E' lungo, ve lo dico subito. Temo che nel mio DNA ci sia una cellula impazzita, specificamente diuretica. Quando madamalaprostata mi darà l'altolà, dicendo stop alle fiumarelle, mi limiterò ai plin-plin, con la speranza che non siano plin-plin da calcoli renali. Chi, nonostante il preavviso, volesse eroicamente leggere, si prenda un giorno di ferie o di permesso, o ci sprechi un fine settimana. Io il mio dovere l'ho fatto, che non salti su un alemanno qualunque che dica che non ho avvisato.
Autunno scorso.
Già inoltrato, ma ancora estivo. Al punto che se al mattino non avessimo trovato il sole ad aspettare la nostra levata, ce ne saremmo stupiti.
Era già tutto predisposto, nel caso l'inverno fosse arrivato non ci avrebbe trovati impreparati.
La legna per il termocamino l'avevamo presa già a luglio, bella e soprattutto asciutta.
Le ramaglie della potatura degli ulivi e delle piante da frutto erano fascinate per bene e messe in seccatura. Le viti aspettavano il tempo freddo per fare la stessa fine.
Restava solo da dare una pulitina alla canna fumaria e al forno di accensione.
Rettifico: era "quasi" tutto predisposto.
All'apertura dello sportello del fornetto avevamo trovato un lago.
I mattoni refrattari, pregni d'acqua, non galleggiavano solo perché sarebbe stato contro natura; e comunque non avrebbero potuto galleggiare, zuppi com'erano, simili a spugne di creta.
Il palazzo ha tremato: a un piatto forte di "mannaggia" avevo aggiunto un contorno che uno scaricatore di porto turco di passaggio mi avrebbe chiesto, più o meno dolcemente, di vergognarmi.
Passata la prima buriana, comunque il problema era da affrontare, non più a parole o peggio, ma in modo quanto più possibile realistico.
Anche per non trovarci con l'inverno addosso, senza riscaldamento e acqua calda.
Per l'acqua calda, è vero, abbiamo il metano, ma l'investimento nel termocamino lo avevo fatto proprio per evitare di mandare i miei risparmi in Russia o in Algeria.
Sollevati i mattoni e travasata l'acqua, con torcia e specchietto avevo individuato il punto di perdita della caldaia. Non potevo fare altro.
Idraulico.
Era arrivato in tempi rapidi, aveva fatto lo stesso esame che avevo fatto io, confermando la diagnosi.
Non avrebbe potuto intervenire, poiché la riparazione consisteva in una saldatura in un punto delicato, doveva essere fatta da uno specialista; il rischio era di allargare vieppiù il microscopico forellino, il che avrebbe mandato a puttane tutto il marchingegno.
Solo la Ditta produttrice avrebbe potuto valutare la possibilità d'intervento.
Aveva provveduto direttamente a prendere contatto con lo stabilimento, spiegando il problema.
Da là avevano chiesto: dati completi del cliente, codice del prodotto, dati della fattura di acquisto, dati del montatore...
Fatto.
Se n'era andato, l'idraulico, e avevo dovuto chiedergli l'importo per il disturbo: dieci euro.
In pratica, un obolo.
A strettissimo giro di mail era arrivata la risposta.
"Gentile signore, la garanzia commerciale legale prevede due anni; la nostra Ditta ne dà cinque, tanta è la fiducia che abbiano nei nostri prodotti. Il suo termocamino è stato installato dieci anni fa, pertanto è largamente fuori da questa copertura. Peraltro,
per rispetto alla sua persona, esamineremo il problema in officina, per valutare la possibilità dell'intervento. Se intende confermare la richiesta del 'tentativo' di riparazione, ci faccia avere qualche fotografia che inquadri al meglio il guasto. Le faremo sapere al più presto possibile i risultati di questo esame. Distinti saluti. - L.S.".
Sospiro profondo. Pausa.
(Se all'epoca della nascita di questo indegno blog, anziché ribatezzarmi
gattonero, avessi scelto come nick
gattoNemo, nessuno, appunto, avrebbe trovato da ridire. Ma non per falsa modestia o per umiltà pelosa, bensì per un ragionamento tutto mio, peraltro difficilmente opinabile. So di essere la settemiliardesima parte di un tutt'uno umano. Rispetto, cerco di rispettare tutti gli altri colleghi in vita, quelli nella sventura in particolare, ma anche chi ha avuto fortuna; chi questa fortuna se la fa sulle mie spalle un tantino meno, e non alludo a chi lavora. Se questo "rispetto" mi viene prospettato da un'altra settemiliardesima parte, mai vista né conosciuta, e viene collocato in un fatto contingente specifico, mi si drizzano orecchie pelo e quant'altro, come un segnale di allarme).
