giovedì 21 maggio 2015

R.I.P. per un blog

Primavera 2013: a causa di un accidente capitato al computer, nella fregola di pubblicare comunque qualcosa che spiegasse la mia lunga assenza forzata da questo blog, avevo creato un sito d'emergenza, battezzandolo gattamaro. La speranza dichiarata era che fosse un blog provvisorio, in attesa di un pronto rientro in servizio di quello tradizionale.
In effetti così è stato: gattamaro aveva partorito due soli post, e il ritorno alla normalità ne aveva reso inutile il mantenimento in vita. 
Avevo potuto riprendere a pubblicare qualcosa su questo blog nella primavera del 2014, dopo circa un anno di assenza. In questo frattempo gattamaro era rimasto solingo e abbandonato, pur se non dimenticato.
Interruzioni successive non erano dovute a danni del computer, ma a guasti della persona che lo doveva guidare.
Nel corso delle canoniche pulizie di primavera ho deciso di eliminare gattamaro, con la speranza di non doverlo poi recuperare per altre spiacevoli contingenze.
Però voglio salvare quei due post, entrambi nel mio cuore, per motivi differenti.
Quindi li ripropongo, più come pro-memoria mio che per l'interesse di chi benevolmente li andrà a leggere postumi, ormai diluito dal tempo trascorso.
Ecco i due testi, uniti in un unico post; alcuni degli amici di questo blog già li conoscono, per altri sarà una lettura ex novo, piacevole a tratti, meno assai in altri passaggi.
(A completamento informativo: dei semafori, “forse” rossi, non ho avuto notizie, i punti patente li ho ancora tutti, almeno in quello sono ancora vergine).

sabato 21 settembre 2013

Malasorte

Premessa: questo blog qui nasce e qui spero presto muoia.
Nato per sfortuna e...


L'ho dovuto inventare, ultimo tentatiuvo prima di abbandonare tutto, per raccontare quello che sta succedendo.
L'ultimo post su Gattonero forse sarà apparso un pochetto criptico, ma si è trattato di una prova per vedere se i miei blog erano ancora in vita.
Per me sono morti e, dopo tanto tempo, pure sepolti.
Il post sulla sfiga è nato da una situazione apparentemente comune e non ignota a chi bazzica con Blogger.
Tutto ha avuto inizio con un'invasione di trojans (troiani di nome e troioni di fatto), di malware e di chissà qual'altri acari, che mi avevano reso impossibile la navigazione sul web.
Contattato il tecnico, questi, fatta la diagnosi, aveva provato a ripulire tramite TeamViewer, rinunciando poi per il troppo carico di infestazione.
Smontato l'elettrodomestico, portato in laboratorio, fermo un paio di giorni, ripulito, rientrato a casa, teoricamente vergine e intonso, pronto a rimettersi in pista...
Forse è stato ripulito troppo, quello che viene chiamato "fuoco amico" ha di fatto sbaragliato tutto quello che ha trovato sul suo cammino, il bello e il brutto, il buono e il cattivo, l'indispensabile e il superfluo.
Tutti i favoriti, giornali bancari bollette posta contatti diversi...: me li sono dovuti cercare uno per uno e rimetterli nelle loro cartelle.
Un po' di rottura, ma ho rimediato.



Bacheca di Blogger: su Chrome mi presenta quattro blog targati Gattonero, due completamente vuoti con l'invito a postare; gli altri due, identici uno all'altro, con i post fermi all'inizio dello scorso anno.
Il blogroll mi espone la possibilità di lettura di una decina di blog, perloppiù di sconosciuti, contro gli oltre 270 che avevo su Gattonero.
Eliminati questi quattro abusivi, mi ritrovo una strisciata che mi invita a creare un blog, essendo la bacheca vuota; il blogroll immutato, con la decina di tapini sconosciuti.
Su Explorer comparivano i miei post, nudi e crudi, senza commenti, senza blogroll, senza follower...
Da qui avevo mandato il post sulla sfiga, come buttato in mare dentro una bottiglia o legato alla coda di un aquilone e affidato al vento o bruciato come un vacuo bastoncino d'incenso che salisse all'alte sfere per riavere così il maltolto virtuale.
Sto tentandole tutte per ritrovare le mie due pecorelle disperse chissà dove; si dice che le vie del web sono infinite, quindi prima o poi le troverò.
Ecco, nel caso specifico, la mala suerte non riguarda tanto lo scrivere quanto il non poter leggere tutta la biblioteca virtuale che nel tempo mi sono creato.

E sfiga continua...


