mercoledì 30 dicembre 2020

Insisto, non ho risposte

 Tema: parla degli incentivi auto 2020/2021

Più che un tema è un quesito, che mi porto appresso da ottobre scorso, e al quale non riesco a trovare risposta. La casalinga di Voghera è passata di moda da parecchio, oggi è il cretese di Putumajori che tenta di avere un chiarimento (la località è di fantasia, il cretese [eufemistico] c'è e sono io, modestia a parte).

È fuor di dubbio che nel corso dell'anno in via d'estinzione, in Italia sono stati distribuiti centinaia di milioni, miliardi a pioggia, sotto le voci più disparate: ristori, rimborsi, contributi, incentivi... I ristori e i rimborsi hanno avuto valutazioni e percentuali di 'ristoro' variabili, che di solito hanno suscitato malcontenti, e la cui valutazione lascio alle categorie interessate. Pochi o tanti che siano, si tratta di soldini che, subito o poi, finiranno nelle tasche di chi li richiede.

Alla voce contributi sono finiti articoli di ogni genere: occhiali, caldaie, monopattini, biciclette... che hanno ricevuto sgravi diretti al momento dell'acquisto o a breve termine. Anche qui, pochi o tanti che siano, subito o dopo vanno a pesare nell'acquisto del bene.

Gli incentivi, qui ti voglio, riguardano il settore auto dove, presentati a luna piena come incentivi all'acquisto di auto nuove rottamando quelle con oltre 10 anni di vita, verosimilmente inquinanti, si parla di cifre consistenti che dovrebbero agevolare il cambio detto, aiutando nel contempo il settore già in sofferenza per la crisi pre-pandemia, che ne ha aggravato la vita grama, come in tutti i settori salvo la politica e il malaffare, che non hanno mai conosciuto crisi e anzi ci stanno ancora guadagnando.

Le Case, prontamente attrezzatesi, hanno lanciato, e lanciano, promo sui giornali e soprattutto sui social, prospettando possibilità di acquisto che poco ci manca che ti portino i mezzi nel tuo soggiorno.

Ipotesi (ma neanche tanto): auto prezzo listino 18.000 € - incentivi vari 6-8-10.000 € = TUA al prezzo di 8-10-12.000 €. Una pacchia, da inventarsi una vettura vetusta pur di accedere a incentivi così appetitosi.

Ce l'ho, giro un po' di concessionarie, alla ricerca del modello e, soprattutto, delle migliori condizioni d'acquisto. Tutte le proposte prevedono un piccolo acconto (2-3.000 €) e la dilazione del rimanente in almeno quattro anni, con una percentuale di TAN adeguatamente conveniente, tramite una finanziaria.

Raschio il fondo del barile, vendo un gatto, un tostapane a manovella, un computer a carbone... metto il malloppo in un sacchetto nero della monnezza (per evitare rapine e per non farmi vedere carico di soldi...). E vado in concessionaria per acquistare la vettura nuova cash, pronta cassa, al prezzo dell'offerta.

Non si può, no se puede, per avere i “vantaggi” degli incentivi, è possibile versare quanto dovuto soltanto tramite la finanziaria, del gruppo o scelta dalla Casa.

Per la matematica ho sempre avuto un rispettoso odio, ho appreso con fatica che 2+2 dovrebbe fare circa 4, ma non so andare molto oltre. Così, contando sulle sole dieci dita delle mani, mi rendo conto che, dati i 3.000 € di acconto su una vettura TUA a 12.000 € ne resterebbero 9 da pagare con ratei mensili in quattro anni. Per una strana coincidenza a me, che non sono di natura maligno, balza al naso che il TAN applicato porterà alla Casa l'esatta somma (compreso l'acconto) di 18.000 €, il prezzo di listino iniziale.

Il cretese su citato ritiene che non di incentivo all'acquisto si tratti, ma di esclusivo incentivo alla vendita; un fatto che gli pare raro e di difficile deglutizione, perlomeno per un cretese che odia la matematica. 

Il quesito finale è chiaro: è il cretese che non capisce un beneamato cavolo ovvero si tratta di una maleamata presa per i fondelli?

Sarebbe più trasparente se il venditore dicesse: il prezzo di listino è questo, gli sconti del governo li teniamo noi, a te faccio (io venditore) un piccolo sconto rinunciando a una parte del mio aggio, e tu paghi il tutto in 4-5-6 anni a tasso zero. So di finanziarie che propongono questa formula per protesi acustiche, per cure dentali e, forse, per la vendita di poltrone e divani, nonché per impianti doccia... Chi deve acquistare, che sul momento non ha liquidi, o non intende destinarli a quel bene, dilazionati in un periodo temporale sopportabile, aderirebbe più volentieri anziché sottostare a una formula chiaramente iugulatoria.

Tenendo presente che chi vende avrebbe già in tasca l'incentivo ufficialmente destinato all'acquisto, per cui a pagamento completato si troverebbe in tasca un buon terzo in più del prezzo iniziale di listino.

E piove, governo ladro e ambiguo!

domenica 27 dicembre 2020

Curiosità

Ho trovato questa tabellina che espone un confronto tra termini spagnoli tradotti in italiano e tra gli stessi tradotti dall'italiano allo spagnolo; credo siano parole madrilene, e non so in quanto corrispondano ad altre versioni dello spagnolo.


Tutto fa, quando si è rimasti curiosi di tutto, nonostante il passare inesorabile del tempo. Un confronto divertente che mi era totalmente sconosciuto, nella convinzione che le due lingue, italiano e spagnolo, avessero una simiglianza che ci rendeva quasi fratelli.

mercoledì 23 dicembre 2020

Auguri autarchici


Auguri in arte povera, che più povera di così non c'è.

Opera realizzata da due ragazze, esuli per lavoro nella lontana capitale del regno, lavorata e assemblata trattando le assi di un bancale recuperato accanto al bidone dei rifiuti. Anche la capanna l'hanno fatta con residui di quello stesso bancale. Il tutto ornato con ammennicoli vari, racimolati qua e là. 
Ammirevole il fatto che nelle rispettive professioni non usano attrezzi tipicamente manuali: occhi, dita e testa sono i loro trapani, cacciaviti, chiodi, carta vetrata, vinavil... Senza un laboratorio dedicato, in un minialloggio in affitto, tra lavoro, manutenzione generale della casa (pulizia della stessa, cucina, immancabili imprevisti, tipo guasto alla caldaia...), uscite limitate all'indispensabile, sia in ossequio alle disposizioni via via emanate, sia per il giusto timore nei confronti del nemico pubblico numero Uno, ancora ignoto ma ben conosciuto, hanno trovato il modo di riempire i ritagli di tempo con qualcosa di assolutamente fuori dal loro comune operare.
Ho adottato subito l'immagine per guarnire questi auguri, amarevoli quanto mai lo sono stati in passato, che vorrei non fossero dedicati esplicitamente alle feste, ma che le superassero con un balzo da canguro proiettandosi sull'anno che speriamo veramente nuovo. 
Che sia nuovo in tutto, soprattutto nei campi della salute, del lavoro, dell'economia in generale... e della pace e della fiducia in noi stessi e, di riflesso, nel mondo che ci circonda. Sarebbe un pre-vaccino utile e opportuno a superare un tempo amaro che la scienza da sola stenta a debellare.

sabato 19 dicembre 2020

Christmas Red (o Quindici uomini...)

Per questo fine anno ho avuto due sorprese. La prima, oserei dire la più inattesa, è la conferma che questo anno  ̷m̷a̷l̷e̷d̷e̷t̷t̷o̷ benedetto forse arriva alla fine. Credo che in passato un anno così  ̷o̷d̷i̷a̷t̷o̷  disamato non ci sia mai stato, perlomeno da quando il tempo viene calcolato in anni. L'augurio che corre in giro per il mondo è che quello a venire sia migliore; che poi, non dovrebbe sforzarsi molto per esserlo...
Succede che con il crescere degli anni (solo di quelli) lo scorrere del tempo appaia sempre più veloce. Sembrava sempre più veloce: questo che sta per morire è stato un anno lungo, neanche paragonabile ad alcuno dei precedenti, e neanche alla fame, che si usa cone raffronto come misura di lunghezza dello spasmo. Di solito i festeggiamenti per la dipartita del vecchio si fondono con quelli per l'anno in procinto di parto. Credo che il 2020 riceverà tante di quelle  ̷m̷a̷l̷e̷d̷i̷z̷i̷o̷n̷i̷  benedizioni che in nessuna religione conosciuta siano mai state emesse.

La seconda, inattesa pure questa, ma meno della prima, poiché preannunciata da tempo, con messaggi vagamente criptici da parte di uno scrittore già conosciuto, di cui avevo da poco terminato la lettura della sua ultima fatica. 
 
Mi riferisco alla copertina qui a fianco, che dal titolo ispirava quei pruriti tipici di un disagio neanche tanto inconscio. Questo Autore aveva già espresso dimestichezza con i depositi di persone defunte, altrimenti detti obitori, per cui la lettura di questo tometto faceva intuire di cosa sarebbe andato a raccontare. Nel corso della sua carriera ha pubblicato diversi libri, svariando su temi diversi, inizialmente su esperienze scolastiche; il suo primo Perle ai porci credo sia ancora oggetto di attenzione, sia per l'ironia caustica che per i messaggi, gli allarmi, che in retrofondo mandava a chi di dovere. Le risate erano garantite, i messaggi non credo siano stati raccolti o, se sì, prontamente cestinati da coloro cui erano diretti. Come sempre, quando questi provengono da chi vive sulla propria pelle qualsivoglia esperienza professionale. Oggi, in particolare, vale per i problemi della sanità, delle opere pubbliche, in generale della gestione della cosa comune; nel caso suo, del desso di cui parlo, il problema era (era?) la scuola. Problema era e tale è rimasto, elevato a potenza dalla pandemia ancora in atto.
Questi quattro racconti avevo già avuto di commentarglieli, con tanta simpatia e altrettanto timore. Avendolo conosciuto come scrittore saggio (aggettivo un po' forzato, ma siamo sotto Natale e il buonismo in questa occasione è ormai ancestrale), di una saggezza velata di simpatiche ironie ovvero altri con trame avvincenti, con questi mi aveva un po' spiazzato. 
D'altra parte il contenuto era già nel titolo, e non è che potessi aspettarmi racconti cuore/amore o abbracci/baci, tra l'altro già vietati in nome di un puritanesimo imposto da circostanze non più fortuite. È stata la scoperta di un lato oscuro, che mi ha lasciato (piacevolmente) sorpreso. Per dissimulare il piacere di quella lettura fuori dai suoi temi abituali, avevo commentato raccomandando alla su' signora e al suo bimbo, cresciutello quindi occhiuto, la massima attenzione verso il consorte, che mi dava l'impressione di essere uscito di testa. 
Il fatto che lui stesso avesse confermato la mia diagnosi, l'ha smantellata, sulla falsariga che nessun toccato mentale l'avrebbe ammessa.
Si era trattato di un aperitivo a quello che avrebbe in seguito proposto.
 
Con questo libro, digitale, di quelli che stai a casa, clicchi (voce del verbo cliccare, premere, pigiare) e in pochi istanti te lo trovi imbandito sul monitor, pronto per essere consumato...


  ... la cui copertina era chiaramente un richiamo alla prossima festività, che tanta bontà sparge ne' cuori  esuli a conforto, e diretto al cuore degli uomini di buona volontà. Essendo adepto di entrambi i gruppi, ho affrontato la lettura tenendo a portata di mano fazzolettini, torroncini (morbidi, ché quelli di pietra sono ormai un ricordo, questo sì tenero...), no birra, il cui brulichio su dal naso passa agli occhi favorendo possibili lacrimuccie di circostanza.
 
Gli Autori erano sintetizzati in quel AA.VV. che la mia perspicacia aveva prontamente letto come Autori Vari. Ma si fa presto a dire autori vari, quando il presentatore scrive libri firmandosi con due pseudonimi, di cui uno so per certo essere il suo nominativo vero, quello sui documenti di identità, forse sulla patente, forse persino nelle sue firme... ma non ho ancora capito quale dei due sia quello genitorialmente ereditato. 
Il Red che completa il titolo dell'opera credo sia stato un adeguamento alla situazione generale che vede il rosso come tinta più diffusa, accettato come il fumo negli occhi, per cui il presentatore ha voluto affondare il coltello nella natica come segno del suo sprezzo di fatti terreni che non lo toccano. Oppure, avendo già partorito un Giallo e nero nel lontano 2015 ha voluto evitare sovrapposizioni che qualunque rompiglioni (chiedo venia per l'autocitazione) un domani avrebbe potuto rinfacciargli. Comunque sia, il rosso è natalizio, al pari dell'oro, dell'incesto e della birra...
Sorpresa: non sono due gli Autori Vari, ma ben quindici... gli stessi quindici che danno il sottotitolo a questo post. E sono tutti e quindici sulla cassa di un morto (una ciascuno), non so se ballano e bevono rum, sicuramente hanno sfornato una serie di racconti, tutti e ciascuno protesi a far godere le feste in un modo originale, non stereotipato da secoli di racconti e consuetudini, che hanno fatto presa in sentimenti che nel corso dell'anno sono assolutamente banditi.
Una botta (piacevole e leggera come una carezza) alle mie convinzioni mi è arrivata dalla constatazione che, dei quindici uomini, undici sono donne. Il che fa capire quanta "bontà" possa trasudare dai loro racconti quando danno libero sfogo alle loro fantasie. A ennesima dimostrazione che la diversità di genere è un'invenzione; perlomeno quella mentale...
La tentazione sarebbe di dire che si tratta di quindici racconti 'uno più bello dell'altro'. Ma la mia malignità mi vieta di proporre quel giudizio, partendo dal presupposto che l'ultimo, nella cronologia della lettura, si beccherebbe tutti i meriti, visto che risulterebbe essere classificato come migliore del precedente, e il precedente a sua volta del precedente... a ritroso fino al primo, che, manco a dirlo, è l'Autore binominato. 
In effetti ero partito col pensiero di "votare" ciascun racconto, e nel prosieguo della lettura, al termine di ciascuno mi ero impegnato con un "questo lo voto", che alla fine mi ha fatto ritrovare con quindici voti assegnati, un "a pari merito" che, non essendoci premi in palio, avrebbe consentito un podio lungo almeno trenta metri... per seguire le direttive governative ed evitare sanzioni, virtuali ma sempre antipatiche.
Lo Special Edition è la ciliegina sulla torta, che fa sperare in future edizioni ordinarie.

