martedì 7 maggio 2013

Giro d'Italia: spiccioli di ricordi

È iniziato sabato il 96° Giro ciclistico d'Italia, e viene spontanea una scrollatina ai ricordi di un passato lontano, pur se non ancora remoto.
Voglio raccontare un paio di episodi, legati a due Giri diversi, minuscoli frammenti di un mondo sportivo un tempo epico e oggi anch'esso tecnologizzato.
Per introdurli ho pensato di mettere un'immagine, che nella sua semplicità antica li accomuna entrambi.

La carbonaia: fumi verso il cielo, non trattenuti 
1986: 69° Giro d'Italia
Qualunque fatto sia accaduto nel corso di quel Giro, è stato, per così dire,
cancellato da un evento tragico, che fin dalla prima tappa lo ha segnato come quantomeno sfortunato.
Proprio in quella prima tappa, la Palermo-Sciacca, che il giorno avanti aveva visto il prologo a cronometro su Palermo, un ragazzo, il 22enne Ravasio, era stato coinvolto in una caduta, si era rialzato, era risalito in sella alla sua bici e aveva terminato il percorso di quella tappa...
Sembrava una caduta come tante altre, risoltasi per il meglio, invece poco dopo era entrato in coma: lo sconforto, che aveva colpito la carovana, era mitigato dalla speranza di un suo prossimo risveglio.
Le tappe successive erano state come ricoperte da un leggero velo di speranza, che verso fine mese si era tramutato in un pesante lenzuolo, sudario di un giovane che aveva concluso in maniera brutale l'ultima tappa della sua vita.

░░░░░░░░▒▒▒▒░░░░░░░░

E ancora sotto quel velo di speranza il 15 maggio si era svolta la quarta tappa, la Villa San Giovanni-Nicotera, su un percorso prettamente marino.

