venerdì 29 giugno 2012

Pensieri frullati

Ho seguito la partita Italia-Germania, a casa, seduto sulla sedia poiché Blu mi aveva fregato il divano, ed era disposta a lasciarmi il posto solo se me la fossi  tenuta in grembo. Succede d'inverno e pazienza; ma a 37° gradi, senza aria condizionata non era proprio il caso.
Avevo tolto l'audio, i commenti e le indicazioni dei 'conduttori' non mi interessavano.
Individuati i colori delle maglie, mi fidavo della mia vista e delle mie (scarse) conoscenze del gioco, per godere nel caso di cose belle e fregarmene altamente alla vista di eventi negativi.
Maglie azzurre, era l'Italia; maglie bianche, era la Tedeschia.
Rosso vivo la maglia del portiere kartoffen; un bel rosso, tendente al granata, quella del nostro number one.
Inizio della partita regolare, abbastanza vivace per due squadre in fase di studio.
All'improvviso, nel primo piano di un giocatore 'azzurro' avevo notato la fascia al suo braccio.
Un colpo, non al cuore, poiché del fatto non me ne poteva fregare di meno, ma alla curiosità: come mai la fascia di capitano era passata a questo tizio e tolta a quello che si 'gioca' un milione e mezzo (non so a che cosa) giustificato dal fatto che i soldi sono (erano) suoi e ne faceva quello che gli pareva?
Continua la gara, e nuovamente in primo piano viene inquadrato un altro 'azzurro': anche lui con la fascia di capitano al braccio destro.
Ormai preso dalla curiosità, in un campo lungo, avevo visto che tutti i nostri giocatori portavano al braccio la fascia, per me ancora da capitano.
Considerazioni immediate, ovviamente imbecilli.
Ho subito pensato ai ragazzi della via Pal, tutti capitani e un solo soldato semplice; da lì a cercare il Nemecek di turno era stato un attimo. Per scoprire che non c'era:  erano tutti capitani.
Con un capitano maggiore, che era il nostro portiere, con la fascia rossa al braccio sinistro.
Preso atto che la fascia in comune era nera, altra considerazione, dello stesso tenore di quella di prima, anzi, se possibile peggiore: 'loro' avevano la maglia bianca, omaggio al non colore centrale del nostro tricolore; per rendere la gentilezza, noi con la fascia nera, non colore presente nella loro bandiera.
Oppure: la proverbiale astuzia italiota aveva promosso tutti capitani, per poter interloquire, in modi distinti e separati ma con lo stesso carisma, con l'omino che dirigeva la partita. Tattica sballata, visto che i cartellini gialli cadevano come pigne in una pineta.
Ho detto all'inizio che avevo tolto l'audio; lo avessi lasciato, forse i preliminari della presentazione mi avrebbero evitato questi pensieri, che scrivo, granata in viso per la vergogna.
La verità l'ho saputa leggendo i giornali: la fascia nera  era il lutto per la morte ultima in ordine di tempo di un soldato in Afghanistan. Un carabiniere.
Non ho nulla contro i soldati, non ho nulla contro i carabinieri, non ho nulla contro chi, teoricamente, deve girare legalmente armato per difendere e difendersi.
Peraltro sono fermamente convinto che chi si trova nella condizione di esserlo sia ben conscio che le armi che indossa le porta perché ci sono altre persone, altrettanto armate, da contrastare in difesa e talvolta in offesa, magari preventiva.
Sono i cosiddetti 'mali necessari', come i dentisti, i medici, le forze dell'ordine, gli avvocati, i barbieri, le prostitute, gli impiegati comunali ecc. ecc. ecc.
Quelle che vengono presentate come missioni di pace, pace da imporre con le armi, non rientrano nelle mie corde.
Al di là di questo, credo che chi muore, in patria, o all'estero in "missioni di pace", sia un caduto sul lavoro. Come tutti gli altri che 'sul' lavoro o 'per' il lavoro cadono tutti i giorni.
Taglio corto: dissento assolutamente da un lutto al braccio dedicato a una categoria, ancor meno a una singola persona, in una manifestazione sportiva che non sia un fatto prettamente locale.
Se lutto doveva essere, doveva esserlo per 'tutti' i caduti sul lavoro: dal muratore che cade da un'impalcatura all'operaio Anas travolto da un automobilista ubriaco, dalla guardia giurata assassinata da un rapinatore al benzinaio ucciso per aver difeso il suo incasso; dagli operai Eternit, lentamente uccisi e ridicolamente risarciti agli imprenditori suicidi per lo strozzo delle banche o di Equitalia...
Già ho in uggia i cosiddetti "onori militari", con un dispiegamento degno di una parata, a chi ritorna a casa chiuso in una cassa di legno, figuriamoci se accetto queste forme di riverenza divulgate in un modo che ritengo semplicemente spettacolare.
Domenica c'è la finale: mi piacerebbe che quel lutto al braccio restasse, in memoria di chiunque abbia perso la vita nel compimento di quello che la vita stessa gli aveva assegnato.
Con lo stesso onore e con lo stesso rimpianto.