Dicevo dei premi non in palio: questa raccolta, digitale fin che si vuole, ha un costo che definire irrisorio è riduttivo. Un caffè e mezzo, al costo corrente di un caffè al bar, che per ogni vendita darebbe a ciascun Autore la cifra pazzesca di 10 €/cent. Lordi... tolte le tasse, tolte le spese varie (acronimabili come SS.VV.), l'iscrizione alla SIAE, più le imprevedibili varie&eventuali, mi sa che lasceranno a debito qualcosa... e non mi pare che ci siano ristori in vista per questo genere. Il Potere ritiene che chi ha tempo, voglia e fantasia per scrivere, lo faccia senza bere, senza mangiare, senza pagare bollette; i monopattini e le biciclette... quelle sì, sono spese che uno Stato serio può, e deve, supportare. 
Senza voler spingere a spese folli, chi ha un tablet colga al volo l'occasione: pagare questa cifra per un po' di ore di lettura è un regalo che ciascuno si può fare senza ricorrere a prestiti o mutui, magari rinunciando a un caffè al bar (tra l'altro dannoso, e ve lo dice uno che se ne risucchia una decina ogni giorno... a casa, dalla moka).
E buona lettura; per non apparire di parte, buona lettura qualunque essa sia... se si tratterà di questa, di questo libro intendo, avrete quindici grazie garantiti.   

mercoledì 9 dicembre 2020

ICE non ice

Pubblicità&Progresso: ICE non ice

No, non ice come ghiaccio, ICE come In Case (of) Emergency, ovvero, per chi non mastica il latino, In Caso (di) Emergenza.
Si tratta di un acronimo poco noto e ancora meno applicato, che andrebbe invece divulgato, perlomeno come i più ben noti dpcm o INPS, o MES o BCE... e quant'altri, ormai divenuti d'uso comune, nel bene come nel male.

La vita è fatta a scale, chi le scende e chi le sale: fa parte del bagaglio proprio, dalla nascita, quando già si sa chi le salirà e chi, invece, le scenderà. Poi succedono i miracoli, che consentono ad alcuni di salire pur essendo all'origine destinati a scenderle. Fa parte dell'imponderabile. Lo stesso può succedere all'inverso: ad esempio al figlio di un re, stabile sul trono, è facile prevedere una vita da principe... in attesa (talvolta perenne, cit. un certo Carlo) di salire sul trono paterno o materno, abbandonato per morte o per abdicazione o per cacciata. Con discese, talvolta a valanga, da maestosi scaloni che diventano strette scale a chiocciola, scomode e malferme.
Quando nella vita capita un fatto positivamente eclatante, tipo una vincita sostanziosa o un'eredità inattesa, non ci vuole molto che il fortunato sia subissato di affetti e attenzioni: è un passaparola telepatico che invita a festeggiare e, possibilmente, partecipare attivamente alla spartizione di una torta che tradizione vuole appartenga a tutti. Con i parenti in prima fila, seguiti da amici e poi dagli amici degli amici... perfino quelli che fino a poco prima erano ufficialmente anonimi se non apertamente nemici, si accodano pronti a raccogliere almeno le briciole di tanta fortuna.

In quell'imponderabile, però, ci sono accadimenti che colpiscono le persone, quando in via diretta e quando per vie traverse. Succede, e succede, che una persona esca di casa per fare due passi o sbrigare una commissione, e una tegola o una buca nella strada ne segni la fine del cammino.
Sono i casi in cui basta un urlo per trasmettere l'allarme, la notizia, a tutto un vicinato, che conosce, di vista o di persona, la vittima del fatto. I parenti, gli amici e i conoscenti ne vengono prontamente a conoscenza... e chi deve sapere lo sa in pochi minuti.
Diversa è la situazione, quando un fatto avviene al di fuori delle immediate vicinanze dell'abitazione; basta che un incidente si verifichi al di fuori del comprensorio, e il malcapitato si trova sconosciuto tra sconosciuti. Pensiamo a un incidente stradale in autostrada: quando tutto va bene, chi vi è coinvolto riesce a comunicare quanto successo a persone vicine, di cuore o di professione. Ha la possibilità di avvisare dove i soccorritori lo, o li, porteranno, in modo da poter essere raggiunti o fortunatamente rassicurare gli interlocutori.
La stessa cosa può capitare a un anziano che, nel fare la spesa o in fila alle poste o in farmacia, venga colpito da un attacco cardiaco o una crisi apoplettica o diabetica. Se perde conoscenza, il primo pensiero di chi si presta al soccorso è quello del ricorso a interventi sanitari che diano la speranza di rimetterlo in sesto, di salvargli la vita. Il secondo pensiero è quello di avvisare qualcuno di quanto accaduto. Il peggio viene quando un poveretto innalza la bandiera bianca, arrendendosi a un evento che non gli ha lasciato scampo. In questi casi, sono le forze dell'ordine a cercare chi possa essere interessato a una dipartita inattesa. Ricerca che richiede tempo... e che talvolta rimane senza esito.

In tempi andati, molto andati, avevo, ed ho tuttora, una piccola agendina (11x8x0,5 cm), in cui ho annotato centinaia di numeri di telefono, con la località e il cognome del titolare; c'è di tutto, alberghi, recapiti di possibile interesse... Raramente usata, i numeri di maggior uso li avevo memorizzati (a quel tempo avevo una discreta memoria) e gli altri erano lì, immobili e inusati, in attesa di chiamata.
Erano tutti numeri fissi, i cellulari stavano appena nascendo e il maggior sollazzo per chi ancora li vedeva col binocolo era la comica ricerca di campo da parte di supertecnologici colleghi. Mentre loro cercavano una linea, noi antidiluviani trovavamo un bar, un box stradale, un albergo, una stazione, e sbrigavamo i nostri compiti, solitamente tramite il 10 di Telecom che provvedeva pure all'addebito delle chiamate al corrispondente di turno.
Se avessi perso, o mi avessero fregato, con la valigetta, l'agendina, la perdita sarebbe stata limitata, poiché non conteneva numeri compromettenti; in fondo il maggior dispiacere sarebbe venuto dalla perdita del contenitore (anche quello appoggiato in casa da qualche parte, come residuato di un periodo attivo e relativamente felice. 
Poi i cellulari presero piede, e quei numeri fissi sono più che mai immobili e inusabili, visto che la più parte di essi sarà stata dismessa.
Per la maggior parte della giornata ero irrintracciabile, e se da una parte questo era un bene dall'altra era un problema, in particolare per i rapporti con la famiglia. Che solo alla sera, puntualmente ogni sera, contattavo per lo scambio reciproco di notizie sulla giornata trascorsa. Sovente provavo un senso di smarrimento, col pensiero che se fosse successo qualcosa di grave, o qualcosa di veramente brutto a casa, al mattino, fino alla sera non lo avrei saputo; stessa cosa se fosse successo a me, lontano da casa...  con la conseguenza che avrei dovuto intanto affrontare un pronto rientro, che raramente era a un tir di schioppo; e dopo una giornata di gironzolamenti non era proprio, come si dice, ciò che Dio fece.
Una sola volta, in una decina d'anni, avevo subito un incidentuccio (frattura del perone e punti alla testa, fatto già raccontato in un vecchio post, e che qui non ripeto per non tediare il lettore). Ero rientrato a casa con l'osso fratturato e cinque punti alla sommità del capo, non avevo voluto spaventare i miei che mi avevano visto rientrare ampiamente claudicante e "con un fiore infilato nei capelli" (cit. mia suocera quando mi aveva visto spuntare dalla porta di casa).
Ecco, forse uno dei pochi pregi dei telefoni mobili consiste nella possibilità di contattare prontamente gli interessati qualora qualcosa nei piani dovesse andare storto.

Ormai quasi tutti, anche gli anziani e i ragazzi, hanno appresso quei marchingegni, nella più parte dei casi proprio per mantenere i contatti, sia per affetti che per necessità lavorative. Che poi in molti casi l'uso di questi aggeggi sia causa prima di fatti accidentali, sovente mortali o invalidanti, è un altro discorso...
In tutti i cellulari è presente una rubrica, in cui vengono memorizzati i numeri di proprio interesse; si tratta di pochi numeri o di molti, l'incredibile capacità di contenerli non pone limiti. Se la nostra memoria fosse in grado di fagocitare tutti quei numeri, quella memoria tecnologica sarebbe superflua. Ma nell'eventualità di un sinistro come sopra accennato ci impedirebbe di comunicarli ad altri per avere sollievo in un momento drammatico.
E qui entra in ballo l'ICE.
Non costa nulla, non consuma la batteria, non intasa le possibilità mnemoniche del cellulare ed è di aiuto in qualsiasi evenienza, soprattutto negativa, che ne richieda l'uso.
È sufficiente decidere verso chi debba partire la prima segnalazione che qualcosa non va: mettendo questa sigla accanto al nome del destinatario: o dei destinatari, visto che non ha limiti d'uso.
È semplice: nella rubrica, accanto al nome prescelto che si vuole sia avvisato in caso di accidente, è sufficiente inserire la sigla ICE, per avere la certezza che il soccorritore sappia al volo chi chiamare per avvisare che qualcosa non va come dovrebbe. E, come detto, la sigla si può mettere a più nominativi, per accelerare quanto possibile il contatto utile al caso. Per dare precedenze è possibile segnare le priorità di chiamata, segnando accanto alla sigla un numero di precedenza (esempio: Rossi A. ICE1, Verdi B. ICE2, ecc.).
Il soccorritore, cercando di risalire all'identità dello sfortunato utente, oltre al documento personale, cercherà il cellulare, nel quale trovando quella sigla eviterà, intanto, di perdere tempo a provare a chiamare persone non interessate, o scarsamente interessate, alle vicissitudini del disgraziato. 
E gli eviterà anche inutili e rischiose gaffes, che potrebbero ulteriormente aggravare la situazione; penso a un contatto con amanti, segnate in rubrica sotto voci fasulle, onde evitare incursioni muliebri, sempre possibili.

