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Visualizzazione dei post da 2010

AUGURI

Ho poco tempo, gli auguri li faccio da qui, prima o poi arriveranno a tutti, tanti che siano, non bastano mai. Vanno bene per la salute, vanno bene per i portafogli, vanno bene per la serenità, in famiglia e nella società; andrebbero bene anche per la politica, ma la vedo assai dura, è un genere che ormai fa solo paura (oltre che schifo). La cosa importante è che sul ponte non sventoli mai la bandiera bianca. A U G U R I 2011

Una prece per la pace

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La pace è cercata da tutti, a parole, citata assai, con cuore ed amore. C’è chi per lei prega e in lei ci spera, ma più si va avanti più è una chimera. Per difender la pace si fa la guerra, gente ammazzata che va sottoterra. Siam tutti armati, tutti in difesa, guardiamo in cagnesco la mano tesa. Con pietre o lame o bombardieri, la pace uccidiamo, oggi come ieri. Millanta morti portan la scritta ‘riposa in pace’; ma la pace è finita. E questa pace, il micio orante chiede che sia immantinente. Ma c’è una pace che non si sogna, è quella dei sensi, nessuno l’agogna. Si gioca solo una partita, con il pallone che corre, veloce, cercando il suo clone. Si scende in campo, novanta minuti, o son novant’anni, quelli vissuti. Poi c’è il recupero, poi i supplementi, più passa il tempo più sono pesanti. Poi, senza sosta, ci sono i rigori, a bruciare, stentati, gli ultimi ardori. Si può provare con la pastiglietta, per farne una in più, ma poco conta. Forse si riesce ancora a godere, ma non è più lo

Alla donna

Donna, scruto i tuoi occhi di speranza, mutati da un passato di paure, che ti volle sempre debole, sempre schiava d’un Dio, che era uomo. Non fermasti mai il tuo cammino, poiché tu eri anche lì, sola, dove lo stesso Cristo esangue, decise di spirare a questa terra, ma tu, col fardello che ti lasciava, continuavi ad adorare quel viso morto. E nessuno volle ascoltare il tuo messaggio, e ancora sola non t’arrendevi, lasciavi una carezza, ad un figlio che moriva, baciavi sulla fronte un marito che partiva, e nello strazio del tuo dolore, continuasti a rammendare quel lenzuolo. E il tuo pianto, la tua collera, a nessuno mai fece pena, bruciata come strega in una piazza, lapidata, per la rabbia d’un marito, violentata da un branco senza volto. Non c’è giustizia in questa storia, c’è un passato, che nel tempo si tramuta, ma non cambia o non vuol farlo. E quella donna, che nel buio d’una stanza, accarezza, sul suo ventre, il suo bambino, spera che quel futuro, che porta in grembo, sappia sempr

Fiore rubato

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In illo tempore  è l'incipit usuale di molti racconti evangelici. Indica un tempo senza tempo, comunque inteso come lontano, molto lontano. Ebbene, a quel tempo ,  tra le svariate attività che hanno occupato la mia vita, immagazzinate poi come esperienze, c'è anche quella di fiorista. Attenzione: fiorista, non fioraio. Venditore di fiori, non coltivatore degli stessi, anche se nell'uso comune i due termini si equivalgono. Mai avuto il pollice verde; semmai il mio pollice era nero... di inchiostro. Anche definirmi fiorista, a dire il vero, è una forzatura, un alzarmi di grado assolutamente abusivo... In realtà ero un aiuto-fiorista, e perfino così quell'abito mi starebbe molto largo. Era andata così: lei, la moglie, aveva voluto la bicicletta del negozio di fiori e io dovevo pedalare. Nel vero senso della parola: non aveva la patente e non la voleva, da qui le levatacce prima dell'alba per portarla al mercato specifico per fioristi, le consegne delle varie com