Dalla struttura sanitaria che frequento avevano portato via Antonio, inizialmente diagnosticandogli un attacco di angina pectoris.
La chiamata del 118 avrebbe comportato il rischio che fosse portato fino a centinaia di chilometri, alla ricerca di un posto letto ospedaliero, che ormai è diventato utopico come la ricerca di un posto di lavoro.
La dottoressa della struttura aveva suggerito alla nipote di caricarselo in macchina, portandolo di persona al pronto soccorso più vicino.
Abbiamo così scoperto che un paziente presentato con un mezzo privato non può essere rifiutato, mentre con i mezzi di soccorso "ufficiali" può essere dirottato verso la prima struttura che si dichiari disponibile all'accoglienza.
Foss'anche a casa del diavolo.
Era stato ricoverato due giorni in una stanzetta attigua ai locali del pronto soccorso, in attesa di un posto letto in corsia (le corsie d'oggi sono camerette a tre/quattro posti; io sono fermo a quelle lunghe camerate con decine di letti allineati lungo le pareti, talvolta anche con una fila centrale, e un paravento snodato per coprire interventi di cura agli allettati o a tenue copertura di ultimi istanti di vita di persone in partenza definitiva).
Lo avevano ricoverato il giovedì mattina, la successiva domenica sera ero partito con mia cognata, Elena, per andarlo a trovare, sapere come stava, fargli sentire la nostra vicinanza, portargli il saluto affettuoso degli altri ospiti coscienti della struttura che lo aveva ospite pagante da diciotto mesi.
Da oltre un mese, il suo saluto di commiato ogni sera era un copia-incolla da un giorno all'altro:
"Domani, se quando vieni non mi trovi qui fuori, o nella stanza o presso la macchinetta del caffé e delle bibite, vienimi a trovare in quella stanza là sotto, accanto alla cappella".
Quella stanza aveva fuori una targhetta: Morgue.
Quasi ad "addolcire" il cinico italiano di Camera Mortuaria.
Partiti, dopo una cinquina di chilometri...
Elena: "Era rosso...".
Io: "Cosa, era rosso?".
Elena: "Il semaforo".
Io: "Quale semaforo...".
Elena: "Quello che hai appena passato, ed era rosso".
In un'ottantina di chilometri, su quella statale ci sono due postazioni semaforiche; sotto entrambe sarò passato centinaia di volte, sicuramente sempre col verde, altrimenti avrei ricevuto la cartellina che mi avrebbe ricordato che col rosso non si passa.
E questa che avevo appena superato è pure munita di telecamera automatica.
Come dire che non basterà un semplice mea culpa per cancellare il peccato.
E così, dopo quarantott'anni di patente immacolata, trenta punti tondi in saccoccia, qualcuno mi manderà a dire che non sono più vergine, battendo cassa ed estirpandomi sei punti, che se fossero denti mi farebbero meno male di quello che mi farà quel prelievo.
Da Antonio: non era angina quella che lo aveva portato al pronto soccorso...
Era una situazione complessiva che avrebbe fatto la felicità di una clinica universitaria di patologia medica, che su un solo "pezzo" avrebbe potuto esaminare quasi tutti i malanni, altrimenti visibili in almeno una decina di persone diverse.
Da vivo.
Da morto, la stessa felicità per un ipotetico reparto di anatomia patologica.
Cardiopatico, polmoni malandati, fegato cirrosico, ernia al limite dello strozzo, reni presenti solo di nome, prostata matura come un'arancia...
Questa "torta" era completata dal diabete, come una spolverata di zucchero a velo, che col diabete ci va a nozze.
Diciotto mesi non sono sufficienti a capire se una persona è un "brav'uomo" in senso lato; per me lo era, ma più che altro era un pover'uomo cui la parte finale della vita aveva appioppato quasi tutti gli accidenti, che sono poi la risorsa dei vari specialisti in medicina.
Aveva lavorato a lungo in Liguria, dalle parti di Chiavari.
Di quella zona aveva un ricordo affettuosamente ricorrente: il pesto come lo fanno là...,  un olio d'oliva così non esiste al mondo..., le foglie di basilico? quelle d'altrove sono foglie taroccate...
Quando (diciamo ogni giorno) era alterato per qualcosa che non gli aggarbava (la cucina in primis, poi la dottoressa medico, le infermiere, le OSS, quelli delle pulizie...), raccontando il fatto oggetto di contestazione, intercalava con un "diopovero" a ogni tornata di respiro, chiaro residuo del suo soggiorno ligure.
Di tutta la sua vita, malanni singoli compresi, finivamo per ridere, ed era sempre un'ilarità piena, che gli faceva strizzare gli occhi e faceva sussultare tutta la carcassa che sosteneva una mente filosoficamente lucida.
Otto giorni dopo la nostra visita, la domenica successiva, gli avevano comunicato la dimissione per il lunedì mattina; nell'insieme pare avessero tamponato una situazione compromessa da chissà quale altro accidente.
Alle dieci del lunedì, messaggio della nipote:
"Zio è in coma...".
Alle dodici:
"Zio è morto".
Un mese e mezzo dopo, domenica, sms da Nizza:
"Anche mio dolce papà è morto, oggi alle dodici".