sabato 28 novembre 2020

Hic sunt leones









Ho avuto la ventura di visitare l'Italia in lungo e in largo e ne vado qui a parlare.
Vado a raccontare dell'Italia, di un'Italia antica, poco conosciuta come tale: come molti sanno, e ad altrettanti molti sfugge, la Calabria in tempi non sospetti era denominata Italia. Non sto a raccontare da chi e perché aveva questo nome, sforerei dal mio essere conciso e non riuscirei ad aprire a sufficienza il velo della storia che riguarda quel periodo. 
Molto in seguito, comunque quel nome si è esteso a tutto lo Stivale, restando di questo a malapena la suola. Pure bucata...
Saltando a pie' pari una grossa manciata di secoli, vado a raccontare della Calabria di oggi, una ex Italia che ha buone ragioni per valersi dell'avviso alla presenza di leoni: invito a girare alla larga ovvero visitare opportunamente armati. I leoni non ci sono mai stati, ma le cautele continuano ad essere valide e consigliate.
A chi ha avuto modo di vedere il video di un mini-commissario alla sanità calabrese non saranno a suo tempo sfuggite le spassose dissertazioni su mascherine, su baci profondi a rischio dopo il quarto d'ora di immersione linguale, sui suoi riposi sessuali dovuti a raggiunti limiti d'età, presumibilmente dopo una carriera da viveur, da sciupafemmine... non può farsi sfuggire il suo secondo capolavoro, sempre in video, sempre lo stesso giorno di diffusione del primo.
Probabilmente quel 25 maggio 2020 era un giorno di particolare esaltazione, un giorno di libertà dei suoi due neuroni che, cogliendo l'attimo fuggente, si erano scatenati in una danza di stronzate che il desso, smaltiti i fumi di chissà quale mixer, forse mai avrebbe affidato a una ripresa video che lascia prove che ormai hanno più valore di uno scritto olografo.
Un paio di considerazioni. La prima riguarda chi designa a compiti, indubbiamente pesanti, di risanamento sanitario per un territorio morente: non sarebbe il caso di prevedere, prima di affidare a persone qualificate (fino a prova contraria, puntualmente esibita) un simile compito, un pre-doping approfondito o, concomitante/alternativa, una seria visita psico/psichiatrica? E una verifica del suo agire in veste di commissario nelle strutture, già calabresi, era proprio fuori da ogni protocollo di verifica?
La seconda si riferisce allo Zuccatelli citato: nel secondo video, con i neuroni più che mai a briglia sciolta, si è lanciato in un apprezzamento (anzi: deprezzamento) della categoria dei virologi, che ritenevo facenti parte del mondo sanitario, come lo sono i farmacisti, i dentisti, i veterinari, i podologi... Qui li ha definiti la coda della coda della coda... quasi all'infinito, del settore sanitario. In un barlume di lucidità i due neuroni non hanno dato una gerarchia caudale agli infermieri... e meno male, bontà loro. Dei neuroni.
Vorrei dire a questo (non più persona, come comprovato) elemento che in nessunissimo settore del vivere civile esistono code di altri, né nelle loro specialità né in un più ampio campo visuale. Anche le attività comunemente ritenute, a torto, più basse di altre, hanno una dignità e un collocamento che, a seconda dei casi e dei luoghi di esercizio, le rendono indispensabili. Non sto a citarle, anche perché, nel caso i neuroni fossero sopiti, non le capirebbe comunque.
La terza considerazione, riferita ai governi che hanno partorito le due abominevoli designazioni: ma non c'è almeno un membro dei due-tre gruppi che effettuano la cernita che si assuma la vergogna di queste due scelte e ne chieda, chiaramente e senza ghirigori politichesi, scusa a chi da queste è stato danneggiato? 
Lo so, sarebbe un caso unico, ma avrebbe la primogenitura di un gesto cui sarebbe bello abituarsi.
Quarta voce: Spirlì. Qui, purtroppo, non è possibile chiamare in causa il governo; questo signore (fino a prova contraria, in corso di presentazione) è stato eletto dai calabresi, presumibilmente per essere prima vicepresidente ed ora facente funzioni di presidente, con un numero di voti bastanti a giustificare la sua salita al podio del governo della Regione. Su questo non ci piove.
Come non piove sul fatto che la miseria nera, l'abbandono del territorio, la presenza di malavitosi che influenzano la vita quotidiana dei cittadini (per fortuna mai il voto degli stessi...!?)... tutte cose che richiedono un orgoglio, pressante e continuo, che ne copra il peso, ormai quasi insostenibile.
Giusto orgoglio, unico retaggio rimasto disponibile in un territorio che ha perso tutto.
Ma se questo orgoglio viene manifestato in maniera prepotente, offensiva, ecco che da dote diventa difetto. Lo è quando il facente funzioni di presidente della Regione, respinge con termini brutali un aiuto, per quanto se ne sappia disinteressato.
Succede che dopo il fallimento, con un finale che induce pietà oltre a una desolazione mentale pressoché assoluta, del non intervento del commissario Cotticelli, ex generale dell'Arma sorretto, a suo tempo, dal bagaglio di fiducia in quella, ha chiuso la sua epopea in maniera affatto dignitosa, il suo immediato sostituto, lo Zuccatelli citato, è stato nominato commissario per la sanità calabrese, previo licenziamento in tronco del predecessore.
Di Cotticelli si è detto e scritto ormai tutto e di tutto: da una intervista che ha suscitato reazioni variabili, che vanno dall'indignato al comico, in precisazioni successive è scivolato nel penoso. E quando una persona induce alla pena, la cosa migliore (la più buonista?) è chiudere l'argomento, cassarlo come cronaca spicciola, e passare ad altro.
E quell'altro prende il nome di Gaudio, Eugenio Gaudio.
Lo Spirlì citato aveva chiesto, non a gran voce ma con megafono ultrapotente, che a commissario alla sanità per la sua Regione fosse designato un calabrese doc, un personaggio che, anche da fuori dei confini regionali, portasse un bagaglio di capacità e onorevolezza tali da cancellare l'offesa dei due precedenti, appena abortiti. Detto, fatto, designato... quello che da subito era apparso il migliore salvatore della patria regionale possibile, per un treno sbilenco avviato ormai su un binario morto; al termine del quale era aperto un baratro, tomba definitiva di tutte le porcherie nate e pasciute sul territorio nel corso di decenni. E gaudio fu, per un solo giorno.
La prima cosa che era saltata subito in cronaca era il fatto che questo esimio professore era sotto schiaffo per presunte agevolazioni in concorsi universitari e in spintarelle poco eleganti per promozioni e avanzamenti di suoi sodali. Pare che le inchieste sul suo operato siano in via di archiviazione, che non è proprio un'assoluzione ma un rinvio alla Storia... di cui si perderà traccia in breve tempo. Per chiunque osteggiasse la sua nomina sarebbe stato gioco facile tirare in ballo la faccenda, non come accusa specifica ma come punto interrogativo permanente. Una spada di Damocle virtuale che gli avrebbe reso la vita difficile.
A salvarlo pare sia intervenuta la di lui signora che, con un rifiuto alla papa Celestino, aveva declinato la possibilità di trasferirsi nel capoluogo calabro. Su questo rifiuto sono state disegnate vignette, create battute, ipotizzate ipotesi... Tutto senza conferma alcuna, salvo il rifiuto netto. Uno dei molti casi che confermano che dietro ogni uomo, per grande appaia ai più, vigila e impera una donna. Grande o meno, è scelta soggettiva.
Ab ovo, questa benedetta scelta di un predestinato è ancora in itinere, un cammino lento che sa di maratona, senza uno striscione di  traguardo che ne indichi la fine.
In diverse occasioni quello striscione è sembrato prossimo ad essere tagliato, poi ogni volta un altro appariva più avanti. Nomi, chiacchiere, illazioni e illusioni... tutto sembra contribuire a mantenere un'aura di mistero su quello che sarà il predestinato. 
C'è quasi la stessa attesa che dicono ci fosse per il Re d'Israele, quel Messia annunciato da profeti e veggenti; il quale, tanta fu l'attesa, che non venne neanche riconosciuto, se non da una dozzina di persone, che accettarono il suo messaggio e se ne fecero portatori verso il resto del mondo.
Ecco, la Calabria avrebbe bisogno di un Messia... i missionari, africani e non, sono stati divorati dalle belve locali. Un Messia che godrà di onori e deferenze, entrerà in quella terra non a cavallo di un asinello ma a bordo di un blindato, tra gli osanna del popolo e l'obtorto collo dei maggiorenti. Un Messia che sia conscio che nel suo futuro c'è una croce e che su quella croce finirà inchiodato. Che sulla sua strada troverà un console (romano, tanto per cambiare) che, in caso di fallimento della missione, di lui se ne laverà le mani...
Con il popolo che continuerà a mugugnare e i maggiorenti a sogghignare.

Il Messia è arrivato, tal Guido Longo, definito super-poliziotto, uomo delle istituzioni, possibile salvatore della terra calabra. Non è calabrese, è siciliano di Catania, e presenta un curriculum di tutto rispetto. Nonostante ciò è stato bene accolto, perlomeno ad uso dei media, dalla classe dirigente della Regione, in primis dal facente funzioni.
Si sa che per far camminare il ciuco servono un bastone e una carota.
Nello specifico, visti i pregressi, Longo può essere visto (rispettosamente) come il bastone.
La carota? In simbiosi con la nomina di Longo, la regione Calabria da rossa che era dalla mezzanotte sarà arancione. Il cambio di coloritura non cambierà di molto la vita dei cittadini, ma è stata presentata come una vittoria dell'establishmen, ancora furente per l'appaiamento con regioni come il Piemonte e la Lombardia, le quali chiaramente non avevano nessun titolo da opporre al rosso fiamma assegnato.
Da rosso ad arancione, un salto di qualità importante, che ha come base miglioramenti visibili e tangibili nella gestione sanitaria delle Regioni promosse. La Calabria, rossa da venti giorni e in profondo rosso da oltre dieci anni, in una ventina di giorni, orfana di commissario, ha fatto il miracolo di dipanare nodi irrisolti, che apparivano irrisolvibili senza un intervento divino. Che è arrivato nella veste del Messia... quando questo intervento appare superfluo, superato.
A cosa serve un commissario alla sanità in una Regione che con un gioco di prestigio ha risolto in pochi giorni i suoi problemi? Possibile che siano bastate un paio di tendopoli militari, con destinazione anti-Covid, a risanare tutto? Altri cambiamenti non ce ne sono stati: i contagi, nello stesso periodo, hanno continuato a salire, e i decessi pure; non ci sono risposte alle richieste di verifica di sospetti positivi; gli ambulatori per altre patologie sono tuttora interdetti; i medici di base brancolano nel buio alla ricerca di dritte precise per la gestione dei pazienti, per quanto di loro competenza; i posti letto ci sarebbero, ma mancano i letti; le apparecchiature di pronto intervento sono tuttora obsolete... È vero, la migrazione sanitaria verso altre Regioni è cessata... ma perché queste, vuoi per loro propri problemi causa l'emergenza vuoi per sicurezza, hanno sospeso le accettazioni per ricoveri, visite e analisi.
Se uno fosse maligno, il pensiero correrebbe alla massima do ut des, io do se tu dai in una traduzione casereccia: il governo offre l'agognato arancione, in cambio cessa l'ostracismo verso l'eletto, che peraltro ha tutte le carte in regola per ben operare; il governo salva la faccia, nello specifico piuttosto annebbiata, il facente funzioni pure, il popolo si calma, un capro (per ora non espiatorio) si presta all'olocausto... 
Molto diverso sarebbe stato il risultato di fronte ad un do ut facias, avrai se fai, sempre in casereccio.
Appunto: intanto, con la carota di una promozione colorica, il ciuco arranca. 
Il bastone... verrà poi.
 

venerdì 13 novembre 2020

Letture incatenate

Chi ha qualche anno alle spalle sa che la lettura, il leggere, ha plasmato le gioventù d'un tempo, quando, oltre a questo, poche erano le possibilità di allargamento delle proprie conoscenze. Chi ha avuto la fortuna di trovare, nella prima scuola, insegnanti appassionati che riuscivano a fare appassionare anche gli scolari, da questi riceveva l'invito pressante alla lettura. Già allora, il 'fumetto' era la lettura preferita, quella che colpiva l'immaginazione dei ragazzini, lasciando impresse, con le immagini, le cognizioni, le conoscenze che, in mancanza di altri mezzi di comunicazione, si stampavano nelle menti, protese a un sapere di cui non erano ben chiare le finalità. Quei tentativi, peraltro più che positivi, avevano un paio di 'pecche' che solo gli anni sarebbero meglio visualizzate.
Chi era dedito all'insegnamento, sovente risultava essere appassionato a poche materie specifiche, e queste puntava ad instillare precipuamente nei virgulti affidati alle sue cure; fossero argomenti di storia, di geografia, di matematica (gulp! sob! aita!), e quant'altro, era difficile fare apprendere in maniera profonda le materie, complice la tendenza dei piccoli e degli adolescenti a che il gioco fosse il meglio per un futuro di cui non si aveva il minimo sentore: il presente, l'immediato presente, era passato e futuro, per cui non c'erano grandi stimoli, sia alo studio di ciò che fu che a quello che sarebbe stato. Un limite dei tempi, tra l'altro fortemente influenzati da un presente molto nebuloso.
Le immagini di allora sono la televisione dell'oggi, i computer, i cellulari ormai minuscoli computer portatili... che danno risposte a quasi tutto, che consentono una visione della Terra e del mondo in presa diretta; le notizie quotidiane non fanno in tempo a essere completate che altre le si accavallano, modificando, distorcendo, contrastando le precedenti: il passato è ignorato, del futuro si parla in termini limitati alle contingenze momentanee. Non è il caso di andare troppo lontano, basta avere seguito le vicende legate al Covid.19, tuttora in via di sviluppo: la confusione creata intorno a questo malanno ha fatto quasi più danni che l'accidente stesso. Politici ed esperti hanno fatto gara a chi riusciva a confondere di più i malcapitati cittadini. Non è più possibile trovare il tempo di approfondire, di scremare, quello che viene propinato sovente con scopi se va bene non chiari, ma più spesso manipolati e manipolanti.
I libri, per essere gustati come dio comanda, hanno bisogno di una abbondante dose di fantasia. Le immagini che la lettura provoca sono soggettive, un libro più che essere letto deve essere vissuto. Il sapersi calare nei personaggi, il 'vedere' i paesaggi e le circostanze che i vari autori espongono, è fattore indispensabile per un'assimilazione dei contenuti che non ha limiti né preclusioni. E la fantasia è quella che sta mancando in tutti i sistemi di comunicazione in atto; cioè, la fantasia c'è, ma è la fantasia di altri, di terzi che la propongono come prodotto originale. Fantasie fasulle, false... La fantasia vera è quella che ognuno si crea, in sé e solo per sé.
Leggere mi piace, mi piace da sempre, anche nei periodi di impegno lavorativo, uno spicchio di tempo per la lettura me lo sono sempre ritagliato; magari a notte fonda, col rischio di influenzare i sogni successivi. 
Adesso che il tempo non mi manca, a parte il minimo di impegni volutamente assunti, le letture si sono accumulate, e ho pensato bene di fare una breve carrellata di quelle che più mi si sono introiettate nel subconscio. Cito solo le ultime, quelle degli ultimi cinque mesi, dedicando a ciascun libro due parole di commento, che, more solito, non vogliono essere recensioni; sono sensazioni veloci che voglio condividere con chi legge questo blog, non sono un influencer, ma se queste righe dovessero suscitare la curiosità di alcuno, ne sarei felice.
Leggere, non solo per apprendere, ma per il semplice piacere, fisico, che il farlo dà.

IRREHAUS di Nicola Pezzoli

Chi ha letto questo libro, può averlo catalogato a piacimento: romanzo, racconto lungo, diario, poesia... L'interpretazione della lettura è soggettiva, e ciascuna, nello specifico, non si scosterebbe di molto da quello che è la sostanza del testo.
Io l'ho letto, e goduto come uno spartito musicale.
Per essere preciso, nella modalità sinfonica.
Come molti libri di questo Autore, l'inizio è un'entrata allegretta, che ha lo scopo di mettere il lettore a suo agio, costringendolo a inabissarsi nei vari personaggi, nuovi per la più parte, con fuggevoli richiami ad altri conosciuti in opere precedenti.Il libro avanza poi in un lungo percorso lento, di quell'adagio che non è anestetizzante; è l'ulteriore invito a godere appieno, lentamente appunto, paesaggi e situazioni che, altrimenti, potrebbero sfuggire all'attenzione del lettore. Ma credo che quella lentezza sia impressa anche per consentire a chi legge di calarsi appieno nel personaggio principale, una specie di voce narrante la vita e i pensieri di un ragazzo, non più bambino ma ancora lontano dall'essere adulto.
Un ragazzo i cui pensieri e le cui emozioni costringono a ripensare ai pensieri propri e alle emozioni tipiche provate in un'età ormai tramontata.A tutti capita di ripercorrere quei periodi, perlomeno a me capita. Ma quel tempo erano inquadrati in una visione più ampia, difficilmente oggi si riescono a focalizzare i momenti preciso di determinati accadimenti, che allora erano magari stati etichettati come indimenticabili. Solo le cose brutte restano indelebili, con tanto di data e ora dei fatti: la morte della madre o del padre, un incidente balordo, un amico d'infanzia prematuramente scomparso... le cose belle entrano facilmente nel calderone delle cose accantonate, messe in un cassetto, con la certezza (sovente vana) che al richiamo in memoria sarebbero ricomparse.
Ecco, Nicola invita il lettore a vedere quell'età con gli occhi di un ragazzo, di quel bambino che è rimasto in lui.
Sogni, desideri, pulsioni... fiori che al mattino spalancano le loro corolle, offrendosi come buongiorno a chi ne riesce a vedere e godere la bellezza.
E il tempo minuetto prende la forma di un alter ego, uno specchio che riflette le avventure del protagonista e quelle che il lettore, con poche o nessuna variante, finisce per rivivere.
Amore e odio, il primo obbligatoriamente mentalmente platonico, il secondo materialmente impossibile da completare. Sfoghi fisici, ai quali lui (e noi per lui, ma al passato remoto) non riesce a dare spiegazioni; rabbie represse, impotenze a reagire con la violenza a torti o amarezze subiti...
Chi ci è passato, tutti, finisce per ricordare, e sono ricordi amari.
Poi, d'improvviso, la musica cambia, anzi non è più musica, è galoppo sfrenato in una prateria senza fine. La dolcezza delle note precedenti si trasforma in angoscia, quel sentimento per la cui diluizione si deve arrivare alla fine.
Galoppando a briglia sciolta.
Leggere quest'opera ha fatto passare i primi periodo delle quarantene, appunto la parte musicale, nella lentezza temporale di cui parlavo; il finale del libro quel tempo lo ha quasi annullato, letteralmente... bere un bicchiere d'acqua, espirare il mezzo metro cubo d'aria appena inspirato... non c'è stato tempo per altro.