Percezioni

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Mi sono visto esile filo d’erba piegato dalle brezze della vita mentre alba sorgeva, resistere ai neri inverni e alle lunghe notti senza cielo. Mi sono visto fragile arbusto curvato dalle raffiche d’una tempesta scatenata dall’uomo, rincorrere orizzonti lontani ed effimere speranze d’un domani. Mi sono visto albero forzuto stendere rami verdigni nell’azzurro verso il sole, a proteggere esili fili d’erba affacciati alle soglie della vita. Mi vedo vetusta quercia apparire salda agli uomini in transito oltre il visibile. Ma opache eco rimbalzano, sordi rimbombi al becco del picchio… … e si sentono i passi del taglialegna. Angelo Roberto Campiselli (1981) Dedicata a tutti i tagliatori di mestiere: a chi taglia fondi alla cieca, a chi taglia teste alla rinfusa, a chi taglia stipendi e pensioni, a chi taglia la sanità fregandosene della gente che muore, a chi taglia la scuola perché l'ignoranza crea consenso..... per tutti il taglialegna deve arrivare. Anche per loro.

Scontro frontale

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  Anturium rossi  La Simca 1100, col culetto rimesso a nuovo, svolgeva il suo lavoro con onore; a parte i due fattacci, non ricordo mi abbia mai lasciato per strada. Se è successo, è stato per piccolezze, per ricordarmi che lei, comunque, era solo una macchina. Tra mercato dei fiori all’alba, consegne in campagna, in città e in ogni luogo umanamente raggiungibile, lei si stava guadagnando una onorevole rottamazione, mentre io mi ritrovavo ormai con un mazzo a galleria. Prima della cessione del negozio, come previsto in caso del troppo che stroppia, era successo un fatterello, che inserisco tra gli incidenti, perché tale fu, ma non con la macchina. In città era stato assassinato un personaggio importante. Più che altro era conosciuto dagli addetti ai lavori del settore. Per dire, se prima dell’omicidio, in un negozio o al mercato o per strada, qualcuno avesse chiesto chi fosse, sicurissimamente la risposta sarebbe stata un “boh!”. Senza il ‘probabilmente’ che di soli

Coincidenze

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Io non credo molto alle coincidenze. Penso che ogni parola, detta o scritta, abbia sempre un motivo, quando viene emessa, postata o stampata. Che siano benedizioni, ovvero accidenti, quando vanno a ‘buon’ fine (soprattutto questi ultimi) mi lasciano perplesso. Per tentare di chiarire questa nebbia, vado a raccontare un fatterello che ‘potrebbe’ essere preso per coincidenza, se non fosse che, come detto prima, alle coincidenze non credo per niente. Premessa: da giovedì scorso, il gatto è sparito dal suo blog e dai commenti agli amici degli altri blog. Che in questo lasso di tempo hanno potuto sbizzarrirsi senza peli di gatto lasciati qua e là. Bene, il sospirone di sollievo portatomi dal vento di tramontana che perseguita la mia zona, finisce qui. Prego guardare il palmo teso della mano sinistra, volto all’ingiù, sollevato più in alto possibile, per renderlo ben visibile all’arbitro, ai guardalinee e al quarto uomo; puntato sotto questo palmo c’è l’indice della mano destra, a ind

Legge Bacchelli

Atto I La legge Bacchelli (n. 440 dell’8 agosto 1985) fu istituita per dare sostegno a personalità che, distintesi nel mondo della cultura dell’arte dello spettacolo dello sport, al termine delle rispettive carriere si trovino in condizioni disagiate. Personalmente la ritengo una legge anticostituzionale, in riferimento all’articolo (che non cito, poiché è talmente ignorato che tutti lo conoscono) che dichiara l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte allo Stato. Prevedendo interventi specifici per determinate categorie, esclude le altre, creando una discriminazione di fatto. Il fatto che sia venuta alla luce nell’afa di agosto (che nell’85 era afa vera e caldo da solleone, non come il tepore estivo attuale) mi fa dubitare che sia nata nella frescura mentale che sarebbe indispensabile al momento di emissione di una qualunque legge dello Stato. Atto II Un paio di giorni fa, un certo F.C. (per la legge sulla privacy evito di citare nome e cognome per esteso; anche questa pens

