sabato 20 aprile 2019

A lungo ponte...

... auguri infiniti.

A tutti e a tutte e anche agli altri.


Auguri caserecci.

domenica 14 aprile 2019

≪La lingua batte...≫



È un periodo in cui ho la netta impressione che avere (o avere avuto in un passato prossimo o remoto) un tumore, sia la nuova frontiera dello status symbol. 
Chiunque abbia accesso a qualsiasi mezzo di divulgazione, ritiene opportuno, di solito a margine di racconti di vite affettive o politiche o di carriera, aggiungere (come la classica ciliegina a completamento della torta) di essere portatori di un cancro.
Riuscire a far trapelare la notizia sui media cartacei o sul web è già un bel successo.
Il top si raggiunge quando si presenta, cercata, la possibilità di esibirsi in uno dei tanti show di gossip televisivo strappalacrime. Ormai ogni canale ne ha almeno uno, la cui conduzione è affidata a persone ormai attempate, ciascuna a modo proprio navigate; nel senso che hanno tutte alle spalle trascorsi frizzanti che propinano a gocce, per ravvivare di volta in volta lo spettacolo. E da quel passato ripescano brandelli di una sensualità patetica, coperte rughe e flaccidità del fisico da cerone a chili, e atteggiamenti da adolescenti mummificate.
Uno sbircio di seno, un taglio di mutandina, uno scorcio di coscia o natica... e l'occhio dei guardoni (voyeurs che manco nel dopoguerra, con la fame giovanile si riusciva ad essere) cola libidine; è lo spettacolo, bellezza!
E le nuove leve sono sulla buona strada, avendo dalla loro gioventù, fresca avvenenza ed essendo già smaliziate dalle lezioni di quelle che più che mamme potrebbero essere loro nonne, a un pelo dall'essere possibili bisavole. Almeno tre generazioni di esperienza buttate al vento.
Tra uno e l'altro 'incidente' (quanto qui sopra avviene sempre per improvvido provvidenziale incidente... ops!) si propina il cosiddetto gossip: racconto di amori e dolori, di tradimenti e perdoni, di sentimenti e di panni sporchi (più lo sono, sporchi, meglio è), e l'occhio degli spettatori brilla di curiosità, il pettegolezzo fa furore; venduto come 'informazione'.
Ma il meglio del meglio, il top per chi è aduso all'inglese, viene raggiunto con la sorprendente (sempre sorprendente) rivelazione dell'ospite che annuncia di avere, o avere avuto, un tumore.
Rivelazione sempre inattesa, talmente inaspettata che il mitico "incredibbbile!!!" di Aldo Baglio sarebbe riduttivo nell'esprimere la sorpresa della scoperta della presenza di una malattia talmente poco/niente conosciuta da essere tranquillamente catalogata tra quelle rare. Trovare chi ne è affetto vale quanto beccare un politico corrotto; tanto pochi, quasi unici, sono...
Dallo sbalucinamento di stupore alla lacrima il passo è breve, anzi fa tutt'uno con lo sbattito di palpebre a mo' di tendina a scomparsa.

