lunedì 22 novembre 2010

Scontro frontale






Anturium rossi
 La Simca 1100, col culetto rimesso a nuovo, svolgeva il suo lavoro con onore; a parte i due fattacci, non ricordo mi abbia mai lasciato per strada. Se è successo, è stato per piccolezze, per ricordarmi che lei, comunque, era solo una macchina.
Tra mercato dei fiori all’alba, consegne in campagna, in città e in ogni luogo umanamente raggiungibile, lei si stava guadagnando una onorevole rottamazione, mentre io mi ritrovavo ormai con un mazzo a galleria.
Prima della cessione del negozio, come previsto in caso del troppo che stroppia, era successo un fatterello, che inserisco tra gli incidenti, perché tale fu, ma non con la macchina.
In città era stato assassinato un personaggio importante.
Più che altro era conosciuto dagli addetti ai lavori del settore.
Per dire, se prima dell’omicidio, in un negozio o al mercato o per strada, qualcuno avesse chiesto chi fosse, sicurissimamente la risposta sarebbe stata un “boh!”.
Senza il ‘probabilmente’ che di solito rivela un dubbio sulla eventuale risposta.
Dopo l’omicidio, che fu atto di terrorismo, il suo nome era finito sulla bocca di tutti.
E, come sempre succede ‘dopo’, anche per chi non sapeva della sua esistenza, era stata colpita “una persona per bene”.
Superiamo queste considerazioni, che mi sono servite solo a riempire il post e ad allungarlo un pochino, non brevilineo come al solito.
Anche per evitare che l’editore mi rinfacci di risparmiare, come sempre, sulle parole, nonostante queste mi costino niente.
Al negozio era stata affidata la confezione di una corona di fiori, da una ditta importante, operante nel settore del defunto.
Ovviamente, punto d’onore sarebbe stato farla bellissima, anche perché la concorrenza nel ramo era spietata, e una figura mediocre sarebbe stata difficile da sopportare, commercialmente parlando.
A darci una mano, in caso di lavori impegnativi, c’erano alcune amiche, abitanti nelle vicinanze.
E c’era anche un collega di lavoro, che abitava in zona, che inizialmente era venuto più per valutare il reddito del negozio che per amore dei fiori in sé.
E così se una rosa era venduta a tot lire, era interessato al prezzo d’acquisto e al ricarico che andavamo ad applicare.
Ma lo faceva senza malizia, solo per una curiosità che rasentava il ficcanasaggio.
Comunque, vieni oggi vieni domani, anche lui si trovava ogni tanto coinvolto nelle confezioni o nelle consegne.
Va detto che, sia lui che le amiche, ci costavano un ‘grazie’, un caffè, talvolta una pizza, quando si fermavano ‘al lavoro’ fino a tarda sera.
Questo per evitare insinuazioni di ‘lavoro nero’ o cinese.
Tornando alla corona: l’avevamo ‘progettata’ enorme, piena zeppa di orchidee catlee e anturium rossi bianchi e verdi, con palme che avrebbero dato una circonferenza da brivido.
Una corona da far resuscitare un morto, anche solo per il tempo di vederla prima di tornare al suo riposo.
Per portarla avevo chiesto la station wagon del tabaccaio (anche lui coinvolto nella creazione), poiché sulla Simca non ci stava.
Ben fermata sul tetto, cavalletto di sostegno ripiegato all’interno, ero partito con il collega alla volta della camera ardente, predisposta nella hall della sua ditta.
Già all’arrivo, forze dell’ordine all’esterno che neanche alle partite di calcio: comunque più che giustificate, il periodo era veramente brutto.

Anturium bianchi
All’interno, nei pressi della bara e negli immediati dintorni grossi personaggi parlottavano tra loro, commentando il delitto, o magari parlando di fatti loro, come succede a tutti i funerali.
Avevamo portato prima il cavalletto, adocchiando uno spazio bene in vista, in modo che l’opera d’arte desse buon onore al morto e ottima gloria al nostro negozio.
Piazzata con un po’ di fatica la corona, che, oltre a essere grande, era pure pesantina e scomoda da manovrare, si trattava di dare gli ultimi ‘ritocchi’: sistemazione delle palme, che durante il percorso si erano un po’ spostate, qualche fiore da rimettere in riga, controllo della fissicità del nastro…
Nel frattempo, i personaggi importanti erano diventati una piccola folla, per cui le operazioni di ‘sistemazione’ dovevamo farle senza mostrarci troppo, per non turbare la seriosità del momento.
Il collega sul retro della corona, e attraverso le palme guardava i presenti, cercando di individuare quelli conosciuti.
Io ero sul davanti, dove davo, discretamente, gli ultimi ritocchi dell’artista.
Lo avevo chiamato, sottovocissimo, forse per passarmi un accessorio.
Lo avevo chiamato talmente sommesso da essere convinto che potesse non avermi sentito.
Per fare prima ero partito veramente in quarta, come si dice, per andare a prendere ciò che mi serviva, spingendo con forza la testa tra le palme, che erano piuttosto rigide.
Aveva sentito.
E anche lui, sempre per fare prima, si era tuffato a testa prima per venire sul davanti e portarmi quanto chiesto.
Il diametro totale della corona, palme comprese, si avvicinava ai quattro metri, quindi con un’area complessiva da consentire gare di ciclismo su pista.
Ora, quante possibilità potevano esserci di uno scontro violento in tanto spazio disponibile?
Non sto a fare percentuali, perché quell’unica possibilità si era avverata.