Nicotera, borgo antico
L'attesa dei "girini" provenienti da Villa San Giovanni, a parte le bandierine, la gente vociante, i cappellini e tutto il colore che da sempre accompagna e segue questa manifestazione, era concentrata sulla strada del percorso di arrivo.
Perfettamente asfaltata.
Da pochi giorni.
Forse troppo pochi, per sopportare il sole cocente di quel giorno, insolito anche per quel paese del sud mediterraneo e nettamente superiore a quelle che i meteorologi definiscono "medie stagionali", e che faceva letteralmente sciogliere il manto di bitume.
L'interesse, in quella situazione, andava alle moto della carovana, soprattutto quelle della RAI, che erano delle monovolume su due ruote, con nella parte posteriore delle specie di armadietti contenenti i "ferri del mestiere" dei cineoperatori, e quelle del servizio d'ordine, addetti alla chiusura degli accessi al percorso, posteggiati a bordo strada: si trattava di stabilire quale dei cavalletti che le tenevano diritte sarebbe sprofondato per primo nell'asfalto quasi liquido, facendole coricare sulla destra o sulla sinistra.
Le imprecazioni dei titolari di quei mezzi non erano sufficienti a impedirne l'abbattimento.
Per chi guardava, un divertimento, innocuo e gratuito.
Nel pomeriggio, al seguito televisivo della carovana, era arrivato Gino (per alcuni Ginetto, per altri Ginettaccio) Bartali, che aveva preso possesso di un bungalow all'interno di un grande complesso turistico, aperto in anticipo per consentire il ricovero dei numerosi gruppi che operavano, chi direttamente come i ciclisti, chi come supporto tecnico e chi per la pubblicità.
Foto di repertorio, interno villaggio turistico
Premessa, per chi non lo ha conosciuto direttamente o solo per sentito dire: Bartali era un personaggio colorito, vivace, il suo "l'è tutto da rifare" è passato alla storia del ciclismo, poi esteso un po' a tutte le attività a cui metteva mano.
Era, altresì, un personaggio notoriamente pio e devoto: il distintivo che portava al bavero sinistro della giacca, che recitava AC non significava Automobil Club, ma Azione Cattolica; non ne sono certissimo, ma mi pare fosse anche terziario francescano, seguace di quel Francesco di Assisi che della povertà e dell'amore aveva fatto suo abito.
Amore per le persone, ma anche per gli animali.
Non per niente questo santo è considerato loro protettore, in generale (poi ci sono le varie specialistiche, per i cani come per i criceti e via via tutti gli altri, lupi compresi).
È anche santo protettore dell'Italia, con scelta, a ben guardare, affatto casuale.
Tornando al nostro Gino, sistemati i doveri di critica televisiva per cui era retribuito, si era ritirato nel suo ricovero per un riposino e per le pulizie personali, in attesa della cena.
Avevo visitato quella struttura in anni precedenti, ma nella cosiddetta alta stagione, e la ricordavo come una delle migliori in zona, come alloggiamento, ristorazione e attrattive varie.
L'anticipo, assolutamente fuori stagione, forse aveva fatto leggermente trascurare un suo riordino perfetto.
Alla presa d'atto diretta di una situazione fuori del normale era dovuta l'uscita furibonda di Gino dal suo nido provvisorio.
Le orecchie e le nari fumavano come (detto in apertura del post) una carbonaia.
La bocca non fumava.
La bocca, da buon toscano devotamente pio, dialogava "amichevolmente" col Padreterno, per esporgli il suo disagio di fronte ad alcuni insetti trovati nella stanza,  usciti in perlustrazione sentita la novità del movimento umano così fuori stagione.
Francescano, ergo amante anche degli animali, avrebbe dovuto esserlo, tra questi, anche degli insetti.
Che poi, in fondo, si trattava di alcuni scarafaggini e di qualche ragnetto...
Teoricamente, non la fine del mondo.
È pur vero che gli scarafaggi sembravano tartarughine, quelle graziose bestiole verdastre ospitate negli acquari casalinghi; però in abito da sera, neri.
Quanto ai ragni erano palline da ping-pong, con ventri lucidi, zampotte pelose e occhietti maligni; neri pure questi, tanto per non sfigurare nei confronti degli altri coinquilini.
Aveva raccontato la scoperta a chiunque gli era capitato a tiro, insultando senza ritegno i responsabili, fino a quando l'Organizzazione gli aveva trovato un posto decente in cui andare a riposare.
A circa quaranta chilometri, forse per non sentirlo più 'dialogare'.
All'indomani raccontava ancora l'accaduto, enfatizzandolo come si fosse trattato di un safari africano. 
Per la cronaca: tappa a Gibi Baronchelli, Giro a Visentini.

1990: 73° Giro d'Italia
Giro caratterizzato dall'impresa di Bugno, maglia rosa dalla prima all'ultima tappa.
La prima, il 18 maggio, era stata una cronometro Bari-Bari, con un percorso breve da ripetere non ricordo più quante volte.
Bari, Teatro Piccinni
Partenza nel rettilineo lungo il Teatro Piccinni, proseguendo poi sul lungomare con ripasso e arrivo finale allo stesso punto dello start iniziale.
La cronaca della tappa è marginale, comunque Bugno aveva già messo la sua impronta, vincendola alla grande.
Il giorno precedente, i ciclisti avevano fatto una sgambata di riscaldamento, e, al rientro nei rispettivi alberghi, si erano sottoposti alle carezze dei massaggiatori, per far rilassare i muscoli delle gambe e tonificarli.
Per chi, senza essere atleta del settore, si trovava a condividere l'albergo, era stato un bagno turco di fumi canforati, che si erano insinuati in ogni pertugio del complesso.
La cena era stata impregnata da questi odori, alterando i sapori dei cibi e delle bevande
Anche per 'tentare' di allontanarsi da quegli effluvi, ci eravamo adagiati sulle poltroncine all'esterno, di fronte al cancello d'entrata e alle cancellate di recinzione; una vasca con pesci rossi e fiori di loto a rallegrare la vista, un whisky con ghiaccio a rinfrescare il palato e mitigare la calura della sera.
Non posso parlare del silenzio della notte, che pure darebbe un tocco di poesia al racconto, poiché la caciara che facevano gli atleti e i loro manutentori sopprimeva il piacere della pace serotina.
A un certo punto, però, il silenzio era calato improvviso, costretto dal rumore di botti in sequenza, all'inizio attribuiti a fuochi d'artificio, prima di abbinarli alle sirene e ai lampeggianti delle auto dei carabinieri, in transito proprio davanti al nostro albergo, lanciate in un furioso inseguimento...
Calato il silenzio, eravamo usciti sulla strada, parlottando sottovoce, forse nell'inconscio tentativo di non farsi intercettare da eventuali cecchini appostati chissà dove nel buio.
Qua e là in terra bossoli di proiettili.
Li stavamo raccogliendo, quasi a farne souvenir, quando erano arrivate alcune auto dei militi che andavano raccogliendo quei reperti; avevano insistito acché chi li aveva raccolti li restituisse.
Senza spiegazioni.
Chi sparasse, e a chi, contavamo di apprenderlo dai giornali l'indomani mattina.
Niente, forse per non turbare il giorno d'inizio del Giro il fatto risultava come non avvenuto. 
Della nostra strizza non era fregato a nessuno.