Il canto del gallo

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ËL CANTÈ DËL GAL Coma chiel fasìa già tute le matin ëdcò col di l’ha comensà a canté: drinta sò gioch, sensa gnun sagrin, la soa testa drita mach për saluté. La soa bela crësta rossa bin solià a dasìa ciàir ël sens ëd la coron-a: përchè ’d col polì, chiel, a l’era ’l rè e a lo controlava pròpi ’d...përson-a. Andrinta na cort, ciàira e luminosa, a-i caminava col nòbil bin soagnà: con ël sò pass leger a spassigiava blagand con soe piume bin pëntnà. Chiel as fasìa bel con soe galin-e ch’a lo cudìo pien-e d’amirassion: për ël blagheur a j’ero soe...regin-e, ma a deuvìo capì bin la situassion. Ma ’n brut di ij làder a son passà e dal polì l’han piàit tute le galin-e: chiel për soa fortun-a a l’é scapà, ma col brut di l’ha fai-je ...pròpi fin-e. Për un pò ’d temp l’ha pa pì cantà con ël sò cheur pien ëd soferensa: peui con cole pole neuve l’ha trovà na rason neuva për soa esistensa. Al fond ëd costa stòria j’é na moral ch’a val s’a-i é ’l sol e con la brin-a: për podèj sempre sente

Prima di tutto

NO alla caccia NO alle corride NO    NO    NO alla  vivisezione Settimana di mobilitazione contro la vivisezione Questo non è un post, è solo un miagolio. Oggi è festa, per favore trovate due minuti per visitare RIVOLUZIONE DEL PENSIERO di Ondina, quello è un post da leggere. Attentamente. Un essere vivente che fa esperimenti su altri esseri viventi ha solo un nome: Mengele

Sinistri cinque

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Il palazzo dove eravamo andati ad abitare era isolato, di fronte c’era una grande piazza, senza fronzoli, con erba, terra battuta e pianticelle tutt’intorno. Sul retro un grande campo, coltivato per lo più a mais; oltre questo c’era la linea ferroviaria. A livello strada c’erano tre negozi: una fioraia, un tabaccaio e, in un locale più piccolo, un sarto. Questa fioraia aveva stretto amicizia con mia moglie, che la andava ad aiutare, passandoci il tempo mentre io ero al lavoro. L’amore per i fiori e la frequentazione l’avevano messa in grado di partecipare alle varie lavorazioni, imparando, come si dice, il mestiere. Così quando la fioraia, per fatti suoi, aveva deciso di andare altrove, la proposta di rilevamento del negozio era stata quasi automatica. Quando mi aveva accennato questa possibilità, non avevo mostrato alcun entusiasmo, sia perché il commercio non rientrava nelle mie simpatie, sia perché ero conscio che avrebbe limitato il mio tempo libero. Alla fine, come sempre

È notte

L’è nòta Fra e’fug dl’aröla e la bóca de camén i curiêndul’d falug i stasêva a gala, i s’impiêva, i s’amurtêva coma lózal chel zuga a gnascundëla fra el spig de grân. E tla faza dla nòta la gratusa del stël la fasêva el gatózal a la pël de zil par disté e’ côr insunlì de sôl. La vôs de silénzi l’era pulida coma ‘e són dôlz d’ogni burdël. Ti mur dla ca nud et paröl i spén dla fiâma j’era cóz lôna a spas in te bur. In che mumént i cavèl ed màma i turnéva d’incânt culôr de grȃn, ôn mantël d’ôr sôra a la spala. Rósa ‘d vargógna, coma ai sófi de prem amôr, li la zerchèva la mân de su vëcc, incôra chêlda d’udôr et stala. (Anonimo – 1981) Per chi non conosce il plenilunio, il gatto l’ha letta così: È notte Fra il fuoco del focolare e la bocca del camino i coriandoli di faville restavano a galla, s’accendevano, si spegnevano come lucciole che giocano a nascondino fra le spighe del grano. E sulla faccia della notte la grattugia delle stelle faceva il solletico alla pelle del cielo p