Età e navigazioni di vita di solito danno una forma di cinismo: avendo visto e provato di tutto, poco potrebbe ancora turbare o stupire.
Per queste conduttrici, invece, è come se la vita si fosse fermata all'infanzia o all'adolescenza, quando la curiosità portava allo sbarrare gli occhi a fari abbaglianti per ogni nuova scoperta. Ecco, a loro riesce, ogni mattino/pomeriggio /sera, lo sbattere delle palpebre tipico della sorpresa assolutamente inattesa a fronte di notizie segnalate come 'incredibili'.
A questo aggiungono, dono dell'età, una capacità di commozione, con lacrimazioni a comando, che solo un lungo barcamenarsi nel mondo dello spettacolo riesce ad aggiungere al bagaglio professionale. Talvolta a copertura di una ignoranza abissale, congenita.
Ad ogni presentazione di un nuovo caso di cancro, ormai a cadenza quotidiana, lo sbarrare di occhi con immediato umidore di ciglia sono l'incitamento alla sorpresa e relativa commozione di un pubblico, peraltro molto vasto, prodromi di applausi tutti-in-piedi che puntano a far schizzare verso l'alto il termometro del gradimento degli ascolti.
L'ultima performance in ordine di tempo, ma sicuramente non ultima inteso come finale: un gruppo di ex da un po' tutto, che in fin di carriera dimostrano come con l'età sia possibile perdere il pelo di dignità che li rendeva quasi umani, prestandosi a esibizioni fisiche che possono eccitare solo menti bacate, così facendo avevano risvegliato un po' delle glorie del passato, ormai obsolete e dimenticate. Padronissimi di gestire la loro vita nel modo che ritengono più opportuno e redditizio, per rimpinguare casse ormai esaurite. Una volta finito lo show, col rientro dei protagonisti alle rispettive faccende, sentire i racconti dei famigli o ex tali è un dovere informativo imprescindibile.
Infatti ecco pronta una delle tante ex mogli che espone le sue pene e i suoi sogni e i suoi rimpianti. Umanamente toccante, solo una gelida lastra di marmo non si commuoverebbe, magari vestita di cartapecora per apparire umana.
Poteva mancare alla fine dell'informazione gossipara l'annuncio di essere stata portatrice di un carcinoma, tutt'ora sotto stretto controllo? Pare che la conseguenza sia stata la riduzione della siccità in val padana, per l'abbondante lacrimazione provocata dalla sconvolgente notizia.
È la famigerata spettacolarizzazione del dolore.
Con la conseguente banalizzazione di questo male.
La pervicace insistenza nell'esporre alla pubblica compassione casi relativi a questa malattia, è ormai messaggio che il cancro, i tumori, sono malanni talmente comuni e diffusi da essere considerabili malattia corrente, stoicamente sopportabile se non anche accettabile, come fosse un malanno di stagione che viene e quanto prima se ne andrà.
Tra l'altro nelle interviste di enunciazione ci si accontenta di comunicare che il male c'è stato, e tanto basta a scatenare la solidarietà pelosa dei più. Sarebbe interessante sapere qualcosa su "come" sia stato affrontato il malanno, in cosa sia consistita la battaglia, di solito fortunosamente vinta.
La nota presentatrice che ha dato la stura alle 'confessioni' aveva parlato di tempi assurdamente assurdi, fuori da ogni realtà; alterandosi in seguito per la polvere che aveva sollevato, per i dubbi suscitati da quello che appariva un miracolo. Sarebbe bello sapere, ad esempio, chi di questi ex malati abbia dovuto attendere mesi per una visita di controllo oncologico o per una PET, quanto abbia atteso un posto letto, se la scelta del luogo e delle possibilità di cura siano stati vincolati da fattori terzi...
L'impressione diffusa dall'abbondanza di questi messaggi e i pulpiti da cui vengono propinati, è che tra un tumore e la carie di un dente la differenza sia minima. Appare chiaro, ed è ben noto a chi l'ha provato, che il mal di denti è dolore insopportabile...
Va a cicli: resa, per ora, dormiente la voce 'violenze' di vario tipo, passata quella sui coming out sulle tendenze sessuali, adesso la moda è presentare cancri e tumori, dovunque e a ogni pie' sospinto.

Un tempo era la tubercolosi ad essere raccontata da dipinti, e l'inserimento della tisi nei racconti relativi a quei tempi era quasi d'obbligo. Il mal sottile era sinonimo di nobiltà, il pallore della carnagione, che nei dipinti e nei romanzi era presentata come diafana, impronta visibile di un essere 'al di sopra' della plebaglia che non poteva nascondere le caratteristiche devastanti della malattia. Lo stesso popolo che nascondeva per quanto possibile l'accidente che, in fondo, portava alla identica sorte finale nobili e plebei, senza distinzioni di censo.
Era, ed è, contagiosa, la tubercolosi, e la sua cura era a quei tempi dispendiosa e fuori dalla portata dei più. Le attenzioni erano rivolte quasi esclusivamente ai re (era detta il male del re, proprio per dare l'idea di quanto pochi ricevessero attenzioni e cure) e una cerchia ristretta di nobili d'alto lignaggio. L'unica differenza che li distingueva era la morte in sanatori di lusso, coccolati fino alla fine, contrariamente alla plebaglia che moriva, sola e abbandonata, in tuguri o nel profondo dei boschi, allontanata dai borghi con le buone o con le cattive.
Tra le cure ai nobili era prevista la preghiera, in cappelle private, affinché il Cielo guarisse quelle persone così preziose; anche ai poveri erano riservate preghiere, ma con la richiesta di farli morire al più presto, esseri ormai inutili e pericolosi per la salute di parenti e concittadini.
Preghiere puntualmente respinte ai primi, puntualmente accolte per gli inutili.
'A livella di Antonio De Curtis in arte Totò, ante litteram.
Oggi chi si presentasse in questi pseudo-salotti a raccontare non dico di avere, ma di avere avuto in passato la tubercolosi, ed essendone guarito non per grazia ricevuta ma per cure appropriate, non avrebbe accesso neanche all'anticamera degli studi di ripresa. Il circo mediatico non prevede sorprese ed emozioni per questo tipo di malanno.
A ogni risveglio di questa malattia scatta l'allarme generale, come sta accadendo in questi ultimi giorni, che hanno fatto scoprire la possibilità di una tubercolosi dormiente per anni, il cui risveglio avviene senza premonizioni particolari. A modo suo è quasi diabolica, pur apparendo oggi curabile purché presa in tempo.
La tibici, con le pestilenze, è stato il flagello di quei secoli, il cancro quello dei nostri. Talmente diffuso da oscurare altri mali altrettanto devastanti e, come i tumori, con una distribuzione in costante aumento, che non rispetta né l'età né il censo, colpendo l'ignorante quanto lo scienziato.

