mercoledì 16 ottobre 2019

Un volo pindarico

Lo è, a mio modesto parere, già dal titolo, dove il pensare agli angeli, a questo loro volare, porta da subito all'attesa di trovare nel testo un racconto di fantasia, a un qualcosa che si trova solo vagando ben al di sopra delle nuvole.
Nel prosieguo della lettura, tale impressione iniziale è confermata da una serie di interpretazioni espresse in un libero pensiero e in un altrettanto scioglimento dialettico, che butta alle ortiche ogni vincolo scritturale.
Una libertà assoluta, senza remore o falsi pudori, un caleidoscopio di stili descrittivi, dove il voltare pagina, o al capitolo successivo, non hanno un seguito diretto, restando libera espressione che sembra a sé stante e che invece è tassello da inserire in un mosaico, un puzzle le cui tessere, per essere incastrate, devono essere esaminate attentamente una per una, per arrivare infine ad una creazione artistica uniforme che, nel suo insieme, dà la piacevolezza della visione di un quadro finale di pregio.
Ecco, ogni singolo capitolo de Il volo interrotto degli angeli, è un tassello: leggibile a sé, una storia nella storia, che potrebbe apparire come un esercizio di scrittura che, pur nella sua innegabile qualità, sarebbe relegato, appunto a una bella prova descrittiva, a immagini fotografiche sul tipo dei moderni selfie, in cui il primo piano della singola figura umana farebbe trascurare lo sfondo che ne sia contorno.
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Un ponte, lungo, legato da 39 arcate a sorreggerlo, alcune più ampie, con più luce, altre con minore vista, tutte e ciascuna create come sostegno al transito tra un punto di partenza ad uno di arrivo.
Che solo il progettista conosce (o 'dovrebbe' conoscere, visti fatti recenti che parlano di ignoranza crassa della materia; ma qui è solo un passaggio casuale, che nulla ha a che vedere con questa nota), il resto del mondo lo scoprirà percorrendolo, il ponte, dall'inizio alla fine.
Ognuna di queste arcate, guardandoci attraverso e spostandosi lungo tutta la lunghezza del ponte, ben fuori dal suo percorso stradale, offre una visuale diversa, che può essere uno spicchio di cielo e mare o di monte e cielo, ma anche di tetti o grattacieli. A prima vista, il panorama che offre ciascuna potrebbe sembrare quasi uguale alla precedente e non diverso da quella successiva.
In realtà ogni arcata è un quadro, in alcuni casi un quadretto che, nel suo apparire ridotto, ha comunque le stesse caratteristiche di quelli a più ampio respiro.
Tutte e ciascuna destinate a un compito unico: consentire al ponte di svolgere in tutta sicurezza il compito per cui viene creato.
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I 39 capitoli, in alcuni casi quasi telegrafici, sono le volte che uniscono il ponte del racconto, o romanzo o qualsivoglia categoria in cui possa essere inquadrato.
Ogni capitolo offre una visuale a sé. Procedendo nella lettura, che deve essere lenta per godere appieno la vista che di ogni riquadro presenta, come detto, diverso sia dal precedente che dal successivo, che Nicola aiuta a ben distinguere con una terminologia ad hoc per ciascuno.
Non ci sono lunghi dialoghi tra i protagonisti; sono piuttosto monologhi a gittata variabile, come le arcate di un ponte comandano.
Questa lentezza, passo dopo passo, superata la parte centrale, si apre a un finale che obbliga al trotto prima e infine al galoppo, cambiando il ritmo del racconto (o romanzo o altro) da ameno e divertente, in un thriller a cui si vuole dare soluzione al più presto.
Come se il ponte fosse posizionato in leggera discesa e all'improvviso mancassero i freni di una ipotetica autovettura; si può premere il pedale fino a toccare l'asfalto col piede, ma non ci si riesce più a fermare.
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La storia, il racconto, tratta temi ufficialmente cari al sentire comune, che peraltro vengono ignorati, ridotti, cancellati, a favore di un irrigidimento verso quella che è solo umanità; ci si vuole convincere che essere buoni equivale a essere minchioni, coglioni... le rime quadrano, e anche la sostanza sta prendendo piede, puntando ad annullare sentimenti che sono (o erano?) patrimonio genetico di ciascun essere umano. E, visto che il genere umano fa parte del regno animale, anche gli altri membri di questo 'regno' sono coinvolti, restando animali nel mentre gli umani diventano bestie.
Tratta, il romanzo, di affetto, di amicizia, di amore, e, anche, di altri sentimenti che si contrappongono a questi temi.
Non mancano spunti di vera poesia, che riesce a bilanciarne altri che sono di critica aperta a situazioni viste e affrontate da chiunque nel corso della vita di ogni giorno.
È una storia frutto di fantasia, come specifica Nicola in prima apertura del libro, di un volo pindarico appunto, di un sogno, in un testo che affronta cose serie ed attuali nel modo frizzante che è solito usare in tutte le sue creazioni, e che in fondo rispecchiano realtà e valori innegabili, nonché il suo spirito battagliero e anticonformista ormai sua etichetta indelebile.
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Qualcuno, in corso della lettura di questo mio scarabocchio, ha fatto caso al punto nero centrato a mo' di divisorio tra un periodo e il successivo? L'ho messo per renderlo più visibile, ma temo sia sfuggito ai più.
Ecco, nel testo del racconto ho individuato un punto tipo questo, non un neo o una macchia ben visibile, proprio solo un piccolo punto, che mi ha lasciato perplesso.
Una sciocchezzuola, che per un attimo ha fatto vacillare tutta l'impalcatura dal romanzo, come se una delle volte del ponte virtuale avesse mostrato una crepa indicativa di un prossimo crollo.
La lettura, dopo quel momentaneo sbandamento, ovviamente è proseguita serena; serena per quanto consentito dall'evolversi delle situazioni descritte.
Punto nero che, ovviamente 2, non specifico qui.
Credo si sia trattato di un attimo di distrazione dell'Autore, niente di più facile che nella fase di una eventuale, auspicabile, ristampa, provvederà a modificare. Rendendo peraltro questa sua prima stesura un testo prezioso che, un domani, potrebbe essere monetizzato dai fortunati primi acquirenti...
Vale come augurio, ovviamente 3.

