venerdì 25 febbraio 2022

Quando la poesia...

Sono passati cento e passa anni da quando Trilussa, con lo scoppio della Prima Guerra mondiale, ha scritto questa poesia... e sembra ieri. Ma non un 'ieri' inteso come un allora: un ieri chiaramente visivo, un ieri che è più che mai il giorno prima di oggi, che a sua volta sarà l'ieri di domani. Il Poeta, scrivendola, probabilmente pensava al momento, forse non immaginava che alla Prima ne sarebbe seguita una Seconda, che peraltro ha avuto modo di vivere, constatando che alla pazzia del genere umano non c'è limite. 
E sicuramente non aveva pensato che il detto "non c'è due senza tre" avrebbe potuto essere completato settant'anni dopo la sua scomparsa. Oggi, forse, non si arriverà a tanto, quasi tutto il mondo lo spera, però ci stiamo avvicinando a quel traguardo di non ritorno già profetizzato da Einstein, quando avvisava che dopo una Terza guerra mondiale i combattimenti tra i sopravvissuti avverrebbero con clave e frecce.
La poesia è scritta in un romanesco addolcito, comprensibile, e in chiaro italiano nelle parti più incisive. Anche i sovrani direttamente citati (Gujermone e Cecco Peppe, rispettivamente Guglielmo II di Germania e Francesco Giuseppe I d'Austria) riportano direttamente a un periodo storico che ci ha visto parte in causa. La follia di questi personaggi non è paragonabile alla pazzia in seguito esplosa col nazismo, nel suo personaggio più noto e nei suoi degni compari. 
Oggi sembra tutto una riscrittura di quanto già vissuto, con un ristretto gruppo di pazzoidi che tengono il mondo in pugno e che fanno dei popoli semplici animali consumatori, ovvero carne da macello. Oggi, come allora...
Sono contrario alla pena di morte, ma ci sono occasioni eccezionali, diciamo ogni 75 anni circa che dal cuore mi sale un beneaugurante "R.i.P. ... finalmente!", anche senza la necessità che sia un vero augurio di riposo tranquillo e sereno; che sia, perlomeno, eterno.

Ninna nanna della guerra
(Trilussa - 1914)

Ninna nanna, nanna ninna,
er pupetto vò la zinna,
dormi dormi, cocco bello,
se no chiamo Farfarello,
Farfarello e Gujermone
che se mette a pecorone
Gujermone e Cecco Peppe
che s'aregge co' le zeppe:

co' le zeppe de un impero mezzo giallo e mezzo nero; ninna nanna, pija sonno, che se dormi nun vedrai tante infamie e tanti guai che succedeno ner monno, fra le spade e li fucili de li popoli civili. Ninna nanna, tu nun senti li sospiri e li lamenti de la gente che se scanna per un matto che comanna, che se scanna e che s'ammazza a vantaggio de la razza, o a vantaggio de una fede, per un Dio che nun se vede, ma che serve da riparo ar sovrano macellaro; che quer covo d'assassini che c'insanguina la tera sa benone che la guera è un gran giro de quatrini che prepara le risorse pe li ladri de le borse. Fa la ninna, cocco bello, finché dura 'sto macello, fa la ninna, che domani rivedremo li sovrani che se scambieno la stima, boni amichi come prima; so' cuggini, e fra parenti nun se fanno complimenti! Torneranno più cordiali li rapporti personali e, riuniti infra de loro, senza l'ombra de un rimorso, ce faranno un ber discorso su la pace e sur lavoro pe' quer popolo cojone
risparmiato dar cannone.

martedì 22 febbraio 2022

I lazzaroni

Premessa: questo post si divide in due parti, distinte e separate, che nulla hanno in comune tra di loro.

La prima, suscitata da un racconto in lettura che ne accennava, è il breve ripasso di una parte di Storia ormai dimenticata, pur avendo i Lazzaroni a suo tempo influito in modo sostanziale allo sviluppo di situazioni che nel tempo si sono radicate, in una società che mai ha esitato ad accettare, e tramandare, modi e usanze e titoli da taluni deprecati e da altri invece adottati come fossero virtù. Utile per dare un titolo al post, niente a che fare con la seconda parte di questo. Col tempo hanno perso la maiuscola iniziale, poiché del movimento pseudo-rivoluzionario è rimasto solo il fancazzismo.  
La seconda, ripeto, senza alcun collegamento con la prima, è il racconto di una piccola parte di vita quotidiana, quella fatta, raramente, di fiori e carezze, ma più sovente cosparsa di punte di cactus e di ciottoli e di schiaffi. Racconto in presa diretta, che l'interessato mi ha autorizzato a divulgare a patto di mantenere anonima la fonte. Per snellire il racconto gli affibbio come nome Pinco, che di cognome farebbe Pallino, o viceversa. L'originalità non è il mio forte.