Come, per fare un esempio, l'insufficienza renale, che pure è divenuta fatto comune, quanto i tumori, e forse di più.
Parliamo per un attimo proprio di questa.
I nefrologi (che sono altra cosa che i necrofori, sia chiaro) sono gli specialisti che curano questo malanno. La possibilità di scambio nella definizione sta nel fatto che anche i nefrologi accompagnano... senza poter fare molto di più.
Curano è modo di dire; più esatto sarebbe "seguono" o, come accennato, "accompagnano" indicando la strada meno rapida per arrivare allo striscione che indica l'arrivo. Visto che, in effetti, non esistono interventi miranti alla guarigione.
È una malattia la cui diagnosi porta da subito a due aggettivi: irreversibile e progressiva.
Irreversibile: non torna più indietro, non sono previsti miglioramenti nel suo avanzare.
Progressiva: non si ferma più, al limite può fare balzi ma sempre in avanti, solo peggiorando.
Separati, in altre situazioni possono essere letti anche con valori positivi.
Accomunati, nello specifico all'insufficienza renale, fanno pensare e pure tremare, i polsi e quant'altro. Solo la morte è etichettabile come irreversibile; non progressiva, a meno di considerare tale lo stare attaccati a mezzi tecnici che portano lentamente allo stesso risultato.
Ferma restando l'irreversibilità, e non potrebbe essere altrimenti, il progredire della malattia prevede diversi stadi; il penultimo è la dialisi, che poco ha da invidiare alle chemio/radioterapie messe in atto per la cura dei tumori; l'ultimo è il trapianto di reni.
Consolante il fatto che ne basti uno solo...
A trovarlo.
In tempo.
Altre cure, nada de nada, nessuna.
Ci sono protocolli per rallentarne il progresso: bere molto (acqua, ça va sans dir); alimentazione aproteica;  niente analgesici (in caso di mal di testa, batterla contro un muro finché passa; per il mal di denti è sempre valido un rimedio della nonna: mettere una mela in bocca, infilare la testa nel forno, quando la mela è cotta il mal di denti è passato, garantito) o medicinali non miranti al rialzo di specifici valori delle analisi, in calo o in eccesso, ma comunque da usare sempre con estrema cautela; un modus vivendi generale più che morigerato, monacale (quello degli antichi conventi, ma senza cilicio); aspettare.
O fare qualche viaggetto a Lourdes, a Medjugorje o altri santuari, che peraltro da centri di preghiera sono divenuti ricchi centri di aggregazione turistica; di miracoli non si parla più.
Per i tumori esiste un accenno alle possibilità di vita: col passare del tempo i controlli vengono dilazionati con una gradualità costante; dai tre mesi iniziali si passa ai sei, poi all'anno, fino a una necessità di controllo prudenziale pluriennale
Nell'insufficienza, entrati nel giro, non ci possono essere speranze di previsione, anche le statistiche non aiutano più di tanto: i controlli sono trimestrali, salvo peggioramenti non previsti e non temporalmente valutabili, nel qual caso si riducono fino a diventare plurisettimanali divenendo un'agonia cosciente fino alla remissione definitiva della malattia con il the end senza ritorno.
Una spada di Damocle perenne, col filo di tenuta che si sfilaccia giorno dopo giorno.