Dire 'bravo' a Nicola Pezzoli è pleonastico, ma glielo dico ugualmente come rafforzativo del concetto che ho di lui e, più che di lui, di quanto e come scrive.

Per tutto il resto, fine della mia stupidata, che vale poco più di un commento: leggere godere soffrire, è il destino di noi poveri lettori.


giovedì 10 ottobre 2019

Greta Tintin

Un paio di premesse, doverose e preventive, per evitare note infamanti a quanto vado ad esporre.

La prima: abbiamo finito la vendemmia, poca roba, ma sempre piacevole e, a modo suo, divertente.
Trattandosi di una vendemmia casereccia, chi poco ne sappia sa che per un certo periodo bisogna rimestare il mosto, in lenta ebollizione nel tino. Un'incombenza che non è pesante, ma che ha un inconveniente, insignificante e passeggero: nel rimestare il mosto, in questo si provocano 'fumi' (per gli astemi accaniti, o per gli alcolisti anonimi in recupero, miasmi; ma non lo sono, sia chiaro). Per delicati che siano, questi fumi sono, come dire, ubriacanti. Niente di che, un mezzo litro di rosso ingollato al mattino a digiuno crea lo stesso effetto.
Non ho le prove, e temo che un alcoltest sarebbe a rischio sanzione e perdita punti.
Col testo a seguire ci c'entra (la poesia non è vino annacquato) niente: è solo un mettere le mani avanti se nel prosieguo dessi un'idea di 'svaccamento' (visto che Google me lo sottolinea in rosso, specifico che significa 'fuori binario', scarrocciare, debordare) che tale non è, almeno nelle intenzioni primarie. Se poi la malignità umana ci vedesse qualcosa di offensivo, sono abbastanza lucido da chiedere venia (anche questa forma poetica a Google non va giù, vale 'perdono') in anticipo.
Un'immagine per dire l'infantile divertimento del lavorìo col mosto, a riprova che questo post non è cosa seria e nasce in allegria.

Sembra... invece è mosto, guarnito con barchetta e aeroplanino
per rendere meno vistosa la simiglianza con quel che sembra
La seconda premessa, questa veramente dovuta: il titolo non è, e non vuole essere, una presa in giro della Greta oggi universale; è veramente il suo secondo nome (seguito da altri due, prima di arrivare al cognome ufficiale: Eleonora Ernman, e infine Thunberg); una sequela che ha poco da invidiare a quella di un hidalgo ispanico.Non può esserci addebito se il saperlo mi ha portato alla mente un cagnone fumettato della lontana infanzia, che non sto a citare per non offendere la memoria di chi legge e ancora lo ricorda con simpatia.

