lunedì 23 ottobre 2023

Lettera aperta a KIA Italia

Gentile signora Kia,

      salto i preamboli, tipo quanto è bella lei, quanto è buona lei e quanto è umana, di fantozziana memoria, poiché alla fine di questo racconto potrebbero sembrare lodi da presa in giro.
Passo subito al 'dunque' di questo scritto, che non vuole essere un pamphlet, ma la semplice, e spero chiara, descrizione di un fatto che mi ha leggermente basito.

Esattamente un anno fa ho avuto la fortunosa idea (senza ironia, veramente) di acquistare una sua vettura. Fortunosa poiché la Concessionaria di vendita non era nei miei piani di acquisto; ci ero passato davanti mentre ero di passaggio per andare a visionare altre marche. Vista, piaciuta, comprata... 
Piccola di cilindrata, a mia misura come carcassa esterna e interna, moderna quanto basta; sul prezzo non metto lingua, poiché ormai è difficile, se non impossibile, la comparazione sia con i famosi prezzi di una volta che con gli attuali, dove se non è zuppa è pan bagnato: non sono più i mille o duemila euro che fanno la differenza tra i veicoli in vendita. Contano le offerte nel loro complesso.

Per l'acquisto a saldo netto, ho lasciato alla Concessionaria un 1400 diesel di 13 anni, con un totale di meno di 150.000 km, unico proprietario, in ottimo stato di carrozzeria, non avendo mai subito o provocato il benché minimo incidente. Il più serio è stato 'merito' della moglie che, con il paraurti anteriore, ha letteralmente sradicato una panchina di ferro fuori dalla chiesa. Essendo il paraurti, of course, tutta plastica, il carrozziere lo ha a sua volta sradicato in tutta la sua lunghezza e l'ha cambiato.
Per il resto, era stata compagna fedele (la vettura) per tutti i tredici anni. Quasi tredici, visto che da un primo colpo di tosse era passata a malanni che mi stavano dissanguando goccia a goccia. Col meccanico che ogni volta diceva di averla rimessa a nuovo, che avrebbe seguito il mio funerale tanto aveva vita lunga. Fino a quando mi aveva quasi mollato nel pieno di una lunga galleria, con un traffico di camion e bus che strombazzavano alle mie quattro frecce, non ho capito bene se (nel sorpassarmi con la doppia striscia continua) fosse per salutarmi con cameratesca simpatia o per maledirmi. A parte il cero virtuale di ringraziamento per lo scampato pericolo, furono gli ultimi euro che diedi al meccanico, col grazie sentito per avere curato molto bene... i suoi interessi.
So bene che questo a lei interessa poco, anzi niente: a lei interessa aver venduto la sua macchina accettando il peso del mio catorcio (che so essere poi stato venduto meno di una settimana dopo; ma questi sono affari suoi).

Torniamo alla mia nuova macchina. 
Nella vendita, l'abilità del delegato di una Concessionaria sta nel decantare tutti pregi di quanto offerto a supporto verbale di ciò che è ampiamente descritto in locandine, opuscoli e quant'altro. 'Calcando' la mano su voci non sempre bene evidenziate nei cartacei. Nel caso di questa nuova 'creatura' il di più evidenziato era stato: sette anni di garanzia o 150.000 km, tre anni di assistenza stradale, la prima manutenzione gratuita dopo un anno o 15.000 km.
Dai circa 150.000 km divorati dalla vecchia vettura in tredici anni era facile intuire che l'anno lo avrei passato e per l'accumulo dei 15.000 ce ne sarebbero voluti almeno circa altri tre. Ero in una botte di ferro...

È passato l'anno, i chilometri erano poco meno di 5.000. I 417 km al mese farebbero la felicità del mio medico... se fatti a piedi, ovviamente.