Il termine "lazzarone", etimologicamente parlando, è abbastanza recente. Il primo impatto riportato risale al XVII secolo e resta in vita fin verso la fine del XIX. Pare sia derivato dallo spagnolo lazaros, a sua volta derivato da laceria, sempre spagnolo; entrambi i termini peraltro avrebbero radice nel latino lacerus (lacero, strappato). Il lazaros spagnolo si dice fosse originato dal Lazzaro (o meglio, dagli stracci che lo avvolgevano, che non so dove risulta fossero appunto stracci stracciati, laceri). Il quale Lazzaro dalle Scritture non si capisce che delitto avesse commesso per meritare la pena di morire due volte...
Dagli spagnoli questa parola venne dedicata agli italiani in generale, ritenuti, a torto o ragione, pelandroni, indolenti, appunto cenciosi, nonché malavitosi fin dalla giovane età. Il senso spregiativo è rimasto immutato, anzi arricchito da altre doti che allargano la pletora dei lazzaroni d'oggidì.
Non ne sono certo, ma ritengo che tra le doti precipue dei lazzaroni disprezzati dagli spagnoli, ci fosse anche una male applicata furbizia, da cui il termine di furbastri, che bene sposa i nullafacenti, indirizzando le loro intelligenze a operazioni di pura sopravvivenza, generalmente a scapito di persone ingenue, facilmente raggirabili.
La politica di questi tempi è la prova provata di una lazzaronite dilagante, abbinata appunto a una furbastreria che danneggia l'immagine di una nazione fondamentalmente e generalmente operosa e paziente, solo in piccola parte lazzarona e insipiente e furbastra. La quale politica non si perita di raggirare milioni di cittadini, talvolta colpevolmente ingenui, più sovente falsi ingenui che li votano e onorano, arrivando alla venerazione, al deprecato culto delle personalità (quando messo in atto da altri popoli), nel tentativo di non pagare la tassa della consapevolezza del fine ultimo degli imbonitori politici.
I momenti di gloria (se gloria fu) furono quando aiutarono Masaniello nella sua rivolta, finita poi come tutti sanno. Un rigurgito di gloria (se gloria fu) lo ebbero quando verso fine '700 misero le loro forze a disposizione di Ferdinando IV re di Napoli, il quale li inquadrò come forze dell'ordine per tenere e freno la plebaglia che turbava le sue preghiere. In seguito i nostri lazzaroni combatterono, sempre sotto Nando IV, contro i napoleonici, identificati come anticristo contrari al papato e ai suoi sostenitori papalini, tra cui, manco a dirlo, Ferdi IV era tra i più fedeli.
Iscrittisi in seguito alle liste sanfediste del cardinale Ruffo contribuirono attivamente alla capitolazione della Repubblica Napoletana. 
Qui finisce la sintesi della loro epopea: la fede lazzarona non c'è più, sono rimasti i lazzaroni, e, come per i cretini, la madre loro è perennemente incinta. Manco dovesse sfuggire alla galera...