Detto questo, su questa ragazza (veramente ancora ragazzina, a sedici anni, appena ci si affaccia al passaggio superiore) ho letto di tutto, lodi sperticate e insulti abominevoli.
Dissento dalle une e dagli altri.
Non voglio né intaccare un carisma chiaramente acquisito e neanche intendo demolirlo.
Il fulcro del mio ragionamento sta nei tempi, che ritengo, a torto o ragione, fuori da una realtà come conosciuta e visionata nei libri di Storia, nei racconti, in un lento sviluppo di idee che solo il tempo, secoli talvolta, ha reso universali.
Il tempo di cui parlo è sinteticamente visibile in quest'immagine:


È stata pubblicata su diversi quotidiani e non ho motivo di credere che sia stata manipolata.
Il parallelo che la nebbia del mosto mi ha portato alla mente riguarda, in generale, i tanti personaggi che, diffusi in vita concetti e messaggi, questi hanno fatto presa negli anni, nei decenni, nei secoli a seguire.
Penso a Buddha, a Lutero, a Gandhi, a Luther King, a Mandela, a Gesù... a centinaia e migliaia di altri illuminati che non vado ad elencare per ignoranza personale.
Tutti passati alla Storia per aver diffuso idee poi divenute valori universali, generalmente condivisibili.
Idee e concetti, per le relative epoche, controcorrente e, sempre nel loro periodo di vita, ampiamente osteggiate, sovente con contestazioni violente. Tutti, chi con stessa propria vita, chi con l'emarginazione, le hanno diffuse pagandone il prezzo in prima persona.
Come detto, seminandole, sovente senza poter raccogliere i frutti di quelle semine.
Cielo, alla Storia sono passati anche moltissimi altri personaggi, che non diffondevano idee ma violenze e distruzioni. Che, in effetti, avevano come base delle idee, per affermare le quali non sono arretrati davanti ad eccidi che sono divenuti poi il loro marchio di fabbrica.

Che piaccia o meno, il confronto che mi è venuto riguarda Gesù di Nazaret, Galilea.
Ne parlo per sentito dire, poiché non esistono video o registrazioni che attestino con assoluta certezza che gli avvenimenti che lo riguardano siano effettivamente accaduti. Scritti molti, ma essendo frutto di menti e mani umane sono soggetti a interpretazioni soggettive, non sempre concordanti.
Inoltre nei passaggi verbali di generazione in generazione, questi fatti potrebbero aver subito interpretazioni modificative, un po' come se un'oliva in origine possa diventare un melone; o viceversa per cui la stesura del classico nero su bianco potrebbe essere stata influenzata dalle voci ultime sentite.
Già alla nascita aveva suscitato un po' di scompiglio: nel tentativo di eliminarlo, un tizio, fanatico della poltrona cui si era affezionato e che non intendeva abbandonare, aveva fatto uccidere tutti i neonati del paese in cui pensava Gesù neonato si trovasse. Pare avesse sbagliato paese, ignorando i movimenti della coppia in seguito al censimento indetto da non so chi.
Molto probabilmente fu concepito in quel di Betlemme, sempre Galilea (e qui non metto lingua, poiché non voglio finire sul rogo) e ivi nacque, salvo fuggire in Egitto avendo saputo da un angelo che il pericolo era alle porte. Così altri neonati avevano pagato con la vita, senza sapere a chi dire grazie.
Cosa fatta, capo ha: qualche secolo dopo quegli innocenti massacrati sono stati fatti santi dalla Chiesa ed è facile immaginare con quanta felicità avranno accolto la notizia.
Dell'infanzia del pargolo divino non so nulla, credo abbia fatto quello che fanno tutti i bambini da che mondo è mondo, forse andare a scuola e soprattutto giocare.
Ricompare nelle cronache dell'epoca quando, all'età di una dozzina d'anni, era risultato assente a scuola, assente al parco... missing, si direbbe oggi. La madre, giustamente preoccupata, stava per rivolgersi alle forze dell'ordine (i 'Chi l'ha visto?' erano ancora lontani a venire; e anche i social, per cui l'unico modo era rivolgersi a loro); nel cammino verso la loro centrale, passando accanto alla chiesa del paese aveva sentito un silenzio sospetto, quando solitamente ne uscivano grida e invettive come da un'assemblea di condominio; solo una voce rompeva quel silenzio, ed era quella del figliuolo benedetto.
Sempre le cronache raccontano di una 'disputa' tra il fanciullo e i membri del Sinedrio (paragonabili, oggi, a un parlamento, a un consesso europeo, a un'assise mondiale in un palazzo di vetro), si dice vertente sulla salvezza del mondo, che sarebbe stata possibile soltanto tramite Lui.
L'avevano chiamata 'disputa' a sproposito: in effetti si era trattato di un soliloquio del giovine, con il contraddittorio espresso solo con gesti di approvazione della teste.
Gli applausi e le standing ovation non avevano ancora preso piede.
Mi piace pensare che gli audenti, sotto-sotto, girassero i pollici in segno di alto menefreghismo, nascosti sotto le ampie palandrane; posizioni che credo a tutt'oggi imperanti di fronte a idee mille miglia lontane dal loro sentire o dalle loro convenienze.
Comunque, rispettando il racconto di chi c'era (?), costoro erano interessati e aperti agli insegnamenti loro devoluti in via privilegiata. Gli stessi poi divulgati dal messaggero al popolame nel corso della sua esistenza terrena.
E non avrebbe potuto essere altrimenti, vista l'importanza dell'argomento.
È molto probabile che la salvezza oggetto del suo discorrere non si riferisse a quella di un mondo fisico, bensì a quella di un mondo altro. Ma il risultato era lo stesso.
Discorso un po' difficile da interpretare, tant'è che a quei sinedrioti ci vollero altri ventun anni per comprenderlo appieno, e mandare, di conseguenza, il giovine sulla croce.
Pare che la madre, alterata (Google: è una forma parafrasica per non dire 'incazzata', che all'epoca non si usava) soprattutto per il fatto che il ragazzo aveva marinato (voce del verbo bigiare) la scuola. Fonti non accertabili raccontano che gli avesse pure fatto una passatina di pelo e contropelo, ma questa limitata allo spavento che le aveva fatto prendere nell'assentarsi senza avvisarla.
Lei sapeva che c'era un protocollo da rispettare, e che il modificarlo avrebbe potuto cambiare le sorti del mondo intero.
La sgridata sulla fuga da scuola, il ragazzo l'aveva giustificata con un tranciante "io sono Colui che sa",  ergo, la frequenza scolastica era un di più non indispensabile; e con questa chiosa le aveva, si ritiene ma non si sa per certo, tappato la bocca.
Comunque la strigliata deve aver fatto effetto, visto che di lui non si hanno più notizie fino alla partecipazione a un matrimonio, in cui la carenza del vino lo aveva costretto, forse anzitempo, a iniziare una caterva di miracoli che ancora oggi sono esaltati come chiaro segno della sua divinità.
Viene quindi da pensare che nel lasso di tempo in cui era stato assente dagli  ̶s̶c̶h̶e̶r̶m̶i̶  avvenimenti suoi contemporanei a scuola ci sia tornato, forse più per insegnare che per apprendere.
Il che lo rende più umano, così come la parte finale della sua vita, quando dopo i trionfi fatui era caduto, volutamente si sa, in una trappola che lo aveva portato, come già detto, sulla croce.
Cadde e risorse... senza più giacere, per dare speranza a quanti hanno creduto, e credono, in Lui.
Qui un Amen ci sta tutto.