Una ventina di giorni prima della scadenza dell'anno, in un piccolo display di fronte al volante, 2 pollici circa di larghezza per circa 4 di altezza... (no, non pollici inglesi, non avendo un centimetro a portata di mano i pollici di misura sono i miei, col destro più largo di almeno due millimetri più del sinistro; succede, a furia di contare le banconote della pensione...), era apparso un promemoria che segnalava i giorni mancanti alla scadenza dell'anno per la prevista manutenzione. Giorno dopo giorno ne scalava uno.
(A tempo perso, avevo pensato al Re Sole e alla sua Antonietta: se avessero avuto nei loro alloggi alla Bastiglia, nell'ultimo periodo della loro vita, qualcuno che, giorno dopo giorno, bussando alla loro porta gli avesse ricordato i beneauguranti -20 -19 -18... credo che si sarebbero alterati più di quanto già lo fossero per altri pensieri. È pur vero che io mi avviavo alla semplice manutenzione di un aggeggio meccanico e non alla ghigliottina, ma era comunque scocciante, poiché metteva in dubbio la mia capacità di recepire un messaggio nella sua singolarità).

Una decina di giorni prima della scadenza, cara signora, aveva chiamato il suo Emissario della Concessionaria per fissare un appuntamento per la manutenzione della vettura. Wow! che servizio, ragazzi!... neanche l'Agenzia delle Entrate è così premurosa verso i propri clienti. Se anche non fossi stato intenzionato ad aderire, tanto scrupolo avrebbe comunque meritato, e avuto, la mia attenzione.

Per arrivare alla Concessionaria da casa mia ci sono circa 75 km, appuntamento alle 9. Per essere puntuali, levata alle 7, colazione veloce e via andare. Alle 9 meno un quarto eravamo nel cortile antistante il locale di esposizione. Non un'anima... salvo un meccanico che, dall'officina, ci aveva invitato a portare la vettura all'interno. Dove l'aveva subito avviata alla 'sala operatoria'. 
Quanto ci vorrà? Un'oretta o poco più.
Perfetto, andiamo a cercare un bar, un cornetto e un caffè per passare il tempo e... due ore dopo la macchina era pronta; passare alla cassa, prego. Presumo che mi sarà addebitato il materiale di consumo e infatti... un conticino un po' salato, ma tant'è, così gira il mondo. 
Al rientro a casa dò uno sguardo alla fattura: per un buon terzo di questa è addebitata la mano d'opera...
Ma la prima manutenzione non era gratuita? Telefonata di chiarimento e quel che segue è il motivo di questa mia lettera.
"Scusate, quando ci siamo lasciati l'anno scorso, al momento dell'acquisto, ricordo male o mi avevate detto che, oltre ai 7 anni di garanzia e i 3 di assistenza, era prevista anche la manutenzione gratuita dopo un anno dall'acquisto?".
E qui, cara la mia signora Kia Italia, è venuto fuori un discorso che mi ha portato alla mente un certo Kafka, con un discorsetto che mi ha mandato in confusione. Mi segua, la prego, cercherò di riportarlo nella maniera più chiara e semplice possibile, visto che alla fine dell'avventura è stata tirata in ballo lei come Casa Madre.
Confermata la gratuità del primo tagliando per quanto riguarda la mano d'opera, questa vale in questi casi: un anno, e vale per tutti, oppure 15.000 km. Questo oppure significa che se hai 15.000 km percorsi in 3-4-6 mesi l'intervento e la manutenzione sono gratuite; se passa un anno e hai circa 15.000 km è ancora gratuita. 
Se passa un anno e ne hai percorso meno di 15.000 km l'intervento è a pagamento.
Così pare abbia decretato la Casa Madre, cioè lei, gentile signora.

Visto che il sottotitolo del suo logo è, in italiano, Movimenti che ispirano, la vicenda mi ha ispirato questo post che vado a integrare con un altro ragionamento.
Pur avendo un anno, ma non i 15.000 km, assurdamente richiesti per la gratuità, mi prendo la briga di spulciare tutto l'intervento, leggendo per bene la fattura, voce per voce. 
Cambio filtro olio motore, cambio filtro dell'aria, cambio olio motore, rabbocco liquido lavavetri, sono il peso maggiore dell'addebito, seguito dalla relativa Iva. Le altre voci oscillano tra i 90 centesimi e i due euro per voci di alcun peso. 
Oltre alla manodopera che ha la parte del leone.

Se io fossi maligno mi chiederei: ma quale officina si prenderebbe la briga di cambiare questi pezzi a 5.000 km quando la previsione d'uso ne prevede il cambio a 15.000? Nel mio specifico sono prevedibili, salvo imprevisti, tre interventi di questo tipo contro uno soltanto dei secondi viaggiatori; a meno che nell'anno vengano fatti 45.000 km, nel qual caso in un anno ci sarebbero i tre cambi, contro i miei tre in tre anni. 
Ma per fare percorsi del genere non credo che l'interessato avrebbe preso una piccola utilitaria come la mia. Non essendo maligno, credo nella buonafede degli operatori e... ho pagato.