Fiori di zucca
Due zucche, sbattute una contro l’altra con forza brutale si sarebbero spappolate, silenziosamente.
Le nostre non si erano spappolate, ma avevano fatto un botto tale che le onorevoli persone presenti si erano voltate a guardare, magari nel timore che fosse in essere un attentato.
Eravamo finiti entrambi seduti in terra, dietro la corona, ciascuno cercando di rimettere a posto le rispettive scatolette craniche, così crudamente massaggiate.
La situazione era chiaramente drammatica.
Era divenuta tragica quando, dopo lunghissimi minuti, ci eravamo guardati, un occhio per volta, ed avendo preso atto di essere entrambi sopravvissuti, ci eravamo messi a ridere.
Quel ridere che talvolta è alternativo al piangere.
Per quanto soffocato, aveva provocato in qualcuno prossimo alla corona un “ssshhh!”, disapprovante la mancanza di rispetto verso il defunto e verso le autorità presenti.
Uscire, ormai, non potevamo più; per cui cercavamo di non guardarci, di fingere di prestare attenzione alle omelie che intanto avevano avuto inizio.
Purtroppo, ogni tanto, già il pensiero provocava la ridarella.
In quegli attimi di disattenzione, comunque, quel ridere soffocato, con un po’ di buona volontà da parte di chi sentiva, poteva essere scambiato per singhiozzi, repressi dal pudore della messa in mostra del dolore.
Dolore per il defunto, ovviamente, non per le nostre zucche ammaccate.

16 commenti:

  1. A questo punto viene spontanea una domanda: la botta ha lasciato segni???
    Mi dispiacerebbe davvero che la testa di un sì caro, spiritoso ed ironico amico, avesse subito qualche danno significativo.
    In trepida attesa, auguro una pronta ripresa delle funzioni intellettive messe a sì dura prova.
    A prestissimo

    RispondiElimina
  2. gatto... ma fai il becchino?????????

    RispondiElimina
  3. Bravo. Finalmente so che quei fiori rossi che mi piacciono tanto si chiamano anturium. Ottimo l'accostamento visivo con i fiori di zucca. Che in Sicilia mangiamo in ottime frittate...

    RispondiElimina
  4. :)
    se fosse stata una Escort invece di una Simca...il racconto avrebbe preso tutta un'altra piega...
    "La Escort 1100, col culetto rimesso a nuovo, svolgeva il suo lavoro con onore; a parte i due fattacci, non ricordo mi abbia mai lasciato per strada.

    RispondiElimina
  5. @ZICIN: a parte il fatto che il tutto risale a un secolo fa, già allora ero irreversibilmente rincoglionito, la bottarella forse ha dato il colpo di grazia, ma sostanzialmente non ha cambiato nulla.
    @MARIANNA: cuoricino mio, né becco (almeno lo spero) né becchino. Solo il marito di una fioraia improvvisata e provvisoria, tant'è che appena possibile ho sbolognato il negozio, e il mazzo che mi sono fatto in quel periodo è una ferita ancora da rimarginare.
    @ALBERTO: sono andato sul link che hai proposto. E' una meraviglia, nelle foto, nella ricetta e nei commenti.
    Invito tutte le cuoche a visitare il link, perché veramente rallegra la vista, anche solo con le foto.
    @MARI: 'noi' li facciamo così: fiori a volontà, uova, un pizzico di lievito vanigliato, farina, albume a neve,zucchero, latte e un po' di cognac; spennellare la pastella e friggere; una spolverata di zucchero a velo, e buona pappata.
    Il 'noi' è virgolettato perchè sono inserito nel ciclo produttivo come consumatore finale; per il resto, manco metto piede in cucina, se non quando sparecchio, depositando stoviglie da lavare e tovaglia, e fuggendo subito, per non intralciare sia la cucina che il lavaggio.

    RispondiElimina
  6. @RE: la Ford Escort era una bella macchina, robusta e affidabile; arrotondata il giusto.

    Col passare del tempo ha acquisito apprezzamenti in alto loco: accantonate Ford e 1100, è rimasta la Escort che va per la maggiore, anche per un via di un culetto civettuolo accattivante generoso.
    Marchionne se lo sogna che un giorno, in una qualunque villa dell'universo, una Fiat faccia bunga-bunga con i suoi proprietari (in una con l'inquilino, che forse sarà sfrattato perché non vuole pagare l'affitto).
    La Escort l'ha fatto, lo fa, e, se va avanti così, lo farà ancora.

    RispondiElimina
  7. @gattone mio ma se te ci pensi bene essere fioraio è adornare i defunti perciò semo sempre punto a capo sempre becchino sei!!!

    RispondiElimina
  8. ovviamente son qui solo per chiederti ulteriori dettagli sull'omicidio :O

    RispondiElimina
  9. @Socio: omicidio Casalegno, Torino, 16/11/77.

    RispondiElimina
  10. ricordo al funerale di mia nonna... mentre le tenevamo compagnia nella camera ardente con lunghe e infinite preghiere, una delle vecchiette si addormentò e si mise a sonnecchiare placida in un angolo, un'altra che era la voce prima del rosario snocciolava le preghiere in un misto di italiano, e latino come vecchia tradizione.
    Un pò per la tensione un pò per la straordinarietà di tutti quegli eventi messi insieme, che uno alla volta a noi parente ci scappò una risatina....
    Per mantenere un certo contegno per non dare nell'occhio ad uno ad uno scendemmo nel piano inferiore dove liberi da sguardi indiscreti demmo sfogo al riso ancora un pò impastato di pianto

    RispondiElimina
  11. È stupendoooooooo! Sei proprio un felino, libero e menefreghista (al punto giusto), quale rincoglionito? :) e la risata è un saluto molto più degno di una serie di ipocriti pianti!

    RispondiElimina