Sinistri quattro

Ci eravamo sposati, avendo ancora in dotazione la 850 spyder. Avevamo trovato alloggio in un paese della cintura, un palazzo nuovissimo, tant’è che i mobili, regolarmente acquistati a rate, li avevamo portati nella nuova casa passando su gradini di marmo ricoperti ancora con paglia mista a calce, per non farli rovinare sia dai muratori ancora all’opera, che da traslocanti maldestri. Prima dei mobili, pulizia dei pavimenti e delle tracce di calce; pranzo al sacco, con panini e birra. Il tempo utile, per me, era al mattino. La testé divenuta signora proseguiva al pomeriggio, in serata mi raggiungeva al lavoro, e tornavamo all’alloggetto ammobiliato, nido provvisorio in attesa di quello definitivo. Il pisolino, dopo il panino e la birra, nella vasca da bagno, una maglia arrotolata per cuscino. Il posto di lavoro era a una quindicina di chilometri; una strada fiancheggiata da campi coltivati con qualche abitazione, qua e là, mi portava verso il centro città. Stessa strada, per anni.

Senza titolo

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L’avrei fatto io, sarebbe stato un ghigno, ma stasera mi serve un vero sorriso. Ho pagato ben bene una controfigura, che per un sorriso mi ha chiesto la luna. La luna gli ho dato,   ecchissenefrega, il Toro ha vinciuto, e questa è la festa! 

Sinistri tre

La gloriosa “500” l’avevo sbolognata a un collega neopatentato, che nel giro di un anno l’aveva mandata alla rottamazione. Con la Fulvia, già descritta nel primo capitolo, più che incidenti erano stati accidenti. Avevo portato la papera (per via del colore giallo becco di papera, un po’ rospesca come sembianze) in officina, per una manutenzione ordinaria: cambio olio motore, controllo pasticche, livelli vari… Ero andato a ritirarla in serata, quasi alla chiusura dell’officina; infatti una parte del cancello scorrevole era già stata avviata. Per uscire, muso in avanti, mi si era presentato il classico dilemma che si presenta ogni volta che si deve passare in spazi troppo delimitati: passo, non passo, ma sì che passo… Avevo preso le misure alla perfezione, impossibile sbagliare. E infatti il lato guida era passato alla grande. Fosse passato un cicinin meno alla grande, anche il lato passeggero sarebbe passato indenne. All’altezza della maniglia della portiera di destra, c’era un

La scalogna

Stasera c'è una partita difficile, per un sacco di motivi. Non che esistano partite facili, ma quella più prossima è sempre la più difficile. E, visto che il 90° più recupero sono i minuti più pericolosi, quelli che fanno pensare intensamente e rabbiosamente alla sfortuna, noi che, per lunga esperienza, alla sfortuna ci crediamo, cerchiamo di far finta di non crederci, con questo messaggino scaramantico. La scalogna La scalogna c’è o non c’è, per me ce sta, e se ce sta, c’è puro chi la porta, e chi la porta ha il grugno d’ogni sorta,   bello, brutto, straniero, non si sa. Altro che gatto nero e incespicà! Ma saperlo non è che ti conforta, vano è il corno, né il ferro la fa morta, né tanto meno te la puoi scansà. Pe’ conto mio ti dò un pensiero chiaro: prega tutti gli dei e fai da te, stringiti i denti e succhiati l’amaro che dolce non verrà come il caffè. Ma non farmi a ‘sto punto lo scolaro: la scalogna l’ammazzi sol da te! Aldo Collacchioni (1981)