Greta Thunberg: poche le analogie col Gesù raccontato prima.
A parte l'età e il messaggio universale, mi pare non ci sia altro.
L'anno scolastico di ultima frequenza nota mi pare fosse paragonabile alla nostra prima liceo. Si è allontanata dalla scuola di proposito per avere tempo di maturare naturalmente, senza dover passare sotto le forche caudine dell'esame di maturità, bestia nera dei liceali di tutto il mondo dacché mondo è.
La madre di Gesù era una casalinga che, molto probabilmente, non aveva frequentato alcuna scuola. Non tanto per volontà sua quanto perché i tempi non prevedevano che le donne, tanto più se non d'alto lignaggio, ricevessero un'istruzione altra che non fosse quella materna, solitamente dedicata alle faccende di casa, alla procreazione di figliolanza e all'educazione della stessa.
Se pensiamo che fino a non molto tempo fa la regola era ancora in auge (Google, nun me fa' ncazzà, non puoi essere aggiornato coi termini se non conosci quelli passati, poffarbacco!), per cui la donna era delegata alle stesse identiche mansioni della madre, salvo essere figlia di genitori illuminati già aperti a cambiamenti ancora lontani dall'essere generalizzati.
Le donne che studiavano erano eroine, dovendo sopportare 'anche' l'ostracismo degli insegnanti; ostracismo, ma occulto e subdolo, che continua ad esserci e a crescere, da quando ci si è resi conto che le capacità femminili sono nettamente, e indiscutibilmente, superiori a quelle masculine.
Tempi che vanno a cambiare, lentamente.
Il padre, o patrigno o putativo che dir si voglia, era falegname. Oggi non varrebbe meno di un ottimo professionista da tavolino, che la carenza ormai cronicizzata di manodopera, con buone capacità manuali, sta rendendo più prezioso, quando servirebbe introvabile.
All'epoca non ho idea della scala dei valori in cui un falegname fosse collocato.