Non bastasse...



"Pì, vieni a vedere, ma non t'incazzare...".
Alle porte dell'estate, ossia quando più mi sarebbe utile, uno dei due pannelli solari è esploso, imploso, prosaicamente crepato.
Idraulico: vedere in vetreria se sia possibile sostituire il vetro senza svuotare e smontare tutto, un lavoraccio.
Vetreria: il tecnico visita il defunto, prende le misure, sfascia un po' di più il già sfasciato per farsi meglio un'idea dell'intervento...
Ci vorranno una quindicina di giorni, poiché il vetro è da temperare.
Ne sono passati venti, e sono ancora in attesa.
Ecco, dopo tanta sfiga, finalmente posso dirmi fortunato: a mia sorella una gastroscopia gliel'hanno prenotata per fine anno.
Nel frattempo il pannello sopravvissuto fa gli straordinari, pur di non farmi mancare l'acqua calda.
C'è voluto più d'un mese, ma adesso il pannello è a posto e sta recuperando la produzione persa.

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giovedì 17 ottobre 2013


15 Ottobre 2013
Otto e trenta del mattino, suona il cellulare.
Visto il nome, Gianluca, temo di sapere cosa mi dirà.
Infatti:
"Mamma è morta, stanotte, nel sonno...".
Gianluca è mio nipote.
E la mamma era mia sorella, l'unica mia sorella.
Ciao, Mariangela, ovunque tu sia, aspettami.
Sono stanco.

sabato 16 maggio 2015

L'asinello


C'è chi nasce con la camicia.
La strada della vita in perfetta pianura, quando non in dolce discesa.
Lui era nato con il basto incorporato, una piccola sella già pronta ad accogliere, da subito, la soma della vita, un carico prodromo di fardelli a mai finire.
Il primo, per dare il benvenuto alla nuova vita, era stato il peso di un vuoto.
Un peso che faceva a pugni con le leggi della fisica, ma che invece era immane, impossibile da catalogare in una comune scala di valori specifici.
Era il vuoto di una carezza materna, gonfiato dall'assenza di un surrogato qualunque a questa mancanza, di un affetto, qualunque fosse, che riempisse, almeno un pochino, la sua assenza.
Dapprima inconscio, poi via via più sentito, questo primo aggravio era divenuto parte integrata del basto, un peso da portare fino alla fine del viaggio.
Peso crescente, col passare degli anni.
A questa mai vissuta prima infanzia erano seguite l'adolescenza e la maturità, tutte sullo stesso metro, con le aggiunte di affanni che ciascun periodo riteneva di dover caricare sulla sua schiena.
Alle soglie della vecchiaia il suo sogno era che questa fosse, come si dice, serena, senza altri grossi pesi che non fossero quelli della vita quotidiana di tutti gli esseri viventi.
Tasse, bollette, costi della vita, piccoli imprevisti... ostacoli da superare a zampe unite, quasi ridicoli a fronte di quanto vissuto in passato.
Invece no.
Amici e amiche, che avevano chiuso in anticipo il loro libro della vita, avevano dato la la stura a una sequenza di avvenimenti che avrebbero reso il suo basto ormai inadeguato a tanto carico aggiunto.
Azzerato lo spirito della compagna della sua vita, cancellata la sorella, altri amici volati via...
Sembrava fosse finita.
Sembrava...
Ma c'era ancora un peso, preparato sul ciglio della strada, pronto ad essere caricato, in aggiunta agli altri già pesanti fardelli.
Da portatore di questi, lui stesso fardello è diventato.
Scoprendo così quanto sia greve il peso del suo proprio corpo infranto.

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Raglio d'asino, si sa, non sale al Cielo...
Meno male che ci salgono le preghiere degli umani, altrimenti la Terra tutta sarebbe nel caos.
Sarebbe?

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Caro Destino, tu che decidi chi nascerà con la camicia e chi col basto,
che poi segui passo dopo passo, stabilendo il meglio per l'uno e il peggio per l'altro, 
sappi che un asinello sardo lo puoi caricare  fin che il suo ventre sfiori il suolo, 
ma se lo vuoi fermare hai un solo modo: abbatterlo.