Bari antica
Nella marea di giornalisti al seguito del Giro, spiccava Candido Cannavò, direttore della Gazzetta organizzatrice dell'evento.
Nel corso della mia vita, discretamente lunga senza essere (per adesso) matusalemmica, ho conosciuto due sole persone nomate Candido.
Una, di vecchia data, stava a Torino, e scriveva i nastri per le corone e cuscini mortuari. La sua caratteristica principale era il perenne mal di stomaco, sicuramente dovuto all'aspirazione costante degli inchiostri usati nel suo lavoro.
L'altro Candido conosciuto è il già citato Cannavò.
Al suo rientro in albergo, in tarda serata (o piena notte che dir si voglia), aveva fatto segnare la "comanda" per la mattina successiva: con la colazione aveva richiesto il Corriere e la Gazzetta.
Che, al mattino, erano stati puntualmente recapitati in camera.
Era sceso furibondo (rif. la carbonaia all'inizio), accusando tutti di lesa maestà, poiché il Corriere e la Gazzetta propinatigli non erano quelli da lui ordinati.
A Bari, e generalmente in tutta la Puglia, chiedendo, in edicola come in albergo, la Gazzetta, questa è intesa come quella del Mezzogiorno; e chiedendo, ancora genericamente, il Corriere, nelle stesse zone è percepito come dello Sport.
Forse non tanto quella Gazzetta quanto "quel" Corriere, il buon Candido lo aveva letto come uno sfottò, diretto specificamente al direttore del primo quotidiano sportivo nazionale; per di più in un città da giorni tappezzata di rosa, con il logo stampato in ogni dove, meno che in cielo.
Anche lui, come Gino nel precedente, si era vivacemente alterato, insultando 'dolcemente' la direzione dell'albergo, gli addetti della reception e coinvolgendo nel fatto offensivo anche l'ufficio che lì lo aveva prenotato.
C'era voluto del bello e del buono per convincerlo che si era trattato solo di un qui-pro-quo che non intendeva sfottere la sua persona.
E non sono sicuro che sia poi partito da Bari soddisfatto della spiegazione.

▒▒▒▒▒▒▒▓▓▓▒▒▒▒▒▒▒

Sia Gino che Candido se ne sono andati, dopo aver vissuto i loro sogni, dopo averli raccontati, presumibilmente realizzati raggiungendo la fama, ciascuno nel proprio campo; e ciascuno concludendo fino alla fine il proprio Giro della vita. 
Ma, alla fine del post, il pensiero va ad Emilio, quel ragazzo di ventidue anni di cui non si sapranno mai né i sogni, né le aspirazioni, né il seguito di una vita, appena iniziata e subito finita.

2013: 96° Giro d'Italia

Oggi, 7 maggio, dalle 12 alle 12,30:

Sette in fuga
Il gruppo all'inseguimento

Fine post, buona serata a tutti

giovedì 2 maggio 2013

C'è chi semina e c'è chi raccoglie

Ingrandire con le opzioni,
se lo faccio io esco dal blog.
Ho scoperto che è sufficiente cliccare sulla foto 
per portarla a livello di lettura