Ipse dixit

Mi sembra che negli ultimi anni si siano sviluppati due fenomeni: il gusto della spettacolarità e la sfiducia, nel prossimo e nella verità. Il gusto della spettacolarità l'abbiamo visto emergere nelle marce non competitive, nella contemplazione in massa di opere d'arte, perfino in una politica giocata e valutata in termini di immagine molto più che di contenuti. In senso opposto e cioé centrifugo, ha giocato la sfiducia. Se parli con qualcuno che non conosci e forse anche se non lo conosci bene, può essere un terrorista, un aderente a società segrete, un impeccabile bancarottiere. Soprattutto sei posto sempre più spesso davanti a eventi misteriosi "dietro" i quali stanno cose gravi e contraddittorie per cui l'unica certezza è che non conoscerai mai la verità. Ecco di colpo la vittoria dell'Italia: è una verità semplice, giustamente ritenuta importante e a tutto tondo: "dietro" non c'è niente.
Credo che non sia un ritorno di nazionalismo, malgrado il revival degli anni Trenta e il fatto che eravamo stati campioni nel '34 e '38. Piuttosto da economista quale sono vedo in tutto ciò tre caratteristiche che si ritrovano anche quando l'Italia "gioca" l'economia invece del calcio: il passaggio dall'autoflagellazione all'entusiasmo spinto; la difficoltà di identificazione rispetto all'estero ("siamo proprio gli ultimi; ma no, in fondo siamo i più brillanti") e infine il saper agire risolutamente solo in condizioni di emergenza (il rischio era di essere accolti a pomodori al ritorno in Italia oppure una crisi della lira). Abbiamo battuto i brasiliani per fantasia, i tedeschi per gioco di squadra. Sarà un caso, ma il nostro punto debole è stato il... rigore. Come in economia.


Pubblicato il 13 luglio 1982 nella prima pagina del Corriere della Sera, poco dopo la vittoria ai Mondiali di Madrid, sotto il titolo "Quello che pensano gli uomini di cultura".
Quasi trent'anni fa... Poche cose sono cambiate: il presidente della Repubblica era allora di sinistra e lo è anche oggi. Le "verità" nascoste allora, oggi lo sono ancora di più. La spettacolarizzazione della politica ha assunto aspetti al limite del ridicolo. Di "impeccabili bancarottieri" ormai ce n'è uno a ogni angolo di strada. Quanto alla "sfiducia" meglio non parlarne. Ed è confermato che "dietro" una vittoria nel calcio, oggi più che mai non c'è più niente. 
Solo il "rigore" non è più il nostro punto debole, anzi è divenuto il nostro quotidiano compagno di vita; in molti casi compagno di morte.
Dimenticavo: il pistolotto è stato scritto da un certo Mario Monti, professore ed economista, nonché editorialista del Corriere della Sera. Ieri, trent'anni fa.