazione; che nel 1661, sempre in Gran Bretagna veniva introdotto il timbro postale, riportante giorno e mese della spedizione dei plichi, subito plagiato da tutti gli Stati viciniori e lontaniori; che nel 1862, a un anno dalla sua unificazione (pur se incompleta, e ancora da completare, visti i dissapori tra regione e regione...), nascevano le Regie Poste italiane che riunivano in un servizio nazionale quello frastagliato precedente l'Unità...
Un paio di guerre, un bel po' di disastri naturali e altri accidenti che ci hanno travagliato l'esistenza, non erano riusciti a smantellare un servizio che nel tempo aveva rasentato la perfezione.
L'Italia, molto prima di mamma RAI, e anche dopo, aveva avuto altre "mamme" su cui fare affidamento: le ferrovie, la scuola, le parrocchie, le stazioni dei carabinieri... e le Poste.
A parte i Carabinieri (e le altre Forze dell'ordine, pompieri compresi), le altre mamme si sono disperse: le ferrovie... passiamo oltre; la scuola... passiamo oltre; le parrocchie... passiamo oltre...
Poste Italiane, no.
Un piccolo ufficietto lo avevano tutti i paesini, per sperduti che fossero.
Posta, farmacia, chiesa, casa comunale, da soli facevano un paese.
E questa capillarità non aveva intaccato la sua efficienza.
Per dire, in un esempio personale diretto che a grandi linee può dare un'idea di come "girava" la posta negli anni '80.
All'epoca il mio impiego mi "costringeva" a servirmi dell'ufficio postale tutti i lunedì, escluso quello dell'Angelo, altri rari lunedì festivi e quelli cadenti (vivaddio!) nel periodo delle sacrosante ferie.
Corrispondevo con Torino, Milano e Roma in contemporanea.
Bene, in circa di dieci anni di frequentazione settimanale, con spedizione di plichi contenenti dati, relazioni, sovente assegni, documenti più/meno importanti... non uno smarrimento, mai, non dico di un plico ma neanche di una virgola; e arrivo nella stessa settimana di spedizione.
Il servizio postale prevedeva la posta ordinaria, quella aerea e la raccomandata (che a sua volta poteva essere andata/ritorno e/o assicurata).
In un giorno radioso sbucò dal nulla la Posta Prioritaria: con qualche lira in più era garantita la consegna veloce e sicura di lettere con affrancatura speciale esclusiva.
Fu un wow! (leggesi uau!) universale odierno, corrispondente agli antichi poffarbacco, accipicchia, perdirindindina, eureka... anche accidenti (se non seguito da "... a te e a chi t'è muorto") era interiezione di sorpresa gradita e inattesa.
Una rivoluzione.
Durata poco.
Infatti, collaudata la Posta Prioritaria, quella ordinaria era stata soppressa, come venivano eliminati gli ufficietti non redditizi ai fini della circolazione dei servizi di tipo bancario e altre ossessioni, con centralizzazione e accorpamento degli stessi.
Anche le mance natalizie ai postini sono sparite, e con queste anche il Calendario del Postino che dolcemente le sollecitava.
E poi sono spariti pure i postini...
Oggi la mitica Wiki vede così il servizio, che un tempo era postale:

"Attualmente le Poste Italiane hanno introdotto, per l'affrancatura della normale corrispondenza, un unico tipo di francobollo autoadesivo di posta prioritaria. Il servizio di posta prioritaria ha aumentato l'efficienza delle consegne, con tempi ridotti ad un giorno sul territorio nazionale. Lo stesso tempo di consegna di un giorno è previsto per il servizio fornito negli altri Paesi UE. Tale servizio generalmente non prevede penali o rimborsi dalle poste in caso di ritardi: infatti, il timbro postale sulla missiva è messo il giorno della ricezione da parte dell'ufficio postale più vicino al mittente. La data dell'effettiva ricezione del destinatario (e l'eventuale ritardo) non viene rilevato dal postino all'atto della consegna."

Quindi: sarebbe interessante capire il concetto di "territorio nazionale" e di quante ore è composta una giornata postale.
Quando queste risultano essere circa 240 non si può fare a meno di rilevare che si tratta di una giornata un po' lunghetta. 
Per i comuni mortali sarebbero una decina di giorni...
Per fare circa 500 km, non a dorso di cavallo o a bordo di carri trainati da buoi ma con i mezzi ultraveloci che le nuove tecnologie mettono a disposizione.
Sarà il caso di riesumare gli antichi cursores?