PECCATI IMMORTALI di Aldo Cazzullo e Fabrizio Roncone


Un romanzo, una storia, che va a sfruculiare in ambienti di cui poco si conosce e sui quali molto ci si affida alle fantasie. Suscitate e alimentate da secoli di Storia e di storie, che hanno creato un alone di mistero che quegli stessi che ne sono oggetto ben si guardano dal dissipare. Un 'giallo', ma più noir che giallo, che appassiona con tutti gli ingredienti, le credulità e le credenze, ipotesi ed evidenze regolarmente sballate. Un libro leggero e veloce da leggere, ma pesante nella sostanza, scorrevole nello svolgimento ma pesante nel suo profondo; a parte la piacevolezza del racconto in sé, porta a pensieri e considerazioni che fanno parte delle chiacchiere da bar o da circoli specificamente 'anti' i personaggi e gli ambienti qui descritti. I peccati, o perlomeno quelli considerati tali da una parte di credenti, alcuni dei quali della religione hanno fatto mestiere. Scorrevole nel racconto e nel contempo impegnativo, che ispira considerazioni, ragionamenti e dubbi nel corso del procedere nella lettura. I peccati, solitamente vengono considerati come veniali e mortali; non ci sarebbero vie di mezzo, non esistono peccati veniali con sfumature di mortale, né di mortali addolciti da un filo di venialità. Entrambi i generi sarebbero soggetti alla possibilità di perdono, a condizione che vengano 'confessati' a chi è preposto al compito di assolvere chi è comunemente definito 'penitente' pentito. Tecnicamente e, forse, teologicamente non esistono peccati non condonabili. I peccati 'immortali' sono, nel racconto, peccati comuni, diffusi, veniali e mortali, per come la vita e le consuetudini li hanno catalogati. Diventano immortali a causa di chi li commette, teoricamente immune dalle miserie che colpiscono il resto del genere umano. Dante, nel suo Inferno, aggrava la portata delle mancanze di preti, prelati, porporati e papi, per il solo fatto che da queste categorie ci si attenderebbe siano sempre, tutti, 'vergini' delle umane debolezze
Un intreccio, quello di questo libro, che espone una galleria di personaggi e di azioni che lasciano, a fine lettura, il dubbio che non tanto di racconto o di giallo, si tratti, quanto di un'attenta, misurata, esposizione di un qualcosa che 'sembra' sia, e che invece forse è.
   

L'ANGELO DI MONACO di Fabiano Massimi

Niente di meglio, per far passare le sonnolente giornate di questa lunga quarantena, che insistere con testi che costringano alla veglia. Questo di Massimi, consigliatomi da un amico che con la letteratura ci va a letto, è il secondo 'giallo' che mi sono sciroppato nel periodo in esame. Anche in questo, come nel precedente, ci si cala in un periodo storico ben definito, a modo suo indimenticabile. L'impressione che si tratti solo di un romanzo a tinte forti viene sommersa dalla scoperta di 'altarini'che non fanno parte della storiografia conosciuta.Sconosciuta ai più, in considerazione del fatto che non ha influenzato più di tanto l'andamento degli avvenimenti di quel tempo, che hanno lasciato ben altri segni, indelebili nelle memorie e nella Storia. Omicidi, suicidi, intrighi tra politica e malaffare politico, indagini che alla fine di ogni capitolo sembrano essere la chiusura del caso, subito riaperto e stravolto in quello successivo. Avvincente, a modo suo istruttivo su sistemi radicali che oggi si crede(va) fossero tramontati e che, sotto sotto, ancora persistono. Vestiti in doppiopetto, con una eleganza che tutto fa pensare meno che possa essere anche assassina.

IL DOPO di Ilaria Capua

Nella nostra Storia abbiamo visto, vissuto, infiniti "dopo". Il più prossimo in ordine di tempo è il dopoguerra, il dopo dell'ultima guerra, con le sue stragi, le sue distruzioni, le sue infamie... i suoi morti. C'è un "dopo" attuale che rischia di offuscare quanto di peggio ci fu allora. È questo 'Il dopo' di cui tratta la Capua, il dopo virus covid 19, come anticipato nel sottotitolo. Un dopo prematuro, a dar retta ai recenti scenari che si sono ri-aperti quando la pur parziale sosta estiva  aveva fatto ritenere che potesse esserci un dopo limpido, in un orizzonte che da nero tendeva quantomeno al grigio, sperando in un pronto rosaceo di speranza.
L'Autrice, nota ricercatrice, racconta con parole semplici, rivolte a gente semplice, l'evoluzione di questo malanno, quelli che nel tempo lo hanno preceduto, i perché e i percome questa pandemia rischia di surclassare le altre, abbattutesi nel corso dei secoli sull'umanità.
Fatti prettamente scientifici spiegati con una chiarezza espositiva che coinvolge nel piacere di una conoscenza altrimenti destinata a pochi eletti. Fatti, informazioni, dubbi, supposizioni, falsità... il tutto presentato con una pacatezza che è scomparsa in altre forme di informazione scientifica. Laddove luminari della ricerca, medici, analisti, matematici, si sfidano a colpi di contraddizioni, sovente scendendo al sottosuolo degli insulti reciproci, con la coerenza delle dichiarazioni che un giorno per l'altro viene spudoratamente rinnegata.
Copiando pari-pari la peggiore politica recente, per la quale il nero di ieri può diventare bianco oggi, senza neanche accennare a un "mi sono sbagliato ieri, ma oggi..." che attenuerebbe leggermente l'impatto di sconsiderate affermazioni. La gente, i cittadini, il popolo ha bisogno di certezze, se non si hanno meglio (assai) sarebbe tacere. Si dice, e lo ribadisce la Capua, che sta creando più danni la mala informazione che la pandemia in sé. Cattiva informazione che si ripercuote sulla politica, quella che naviga nel buio, con la speranza che studiosi che si presume 'sappiano' la illumini e la indirizzi in maniera univoca ad agire il meno peggio possibile. Al resto provvedono i regnanti delle varie Regioni: fratelli (a leggere la Costituzione), col coltello tra i denti, pronti a sgozzarsi verbalmente gli uni con gli altri nel tentativo di far prevalere tesi e cure e primati, in una situazione che non vedrà vinti o vincitori, ma soltanto cadaveri... non in senso metaforico.
Ecco, questo libro riappacifica le persone con una scienza che ormai non ricerca e non informa, tesa a far prevalere personalismi beceri. In un libro è possibile ponderare, valutare, scegliere... senza un contraddittorio confusionario e violento: leggere e giudicare la validità delle tesi esposte, godendo anche del piacere di riferimenti storici che rendono questa lettura veramente piacevole, pur trattando un argomento così pesante... attuale e pressante.
La conclusione è abbastanza scontata: l'educazione civica è la sola vera arma che abbiamo contro questo virus. La Svezia, il cui comportamento è stato aspramente criticato, non ha imposto l'uso delle mascherine, non ha delimitato le distanze fisiche (che noi, erroneamente, continuiamo a dire sociali) tra individui, non ha vietato assembramenti... li ha semplicemente consigliati, confermando questi inviti anche nel corso di questa seconda ondata, della quale il tutto il mondo non si intravede la fine. E i cittadini, educati a credere in chi li governa, hanno preso alla lettera queste direttive amichevoli. Non è necessaria la dittatura dove il civismo impera.  


I  LEONI  DI  SICILIA di Stefania Auci



Quando un amico me ne aveva parlato, consigliandomene la lettura, nel dirmi che trattava di Florio lo avevo stoppato, non avevo tempo né voglia di leggere il resoconto di una Targa che, per gloriosa che fosse, avrebbe trattato solo di motori e del piccolo universo che gira intorno a questi. No, mi aveva detto, è il racconto della famiglia Florio nel corso di decenni. Lo avevo preso, più per la fiducia nel mio consigliere che per convinzione... convinta.
Nel sottotitolo questo racconto è segnalato come "saga", nello specifico della famiglia Florio, siciliana, che la mia ignoranza aveva relegato, e legato, esclusivamente alla Targa citata.
Mi sbagliavo, chiaramente, ma da quell'errata concezione è nata una lettura raramente così piacevole e avvincente. Una storia che ha toccato la Storia, calandosi in periodi, fatti ed episodi che quest'ultima ha finito per inglobare nel suo immenso calderone, in cui finiscono per essere nascosti avvenimenti che solo approfondimenti mirati possono portare alla luce.
Questo della Auci è stato un lavoro certosino, una ricerca di particolari, sensazioni, reazioni che portano a calarsi nei vari personaggi, a leggerne le impressioni, le reazioni, di volta in volta affettuose e violente, temporeggiatrici o decisionali. Il tutto con una descrizione degli ambienti che ad ogni pagina offre una fotografia, un'immagine che accompagna il lettore alla scoperte di fatti e avvenimenti altrimenti ignorati, il più delle volte assolutamente sconosciuti.
In veste di romanzo l'Autrice apre uno spaccato di vita siciliana, che a buon diritto finisce per apparire, ed essere, un gioiello della Storia nazionale.

giovedì 15 ottobre 2020

Incentivi

Passando, direttamente dal sostantivo al verbo, ne deriva "incentivare", invogliare, sedurre con offerte irripetibili, spingere verso qualcosa, verso l'acquisto di un prodotto che i tempi o le disponibilità economiche impediscono di acquistare, lasciando il desiderio nel fondo dei cassetti del "mi piacerebbe, ma non posso". Tra i settori che non sono, né saranno mai, incentivati, quello della gioielleria spicca fra tutti, nonostante città e paesi siano presenti venditori di gioie, quasi quanto le pizzerie; so di paesi senza farmacia, per via dello scarso (e fortunato) consumo di farmaci, ma con la presenza fissa e antica di venditori d'oro e monili preziosi.
Anche le pompe funebri e loro contorni (fiorai, tasse mortuarie, burocrazie da sbloccare a suon di bolli, spazi cimiteriali...) non hanno chiesto lo stato di calamità, e gli sconti seguono l'andamento delle richieste dei "prodotti" in offerta; ovviamente la quantità di queste fa scendere i costi.
Quanto alle pizzerie, per invogliare il consumo, si spingono al massimo a presentare nuove formule di confezione, raramente sconti tali da spingere ad un maggior consumo di quella cibaria. Ne ricordo una, Pizza Express era la sua ragione sociale, che ai nuovi clienti dava una tesserina con dieci caselle, che venivano barrate a ogni consumazione; completata, dava diritto a una pizza gratuita: per non andare in rovina, la pizza 'regalata' era in sintonia con la media di quelle di volta in volta consumate. Dopo dieci pezzi, il cliente era inquadrato, e se per dieci volte, o poche meno, questi aveva preso una pizza Margherita, non avrebbe potuto agognare a una di ostriche e scaglie di tartufo. Non durò molto, la scesa di qualche centesimo nel prezzo usuale aveva avuto più successo. 
Che poi esistano strani 'incentivi' per rendere più appetitoso questo piatto, ormai internazionale, l'ho scoperto di recente, per via di un magnate che, aperta una nuova pizzeria, ha deciso di offrire ai clienti, come offerta di benvenuto, la detta pizza Margherita a 28 € cadauna; centesimo più centesimo meno il prezzo per gli umani di una tonda in una pizzeria altrettanto umana si aggira intorno ai 5 €. Bevande escluse, nell'uno e nell'altro caso.
Nei mercati rionali a invogliare erano i venditori, che decantavano con grida colorite i loro prodotti, dagli alimentari all'abbigliamento, dai giocattoli agli ultimi ritrovati del fai-da-te. Già il loro vociare era uno spettacolo: era la qualità delle merci o i prezzi sottoterra, tutto andava bene purché portasse all'acquisto. Non mancavano gli ammiccamenti all'età dei possibili acquirenti: così mature matrone erano invitate al banco come signorine, uomini attempati erano sempre giovanotti, così come i ragazzini che, da bambini che erano, venivano promossi sul campo a giovanotti. Le distinzioni di genere erano sempre definite in maniera allettante. Per i ragazzi in erba crescente, alla ricerca di conoscenze a costo zero, erano istruttivi i proclami sui possibili usi relativi, in particolare, alla biancheria intima femminile. Quelli su mutandine e reggipetti erano i più seguiti... magari allontanandosi dalle grinfie materne o altrimenti tutoriali. Non c'erano libri che ne parlassero, a meno che si trattasse di tomi licenziosi, vietati agli imberbi; correva la fantasia, ed era come leggere un libro, la giovane età permetteva di incamerare tutto. Ciascuno a modo proprio e non sempre corrispondente a quanto verbalmente mostrato dai venditori, che sarebbe poi stato corretto dalla vita nel suo compito di insostituibile maestra.
 Il termine "incentivo" è venuto in auge negli ultimi tempi, ed è soprattutto abbinato a mezzi di locomozione, dai monopattini alle biciclette, alle autovetture; non mi risulta godano di incentivo anche i pattini a rotelle, né gli scarponi o racchette da neve, forse destinati a prossimi lanci di denaro tra il popolo festante sotto i balconi, in attesa della manna che aiuterà a risolvere anche gli altri problemi del Paese, che per i demagoghi sarebbero ben più importanti.