Pinco è un anziano, la cui età è più prossima al secolo che al semisecolo di vita. Anziano, non vecchio. Le cose vecchie sanno di antico e si buttano, a meno che si tratti di reperti che l'archeologia giudica meritevoli di cura e attenzioni dedicate.
L'età, per lui, non è un peso; sono un peso gli acciacchi che questa gli ha portato, ma anche questi ormai si sono adattati al loro contenitore, ne sono parte integrata e li accetta come si accetta un contorno di patate a una bistecca troppo cotta. Al duro della carne, queste offrono la sofficità a riposo delle stanche gengive.
È invalido, ha avuto in dono una invalidità al 100%, senza la relativa pensione poiché questa è sopraggiunta dopo lo scadere del 65° anno di vita; e non ha il cosiddetto "accompagnamento", visto che, nonostante tutto, è rimasto semovente; le sue gambe, nonostante le giunture ogni tanto cigolanti, tengono benino il peso della sua carcassa. Paziente oncologico in sonno, conscio che la situazione potrebbe cambiare, segue le dritte, i follow-up, per dilazionare quanto possibile un risveglio affatto piacevole.
Tra i supporti previsti per fronteggiare la situazione ve ne sono alcuni che consistono in presidi sanitari mobili, regolarmente forniti dalla sanità nazionale, per il cui ritiro si reca ogni paio di mesi alla farmacia provinciale del territorio.
Questa farmacia ha i suoi locali in un complesso creato come struttura ospedaliera; finita del tutto la costruzione era stata declassata a... rudere: infatti per qualche anno era stata abbandonata alle erbacce con un'incuria degna di miglior uso. In prossimità di elezioni, anche in seguito alle vibrate proteste dei cittadini, da rudere era stata promossa a poliambulatorio, occupando tutto un piano rialzato con locali per visite ambulatoriali e per uffici burocratici. E, appunto, dalla farmacia del territorio.
I piani superiori, con le previste camere di degenza, sono rimasti chiusi, ruderi sopraelevati. 
Il tutto inserito ai margini di una zona collinare in cui la cementificazione selvaggia aveva creato loculi abitativi in un periodo in cui questi andavano per la maggiore, venduti a prezzi di saldo a persone e personaggi, con le prime motivate dal vantare una 'villa' al mare e i secondi come via di fuga o rifugio in caso di problemi con la giustizia.
La struttura è circondata da una rete, con un unico cancello di entrata, presumibilmente chiuso nelle ore serali e festive, in concomitanza con la chiusura degli ambulatori. Passato il cancello, si trova un rettilineo di circa trecento metri, con una carreggiata che ha il minimo sindacale per essere definita strada. All'inizio e al termine è piazzato un divieto di sosta da ambo i lati, spesso e volentieri ignorato da chi ritiene che siano stati messi lì solo per adornare, in alternativa alla scarsa presenza arborea. Per chi deve invece scaricare materiali o pazienti ci sarebbe uno spiazzo prospiciente l'entrata, per cui i veicoli che trasportano disabili, o altri con urgenza d'intervento, non sono interessati a quei divieti.
Al termine di quel tratto di strada ci sono i parcheggi, non delimitati e affidati al buon senso di chi si reca in visita al poliambulatorio. Un altro parcheggio è posizionato più oltre, parecchi metri sotto il piano stradale d'ingresso; solitamente vuoto o con scarse presenze di mezzi. Una ripida scalinata consente di arrivare fino all'entrata dell'ex nosocomio.
E questo, da una seina d'anni, era stato il parcheggio preferito da Pinco: la sicurezza di trovare sempre posto aveva il  contraltare della salita scaligera, ma un gradino alla volta lo aveva snobbato; confortato anche dal pensiero che una scala al giorno allontana i malanni cardiaci, di cui non sente proprio il bisogno. Almeno, c'è chi così dice... e, visto che non ci sono da ingurgitare pillole, è buono crederci.
L'esterno della struttura giace in un paese che, col tempo e le costruzioni citate, da paesino piccino è divenuto paesino picciò, con una struttura di governo che tende e variare ad ogni tornata elettorale. Sovente i rinnovi amministrativi avvengono anzitempo: una volta sì e l'altra pure, sindaco o funzionari (o sindaco e funzionari) finiscono sotto indagine per cose fatte, ovvero per cose non fatte. È quella che viene definita normale amministrazione.
Questo preambolo si è reso necessario per meglio inquadrare il racconto delle vicende di Pinco. Tutta la descrizione geografica e politica gli era nota, ma non essendo residente in quella zona e frequentandola quasi esclusivamente per l'operazione di supporto ai suoi guai fisici, l'aveva sempre tenuta in non cale, affidando al buon senso (cioè al nulla) dei residenti l'eventuale soluzione dei problemi. Aggravatisi nel tempo a causa di congreghe malavitose, residuo di iniziali presenze estive.