Il bello (vabbè, così si dice) viene quando tumore e insufficienza renale convolano a nozze, insediandosi a coppia in un individuo. Due sposi che non si sopportano e anzi fanno di tutto per spodestarsi a vicenda.
Se il tumore se ne sta tranquillo, in sonno ma sempre all'erta, l'irc (questo è l'acronimo dell'insufficienza renale) procede per fatti suoi, lentamente ma inesorabilmente, quando va bene passetto dopo passetto.
Ma se, putacaso, in presenza di un intervento chirurgico che abbia eradicato il tumore, un innocuo linfonodino dovesse dar fuori di testa, in pratica impazzire, trasmettendo ad altri suoi simili cellule dannose, la possibilità di mettergli la camicia di forza della chemio/radioterapia per riportarlo alla ragione sarebbe inibita dall'aut-aut dell'irc. Che blocca sul nascere questa possibilità, che è pur sempre e solo un tentativo, con risposte soggettive ai vari cicli di trattamento.
Appena si alza la paletta dell'help! a caratteri cubitali, l'irc dice no, niente aiuti; meglio, è possibile riceverli, ma poi si imbizzarrisce e fa un balzo in avanti che avvicina chi la ospita a una fine altrimenti forse non prossima.
Senza possibilità di ritorno ai valori precedenti. Irreversibilità: non si torna indietro, neanche a fin di bene.

Tanto sono affollate le sale d'attesa per una visita oncologica, altrettanto lo sono quelle per una visita nefrologica.
In entrambe le situazioni, del doman non v'è certezza...
Tutti combattenti, cui il pungolo dell'incoraggiamento alla lotta diffuso dai battaglieri di salotto nei modi prima citati è, a dir poco, controproducente.
Una esternazione sarebbe stata messaggio di speranza: si può fare, si può guarire, non lasciarsi mai abbattere.
Due, sarebbero state conferma di quel benemerito invito.
Quando l'esposizione diventa endemica, come sta succedendo, alle migliaia di tumorati in trincea viene il dubbio che qualcosa non quadri: o costoro, i miracolati degli show, hanno risorse ai più ignote o negate, ovvero chi è portatore della malattia è un ipocondriaco, un malato immaginario, che intasa ambulatori e nosocomi per il gusto di farsi accudire e compatire, manco il cancro fosse accidente serio.

Tempo addietro, se non vado errato nel '68, era entrato come moda il grido femminile "La vagina è mia e me la gestisco io". Che non ha avuto il risultato di mettere quell'organo in bella mostra nei salotti televisivi o nei cartacei...
Era la rivendicazione da parte delle donne che, pur essendone legittime proprietarie, dalla gestione di quella dotazione erano di fatto estromesse; tra violenze poco riconosciute e punite e deleghe legislative che affidavano ad altri decisioni prettamente femminili, anche in fatto di maternità. L'oggetto-donna del passato veniva ripudiato.
Sarà possibile travasare quel detto (che con il suo dire colorito, in alcuni casi quasi folkloristico, tanto ha dato alle donne) ai tumori e alle malattie simil-tumorali, nel senso di gestirsele in proprio e in privato, senza sbandierarle manco fossero una conquista da invidiare, o addirittura presentandoli come dono, opportunità?... Conquiste, doni, opportunità... ma de che?

Un'idea (balzana, ovviamente, e pure malsana): i personaggi che vanno in questi contenitori televisivi inutili o rilasciano interviste, potrebbero dare un'impronta diversa al loro status symbol: dopo aver raccontato amori e dolori, tradimenti e perdoni, sentimenti e panni sporchi, anziché chiudere 'vantandosi' di avere avuto un cancro, potrebbero offrire (a sorpresa vera) la visualizzazione della loro denuncia dei redditi.
Applausi e like non so, sicuramente amplierebbe la platea degli spettatori interessati: l'Agenzia delle Entrate e la Guardia di Finanza non cercano altro, questi Enti si divertono così, e di questo campano.

"La lingua batte dove il dente duole", dice un antico adagio filosofico.
Quando i dolenti sono due, la lingua si fa battacchio di campana.
Al din dell'un dente risponde il don dell'altro, senza interruzioni o riposi. E quando i due rintocchi battono in una campana già crepata dall'età e da precedenti malanni, il suono non è piacevole e cristallino; anche se, in particolare per questi accidenti, cristallino non fu mai.
Alla lunga questo din-don finisce per essere un passatempo, come il girare i pollici a vuoto, in attesa di qualcosa già definito, non avendo altre possibilità per farlo più utilmente.

Ad alcuni questo testo potrà sembrare un intervento di parte.
Respingo fermamente il potrà sembrare: lo è.