Tra questi, ma solo di passaggio, la sanità, in questo momento grigio, esige la massima attenzione, c'è l'obbligo civile e morale di recuperare al più presto quanto perso o sprecato in decenni di quella comunemente nota come mala sanità. Siamo in ballo e, volenti o nolenti, bisogna ballare; così vengono stanziati miliardi a vagonate, per tamponare falle del sistema provocate da malgoverni, a esser buoni, incompetenti e pessime amministrazioni. Ogni tanto uno scandaletto mandava a processo (raramente a condanna) personaggi d'alto rango che avevano attinto ai fondi per arricchirsi, sovente in maniera spudorata. C'è voluta una pandemia di nuovo genere per renderci conto che la sanità pubblica, un tempo quasi unico fiore all'occhiello nazionale, è andata a ramengo. Il tempo dirà se questa corsa ad ostacoli andrà a buon fine... Poi, in piena emergenza, succedono strani sbracamenti per cui, ad esempio, uno stesso prodotto sanitario indispensabile venga pagato, come la misera pizza, intorno ai cinque euro in alcune Regioni, mentre in altre vengono acquistati a ventotto euro l'uno... vallo a spiegare al popolino che di queste manovre sente l'olezzo ma non ne capisce il senso. Se poi questo senso lo capisce la magistratura, è sempre per una forma di accanimento giudiziario che vuole spiegazioni per definire eventuali responsabilità.
Poi ci sarebbe il lavoro: si detassano gli imprenditori che si impegnano ad assumere, a creare posti di lavoro, nel contempo li si invoglia verso nuove tecnologie che, guarda caso, puntano a ridurre la necessità di presenze umane nella produzione di prodotti a larga diffusione. Ai lavoratori e agli ex tali, ma anche a molti che non lo sono mai stati, vengono somministrati fondi, teoricamente per sopravvivere in attesa di un posto, che in realtà si sono rivelati un boomerang, rivelandosi di volta in volta semplici elargizioni a fondo perduto, ovvero fonte di ulteriori truffe, sempre nei confronti del pubblico denaro. Non voglio qui rivangare l'ormai mitica sconfitta della povertà, ma ho il fondato dubbio che questa ipotesi, lungi dall'invogliare alla ricerca di un posto di lavoro abbia, alla fin fine, invogliato solo all'uso del divano. Ovvero al doppio lavoro, in nero, aumentando vieppiù il peso di una delle tante piaghe che ci affliggono: l'evasione fiscale generalizzata. Non è stato raro il caso, nel corso dell'estate, di imprese costrette a ridimensionare le prestazioni per mancanza di persone che accettassero di lavorare in regola con i contributi e le tasse; i lavoratori in sonno avrebbero preferito sommare al reddito statale quello da prestazione, senza assicurazione specifica, peraltro già garantita da una copertura figurativa che avrebbe coperto sia i periodi di eventuale malattia che quelli pensionistici. Il cinico avrebbe quantomeno pensato: chiamali fessi...
E la scuola? È un altro dei problemi che solo adesso esce allo scoperto: ci si rende conto della presenza di istituti d'istruzione fatiscenti, quando non pericolanti o prossimi a crolli fisici; ci si accorge solo adesso dell'esistenza di decine di migliaia di docenti precari, che sono tali in buona parte da anni e anni, ormai prossimi alla pensione, a suo tempo incentivati a mettersi a riposo per ridurre i costi del personale; senza peraltro provvedere per tempo a sostituzioni e assunzioni che consentissero un regolare svolgimento didattico in tutte le scuole di ogni grado. Anche qui i miliardi, stupidamente risparmiati a suo tempo, adesso li dobbiamo risputare in un caos di capacità e competenze. 

Quanto sopra era solo un'introduzione a quello che è lo scopo vero di questo post. Genericamente ho parlato di "incentivi", ma l'imput a parlarne mi è venuto da quelli particolari verso le automobili.
Premesso che non sono un esperto del settore, non nel suo specifico, può essere che il ragionamento che segue sia dettato (anche) da un po' di confusione, o forse proprio da ignoranza congenita.
Dunque, nel corso della quarantena generale, quando per uscire si casa a far passeggiare il cane o a recarsi in farmacia o a fare la spessa alimentare era necessario portare con sé una specie di auto-lasciapassare, il mercato della vendita degli autoveicoli era andato in crisi. Così come tutti gli altri settori costretti a chiudere i battenti nel generale tentativo di contenere il virus dilagante. Quasi tutti gli altri settori hanno ricevuto denari, pochi o tanti è fatto relativo; i lavoratori rimasti a casa hanno avuto la cassa integrazione, che ha consentito di barcamenarsi in attesa di tempi migliori. 
Le produzioni, in alcuni settori portanti dell'economia e dei servizi, avevano dovuto limitare quanto prodotto, vuoi a causa di quarantene mirate, vuoi per mancanza di acquirenti. Non mi pare che l'acquisto delle autovetture fosse nella lista delle libere circolazioni; che tra l'altro proprio libere non erano..
Ma venne il giorno che la necessità di incrementare le vendite di autovetture era impellente; gli incentivi all'acquisto di biciclette, di monopattini e di altri mezzi più a portata di borsa, avevano ottenuto un successo parziale; erano i giovani, soprattutto ad averne usufruito, più per esaltazione che per convinzione. L'acquisto di questi mezzi dava loro un'impressione di libertà superiore a quella di un mezzo motorizzato, comunque legato a costi, tasse e limitazioni, superiori al poter procedere poco più che a piedi. Intanto questi velocipedi avevano una limitata autonomia sia di movimento che territoriale. Inoltre la diffusione, abbinata alla molta sconsideratezza tipica della gioventù, stava creando non pochi problemi alla circolazione.
Rilevato che il lungo periodo di quarantena, a causa del fermo obbligato dei mezzi di locomozione motorizzati, aveva avuto uno dei pochi lati positivi nell'abbassamento dei livelli di smog, in attesa di una ripresa regolare della vita quotidiana, era stato il momento di puntare sull'ecologia come fulcro di una spinta che salvasse capra e cavoli: automobili ecologiche, ultra tecnologiche, prodotte e vendute in vista di una sostituzione graduale del parco macchine, per buona parte vetuste, inquinanti e pericolose.
Va da sé che era indispensabile invogliare, incentivare, spingere i cittadini con qualcosa di veramente appetitoso. E cosa, meglio di un massiccio intervento economico che li invogliasse ad acquistare, a cambiare i vecchi modelli per altri ultramoderni, a prezzi più accessibili?

Fu così che centinaia di milioni furono messi sul piatto degli italiani, col succulento menu della eliminazione del vecchio, del sostegno all'ecologia e, soprattutto, il salvataggio di un settore primario nell'economia nazionale, quanto mai boccheggiante. Le distese di macchine invendute erano uno spettacolo che stringeva il cuore ed era urgente un forte e convincente intervento a suo sostegno. Furono coinvolte le Case madri, i concessionari e i distributori, convincendo tutti all'utilità immediata di un'operazione che avrebbe portato benessere per gli anni a venire. Così ci fu la corsa a chi era disposto a rimettere qualche soldino di tasca propria, in aggiunta al un lauto impegno statale, che sarebbe stato solo l'apertura di una finestra da cui far transitare offerte tipo " chi più ne ha più metta".
Già da subito si era scatenata la corsa alle migliori offerte, con pagine intere sui quotidiani, in spot televisivi e radiofonici, su ogni mezzo di comunicazione utile a diffondere il verbo del risparmio, della convenienza, delle varie opportunità che ciascuna Casa automobilistica offriva, con incentivi a dir poco stratosferici... ma limitati nel tempo. Alla scadenza improrogabile di agosto, erano seguite quella di settembre, poi quella di ottobre; al termine delle quali tutto sarebbe tornato alle origini, i prezzi non sarebbero più stati calmierati e per avere offerte simili sarebbero passati decenni.
Intanto l'economia, con queste manovre pubblicitarie, iniziava a muoversi, ed era cosa buona. In pratica, le automobili ultra-tutto te le tiravano dietro...

Agosto per il mercato automobilistico era passato in sordina, annacquato dagli incentivi e risarcimenti vari distribuiti a pioggia (ci furono regalìe di ogni genere, dalle ristrutturazioni degli immobili ai detti velocipedi, ai bonus vacanze) che avevano distratto da altri più impegnativi.
Settembre: per accedere ai concessionari per vedere dal vivo i modelli e vedere in dettaglio le offerte ci si doveva prenotare; e le file in attesa di udienza dei consulenti erano state quasi le stesse che successivamente si sarebbero formate per effettuare i tamponi anti-Covid-19.
Entrando nei locali di vendita si respirava un'aria festosa, ancorché filtrata dalle mascherine, a indicare che l'emergenza non era ancora finita.
In tutte le pubblicità erano evidenziate tre voci, una complementare alle altre: prezzo effettivo, incentivo statale, contributo rottamazione e intervento diretto dei concessionari; l'ultima voce, la più interessante, dava la cifra definitiva del mezzo prescelto. Da sbattere le palpebre per l'incredulità...

A metà settembre un'amica, aveva deciso di cogliere al volo l'opportunità e cambiare la sua vecchia auto. Sedici anni, la macchina, teoricamente minorenne, ma già vecchia, benzina, 5 porte, una miniauto da città, euro 4, in ottime condizioni sia di motore che di carrozzeria... aveva puntato su una vettura ibrida, elettrica e benzina, munita di ogni confort che la tecnologia potesse offrire. Erano compresi molti optionals che nei modelli precedenti erano a pagamento, ma era possibile aggiungerne altri, esposti in bacheca.
Il cambio colore era uno di quelli, o grigio pastello in pronta consegna, o altri colori con tempi dilazionati per via delle modifiche e costo in supplemento. Vada per il grigio pastello, aveva pensato, l'occasione era troppo ghiotta per fare la pignola sul colore, inoltre non aveva voluto far crescere la cifra stabilità, oltre la quale non aveva intenzione di andare. 
Però il ruotino di scorta... ma come si fa a mettere come optional un ruotino di scorta? Come dire che ad ogni minima foratura sarebbe stato indispensabile l'intervento del carro attrezzi... Mettiamolo, sforava un pochino il budget, ma pazienza.
La misura dell'anticipo e la dilazione erano conditio sine qua non: così o così; il pagamento in contanti non era previsto né accettato. Quello che un tempo era motivo di ulteriori sconti, il pagamento pronta cassa, non era possibile, il sogno da secoli di ogni venditore o commerciante era frantumato... 
La ragazza era approdata al tavolo del consulente appena liberato, mascherinata lei e mascherinato lui, e gli aveva esposto la scelta del modello, intanto chiedendo di vedere da vicino l'oggetto del suo desiderio. Nel grande piazzale sul retro una serie di vetture esponevano le loro bellezze, con fari lubrichi, adescanti, come animali in attesa di essere adottati. La sua c'era, già venduta; era visibile solo l'esterno, poiché in fase di immatricolazione ed era opportuno evitare calpestii e chiacchiere al suo interno. C'era un sole settembrino che costringeva a fare visiera con le mani per riuscire a vedere qualche spicchio di cruscotto o gli spazi per i passeggeri.
Bella, nonostante la nulla possibilità di toccare, almeno con gli occhi, la consistenza del mezzo. 
Era un po' come andare a comprare un cavallo, ma anche un somarello, senza potergli verificare la dentatura. Chiaramente non era esperta di cavalli o di somari, ma sapeva che andando a trattare un purosangue, chi sa cosa vuole controlla subito i denti della bestia e i suoi garretti. Il cruscotto e le ruote, per attinenza di fantasia...
Bucato il primo approccio, rientrati, si erano seduti al tavolo della trattativa, ed erano andati al sodo.
La vettura agognata costava a prezzo nudo circa 15.000 euro, con gli incentivi e pussacaffè il prezzo scendeva a circa 9.500; senza optional questo era il prezzo definitivo.
Certo, almeno il ruotino (e già il termine faceva le scendere il latte alle ginocchia, visto che nella sua vecchia auto la 'ruota' nel sottobagagliaio era ancora intonsa dopo quattordici anni di uso quotidiano della vettura) di scorta sarebbe stato opportuno aggiungerlo. Le era sembrata una barzelletta, ma il consulente manco sorrideva, quindi doveva essere una cosa seria. E il prezzo saliva di poco meno di 200 euro.
Come detto sopra non era possibile il pagamento in contanti, o cash come i saputi dicono, era escluso. L'offerta favolosa consisteva in un anticipo di 2.900 euro e il saldo spalmato su 48 mesi a 248 €/mese.
Ovviamente aggiungendo il ruotino di scorta, non previsto. E alcune tassucce (IPT, contributo alla rottamazione e altre miseriuole) previste a parte e contemplate nel TAEG.
Non era stata lì a farsi vedere micragnosa o pignola, si era fatta dare distinta e biglietto da visita personalizzato, ipotizzando una visita successiva per l'eventuale conclusione del'affare.
Vi risparmio altri barbosi conteggi e faccio mia la sua considerazione nel raccontarmi l'avventura.

Dunque, riallargando il discorso ed entrando nel merito: tutte le sovvenzioni messe in atto sono tuttora a livello personale, vanno agli acquirenti o usufruitori di cose di cui abbattevano il costo, pur non essendo tutti proprio cash, se ne parlerà quando ci saranno i fondi, comunque centellinati e non esenti da possibilità di operazioni truffaldine.
Per il mercato dell'auto, chiaramente sofferente, il contributo (o incentivo, come pomposamente citato nei lanci di promozione) va alle Case costruttrici e ai concessionari o rete vendita che dir si voglia. Pur essendo indirizzati ufficialmente agli acquirenti, tesi a solleticare il loro interesse e, direttamente, anche a quello dei venditori.
Ingenua, la ragazza (e ingenuo io) aveva creduto che con gli incentivi il costo della vettura sarebbe stato prontamente accessibile, e aveva accarezzato il pensierino dell'acquisto. 
Per ogni auto venduta lo Stato verserà (alle Case) il contributo previsto per ciascun modello, abbattendone il costo. Quindi tra questo e i danarucci del compratore si raggiungerebbe più o meno il prezzo pieno del venduto. Bene, bravo, bis! 
Sarebbe valido se la dilazione del netto post-contributo fosse senza interessi, i conti tornerebbero: a chi compra e a chi vende. Invece la misura dei TAN applicati, alla fine del pagamento vanno a coprire (nuovamente) il prezzo di base iniziale.
Erano 15.000 di listino, scesi a 9.500 con i cosiddetti incentivi (all'acquisto), per risalire ai circa 15.000 iniziali. 
In conclusione l'incentivo in piccioli all'acquisto, sbandierato come qualcosa di irripetibile, per le Case risulta un grosso affare, l'incentivo a chi compra è solo il tempo per pagare.
Per curiosità ho guardato un po' in giro: le condizioni sono più o meno le stesse: alla fine il risultato è la vendita a prezzo pieno, scaglionato nel tempo; gli interessi vengono valutati in base ai tempi del saldo, TAN leggermente più basso per periodi più allungati. Si parla allegramente di 60, 72 mesi... un pezzo di vita pagando un prodotto che, si sa, appena mette il cofano fuori dal concessionario già è deprezzato.