Era la vigilia del suo compleanno, e si era recato alla farmacia territoriale per riportare del materiale avuto in eccesso nel corso degli anni precedenti. Aveva stipato tutto in un grosso scatolone, pesante di per sé, portabile solo per un breve tratto.
Passato il cancello d'entrata della struttura, aveva trovato la strada sgombra, una sola scala da salire, consegnare al banco la scatola e tornare alla vettura; nessun vigile all'orizzonte, la tentazione di parcheggiare sotto porta era stata troppo forte.
Per sicurezza aveva messo un cartello bene in vista sul cruscotto, in cui avvisava chi ne fosse interessato del motivo della sosta, anzi della fermata.
Era andato, il tempo di consegnare il pacco all'addetta, spiegandone il contenuto, ed era tornato alla vettura. Mentre si accingeva ad attraversare la strada era transitata la macchina dei vigili.
Nessun messaggino nel tergicristallo del lunotto né in quello del parabrezza. 
Aveva mormorato alla sua stessa mente un fantozziano "quanto è buono lei!" ed era rientrato, prendendo atto che anche i vigili hanno un cuore. 

Poco meno di due mesi dopo la postina aveva citofonato per posta da firmare.
Lettera verde, multa in arrivo. Una sanzione non è mai benvenuta, ancora meno quando si è nella convinzione di aver mai sgarrato dai regolamenti stradali.
Era il regalo per Natale dei vigili del paesino picciò. Pinco aveva sostato in zona vietata, non era stato possibile contestare direttamente per l'assenza del conducente, se paga entro 5 giorni... ecc. L'indirizzo era indicato col nome di una via, rimarcando che il numero civico corrispondeva all'asp ex ospedale.
Non aveva atteso tanto, si era messo subito al computer e aveva saldato il debito con pagamento online. Con non poca malavoglia, non tanto per l'importo quanto per la modalità della sua emissione.
Così, visto che c'era, aveva rilevato dal sito comunale l'indirizzo di posta elettronica del sindaco (apprendendo, tra l'altro, che indossava anche la veste di responsabile della polizia municipale: due piccioni con un unico messaggio) e aveva scritto una bella lettera, completa di tutto.
Me ne aveva dato copia, di cui ho censurato le parti sensibili, e che qui riporto para-para.




L'aveva inviata al recapito fornito e... respinta per "troppo pieno". Ingenuamente (parafrasi dolce di stupidamente) aveva pensato che la casella fosse troppo piena a causa degli auguri per Natale e per il nuovo anno; più avanti sicuramente sarebbe stata vuotata e il messaggio sarebbe giunto al destinatario o alla sua segreteria.
Era passato il tempo degli auguri, e la sua lettera rimaneva in frigo. Il farla pervenire era diventato chiodo fisso (agli anziani càpita, si intestardiscono su qualcosa che magari manco merita), così aveva rilevato l'indirizzo pec del protocollo comunale e aveva mandato la stessa copia andata persa nei meandri di un dialogare unilaterale.

(Inciso: esiste in Italia un ministero apposito che cura i rapporti tra la P.A. [Pubblica Amministrazione] e la variegata sudditanza, a capo del quale oggi impera un miniMinistro che a ogni pie' sospinto invita i suoi 'dipendenti e sodali' a un dialogo costante con i marrani in amministrazione controllata: e il risultato di questi inviti si vede, l'unico settore che segue le sue direttive pare sia l'Agenzia delle Entrate).