venerdì 26 maggio 2017

PazzotecaLaPaz, una scommessa


Intervento a cuore aperto sulla lettura di questo libro in formato cartaceo, appena terminata.
Per chi bazzica su facebook (e, credo, su twitter, linkedin e altri, noti come social network) i pareri sulle pubblicazioni sono semplificati: basta 'cliccare' sul pollice eretto del “mi piace” per dare un voto favorevole a un testo, a un video, a una ricetta; i più coraggiosi (eufemismo di incoscienti) cliccano il mi piace pure ai politici.
Il che la dice lunga sul loro valore e peso critico.
Se si tratta di scrivere due righe per spiegare perché qualcosa piace,  è impresa ardua.
Mettere, come si dice, due parole in croce è come scolare una pinta di birra a garganella: il primo quartino disseta, il secondo riempie, tutto il resto stravacca, va fuori controllo.
Con questo timore, di stravaccare, la gente rinuncia a commentare.
Se io fossi uno scrittore mi roderei chiedendomi cosa e perché un mio scritto è piaciuto.
Umanamente, se una mia creazione non piacesse, me ne fregherei del perché non è stata gradita: mi limiterei a consigliare un cambio di canale, cliccando su un telecomando qualunque.
Le mie sono considerazioni prive di senso compiuto, visto che non vogliono essere quella che in volgo è etichettata come “recensione”.
Chiaramente, non lo è.
Intanto, lo dico subito, il libro in questione (o, meglio, il testo ivi contenuto) è un invito al gioco d'azzardo.
Tento di spiegarmi: avendo letto le precedenti opere di questo Autore (che forse noterà la maiuscola iniziale, apprezzandone la finezza) ho mandato a prendere anche quest'ultima sua creatura, lanciando(mi) una sfida, un invito, come ad un gioco; d'azzardo, appunto.
Mi ero detto: visto il titolo, Lui dev'essere rinsavito, magari dopo la penultima fatica (ultima essendo questa sotto esame), è andato in cura, lo hanno sottoposto al TSO... insomma, potrebbe essere stato guarito.
Già il titolo mi dava la quasi certezza che il miracolo fosse avvenuto.
Biblioteca-libri, enoteca-vini, paninoteca-panini, pinacoteca-quadri, zoccoteca-zoccoli/e, parlamentoteca-discaricabusiva...
Precedenti di (quasi) tutto rispetto mi avevano portato alla definizione esatta di “Pazzoteca”: manicomio, comunità (coatta) di gente impazzita...
Ma questi ricoveri sono stati aboliti dalla legge 180 del '78... ed essendo il libro scritto al presente, l'unica alternativa plausibile è "raccolta di pezzi pazzi".
Chiarito il senso del titolo, tanto avrebbe dovuto bastarmi.
Invece no.
Mi ripeto: avendo letto i precedenti libri del Nostro, avevo respinto l'idea che potesse essere recidivo.
Recidivo di una pazzia gettata, senza falsi pudori, in pasto a genti che solo in questa ormai riescono a trovare ristoro.
Il titolo, come detto, era sufficientemente 'parlante'.
Per me, mentalmente complicato, era la dimostrazione, non travisabile, che lo Zio era completamente guarito: nessun pazzo in piena attività ammetterebbe di essere inquadrato come pazzo scrivendo pezzi pazzi.
Si dichiara apertamente tale (pazzo) chi lo è affatto, ovvero su indicazione del proprio legale in particolari momenti negativi criminali; e non è questo uno di quei casi.
Invito al gioco d'azzardo, dicevo...
Domanda: riuscirà Nicola Pezzoli ad “apparire” più pazzo che nei tomi precedenti, in questo neonato volumetto?
Risposta: no, impossibile...
Senza aprire il libro, avevo puntato un dollaro (gli euri sono finiti, anche come moneta virtuale) sulla possibilità che questo libro potesse essere talmente “normale” che i migliori Nobel letterari gli farebbero un baffo.
Capitolo primo: ho perso il dollaro.
Le regole del gioco di azzardo consigliano, in caso di perdita, il raddoppio della posta, in modo da recuperare, e magari guadagnare, nella passata successiva.
Due dollari che il secondo brano non potrà essere più pazzo del primo.
Persi...
Avanti, con raddoppio.
Tutti pezzi più pazzi del pezzo pazzo precedente.
Sarò breve: ci ho rimesso 262.144 $.
Mi sono rovinato.
Rovina virtuale, certo, ma pesantissima per il portaorgoglio di un giocatore non accanito.
La goduria del lettore, invece, fa parte di quei beni acquisiti con reazioni soggettive, non valutabili con la vil moneta.
(Spero che l'Autore, raggranellata con le vendite del tometto una cifra corrispondente al doppio di quanto da me virtualmente impegnato e perso, ascolti i suoi magnanimi lombi e mi faccia riavere quanto malamente azzardato. In qualunque moneta tattilmente apprezzabile. Anche se, al prezzo con cui lo regala, mi sa che dovrò campare almeno un paio di migliaia d'anni ancora).
Detto questo, per non apparire più troglodita di quel che sono, chiudo col tipico commento faiceboochiano:


In cui l'alluce della zampa anteriore indica solo la sciancatura per una martellata, piantando un chiodo su una robusta parete di cartongesso. Dopo, tutti i quadri stavano appesi per levitazione spontanea.
Nota finale: le zappe non sono tra i miei arnesi preferiti...

domenica 29 gennaio 2017

I giorni della memoria

So che non è un pensare positivo, ma credo che se il ricordo del passato avesse una scadenza temporale, tipo gli alimenti o le medicine o la prescrizione nel campo penale, non sarebbe un male assoluto.
Soprattutto per quanto riguarda gli eventi dolorosi della vita.
Un anno, cinque anni, dieci anni... basterebbe inserire nei DNA soggettivi un limite prestabilito, scaduto il quale sarebbe possibile ricominciare da zero...
"Scordammoce o' passato" sarebbe forse la panacea di tanti mali.
I ricordi, in fondo, sono soltanto un eterno rinnovarsi dei dolori, un perenne girare un coltello nella piaga, un ripetersi pervicace di martellate in testa...
Senza che nulla possa cambiare o essere modificato.
Con l'avanzare dell'età i giorni della memoria non sono più distinguibili, ogni giorno diventa "giorno della memoria", trecentosessantacinque giorni ogni anno, uno in più nei bisestili.
Mi piacerebbe sapere se, e dove e come, sia possibile trovare il lato positivo di questo "dono".
Mi rendo conto che non porta nulla a chi non c'è più, e che mai più ci sarà, e che il macerarsi nei ricordi non migliora la vita di chi ancora c'è; anzi concorre a renderla più amara di quanto già non sia di per sé.