Greta è figlia di una cantante lirica e di un attore, così genericamente definito dalle cronache.
Quindi con una buona preparazione scolastica e artistica.
Non so quanto ciò abbia influito sulla formazione della ragazza, ma qualcosa deve avere appreso, vista la freddezza e la compostezza con cui affronta la folla e gli alti papaveri che hanno avuto modo di ascoltarla in diretta.
Pare sia affetta dalla sindrome di Asperger.
Un malanno di cui erano a conoscenza solo gli psicologi, al limite gli psichiatri.
Io, come pochi altri, ho saputo della sua esistenza dall'intervento di un comico che, per meglio divulgare un suo punto di vista sulla soluzione dei problemi contingenti, aveva appiccicato ai contestatori di questo suo pensiero il cartellino fantasioso di quella sindrome, suscitando proteste (e insulti) da chi di tale sindrome è veramente affetto.
È successo con altri anche in passato, dove gli autismi o la sindrome di Down o altri accidenti da malattie fisiche sono diventati motivo di svilimento dell'avversario, etichettato come incapace sia di intendere che di volere.
Come quei pochi altri ignoranti, la curiosità mi ha portato alla ricerca di cosa diavolo fosse questo malanno.
Malanno?
A parte la definizione precisa di questa sindrome (il cui studio più approfondito risale agli anni '90, quindi troppo recente per un quadro esaustivo della malattia), mi sono imbattuto in una serie di scoperte che mi spingono a ritenere che non si tratti di malattia ma di dote.
Intanto il rimando a personaggi famosi che erano affetti da questa sindrome; per alcuni vi sono certezze, per altri solo dubbi, ancorché fondati. Pubblico un'immagine che non è un elenco completo, ma che già dà un'idea di quello che intendo dire parlando di dote.


Credo sia superfluo citarne i nomi, sono tutti volti molto noti, e già solo questi offrono sostegno alla mia tesi; come detto sono solo una minima parte di quelli trovati, spulciando qua e là.
Verrebbe voglia di rivedere le intenzioni di quel comico: le sue parole, intese come un insulto, in realtà erano un apprezzamento spiritoso e democratico di chi gli dava contro?
Quindi anche chi ha offeso (talvolta letteralmente insultato) Greta Thunberg, magari voleva evidenziare che il carisma ottenuto non era dovuto a meriti (o studi) propri, ma ad un qualcosa di non umanamente comprensibile?
Fine dell'incipit.

Sì, poiché in realtà il punto che ha richiamato la mia attenzione, e mi ha portato a scrivere questa nota, non erano né Gesù né Greta, perlomeno non nella loro singolarità.
Le idee, le folle che le hanno seguite e fatte proprie, questo era il mio intento iniziale. Poi la mente ha divagato partorendo quanto sopra.
Torno velocemente ab ovo.
Vedendo le folle di giovani, convinti e plaudenti a quanto sta seminando Greta, il primissimo pensiero si è focalizzato sul fatto che non si tratta di idee originali.
Da decenni c'è chi mette sull'avviso che il pianeta sta morendo, ed è ormai prossimo allo stato comatoso (sicuramente irreversibile); lo sappiamo tutti, e tutti abbiamo ignorato questi allarmi, nel nostro piccolo e, soprattutto, ai vertici decisionali.
Poche le mosse messe in atto per arginare, se non per curare, il fenomeno.
Non essendo un messaggio attuale, perché prima non è stato ascoltato e adesso, per una ragazzina che ha deciso (senza stimoli esterni?) di ripetere quel messaggio, lo stesso è stato recepito da milioni di persone che, in piazza, hanno dato l'impressione di volersi impegnare alla soluzione del problema?
Giovani, soprattutto, in particolare studenti; ma anche adulti, questi adunati in sedute plenarie, che hanno accettato senza battere ciglio le accuse di menefreghismo; pure da loro, al termine dei concioni, entusiasmo e applausi.
Appunto: i giovani che applaudono, gli adulti che approvano... sotto-sotto il 'girare i pollici' citato nell'introduzione, riferita ai saggi sinedrioti di Gesù.
Le sedute degli adulti erano atti dovuti, a fronte della spinta delle piazze gremite.
(A proposito delle quali mi è venuto un pensiero malignetto più che no: se gli ultimi inviti alla partecipazione, per un venerdì ecologico, fossero stati fissati in un giorno festivo, cioè senza frequenza scolastica, l'afflusso a quelle piazze sarebbe stato uguale?).
Nel corso degli ultimi anni gruppi che invitavano all'attenzione, che segnalavano la necessità assoluta di un pronto salvataggio del pianeta, della sua natura, della flora e della fauna, dell'aria e delle acque, della stessa persona umana, hanno avuto un seguito talmente esiguo che, neanche tanto lentamente, hanno finito per estinguersi.
Alcuni di questi gruppi, sull'onda di plausi iniziali, si sono presentati come partiti, contando di avere un consenso tale da poter influire su scelte di governo, quelle che contano. Il responso delle piazze è stato confortevole, quello delle urne affatto.
Anche quando sono riusciti, per brevi periodi, ad essere ago della bilancia nella formazione di quei governi, hanno dovuto accettare (obtorto collo) che altre priorità impellenti avessero la precedenza sulle loro sacrosante segnalazioni.
Mi è rimasta impressa l'immagine delle interviste a partecipanti ad elezioni di miss,  mondo-nazionali-regionali-comunali-parrocchiali: splendide ragazze, tutte ancora in fase di maturazione scolastica avanzata. Alle domande di cultura generale, le risposte raramente erano pertinenti, e quando lo erano, suscitavano una delicata ilarità tanto erano sballate.
Una cosa in comune l'avevano: alla domanda di cosa fosse il loro desiderio più sentito, tutte rispondevano "la pace nel mondo"; come se lo scenografo avesse ciclostilato la risposta, magari spacciandola come originale per ciascuna di esse. Per mostrare al mondo la maturità raggiunta dalle nuove generazioni.
Era il periodo in cui la pace nel mondo era diventata una bandiera, la nota arcobaleno, sventolata in piazze gremite da adulti, donne, bambini, perfino neonati, e cani e gatti, uno spettacolo favoloso che aveva fatto ben sperare per l'avvento di questa benedetta pace.
E che, raggiunto lo scopo (?), sono state riposte in cantine o sgabuzzini, ormai impolverate e inutili.
Come si sa, la pace nel mondo c'è e ormai è perfino diventata noiosa...
Certo, sopravvive l'antico si vis pacem, para bellum, ma è solo (?) per tenere in piedi industrie, in ogni settore, che in caso di fallimento per pace raggiunta, creerebbero una guerriglia mondiale che, in assenza di armi, saremmo costretti a sedare a mani nude...
Ecco, oggi, ma solo oggi, alla stessa domanda sulla priorità dei problemi comuni, mi ci gioco la camicia, sarebbe "il salvataggio del pianeta".
Per dire. la pace è stata raggiunta, lo stesso accadrà, dopo gli accorati appelli, a quanto concerne questa nostra, giustamente pretesa a gran voce, salvezza.