Tempo dopo, recatosi alla farmacia per il consueto prelievo di materiale, aveva raccontato all'addetta il fatto. Dispiaciuta, aveva però precisato che quei vigili non avevano tutte le colpe, poiché avevano rilevato l'infrazione tramite una fotocellula installata sulla vettura, per cui non avevano potuto notare la presenza del messaggio.
Pinco non aveva mai guardato i vari Grande Fratello, anzi li aveva sempre avuti in uggia, ritenendoli di una stupidità unica, creati per genti affette da un voyeurismo congenito; e il fatto che, a detta dei suoi promotori, siano visti da milioni di persone rende la cosa particolarmente preoccupante. Scuola orwelliana... E un emulo del Grande Fratello di Orwell lo aveva beccato nei pochi secondi di assenza dal luogo del presunto delitto. 
Era sembrata quasi una difesa dell'operato di quei 'bravi', quindi per attenuare il probabile impatto ulteriormente negativo su questi, gli aveva raccontato un episodio che aveva gettato benzina su un'ira già fiammante.
Dopo i famigerati VaffaDay, che tanti voti avevano portato da una parte consistente di elettorato (che tramite quei vaffa aveva convinto milioni di persone in buona fede che essi avrebbero governato con nuove capacità, con una giovinezza, con curricula prestigiosi e di sicuro stravolgimento nei modi di governare), quei Day erano stati adottati da un sacco di gente che in giornate di rivolta, anche violenta, dicevano NO a tutto lo scibile. Buon ultimo, a pandemia Covid avanzata, erano arrivati i sìCovidDay, delegati alla somministrazione di vaccini, a detta di alcuni salvavita, secondo altri assassini.
Uno dei siti scelti per tale operazione era stato proprio il poliambulatorio, utilizzabile nei giorni di chiusura del plesso, con tutte le precauzioni che i protocolli relativi prevedevano.
Come tutti sappiamo, il cittadino italiano aborre d'essere accusato di plagio. Ad esempio le file ordinate verso uffici pubblici in generale, così come rispettate in altri Paesi, di solito nordici, da noi non saranno mai imitate, proprio per il motivo che siamo dei creativi che magari copiano agli esami scolastici, copiano le mode degli abbigliamenti, comprano dai cinesi pur sapendo dei loro taroccamenti... ma sia mai che si rispetti un minimo di ordine in caso di assembramenti... Sarebbe plagio smaccato.
In un paesino picciò gli abitanti sono tutti imparentati o quantomeno conoscenti; immaginare un Covid Day ordinato sarebbe stato pura utopia. C'erano stati mesi di allontanamento fisico, per cui la materia del discorrere abbondava... e il tempo disponibile era limitato al raggiungimento del proprio turno di inoculazione. Inoltre una fila ordinata, rispettando la distanza, avrebbe potuto favorire l'altra malattia dell'italiano medio, quella di (tentare di) sorpassare chiunque sia davanti a sé; per portare a termine quel tentativo vale tutto: dall'acqua che bolle per il gettito della pasta, al funerale di un parente defunto che coincide con non più di mezz'ora di attesa per essere presente alla triste funzione. Ogni tanto spunta pure il mitico "lei non sa chi sono io", che peraltro l'esperienza sommerge con un mare di pernacchie...
In servizio c'erano i volontari della Croce Rossa, quelli della Protezione Civile, altri vari ed eventuali: tutti con compiti precisi, chi addetto alla compilazione della modulistica, chi alla verifica delle prenotazioni, chi al controllo medico, chi alle iniezioni.
A regolare il flusso, a invitare al rispetto delle distanze, a chiedere di mettere la sordina alle chiacchiere con toni troppo elevati erano solo un paio di addetti in tuta rossa, impotenti davanti a un gruppo di persone festanti... tutti gli inviti erano accolti per qualche minuto e poi erano da rinnovare.
Fortunatamente erano presenti due agenti della polizia municipale ed era stato chiesto il loro intervento per mettere un po' di ordine e placare una confusione che, tra l'altro, rallentava le operazioni vaccinatorie.
"Noi non siamo tenuti ad eseguire operazioni di ordine pubblico", avevano risposto.

E qui le mascelle inferiori già cadenti per l'età, quella di Pinco e poi la mia, avevano finito per frenare all'altezza dei rispettivi ombelichi prima di frantumarsi al suolo. Senza parole... Forse i due erano presenti solo per sanzionare quei pedoni che avessero sostato nella sede stradale ignorando il divieto? O per documentare la presenza in loco e percepire un giusto straordinario?

Ricordo, in lontana gioventù, la festa del 6 gennaio, che non era solo la festa della Befana, ma altresì era giornata dedicata alle polizie municipali. Ricordo i panettoni e le bottiglie e quant'altro ammucchiati intorno alle pedane a centro dei quadrivi cittadini. Avevo sognato di diventare un giorno vigile urbano, solo per potermi abbuffare di quel bendidio in un giorno di festa che a me non regalava neanche la calza vuota. Altri tempi, altri vigili, altri costumi...