Ma quello che più mi ha basito, e che il suo Emissario non è riuscito a farmi digerire è l'incredibile distinzione operata tra un consumo chilometrico maggiore e uno minore sul fatto della gratuità. Non sto parlando di centinaia di euro addebitati: sto parlando dello schiaffo ricevuto, questo sì gratuito, per essermi permesso di viaggiare secondo le mie esigenze e non secondo i canoni automobilistici abituali.

Vede, cara signora, quando si arriva a una certa età, e io quasi ci sono (qualunque questa sia), gli amici amano punzecchiare su molti aspetti del fisico, giustamente modificati nel tempo. Queste punture di spillo spaziano dal pelo canuto alla sessualità, dalla dentatura all'udito, dalla vista alla piega dorsale non più retta ma vicina all'angolo 45°. Gli amici... Ai quali rispondo sempre in termini ironici, sul tipo "ridi, oggi a me domani a te", sempre che tutto vada bene, con l'augurio che così sia.
I non amici preferiscono andare su un tema caro ai più: in pratica non esitano a darmi (glielo dico in coreano, perché nella sua lingua madre capisca meglio il concetto) del rincoglionito, anzi del vecchio rincoglionito, dove non capisci se ritenere più offensivo il primo o il secondo termine. Ecco, i suoi Adepti, vista la mia cocciutaggine nel non voler capire una logica così lampante, mi hanno fatto capire come sia urgente il mio ricovero, in ospizio o... altrove. 
Nell'attesa che ciò avvenga, poiché prima o poi avverrà per una o l'altra ipotesi, vorrei che capisse che non sto contestando la manciata di euro che ritengo mi siano stati sottratti in maniera indebita, ma l'assurda, illogica, ingiustificabile fondatezza della sua direttiva che, a credere alla Concessionaria, impone un simile trattamento differenziato.

Ho finito. 
Nell'attesa di un riscontro che aspetterò invano, come fosse Godot, le siano sgraditi i miei cordialmente inviperiti saluti.

giovedì 19 ottobre 2023

Cammin facendo

Sono nato in una terra inzuppata nel mare, i primi vagiti erano lacrime di sale. Ho affrontato strade da subito in salita, le ho percorse, gattonando prima, molto camminando poi, sovente correndo, talvolta arrancando. Con più di metà del cammino superata, la strada era in piano o in dolce discesa; ma un brutto mattino me la son ritrovata nuovamente in salita, ripida e sconnessa.

L’ho affrontata, e in quest’ultimo tratto ho incontrato vermi in sembianze umane, con il cuore chiuso in un conto alla banca o in uno stupido fasullo sentore di potenza: monnezza, che tutta l’aria intorno ammorba. 
Ma ho anche trovato fiori di campo, umili, immersi in un perpetuo precariato, creato da blatte che vanno decretando, gentaglia che taglia, la benda sugli occhi, e decide chi vivere può e chi deve morire. Questi fiori hanno profumo di speranza, persone che del mestiere fanno missione e che sopra le cure distendono amore. Li ho benedetti ieri e li benedico ancora: è grazie a questi fiori che pietà non muore.

Non inattesa, proprio sul bordo della strada, ho trovato una pietra, una pietra miliare, una di quelle che dicono quanto cammino è fatto, e dovrebbero segnare quello ancor da fare. Anomala, questa pietra ha un solo numero, quello che comunica “qui sei arrivato”; qualcuno, un vandalo, un dispettoso, ha scalpellato l’altro, quello che al futuro avrebbe indirizzato.

Era quasi nascosta dall’erba degli eventi, e stavo andando oltre, tentando d’ignorarla, ingenuo intento di fregare il tempo. Si è messa di traverso, facendomi quasi inciampare, pur di darmi un messaggio da non cancellare, spingendomi a vedere ciò che volevo evitare: quel numero solo, pesante e pure un po’ ammaccato.


Siedo su questo sasso, per riposare un poco, riprenderò il cammino appena tirato il fiato. Uno sguardo verso ponente per guardare la strada, quella da affrontare; non ne vedo la fine, è sterrata ed è, più che mai, in ripida salita.