Dopo il messaggio mi ero sentito con il viso ampiamente insaponato, e avevo visto una lama di rasoio volteggiante, alla ricerca della zona migliore per un bel taglio.
Ed era diretta alla mia gola.
Ma non avevo scelta: non potevo permettermi di mandare quella Ditta al diavolo, poiché non c'era alternativa al suo 'tentativo' d'intervento; e non potevo permettermi di tenere in casa un monumento, inutilmente inattivo, magari con la speranza che il piccolo pertugio si chiudesse da solo.
D'altra parte non potevo pensare alla sostituzione integrale del termocamino, che avrebbe comportato, intanto, la demolizione del manufatto esterno. A quel rivestimento avevo, dieci anni prima, collaborato attivamente, disegnandolo, preparando i cartoni per il taglio dei marmi, e alla fine come manovale pagante, preparando l'impasto cementizio e tagliando i mattoni sulle indicazioni del mastro muratore.
Ho la casa che pullula di macchine fotografiche, quelle datate non mi avrebbero dato la certezza di un'immagine abbastanza valida; quelle più recenti, le cosiddette digitali, o non le sapevo usare o comunque non ero (sono) in grado di trasferirne il frutto nel computer in vista della spedizione.
Ergo, fotografo professionista.
Non so se per pietà o perché non aveva niente da fare, aveva chiuso il negozio, si era bardato di una macchina con teleobiettivo e maxiflash, di quelle che di solito vengono usate dai paparazzi per beccare i personaggi illustri quando si mettono le dita nel naso.
A casa, pancia a terra, non come forma letteraria ma proprio steso come nelle ordinazioni sacerdotali, luce a giornata di sole agostano, aveva scattato un po' di foto. Se le era portate in negozio e da lì le aveva mandate direttamente alla Ditta; aveva detto di avere un canale speciale che le avrebbe rese più intelleggibili nei particolari.
Quant'è?
Dieci euro.
(Nonostante il momento tragico, avevo pensato al film con Benigni e Troisi,
Non ci resta che piangere, nella parte del doganiere che ad ogni transito chiedeva un fiorino; non ci avevo mai pensato, ma non credevo che dalla fine del '400 ad oggi l'inflazione avesse galoppato tanto).
Centralinista telefonica: "Appena avremo le informazioni dall'officina, sarà nostra premura concordare con lei i tempi dell'intervento".
Dalla voce, una bella ragazza, probabilmente sorridente, ma nel momento di pessimismo la immaginavo sogghignante e con i canini assetati di sangue.
Il venerdì successivo a queste manovre: "Guardi, potremmo venire lunedì, ma è meglio ri-sentirci, per fissare con certezza, forse per martedì. Sa com'è, se lunedì qualcuno non si presenta per motivi suoi, dovremmo rivedere il piano. Nel frattempo vuoti per bene la caldaia, altrimenti non sarà possibile intervenire".
Il solito idraulico: per vuotare la caldaia aveva chiuso le chiavi d'arresto dei termosifoni, e aveva dovuto segare tre tubi di rame, poiché dieci anni prima l'astuto montatore non aveva previsto un rubinetto di scarico della caldaia.
Combien? Niente, che tanto avrebbe dovuto tornare per il riallaccio.
Lunedì: ok alla venuta. Sarebbero arrivati due tecnici, a bordo di un Ducato. Avrebbero avuto appresso il mio numero di cellulare per concordare il
rendez-vous.
Una precisazione doverosa: questa Ditta ha l'unico stabilimento a circa 350 km da casa mia, quasi in mezzo a delle montagne; il percorso è un misto di autostrada, statali, provinciali, comunali. Non conoscendo la zona, l'unica possibilità di contatto era il mio cellulare.
Martedì mattina, prestissimo: "Siamo i tecnici per il termocamino, siamo in autostrada, dove usciamo?".
Indicata l'uscita, avevo completato le informazioni: "Una volta usciti, seguite la statale fino a quando vi trovate di fronte il mare, dovrete passare sul ponte che scavalca il fiume. Subito dopo, sulla destra c'è un distributore di carburante con un grande piazzale. Io sarò lì con una C1 rossa; ci incontriamo, un caffé al bar, e andiamo a casa. Ma il vostro mezzo ha segni di riconoscimento?".
"
Roger per quello che riguarda il percorso; il mezzo è un comune Ducato, ma è pieno dei loghi della Ditta, non si può sbagliare".
Mi ero portato al piazzale, e avevo parcheggiato la macchina bene in vista, già in direzione di uscita.
Si tratta di un piazzale che all'interno ospita tutte le fermate dei bus di linea, e la notte accoglie i TIR che necessitano della sosta.
Una sigaretta, sguardo al retrovisore per tenere d'occhio l'arrivo del mezzo.