Si sono, come si dice, calmate le acque dopo un mesetto di fermenti, di inviti, di incitamenti a chi può (potrebbe) per cambiamenti radicali: di Greta pochissimi ancora parlano, probabilmente sarà tornata a frequentare la scuola, magari indirizzando i suoi studi verso un'ecologia pratica, in vista di un'attività che, oltre all'innegabile incisività dei suoi appelli, sia apporto diretto e costruttivo che vada oltre all'invito generico per un salvataggio virtuale e virtuoso della Terra.
Anche i sondaggi a cosa i singoli, adulti giovani donne bambini, rinuncerebbero per favorire l'opera di salvataggio (deprimenti, diciamola tutta), pare siano finiti: sono (siamo) tutti disposti a rinunciare all'uso dell'auto quanto più possibile; quella del vicino, ovviamente. Sono (siamo) disponibili alla limitazione dei riscaldamenti o all'uso dei condizionatori; sempre quelli dei vicini.
Ridurre le plastiche? Eccheccevò, basterà convincere il vicino che è cosa buona il farlo; a me (a noi) è un problema difficile da risolvere, lavare le stoviglie prevede uno spreco di acqua e detersivo, piatti bicchieri posate, gettati nel cassonetto aiutano il riciclo e se qualcosa finisce in mare... è sicuramente roba del vicino.
A proposito di riciclo dei rifiuti: singolarmente, tutti favorevolissimi, purché non nel proprio comune, purché raccolta e smaltimento siano posizionati almeno a mille miglia dalla propria abitazione...
Gli anziani, ma devono essere proprio anziani, quasi vecchi, sarebbero disposti ad abbandonare i cellulari (in fondo sono cresciuti senza, e ciò nonostante sono invecchiati, non dico beatamente, ché vecchiaie beate non mi pare ce ne siano, ma sono invecchiati), adeguarsi sarebbe un sacrificio relativo, ma i giovani, quelli che hanno affollato entusiasti le piazze chiedendo... sarebbero disposti a rinunciare almeno a cambi periodici del loro piccoli marchingegni? Certo che sì... a quelli degli altri, gli 'altri' giovani come loro, che con loro sono scesi in piazza garantendo la loro partecipazione fattuale al salvataggio di un pianeta che, in fondo, sarà il loro habitat futuro prossimo; visto che per gli anziani, ma propri anziani quasi vecchi, la dimora sarà sicuramente ecologica, quella in cui gli inquinamenti di ogni genere non disturberanno più di tanto.
E ai motorini rumorosi e inquinanti, alle moto rombanti e scassaminchia, a scarpe e indumenti adeguati a ogni ora del giorno, a beveraggi esagerati di alcolici (che finiscono per inquinare con sangue l'ecologico asfalto stradale)... sarebbero capaci a rinunciare e in che misura?
Tutte operazioni che sarebbero adeguato supporto a quanto conclamato da una ammirevole ragazza che, senza arte né parte, ha lanciato un severo monito al mondo intero, giustamente accolto con like e applausi che fanno apparire nebulosi gli stessi moniti lanciati da anni, da secoli, da altri giovani e meno giovani, senza like o folle plaudenti.
Si dice: misteri della fede e, come questa, inspiegabili e incomprensibili.
Agli anziani, ma proprio anziani quasi vecchi, di questa finora benedetta Terra ormai frega un'altrettanto benedetta mazza (scusate l'aramaico, è per restare nell'ambito di quell'altro salvataggio, predicato previsto garantito, a tutti gli uomini di buona volontà, già oltre duemila anni or sono). Senza che appaia bestemmia, ne hanno ben donde... Anche perché la colpa di quello che sta succedendo è di tutti, non solo delle antiche generazioni o di quelle che verranno: il maldanno è in atto oggi. Il rinfacciarlo, totalmente ed esclusivamente, a chi è quasi in viaggio è uno scaricabarile ingiusto.