Per concludere: credo sia uno dei pochi casi in cui il tempo, che già aveva prerogative non indifferenti (galantuomo, analgesico, anestetico, mnemonico ecc.), tra le quali eccelleva "il tempo è denaro", nel caso citato assume una fisicità tangibile. In sostanza, agli incentivi generici (o, meglio, alla riparazione di eventi precedenti balordamente sballati) alla sanità e alla scuola, si aggiunge questo contributo a fondo perduto alle Case automobilistiche, che potranno continuare a delocalizzare le produzioni e migrare le sedi fiscali in Paesi che offrono tasse ridotte; a quelli personalizzati si erogheranno i fondi di debiti appositamente contratti a livello europeo.
Agli automobilisti, che non possono delocalizzarsi e che le tasse sui mezzi, che piaccia o no, devono pagarle si offre... il tempo. Con la sentita speranza di averne a sufficienza per saldare il debito, e non passarlo in eredità ai fortunati sopravvissuti...  
 

mercoledì 2 settembre 2020

Prove di quarantena

Premessa: la legge mi costringerebbe a specificare le fonti storiche da cui vado ad attingere per la stesura di questo breve excursus su alcune quarantene, sanitarie e non, nel corso del tempo. Posso garantire in piena coscienza sulla loro veridicità, ma non le pubblico solo per evitare una segnalazione per pubblicità occulta.
Quelle su fatti di un lontano passato hanno la stessa attendibilità del dentista quando dice "tranquillo, non sentirà niente!", o del politico che dichiara solennemente "di essere una persona semplice al servizio esclusivo dello Stato". 
Quelle di vita vissuta, sia in tempi remoti che in altri recenti, hanno la stessa attendibilità che avrebbe lo stesso dentista qualora dicesse "non si agiti, le farò una male boia, ma le sto vicino e con una fialetta di adrenalina la rimetterò in sesto, nel probabile caso che avesse un collasso", o del politico che onestamente dichiarasse "io sono io, e voi siete un cazzo!" (cit. questa la so, è del marchese del Grillo, e vado sul sicuro).

Noè ed il barcone

La prima quarantena di cui si ha memoria e prove certe riguarda Noè e soprattutto la sua arca. In seguito erroneamente nota come Arca dell'Alleanza, proprio non appena le alleanze in atto iniziavano a sfasciarsi. Non era la stessa cosa, ma "arca" viene comunemente associata a due eventi diversi ma con la stessa valenza storica.
Dice la storia che a quel tempo gli umani erano diventati un branco di esseri impuri, oggi si direbbe di porci, i quali, non essendo ancora stati inventati i preservativi, stavano moltiplicandosi sulla Terra che manco i ricci.
Dio aveva provato in tutti i modi a ostacolare questo proliferare incontrollato: aveva inventato il ciclo alle donne, in modo da frenare per qualche giorno al mese una fornicazione che era ormai il passatempo unico e preferito di tutto il genere umano. Aveva anche messo un limite temporale all'attività sessuale, fissando il massimo della fertilità ai novecento anni... Purtroppo, nella sua onniscienza, aveva trascurato le capacità mnemoniche di questi vecchietti che, anche mentalmente, continuando a macinare i ricordi, li rendevano talmente solidi da riuscire a ingravidare le femmine senza neanche completare l'atto sessuale. Per le femmine credeva di aver messo un paletto inamovibile alla loro fertilità, dando un segnale chiaro con la cessazione del ciclo, ma anche queste, come i maschietti, avevano trovato il sistema di aggirare l'ostacolo, restando ingravidate anche oltre l'età dei maschietti coetanei. 
La moltiplicazione continuava ininterrotta, anche gli anziani, teoricamente fuori causa,  in aggiunta al pensiero vivace avevano trovato il modo di sopperire alle limitazioni del contatto fisico affidandosi a pillole, provette, protesi, cure anti età... e le donne avevano aggirato il divieto divino di procreare in età tarda, affidandosi a un contadino, mago delle semine, che con misture di semi vari riusciva a dare le gioie della maternità fino a oltre mille anni.
All'inizio dei tempi, lo stesso padreterno aveva dato a tutti un invito imperativo "crescete e moltiplicatevi", senza pensare che quello sarebbe poi stato l'unico suo comando ad essere ottemperato nei millenni a venire, senza considerare che a lungo andare il troppo avrebbe finito per stroppiare la Terra.
Disattendere un comando divino? Giammai!
Si erano resi tutti conto, per una sola volta, che l'obbedire era più piacevole del disattendere.
Risultato prossimo allo zero. Si era scassato proprio, il buon Dio, e aveva delegato un suo fedelissimo affinché mettesse sull'avviso quei maiali (nel senso letterale del termine): per farli smettere avrebbe distrutto tutta la terra e quanti la abitavano. A quel punto sarebbero stati cavoli amari per tutti, o quasi.
Anche la tutt'altro che velata minaccia era caduta nel vuoto, solo un paio tra tutti avevano smesso,  forse per smarrimento delle attrezzature nella bocca di un animale feroce e selvatico; gli altri avevano continuato a ramazzare come se niente fosse.
Dio, leggermente alterato (si sa, Dio non s'incazza mai, è innegabile), aveva ordinato a Noè la costruzione di un barcone, assemblato il quale avrebbe ricevuto le dritte per farvi salire una rappresentanza di generi, sui quali avrebbe poi ricostruito un genere (repetita juvant) umano a sua immagine e simiglianza.
Dopodiché avrebbe scatenato un diluvio che, come garanzia di equanimità, sarebbe stato universale.
Ci volle una settimana per costruire l'arca, diciamo che oggi sarebbe una settimana sul tipo  di una incubazione.
Ad essere ospitati sull'imbarcazione (oltre, ed era il minimo) al Noè stesso e ai suoi famigliari, fu deciso fossero innanzitutto gli animali, che tra tutti gli esseri viventi erano risultati i meno peccatori. 
Erano rappresentati quelli puri e, per bontà sua, un paio di impuri. Questi, manco a dirlo, erano i suinidi.
A questo, forse, risale l'avversione di alcune razze di eletti verso queste povere bestie, che per altri, peccatori incalliti, restano piatto forte un po' di tutte le cucine.
Per non apparire troppo drastico nella sua decisione, aveva consentito anche l'accesso all'isola galleggiante, di alcune coppie di politici, fidandosi della garanzia che gli avevano dato di operare seguendo, come sempre, le sue direttive.
Non volendo che sulla barca si ripetesse quanto accaduto sulla terraferma, Egli aveva vietato tutti gli accoppiamenti. Gli animali avevano rispettato il divieto, pur senza averne capito il senso; i politici no, pur avendo ben compreso il motivo di quel divieto, anzi proprio perché lo avevano compreso, avevano moltiplicato le prestazioni in barba al comando di chi li aveva creati.
Infatti, la loro figliolanza ha mantenuto viva nei millenni la consuetudine di garantire onestà e morigeratezza, sorvolando poi allegramente sulle promesse e, anzi, fregandosene altamente di quelle che per tutti gli altri sono regolamenti e leggi (vedi premessa).
Bon, il diluvio minacciato arrivò ed ebbe una durata cronometrata di quaranta giorni e, secondo alcune versioni storiche, pure di quaranta notti (ma è tesi ancora dibattuta: dal punto di vista di studiosi discotecari la notte in realtà è prosieguo del giorno e ne è pure premessa, per cui sommandola al giorno vero darebbe un periodo di quaranta giorni pieni, composti di un minimo di 24 ore ciascuno).
La Terra, lo sappiamo tutti, allora era piatta, non esiste alcun dato che ci dica se la sua forma piana fosse rettangolare, quadrata o addirittura circolare, ma era comunque una grande distesa che si perdeva alla vista dell'occhio. Sugli animali non c'era da fare affidamento. C'erano, è vero, i politici ma si erano talmente abituati a mentire che, pur di ingraziarsi il pio e buon Noè avrebbero raccontato balle anche al padreterno. Già allora, incredibile!
Allo scadere dei quaranta giorni, ci sarebbe dovuto essere un "liberi tutti!", che fu ritardato dal timore che le piogge che, ininterrotte, avevano innaffiato tutto il terreno, si fossero solo prese un  breve periodo sabbatico in attesa di disposizioni, che tardavano a venire.
I tentativi di andare a vedere da vicino come stessero le cose erano andati a vuoto. Perfino la richiesta ad alcuni politici di andare a saggiare la consistenza del terreno sotto il metro d'acqua che lo ricopriva, era stata respinta con la motivazione che in una scala di salvataggi i primi a doversi salvare erano loro, in base al noto dettato celeste che citava espressamente: prima i politici, poi le donne, poi i bambini, poi gli anziani e, se avanza posto, poi tutti gli altri... che i nostri si erano impegnati a salvare, appresso a loro. Avevano preso i bambini appena figliati e ne avevano fatto scudo per evitare di essere cooptati per quella missione, probabilmente solo natatoria. Sugli animali non c'era da fare affidamento, erano troppo confusi. C'erano, appunto, i politici ma si erano talmente abituati a mentire che, pur di ingraziarsi il pio e buon Noè avrebbero raccontato balle anche al padreterno.
Già allora, incredibile!
Così, in aggiunta a quella quarantena, pare ci fossero state altre tre settimane di attesa; in realtà erano state indispensabili per consentire alle acque di defluire verso i mari e gli oceani, divenuti residui a memoria futura degli esseri umani di quanto accaduto. Finendo per formare territori a sé, ancora oggi solo parzialmente esplorati.
Fu in quelle tre settimane che la Terra prese la forma comunemente ritenuta attuale, tonda quasi come una palla da biliardo: infatti, per favorire lo smaltimento delle acque dovute all'ira divina, arricchite dai liquami prodotti nel  corso della quarantena, il terreno troppo pregno e piatto non riusciva ad asciugarsi, almeno quel tanto da consentire una ripresa delle attività su suolo solido. Allora Dio, che tra le altre infinite doti sue precipue, si era pure laureato in architettura modellistica, aveva iniziato ad arrotondare i bordi del pianeta, consentendo alle acque di scivolare verso l'infinito sottostante che, essendo anch'esso sotto la sua giurisdizione, si guardò bene dal protestare, per il fondato rischio di essere annientato pur'esso dalla sua ira, ancora non del tutto placata.
Plasma che ti plasma, questa grossa palla risultò essere cosa buona; solo che, troppo arrotondata correva il rischio di mettersi a ruzzolare incontrollabile lungo le vie dell'universo, per cui l'aveva premuta leggermente a due estremità casuali contrapposte, creando così i due poli, che non avrebbero altra funzione se non quella di fare da freno al rotolìo della Terra stessa.
E gli inquilini dell'arca?
Accertata la solidità del terreno, abbandonata la navicella, gli animali si erano sparsi per il mondo, trovando ciascuna razza l'habitat suo naturale, in attesa che gli umani dessero loro la caccia per eliminarli, chi con la scusa di sfamarsi, chi per puro sollazzo. Per quanto li riguardava, i cosiddetti sapiens, preso possesso del creato, se lo erano spartito più o meno equamente in base ai cerchi olimpici, appositamente inventati. Ai bianchi i terreni migliori, con risorse che sarebbero bastate a tutti; a quelli diversamente colorati erano stati affidati ampi territori da dissodare e rendere fertili in vista di una cessione ai bianchi in cambio della sopravvivenza; solo ai neri era stato assegnato un trattamento privilegiato: era stato loro concesso l'uso senza limiti del calore e della luce del sole fino all'estinzione della razza.
La procreazione era proseguita, i peccati pure... e Dio si era momentaneamente arreso, affidando al tempo il giudizio e le punizioni via via necessarie per mettere un freno agli abusi.
Quanto alla tondità della Terra passarono millenni prima che qualcuno di loro si rendesse conto del fatto di vivere su una superficie affatto piatta, e fu opera ardua convincere buona parte del genere umano di tale situazione; ci furono persone che addirittura finirono bruciate vive pur di non rinnegare questa loro scoperta, che peraltro era soltanto una teoria, volendo facilmente confutabile. Infatti, nel XXI secolo d.C. quello che si credeva cosa certa e ormai acquisita sta tornando in discussione.
E, dato che gli umani di oggi non hanno altri quesiti da risolvere (l'ultimo pare fosse quello millenario sulla nascita per primo dell'uovo o della gallina, risolto affidando a un gallo la primogenitura) il concetto di una terra piatta come un campo di calcio sta prendendo nuovamente piede e finirà per avere un peso determinante nei prossimi sondaggi referendari, proposti con una formula chiara, senza possibilità di errore:
"La terra è piatta? metti la crocetta su SI".
"La terra è tonda? metti la crocetta su NO".
Sarà una lotta all'ultimo SI e all'ultimo NO...
Vincerà sicuramente il migliore, come sempre accade quando si affida al popolo una decisione vitale, e il perdente si metterà l'animo in pace.


La montagna e il deserto

Dopo quella dovuta al diluvio, le quarantene di cui si hanno notizie documentate sono quelle di Mosè sul monte Sinai e quella di Gesù detto Cristo nel deserto della Giudea. Su questi due eventi sono stati scritti fiumi d'inchiostro, addentrarsi nei quali non è impresa alla mia portata. Mi affiderò quindi alla memoria di quanto, molto succintamente, mi fu raccontato in illo tempore.

La quarantena di Mosè fu attribuita a un ordine di Dio, tanto per cambiare, che impose al Nostro di recarsi sul monte Sinai (per alcuni Oreb), teoricamente per fare penitenza e purificarsi in vista della consegna delle Tavole della Legge, più note come i Dieci Comandamenti.
In realtà credo che quei quaranta giorni furono il minimo indispensabile per scolpire su pietra le disposizioni divine; i caratteri mobili furono inventati e brevettati da Gutemberg qualche migliaio d'anni dopo, per cui l'unico modo per tramandare ai posteri le leggi divine era scolpirle su un manufatto che resistesse più a lungo dei disegnini incisi su papiro o delle tavolette di cera che, se non tenuta in frigo, erano destinate a sciogliersi come neve al sole, ma anche prima. Due tavolozze di pietra erano la base ideale per lasciare all'umanità un messaggio indistruttibile. Non mi pare che gli attrezzi disponibili all'epoca andassero oltre a una specie di scalpello (forse di pietra pure quello) e un sasso a mo' di martello, per cui Mosè era stato impegnato a sbatacchiare su pietra ciò che Dio a mano a mano gli dettava.
Basterebbe chiedere ai nostri Michelangelo, Bernini, Canova, Leonardo, Cellini e moltissimi altri un giudizio sulla fatica di uno scalpellinamento per scrivere lettere e parole, ma soprattutto concetti, su una dura roccia, per di più con mezzi probabilmente rudimentali.
In quaranta soli giorni Mosè riuscì a dare ai posteri un'opera d'arte che, nella sua virtualità, continua a essere parlante nella sostanza del messaggio, da secoli per secoli. Cielo, messaggio tanto apprezzato e discusso quanto poco seguito nella sua applicazione.