Mezzogiorno è passato, pure da un pezzo, il sole ormai declina, si sta facendo sera. Sollevo le natiche, anchilosate dal riposo pur breve su questa dura pietra, e riprendo a scarpinare. Sono facile profeta, fra molto poco tempo tornerò a gattonare, su questa stessa strada, non so quanto lunga, ma di cui si intravvede la fine. Con nello sfondo una luce buia che invoglia a rinunciare e al tempo stesso invita a proseguire, verso un ipotetico striscione di fine corsa. 

E camminando e gattonando e arrancando, troverò ancora una pietra, l’ultima miliare, senza numero, ma solo con una data esplicita. Non cercherò il nome e neppure il paese, ma capirò al volo che l’ora è scoccata, perentorio invito a per sempre a riposare. 
Quello sarà, definitivo, il mio ponente, abbarbicato al sole anch’io tramonterò. 

giovedì 12 ottobre 2023

Un camice di troppo

Simona Fruzzetti è già ben conosciuta per la pubblicazione di precedenti libri, tutti ambientati nel nord dell'Europa, tutti ugualmente apprezzati per la simpatia ironica dei personaggi, dei quali evidenzia tic e pregi, sempre in una cornice di una (quasi) pacifica convivenza. Quella serena convivenza che in un non ben definibile altrove è ormai un ricordo, che si allontana sempre più, a ritroso nel tempo. 

Per chi ama la sintesi: delizioso e deliziante, piacevole e rilassante.

Per chi, invece, ne vuol sapere di più e ha due minuti di tempo da perdere, ecco il commento di un antico e vecchio lettore.

La premessa e l'epilogo offrono uno spaccato di quella che è ed era la sanità inglese, affatto dissimile da quella che è ed era quella italiana. Qui come là si sta arrivando allo sfascio totale di quanto fu fiore all'occhiello di queste Nazioni nei decenni successivi all'ultimo conflitto mondiale. 
Su questa constatazione versiamo l'ennesima lacrima di rimpianto e passiamo ai dettagli del racconto vero e proprio.

Tutto si svolge in un piccolo paese del nord europeo, uno di quelli che sprizzano serenità e gioia da ogni finestra e da ogni stradella, una bomboniera ornata di nastri colorati e sorrisi e pettegolezzi. Come ogni piccolo paese che si rispetti ma che, pur accettando le nuove tecnologie, non ha rinunciato alla sua propria umanità.
Tutto va a meraviglia, fino all'arrivo di un tizio, aitante, belloccio e pure affascinante, che suscita la curiosità di tutta la comunità, che vede in lui soltanto un nuovo ospite, più che altro valutato come motivo di future chiacchiere e spettegolamenti. 
Il resto del racconto si può riassumere in una recita, su un palcoscenico virtuale, in un teatro virtuale, probabilmente presente nel piccolo paese, a sua volta apertamente virtuale.

In quella recita, due protagonisti, il nuovo arrivato e una stanziale, lui doc e lei pure, si alternano in una simpatica e originale alternanza che, in un susseguirsi di prima persona, singolarmente plurali (una forma di par condicio sui generis) se ne dicono e fanno di tutti i colori, mascherando i loro sentimenti dietro l'apparentemente cinica difesa di status personali conquistati nel tempo, ciascuno in territori e ambiti diversi, apparentati da un camice bianco che è bandiera di entrambi.

Un po' tutto il piccolo paese giostra intorno ai due, a supporto del racconto e con compiti variegati, in cui spicca la saggezza di una vecchina, già oggetto delle affettuose attenzioni dell'Autrice in testi precedenti, la cui lettura sarebbe di aiuto nell'inquadramento dei personaggi di questo nuovo racconto.

La recita dei due mi porta alla mente il diagramma del DNA, laddove le due spirali si incrociano, si toccano, si baciano e puntualmente si indispettiscono a vicenda, allontanandosi in un giro largo, quasi a sfuggirsi, per poi ritrovarsi puntualmente, pronte a incrociarsi, pronte a toccarsi, pronte a baciarsi, con una sequenzialità che fa pensare a una durata infinita della tresca... salvo prevedibili imprevisti.

Nota a margine, che nulla ha a che vedere col racconto: come la sanità, sia nord- che sud-europea, anche i lavandini non sono più quelli di una volta... 
Leggere per credere.