Amen bis, scenda il sipario (Google: ho battuto sipario, è inutile che mi correggi in sudario).

lunedì 7 ottobre 2019

Coito, ergo sum

Ho trovato quasi casualmente questo articolo su un blog di Facebook, testi che generalmente non condivido; ma questo è stato offerto oggi dal giornalista Martino Ciano e, come detto in via eccezionale (poiché, a parte le poesie che sono patrimonio dell'umanità, raramente condivido), vado a copiare, anche perché mi dà lo spunto per un allargamento della sua riflessione. Intendendo per 'condivisione' la divulgazione di un pensiero che ritengo, a torto o a ragione, meriti qualcosa di più di una lettura superficiale.
Il titolo?
So che il mio maestro sarà già caduto dalla sedia, inorridito da un simile, incredibile, svarione, tra l'altro avendo parlato di refusi tipografici non molto tempo fa. Prima di essere sbattuto dietro la lavagna, dopo essere stato pestato in un mortaio (a mo' di miscuglio a base di basilico, parmigiano, pecorino, pinoli, un pizzico di sale, olio d'oliva, 1/2 spicchio d'aglio; come questi ingredienti che danno il nome, appunto, al pesto, in particolare genovese), vado a spiegare. 
Una scusa, la ricetta, per fingermi esperto in culinaria, con una salsa semplice, digeribile e casereccia. Anche questo in via eccezionale, direi unica... 
Coito, anziché Cogito, basta l'eliminazione di una consonante per stravolgere completamente il senso del termine: il coito è notoriamente l'atto sessuale che consentiva la perpetuazione della specie (umana ed animale); 'consentiva', poiché oggi i mezzi per eternare la nostra specie stanno diventando altri, lasciando al coito una funzione più che altro godereccia. 
Questo per gli umani, forse per renderli dissimili dagli animali; i quali peraltro non scampano da questo 'progresso'. Succede che l'uomo le inventi tutte per eliminarli, gli animali, salvo poi studiare come salvarne la specie, ricorrendo a clonazioni, che sono un modo scientifico di selezione, non secondo natura ma secondo standard prefissati in laboratorio.
Cogito ergo sum, 'penso, dunque sono'; il non pensare porta automaticamente a un intruppamento al seguito di chi pensa, o riesce a far credere di pensare. Se non si pensa in proprio, non si è, non c'è esistenza, si diventa cloni ante litteram, il che porta dritti all'idea di Ciano sul pensare, oggi come ieri, dell'elettore tipo.
Ovviamente questa sua esternazione troverà contrasti: ciascuno dei personaggi (i pensanti) citati nel suo testo avrà un tot percento di fan che lo osannerà, demolendo nel contempo tutti gli altri, magari ufficialmente alleati. 
Occasionali, come ben sappiamo.
Ciano nel suo articolo ha, forse volutamente o forse per carità di patria, trascurato la citazione dei gruppuscoli che di volta in volta si formano dopo ogni tornata elettorale. Piccoli agglomerati con adepti che, di solito, non seguono un pensiero ma una persona come tale, il famoso (talvolta famigerato) leader, che quando non c'è lo si inventa; quando c'è lo si demolisce. Il quale leader, fino a poco prima, seguiva a sua volta un pensante dal cui carisma era stato ipnotizzato.
L'elettore, secondo Ciano che giustamente lo rimarca, è formalmente ondivago, talvolta in seguito a una tempesta, che lo sbatte su un'altra spiaggia, ma il più delle volte adattandosi ad essere peone, che si lascia cullare dalle maree, in attesa di una affermazione assoluta del pensiero primigenio.
Di qualcuno, non del suo; il coito a lui basta e avanza, non c'è spazio per cogitare...
La gratitudine non è nei menu degli elettori; se un leader promette e mantiene le promesse fatte, non per questo ha la certezza di uno sponsale a vita del suo fan. Se questo non ottiene ciò che in campagna elettorale gli è stato sventolato davanti, ha buoni motivi per cambiare casacca; ma anche se ottenesse tutto, nel possibile cambio della guardia potrebbe cercare offerte nuove, migliorative di quelle già ottenute in precedenza da altro benefattore.
L'elettore, soprattutto dopo l'affossamento delle ideologie che erano il collante delle varie formazioni, pensa a sé, poiché al Paese già pensano i capi-cordata. 
Almeno, a sentire questi quando parlano ex-cathedra... In realtà è provato che costoro sono comuni elettori quando si tratta di patteggiare la concessione di un voto. Pensanti quanto mai, per il bene del Paese? Quando mai, volevo dire...
I gruppetti che nascono a macchia di leopardo, guidati da peone che, da cavalieri e nobildonne promossi da leader illuminati, aspirano a diventare re, o quantomeno principi, tradendo magari la fiducia di chi, avendoli portati sul podio, credeva in una gratitudine eterna.
I capintesta citati nel testo di Ciano sono i pensanti che ufficialmente hanno le redini della guida del Paese. Sorvoliamo sulle capacità di manovra di quelle redini, a chi cogita sono impossibile da ignorare; chi dopo il coito 'buona notte, a domani e alla prossima', continuerà a vedere ciò che altri vedono per lui.
Che siano in una maggioranza o  che siano in opposizione creano giochi di (falso) potere, che piccole percentuali di elettori possono, se vogliono, abbattere; affannati, intanto, a superare la cosiddetta soglia di sbarramento, per poi puntare a divenire aghi della bilancia dei governi, a ricevere da questi almeno un mignolo delle redini per dimostrare ai loro seguaci la 'convenienza' dell'aggregarsi alle loro truppe. Un do ut des, ribadito e rinnovato giorno dopo giorno.
Quelli che una volta erano, poeticamente, definiti aghi della bilancia, oggi, sono spade di Damocle, pendenti su chiunque abbia il potere ufficiale. A meno che, questo potere non diventi assoluto, nel qual caso, queste spade diventano zanzare da cacciare (o schiacciare) con una sola manata.
E diventeranno, in un futuro passato e possibile, le basi della resistenza alla tirannia.
Questa è la democrazia, bellezza, che piaccia o meno. 