Sulla strada passava di tutto, dai cicli, alle moto, ai bus, ai camion, ad andatura allegra ma non eccessiva, pur essendo in rettilineo.
Ad un certo punto avevo visto passare un missile, travestito da Ducato; e meno male che avevo fatto in tempo a leggere sulla fiancata il nome della Ditta.
Prima di mettere in moto e lanciarmi all'inseguimento, avevo preso il cellulare alla ricerca del numero, memorizzato dall'ultima chiamata.
"Ma dove andate, io sono qui all'area di servizio. Uscite dalla statale al primo svincolo sulla destra, io sto arrivando".
Trovati, in sosta, col muso del furgone ovviamente in direzione opposta a quella da prendere.
"Ma avevamo appuntamento all'area di servizio".
"Quale area, non l'abbiamo proprio vista".
Vabbé, inversione e
follow me.
In circa un chilometro di strada si possono pensare tante cose, ma una mi frullava ripetitiva nel cervello: se questi non avevano visto quell'area di servizio, tra l'altro unica in zona, avrebbero mai potuto vedere il nanoforellino della mia caldaia?
Avevano scaricato tutto un armamentario, dalla saldatrice all'aspiratore, alla smerigliatrice, alle prolunghe... Uno era un tecnico-tecnico, l'altro un tecnico-operaio.
Tolti anche i mattoni laterali, quest'ultimo si era infilato nel tabernacolo, con lampada e specchio per localizzare bene il danno prima di procedere al "tentativo" di saldatura.
Intanto avevo convocato l'ormai amico idraulico, tra l'altro interessato alla procedura per curiosità professionale.
Maschera, occhiali neri, guantoni, smeriglio, saldatura, pulizia, aspirazione dei fumi, ancora pulizia, ancora saldatura, una boccata d'aria e un bicchiere d'acqua fresca per il tecnico-operaio.
Il tecnico-tecnico, nel mentre dava una mano nel seguire l'evolversi del lavoro, ci faceva un corso di aggiornamento sulle qualità delle ultime versioni del loro termocamino a legna, con le migliorie nel tempo apportate.
Mi era sembrato un mettere le mani avanti: se non dovessimo riuscire nella riparazione, siamo pronti a cambiare questo aggeggio vetusto con uno di ultima generazione.
Due ore, due lunghe ore di entra ed esci da quel buco.
Alla fine, la riparazione, visivamente, sembrava riuscita.
Riallaccio dei tubi di carico.
Collaudo, con riempimento della caldaia.
Esito positivo.
I tre apparivano molto soddisfatti.
E noi con loro.
Fatto trenta avevano fatto trentuno, cambiando tutti i refrattari e lasciandomi una maniglia dello sportello, visto che quella vecchia era un po' traballante, da cambiare quando fosse passata a miglior vita.
Caffé, dolcetti fatti in casa.
Il tecnico-tecnico si era seduto, appoggiando alla base della ghigliottina delle carte, che aveva cominciato a riempire.
Io, seduto a fianco del patibolo, aspettavo la sentenza.
Scriveva bene, per essere un tecnico, e io leggevo la descrizione dell'intervento, che sembrava una cartella clinica.
Era tutto chiarissimo, ma l'ultima frase me l'ero fatta ripetere, poiché pensavo di avere letto malamente.
"L'intervento è stato eseguito a titolo gratuito".
Un piacevolissimo pugno in faccia.
Ma lo scetticismo atavico aveva cercato una breccia per non essere convinto:
"Grazie per l'intervento gratuito, ma il viaggio, il tempo, il materiale?".
"Per noi l'intervento ha inizio all'uscita dallo stabilimento e termina con il rientro nello stesso".
Avevo dato una discreta mancia ad entrambi, ripromettendomi di ringraziare a modo mio quello che mi avevano detto essere il titolare; lo stesso che mi aveva insaponato col "rispetto alla sua persona" e che pensavo mi avrebbe tagliato la gola.
Gli avevo fatto avere una mail, in cui, letteralmente, gli dicevo che: a) ero rimasto di merda; b) che avrei rivisto il mio scetticismo nel credere a Babbo Natale; c) grazie.
L'amico idraulico: il suo via-vai, alla sera, era stato compensato con 'ben' sessanta euro.
E quando, a domanda, avevo detto che la Ditta non aveva voluto niente, non si era stupito: la serietà si misura così.
Al di là del piacere (grande) ricevuto, una considerazione spericolata: non è che stiamo andando in malora perché la gente lavora solo per tenere lucida la targa della serietà?
Ed ecco il perché di un ditta generico maiuscolato in Ditta; è il meno che potessi fare.
Ed ecco, altresì, perché:
penso che un giorno così
non ritorni mai più.