Gesù nel deserto:  sono quaranta i giorni e (qui ben rimarcato) quaranta le notti, ufficialmente trascorsi là in solitudine e digiuno, per provare la sua resistenza morale alle tentazioni che colà avrebbe trovato.
Pare che quel deserto fosse in realtà un monte, ma la sostanza non cambia. Si può essere eremiti sul monte e sul mare, su un panfilo come in una villa lussuosa, o in una metropoli densamente popolata, fianco a fianco con migliaia di persone... Si tratta di una condizione soggettiva, dovuta a situazioni contingenti o al rifiuto di convivere con altri esseri umani, ovvero alla necessità di esaminare in profondità il proprio stesso essere, da vivente e pensante.
Poi ci sono romitaggi imposti dalle circostanze, magari per salvaguardare la salute comune o per dare modo di rivedere quanto eventualmente malefatto con atti criminosi... I primi accolti con malcelata gioia, bandiere e canti dai balconi, a conferma della necessità di un 'fermo immagine' periodico per rivedere un po' di vita in comune; i secondi un po' molto meno.
Dunque, seguendo il filone storiografico, Gesù fu invitato (per talune fonti trasportato a forza), da angeli dipendenti da suo Padre, a ritirarsi per un periodo limitato in questo deserto, come detto per passare il tempo resistendo ad alcune tentazioni cui Egli stesso lo avrebbe sottoposto, tramite suoi emissari, appositamente addestrati e specializzati nell'attentare alle virtù congenite all'essere umano.
Qui dovrei entrare in considerazioni teo-filosofiche a cui non sono portato, esattamente come la matematica o la fisica, per cui salto a pie' pari il quesito del perché un padre (divino) abbia ritenuto utile sottoporre suo figlio (divino pur'egli) a una prova del genere.
Mi sono fatta un'idea diversa, ritenendo che la decisione della quarantena in quel romito fosse volontaria, per potersi preparare al meglio in vista del compimento della missione per cui era sceso in Terra.
Così i quaranta giorni li aveva trascorsi mettendo in bozza i suoi discorsi, affinando le parabole per renderle comprensibili pure ai ciechi e ai sordi e ai tonti, fare le prove per gli svariati miracoli che avrebbero poi costellato il suo cammino in mezzo alla gente da salvare; per mostrare all'umanità la luce in fondo al tunnel si svegliava prima dell'alba, catturando il primo raggio di sole per scaraventarlo nel buio nero della notte, e mostrare a tutti che la salvezza sarebbe stata universale, per tutti, così come i raggi del sole e il dimenticato diluvio.
Sono passati più di duemila anni e ho l'impressione che cecità e ipoacusia si siano aggravate, al punto da essere divenute ormai irreversibili. Ai motivi che provocarono il diluvio se ne sono aggiunti talmente tanti altri che Dio "sparando nel mucchio" degli umani non si preoccupa di sbagliare: chi coglie coglie, sicuramente era un peccatore. Una botta qua, una là, più o meno periodiche, talvolta successive sulle stesse località (penso ai terremoti, cui solitamente seguono piogge torrenziali e visite di politici nullafacenti e incapaci che vanno ad offrire aiuti certi, che non arriveranno mai. Ovviamente questo è un esempio puramente casuale, che per ora non ha riscontro alcuno).
E la Terra tutta comincia a stargli antipatica e pezzo a pezzo la sta avviando a completare l'opera, sospesa sulla fiducia, del diluvio.

La mia quarantena (in quarantena)

Eravamo molto meno di un terzo degli uomini di Pisacane, non eravamo ancora uomini, tanto meno eroi.
Formavano una squadra di ragazzi che strane vicende della vita avevano allocato in un luogo e in una condizione, a dir poco, non ideale per dei ragazzini che ancora si pulivano dalle labbra il latte materno (quei poche che ancora avevano una madre), o quello del latte condensato delle lattine militari gli altri.
Non ci era nota sotto quel nome, ma la nostra vita era una quarantena permanente. Un isolamento rotto dalle uscite quotidiane per recarsi alla chiesa, per assistere alla messa o altre forme di preghiera.
Giorno dopo giorno, per ogni benedetto giorno dell'anno.
Veramente c'erano anche le uscite dal guscio ogni giovedì pomeriggio, per lunghe passeggiate nei viali della città, a lato dei quali ancora erano visibili le macerie lasciate dalla guerra.
Una volta l'anno, la visita al cimitero generale in occasione della cosiddetta festa dei morti era occasione per vedere cose nuove e respirare aria esterna diversa da quella del nido. Ed era pure l'inizio all'apprezzamento dell'arte, soprattutto  dovuto alle opere cinerarie e alle storie che di ognuna ci venivano propinate. Immutate nel tempo, dai più dimenticate, per noi erano lezioni ripetitive, in alternanza alle aule, ai banchi e alla lavagna nera della scuola.
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(Qui, di 'quel' tipo di quarantena ne parlo solo marginalmente, a mo' di introduzione a quella oggetto di questo pezzullo, e voglio subito precisare che se questo primo, sommario, accenno potesse dare un'immagine di vita in una struttura poco meno che carceraria, in realtà sarebbe non solo ingeneroso, ma segno di becera ingratitudine, non dire subito che qualunque richiamo a quel periodo, in qualunque modo sia espresso, parte da un affetto, un rimpianto, un essere grato che vanno ben oltre il semplice ricordo. Tanto dovevo; a suo tempo parlerò più diffusamente di quel periodo importante per la mia vita, altrove).

Questo, per dire che qualunque ulteriore restrizione partiva da una situazione già in atto, quindi, al limite, sarebbe stata un di più tollerabile. C'era già una sorta di allenamento...
Non so come e da dove fosse venuta fuori, fatto sta che si era attivata tra noi la difterite. Che è malattia altamente infettiva, in determinati casi letale.
Questo malanno, guarda le coincidenze, ha quasi gli stessi sintomi del virus che oggi circola nel mondo: tosse, astenia, febbre, difficoltà respiratorie, inappetenza, talvolta edemi sul derma. Quando presa in tempo, è (o forse era, visto che sarebbe stata debellata da decenni; dicono) curabile con terapie antibiotiche mirate, riposo e un discreto periodo di convalescenza. Ovviamente i colpiti erano prontamente isolati e seguiti a vista, con prognosi riservata fino a definitiva guarigione.
Tanto per proseguire con le coincidenze, oltre i malati effettivi, in fase acuta e prontamente ricoverati in isolamento sanitario, erano presenti sul 'mercato' (mi sia concesso) i cosiddetti portatori sani. Immunizzati, probabilmente da vaccinazioni precedenti in tempi non sospetti o da qualche misterioso anticorpo soggettivo, passavano indenni attraverso la malattia; però, onorando il titolo di portatori, erano in grado di trasmettere quel virus a soggetti più deboli o non espressamente vaccinati.
Erano gli a-sintomatici di oggi... con la piccola differenza che per la difterite evitata uno dei motivi di tale esenzione era attribuito a un vaccino, mentre oggi che questo non esiste ancora (almeno ufficialmente; c'è chi sostiene altrimenti) è chiaro che questi a-sintomatici sono portatori abusivi, ancorché ufficialmente sani, ed estremamente pericolosi. A loro insaputa... (toh! un'altra somiglianza con molte situazioni attuali, frase sfruttata oggi per giustificare comportamenti altrimenti vergognosi).
E, mentre per la difterite l'accidente circolava più che altro tra ragazzi e adolescenti (restava tra coetanei), costoro diffondono allegramente verso tutti, democraticamente direbbero i politici.
Torniamo a noi: il mistero del perché e del percome fosse arrivato tra noi è, appunto, un mistero.
Non lo si poteva attribuire a migranti esterni, visto che allora non esistevano ancora, inoltre nel mondo vigevano una pace e un silenzio da bombe che non avrebbero potuto giustificare fughe perigliose dalle terre natie; migranti eravamo stati invece tutti noi, gli indigeni del nostro gruppo si contavano sulle dita delle mani, e comunque gli altri eravamo tutti immigrati ormai stanziali. Credo che a nessuno fosse venuto in mente questo canale come possibilità filtrante.
Eravamo un piccolo gregge di pecorelle, e come queste eravamo stati guidati, a piccoli gruppi, all'Istituto d'Igiene e Profilassi per l'accertamento delle portabilità sane, poiché qualche altro chiaramente infetto era già finito nell'apposita infermeria.
Questo Istituto era situato a meno di un chilometro dalla nostra residenza, so per certo che non avevamo preso mezzi per raggiungerlo; così fosse stato, sarebbe stato avvenimento più indimenticabile di qualunque altro: salire per la prima volta su un tram, per ogni gruppo sarebbe stata un'avventura che avrebbe segnato la vita. Inoltre la prima fermata utile era a circa metà della strada da percorrere, le gambe, ancorché gambette, erano predisposte ad affrontare quel percorso, senza spese e senza rischi.
All'interno persone tutte vestite di bianco, il che per i ragazzi sensibili era stato un trauma: immaginare costoro armati di siringhe, sogghignanti in attesa di infilare gli aghi in pelli delicate refrattarie a questo tipo di intrusione, era la fantasia più immediata.
Per inciso, tra tutti credo che fossi il più sensibile... già il camice bianco dei barbieri (allora divisa comune di questi) era sufficiente a mandarmi in crisi, e non erano crisi mistiche.
Invece si erano limitati a infilarci un tampone in bocca, fino a solleticare le tonsille; con me saranno stati delusi, visto che queste mi erano state asportate qualche anno prima, senza tener conto della mia contrarietà a quell'intervento.
Eravamo risultati positivi in cinque. Piccoli supereroi in grado di colpire chi ci avesse trattato meno che bene; sarebbe stata una strage... da cui si sarebbero salvati solo alcuni compagni.
Era stata predisposta una cameretta apposita per ospitarci, per quello che si prevedeva sarebbe stato un periodo non definito, comunque non breve.
Cinque letti, distanziati meno di un metro l'uno dall'altro, con relativi comodini, un piccolo bagno con vaso e lavandino, un piccolo specchio sopra questo, un tavolo da sei con sedie allegate... e il nostro nuovo alloggio era pronto. certamente più intimo della camerata che ospitava un centinaio di letti in un lungo camerone, peraltro non tutti occupati, i bagni con vasi turchi a terra e porta di chiusura, orinatoi a muro, lavandini, che erano sul modello dei lavatoi, con una serie di rubinetti per soddisfare le abluzioni mattutine del viso, sempre di corsa per non tardare alle messe.
Non ci furono cure, almeno apparentemente, a meno che fossero proditoriamente mescolate nei cibi o nell'acqua, probabilmente potabile, contenuta in caraffe di metallo.
Forse non fu una quarantena simile, nei tempi, a quella di Noè o del Cristo, anche perché non certificata da alcun documento a noi conosciuto. E che difficilmente sarebbe passato alla storia, a futura memoria.
Dopo una decina di giorni erano venuti nel repartino un paio di medici, ci avevano tamponato e se ne erano andati. Il prelievo era stato effettuato ancora un paio di volte, poi avevamo avuto un "liberi tutti" di cui, sinceramente, avremmo fatto a meno.
Quella quarantena aveva due aspetti, in cui quello positivo era maggioritario di gran lunga sulla mancanza di libertà che, comunque, sarebbe stata limitata, come detto in precedenza.
A far pendere la bilancia verso il proseguimento della 'reclusione' c'erano fattori che non potevamo esternare, col rischio di giocarci l'incolumità sanitaria appena acquisita con altre 'cure' che avrebbero lasciato segni sulla pelle, assai pesanti.
Intanto la scuola: le maestre ci mandavano ogni paio di giorni compiti da svolgere, in piena autonomia e senza costrizioni ufficiali e libri da leggere; sono certo che a loro non saranno sfuggiti compiti identici, evasi in un clima di collaborazione in cui il copiare non era delitto. Eravamo un po' barbari, non scalpitavamo per il rientro in aula, né ci sentivamo partecipi dei dispiacere delle maestre nel non vederci con gli altri, che magari ci invidiavano pure.
I pasti: ufficialmente eravamo malati, bisognosi di particolare attenzione come tutti i ricoverati, altrove e per altre patologie. Forse era solo un'impressione ma la pasta, la carne, il pesce, il pane stesso, avevano un altro gusto. Sulle patate lesse si intuiva una lacrima d'olio, e pure sulle insalate. La bevanda era unica, acqua di rubinetto, con lo stesso gusto di cloro di questa, era nelle caraffe, forse per farlo decantare, o per dare l'impressione di essere un'acqua benedetta a supporto alla nostra guarigione, ma al gusto e all'olfatto era difficile mentire.
Il non far niente non portava noia, era dolce come poesia comanda, potersi stiracchiare dopo il risveglio del mattino senza sentire ringhi di sollecito... non aveva prezzo.
Le messe: intanto l'andare a messa ogni mattina non era nei nostri sogni, peraltro ridotti dal limitato mondo in cui la sorte ci aveva calato; ancora meno lo era il fatto che per recarcisi la sveglia era prevista all'ora del sorgere del sole, e né il freddo, né la pioggia, né la neve facevano rinunciare o ritardare l'avvio verso il tempio. La funzione era poi un parziale prosieguo occulto del sonno perduto, che i saliscendi continui interrompevano (in piedi, seduti, in ginocchio...), rendeva stressante la giuntina di riposo. In quarantena ogni pomeriggio una suora infermiera-sorvegliante-sacerdotessa ci invitava alla recita del rosario, al di là di una vetrata che le consentiva di verificare la partecipazione attiva a quella preghiera; il numero esiguo di partecipanti costringeva a una partecipazione vocale che nei numeri grandi era possibile evitare senza troppi rischi. In fondo era uno scambio accettabile...
Questi i motivi principali per cui non saremmo scesi in piazza per reclamare un rientro che proprio non ci sconfinferava.
Quelli negativi si riducevano al rimpianto del cortile con le interminabili partite a pallone, il passo volante (una giostra a spinta pedestre), le figurine Panini con calciatori e ciclisti, e le biglie di vetro colorate da far correre in piste polverose sempre rinnovate... e poco altro.
Finito il tempo, dopo che l'ultimo tampone aveva accertato l'assenza del microrganismo marrano, eravamo tornati all'ovile, reinseriti nel gregge di pecorelle, che nel frattempo nulla aveva cambiato della routine quotidiana. Non ci furono festeggiamenti né complimenti ufficiali per lo scampato pericolo. Il fiume umano aveva proseguito imperterrito il suo corso durante la nostra assenza, ed era stato assolutamente indifferente al nostro rientro.