RAPPRESENTANZA. UNA SOLUZIONE APOLITICA




Che differenza c’è tra Capitan Salvini che, tra mojito seni tartarughe tatuaggi e pance flosce, chiede pieni poteri e si lancia in analisi politiche post-sbronza, salvo poi autodistruggersi, e il prode Di Maio che ribalta tutto e si allea con il ruffiano Zingaretti, mentre messer Renzi crea il gruppo moderato dei moderati piddini?
Che futuro possiamo aspettarci dal Cavalier Berlusconi che considera questo esecutivo un Governo di estrema sinistra? E cosa possiamo sperare dalla rabbiosa madame Melonì de' Garbatelle che invoca la piazza e sprigiona la sua ira contro tutto e tutti, infiammando un popolo che non sa più interpretare la realtà?
Davvero il Parlamento è quel luogo nel quale la democrazia si esprime, nel quale tutti vengono rappresentati?
Lascio a voi le risposte, perché disquisire mi sembra inutile. La solita pesantezza ammacca il cervello, e le parole si inseguono l’una con l’altra nel tentativo di creare un discorso degno di nota o che abbia ancora un significato. In pochi si rivedono in questo desolante quadro, in cui la politica-social a base di slogan e dirette Facebook ha innescato opinionisti senza opinioni.
Il disfattismo è ormai una necessità.
La democrazia-social non può che lasciare basiti perché ha solo creato leader-seguaci, una categoria che rende il popolo vittima e carnefice delle proprie opinioni. I sondaggi ci parlano di un elettorato mobile, capace di spostarsi con grande facilità da un polo all’altro. Il 40 percento  di qualche anno fa di Renzi è oggi anche il 33 percento di Salvini, ed era anche il 35 percento del Movimento Cinque Stelle.

Da che parte sta, quindi, l’elettore?
Chi è ormai l’elettore?
Troppi ignorano la differenza tra una democrazia parlamentare e il presidenzialismo. Troppi credono di votare per un Governo, ma dimenticano quali sono le dinamiche che ci sono dietro la formazione di un Governo. Sono gli stessi opinionisti-ignoranti che a ogni crisi chiedono di cambiare sistema. E perché? Quali benefici apporterebbe?
In tutto questo dove è finita la dialettica?
Non bisogna essere nostalgici. Non bisogna invocare la Prima Repubblica (o quella antecedente questa, senza alcuna remora o vergogna, che dopo poco meno di ottant'anni ci starebbero, anche solo per umano pudore). 
Certamente, se guardiamo a messinscene come quelle quotidiane ci rendiamo conto che tutto è un gioco, quindi, non ci sono più schieramenti, o colori, o idee.
Solo opinioni e chiacchiere apoliticamente corrette.
©️ by Martino Ciano, giornalista