martedì 1 febbraio 2022

Oggi... ieri

Oggi è oggi, 1° di febbraio, anno domini 2022.
Ieri è un giorno ormai lontano, nel tempo ma non nel ricordo.
Era domenica, una bella giornata, come oggi lo è, e ci eravamo portati all'altare per dire un sì che sarebbe durato... non ci importava quanto sarebbe durato: era un oggi importante, che speravamo sarebbe stato un oggi permanente.
"Finché morte non vi separi", aveva detto il prete, che di lei sapeva abbastanza per ritenere che non sarebbe stata la morte a separarci. L'aveva a suo tempo battezzata, cresimata, aveva cercato di domare una ragazzina recalcitrante alla partecipazione alle funzioni, alle preghiere... alle confessioni.
Era stata la prima in assoluto a indossare i pantaloni in un paesino in cui le braghe erano esclusività maschile. Con il contorno ancestrale di un dominio maschile che tranciava ogni discussione, i suoi pantaloni erano apparsi come un gesto di ribellione a un patriarcato che imperava. 
E anche il prete se ne era stizzito, pur se, all'epoca, lui ancora indossava la sottana. 
Di me, il prete, sapeva nulla; nel silenzio della sua mente, forse, mi riteneva un povero tapino che non aveva idea di quello che, con quel sì, si andava a sobbarcare.
Non poteva sapere che non avevo mai avuto una famiglia mia, non poteva sapere che ho la testa di un ciuco... non poteva sapere quanta fame avessi di un calore umano, di una compagnia che non fosse di lavoro o di amicizie. 
Lui, il prete, forse non aveva idea di quanto il mio corpo avesse bisogno di amore.
O, forse, lo sapeva... almeno per le solite voci che circolano tra le beghine dei piccoli paesi, magari calunniose, magari veritiere. Ma se anche fosse stato, se per lui il sapore della carne era un cadere in tentazione e poi autoassolversi, il mio desiderio non era più tentazione temporanea ma impegno per la vita. 
E per la morte, quando questa avesse bussato alla nostra porta.

Oggi si sono compiuti cinquantadue anni da quel sì.
Cinquantaquattro dal nostro primo incontro; per due anni eravamo stati uniti, ci eravamo spiati a vicenda, alla ricerca di eventuali falle, di qualche eventuale vermetto potesse esserci in ciascuna delle due parti della mela che si stavano unendo.
Ne sono passati sette da quando ho perso il suo corpo, ne sono passati undici da quando avevo perso la sua mente.
Nei primi cinque anni della sua assenza, che mi piace ancora pensare apparente, mi ero reso conto di amarla come, forse, mai l'avevo amata nei quarantadue precedenti. 
Ancora oggi credo che in quelli di matrimonio ("in salute e in malattia", aveva detto il prete), fossi stato innamorato del suo corpo; in quelli della sua distrazione mentale, quando non poteva più darmi il suo corpo, mi aveva donato la sua essenza, il suo cuore.
Non ho potuto vederla da morta, mi ero trovato inguaiato in un accidente che faceva pensare che l'avrei preceduta in quell'ignoto Aldilà che ci si ostina a definire "miglior vita". Non ho mai rimpianto quell'ultima mancata visita: sapevo di un corpo devastato dalla lenta agonia che era stata suo abito per tutto il periodo precedente la morte. Meglio così: sovente la sogno, e me la ritrovo in ogni sogno, quando sorridente e quando corrucciata. In uno di quei sogni l'ho persino menata, e non con un fiore... sicuramente solo in sogno poteva provocarmi al punto di spingermi a farlo. 
In vita non mi ero permesso neanche una pacca sul sedere...

Stamattina sono salito al cimitero, con un tempo che prometteva pioggia. Un vento freddo mi aveva tenuto compagnia, poi, nel corso della giornata si è schiarito e nel pomeriggio si era soleggiato.
Avevo colto un fiore in giardino, ma solo per non presentarmi a mani vuote. Lei, che per una decina di anni era stata anche fioraia, sapeva benissimo dell'inutilità di queste offerte floreali.
Ci siamo parlati... veramente io solo ho parlato, ma sono certo che lei mi ha sentito e ascoltato.
La sua immagine ha un sorriso canzonatorio, ogni volta che la vado a trovare mi sembra di sentirla: 
"Guarda che ti sto aspettando, ricorda che hai già prenotato la cameretta sopra di me, fai in modo che il tempo della concessione non abbia a scadere... Ma se anche fosse, ti verrò a cercare dovunque tu vada a depositare le tue vecchie ossa. Il prete, buonanima pure lui, aveva limitato il periodo della nostra unione al 'finché morte non vi separi', ma non poteva sapere che noi siamo uniti per sempre. La morte non ci ha separati, ci tiene uniti, in stanze diverse ma nella stessa casa. Fai con comodo, io ti aspetto...".