Quarantena (attuale e virtuale)

Quest'ultima parte è destinata ad adulti, vaccinati o meno: avviso con valore legale onde evitare allo scrivente un'ulteriore grana, incidentalmente padana.

Sono su Facebook da parecchi di anni, me ne sto allontanando gradualmente per la piega che hanno preso i suoi contenuti. I post di politica non sono più dialogo, scambio di opinioni, critiche motivate, satira ironica... da una parola in su volano insulti e offese, una vignetta ironica riceve reazioni assurde anziché sorrisi tolleranti.
Come molti sanno, su questo social è prevista l'apposizione di faccine a denotare le diverse sensazioni che un testo o una figura suscitano nel visualizzatore: dal semplice mi piace al cuoricino, dall'abbraccio alla risata, dallo stupore al pianto, ultima l'irritazione. Consentono di esprimere un'opinione senza sforzare troppo la mente e i polpastrelli per formulare commenti magari sensati, risparmiando tempo da dedicare al girar dei pollici che, in questo periodo, sono utili per dissipare l'aria calda facendo nel contempo una salutare ginnastica alle giunture degli stessi.
Appiccico queste faccine il meno possibile, più che altro per far capire che le conosco, pur misconoscendone l'utilità. Dove trovo interesse, preferisco battere due parole di commento a livello sempre personale. Talvolta si tratta di un po' più di due parole, ma cerco di assemblarle al meglio per tentare di dare loro un senso compiuto e comprensibile.
Altrimenti ripongo i diti nel loro contenitore e mi limito a commentare mentalmente, evitando così  gli eventuali fulmini e le saette di buontemponi che sempre più spesso solcano questo speciale universo.
Quando trovo immagini o testi di particolare interesse, solitamente presentati da gruppi specificamente dedicati, aderisco (si dice così per indicare l'entrata in quel gruppo) e mi godo quanto via via viene da questi offerto.
Tempo fa ne avevo trovato uno molto interessante che, con immagini (sempre bellissime) e testi mi riportavano a cose e parole viste in particolare nel corse della seconda gioventù; mi emozionavano e mi trasmettevano sensazioni e ricordi peraltro mai sopiti.
Centellinavo i commenti, poiché sovente pregni di commozione, che il tipico pudore della quarta gioventù mi vietavano di esternare.
Sarò breve (come sempre), e vado a raccontare in diretta l'episodio che mi ha inguaiato con questo gruppo, e che mi ha 'condannato' a una quarantena virtuale fino a poco fa.
Preciso che si tratta di un gruppo specificamente regionale, in cui il dialetto locale la fa generalmente da padrone, con casuali escursioni nell'italiano e alcuni in altre lingue straniere. In tempi neanche tanto lontani anche l'italiano era lingua straniera; col tempo i dialetti stanno scomparendo senza che per molti l'italiano sia divenuto lingua corrente, restando ben lontana da un uso accettabile.
Nei commenti a un'immagine che segnalava i vari sottodialetti nelle singole località provinciali, nel dialogo di puntualizzazioni e approfondimenti era spuntata una bestemmia, in dialetto, a fondo perduto; ossia che con tutto il resto non aveva alcun riferimento o motivo d'essere; era un'entrata a gamba tesa assolutamente gratuita. Essendo un autodidatta specializzato in bestemmiologia dialettale applicata, pur non essendo più credente, quindi tanto meno osservante, non mi era sfuggita.
Tanto esperto di bestemmie in dialetto quanto poco rispettoso della norma filosofica del 'chissenefrega', lo avevo fatto notare, in maniera educata e ironica, a colui che, forse involontariamente, l'aveva profferita. Ritenevo, altresì, che Facebook, che tutto sa e tutto può, avrebbe bacchettato brutalmente il poveretto. Ho avuto modo di vedere siti sospesi per una coscia troppo scosciata o una tetta troppo stettata o una bocca troppo sboccata, per cui avevo il fondato timore che una espressione punita, a torto o a ragione, dal nostro codice penale, avrebbe fatto drizzare le antenne al nostra padre quotidiano.
Invece no, evidentemente Facebook, che sa tutto e tutto sa, non conosce questo dialetto.
Poteva finire così... in fondo non è che la cosa mi avesse eccitato più di tanto. E se lo fosse, finita così, chi legge potrebbe finalmente andare a fare altro invece di perdere tempo con questo testo.
No, sarebbe troppo semplice, chi è arrivato fino qui merita un qualcosa di più: è noto che di una tazzina di cicuta è l'ultima goccia ad essere veramente letale.
Il mio collega di dialogo mi aveva ringraziato della nota, e per giustificare l'uscita estemporanea aveva scritto che gli era venuta pensando che quel detto corrispondesse al bergamasco pota.
Oramai ero in ballo e, pur non sapendo ballare, dovevo tentare di seguire la musica, per cui avevo pensato bene di erudirlo in merito (attingendo al poco che ne so). Non senza prendere atto che evidentemente il desso era leggermente confuso sul dialetto vigente nel gruppo.

Qui apro una parentesi virtuale per cercare di chiarire a priori quello che andrò a sviscerare.
Al pota bergamasco, il cui oggetto è chiaro a tutti, nel dialetto contrapposto sarebbe, paro paro, ciornia. Che non  ha nulla a che vedere con Oci ciornie, film degli anni '80 con Mastroianni e la Mangano. Alla sua uscita, nella mia purezza d'animo, prima di andarlo a vedere, avevo creduto che quel ciornie fosse il plurale della parte femminile indicata nel singolare del dialetto di cui sto trattando. L'oci, ignorando il russo, avevo pensate fosse l'articolo a sostegno di quel sostantivo. Essendo parte anatomica molto diffusa, ritenevo che il plurale ci stesse tutto.
Alla giustificazione avanzata dal mio corrispondente avrei potuto dire: là è detta pota, nel tuo dialetto si dice ciornia. Ma non credo che avrebbe soddisfatto quanto desiato da cotesto interlocutore. Anche perché né la bestemmia né quest'ultimo termine trovavano un punto di attinenza accettabile.
Avevo intuito che la sua uscita era un'interiezione erroneamente paragonata a quella bergamasca. Che, come si sa, viene servita in ogni contesto, quale che sia. Penso che perfino sul cappuccino ci stia bene. Che ha il difetto/pregio di avere una valenza prettamente locale, provinciale, limitata appunto al bergamasco; altrove sarebbe interpretata come esclamazione stramba, poco comprensibile.
Dovevo dare al bestemmiatore incauto un qualcosa che, in campo regionale parificasse quella. Ce ne sarebbero alcune, ma non sono ripetute e ripetibili come il pota bergamasco.
Avevo subito pensato a un qualcosa a livello più diffuso, ultraregionale, nazionale.
E torniamo in presa diretta, per seguire questa poco appassionante ricerca semantica.

La prima tentazione era stata quella di spiegare per esteso il contrapposto del termine pota. Avrei dovuto, seguendo le direttive del vocabolario, scrivere: "pota, nel dialetto bergamasco indica l'organo genitale femminile, altrimenti detto figa; il corrispondente immediato nel dialetto del gruppo è ciornia". 
Non ci stava, né in cielo né in terra... non riusciva ad esprimere la benché minima emozione, reazione... valeva quanto il pota seminato fuori dal territorio d'uso.
Avevo individuato l'interiezione utile alla bisogna in un termine che in italiano meglio si sposa con quella bergamasco: cazzo. Avrei potuto metterlo anche in dialetto ma, vista la poca dimestichezza del dialogante con questo, avevo tagliato corto, prendendo la scorciatoia in chiaro, che mi fu poi fatale.
La prima è espressione prettamente localizzata, il secondo è ormai entrato nel parlare comune, avendo perso il senso di una volgarità letterale, ormai desueta. Cazzo risulta sdoganato da Leopardi e da altri poeti e scrittori; la definizione del marchese del Grillo, riferita alla generalità dei suoi concittadini, è ormai storia, ed è sovente usata dai nostri politici in maniera plateale nel loro agire, pur se astutamente velata nei loro concioni.
Tempo qualche ora e, al rientro sul sito per seguire i dialoghi colà ospitati, e mi ero trovato una finestra che mi annunciava la sospensione dal sito, a 'quarantena' determinata, per quanto riguardava i commenti; per addolcire a pillola mi sarebbe stato consentito spiaccicare le faccine del mi piace.
Motivo della tremenda punizione: "Questo sito è seguito da oltre due milioni di lettori sparsi nel mondo, ai quali potrebbe non essere gradito l'uso di termini come cazzo".
Dispettoso come un bimbo capriccioso, per tutto il periodo ho evitato di mettere faccine a commento delle immagini, che restano bellissime.
Ho fatto presente a coloro che avevano emesso la sentenza la disparità di trattamento tra una bestemmia e una semplice, comune, diffusa, e non più malintesa, interiezione.
Potevo spiegare a questi difensori del parlar forbito che il termine cazzo è l'antesignano delle faccine, e che queste non potranno mai avere l'espressività visiva di questo sostantivo? Con "cazzo!" è possibile esprimere stupore, ammirazione, risentimento, ira, affetto, ecc., tutte sensazioni concentrate in un solo termine.
Potevo dire che è diventata termine internazionale alla pari di "ciao" e "maccaroni" o "spachetti"? E che i vari fuck, mierda, merde... al nostro cazzo fanno un baffo.
Certo, un perdirindindina (cit. Totò) è più pulito, niente volgare ma, a parer mio, ha preso poco piede e la sua collocazione in un discorso apparirebbe un po' forzata.  
Nessun riscontro alla mia nota... lo stesso mi succede nei messaggi a Tim.
Ho atteso la fine della quarantena e ho dato l'addio al sito.

Spero con questo capitolo di non aver urtato la sensibilità di alcuno dei poco più di due m̶i̶l̶i̶o̶n̶i̶ lettori che, con pazienza (spero non con disgusto) sono arrivati fin qui.
Rispettiamo ben altre quarantene tuttora in atto, con un pensiero reverente a chi le decide e trova notevoli difficoltà a farle rispettare. E rispetto e onore a chi, in camici e scafandri bianchi, fa di tutto per limitare i danni di una malattia lungi dall'essere debellata.
Per quanto mi riguarda, come detto, ci sono allenato... alle quarantene.

I sogni in quarantena


E la gente rimase a casa. 
E lesse libri e ascoltò.
E si riposò e fece esercizi.
E fece arte e giocò.
E imparò nuovi modi di essere.
E si fermò.

E ascoltò più in profondità.
Qualcuno meditava.
Qualcuno pregava.
Qualcuno ballava.
Qualcuno incontrò la propria ombra.
E la gente cominciò a pensare in modo differente.

E la gente guarì.
E nell'assenza di gente che viveva 
in modi ignoranti,
pericolosi, 
senza senso e senza cuore,
anche la Terra cominciò a guarire.

E quando il pericolo finì, e la gente si ritrovò,
 si addolorarono per i morti, e fecero nuove scelte.
E sognarono nuove visioni.
E crearono nuovi modi di vivere.
E guarirono completamente la Terra.
Così come erano guariti loro.

(K. O'Meara
poesia scritta dopo l'epidemia di peste del 1800)

Sembra il resoconto di un qualcosa che fu, invece è il racconto di un sogno ricorrente dopo ogni tragedia che ha colpito l'umanità. Nel corso del paio di secoli e rotti che sono seguiti a questa poesia, abbiamo subito ogni tipo di disastro, quelli possibili ed evitabili e quelli ufficialmente attribuibili a interventi estranei alla volontà dell'uomo.
Guerre, pandemie, terremoti, tsunami... In un solo secolo siamo riusciti a provocare due guerre universali, siamo riusciti a creare colposamente virus letali, dove non c'erano terremoti li abbiamo inventati con bombe specificamente destinate a una distruzione da "tabula rasa", siamo riusciti (e ancora oggi ci chiediamo come sia stato possibile) a mettere in mano a pochi menteccati il destino fisico dell'umanità...
E in ogni immediato successivo a questi impropriamente detti avvenimenti, l'imperativo ricorrente è sempre stato "Mai più!", nella convinzione che le esperienze tragiche appena vissute fossero esperienza indimenticabile da tenere presente in futuro.
Tempo qualche giorno, giusto quello di far appassire la rosa sbocciata in un mattino di primavera, e tutto ha preso a girare come prima, come se nulla fosse mai accaduto, e sempre peggio di prima.
Non siamo guariti, né mai abbiamo voluto seriamente guarire... trascinando la Terra verso un baratro che ci coinvolge sempre più, e da cui sarà impossibile salvarsi.
Il poeta  si affida al sogno seminando ottimismo; il realista non può più dissimulare il pessimismo; non tiene più la teoria del bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto: il nulla sta avendo il sopravvento e finirà per schiacciarci.
Fino a quando un bimbo morto in mare susciterà commozione, senza reazioni pronte e concrete, il cammino verso quel baratro sarà inarrestabile; fino a quando una foresta sarà data alle fiamme in nome di un progresso in realtà regressivo; fino a quando fiumi e mari saranno discariche di rifiuti e liquami venefici; fino a quando si colpirà l'avversario con i giochi di un'economia soffocante; fino a quando... fino a quando... fino a quando...
Sappiamo benissimo le cose che devono cessare, assolutamente e immediatamente, i sogni forse sono desideri, mai saranno soluzioni. Al risveglio del mattino, a sogno dissolto, bisogna tirarsi su le maniche e affrontare una realtà quotidiana, che non può più essere soggettiva ma universale, come lo furono il diluvio, le guerre, le pandemie: contrapponendo alla loro attività distruttiva una ricostruzione che sia vera rinascita del genere umano e della Terra tutta.
Un passo avanti sarà l'esclusione della politica (o, meglio, dei politici) dalle opere di ricostruzione; esperienze passate e recenti dimostrano che dove la politica assume la guida delle operazioni. alle botte si aggiungeranno botte, ai disastri si sommeranno disastri... con in più le loro risate di contorno.