martedì 18 giugno 2013

Fortuna e sfiga

La fortuna è cieca assoluta da quando è nata,
non ha  bastone bianco né lupo d'accompagno,
sta immobile, in attesa che ci si sbatta contro;
inutile cercarla, è provato che non esiste.
La sfiga ci vede benissimo, esiste eccome!,
e non aspetta che tu le vada incontro:
ti cerca, e quando ti trova non ti molla più,
fino a quando non alzi bandiera bianca.


sabato 1 giugno 2013

Burocrazia: gioca 44


Non sono un esperto del gioco del lotto, pertanto ciò che vado a scrivere va preso con beneficio d’inventario.
Un numero singolo, tipo quello citato nel titolo, puntato da solo si dice “ambata”; è da quando ho saputo dell’esistenza di questa fregatura venduta come “gioco” che mi chiedo perché un numero solitario sia definito ambata, divenendo “ambo” quando al single si aggiunge un compagno.

Dopodiché tutto procede con la sequenza progressiva della buona aritmetica: terno, quaterna, cinquina; che è il top della giocata, soprattutto se si vince.
Il mio primo incontro con questo “sport” risale a un accadimento drammatico avvenuto dalle parti di Cuneo (tra l’altro una città a me molto cara) molti, ma veramente molti, anni fa.
Non deve stupire che i numeri da giocare nascano il più delle volte da fatti tragici, avvenimenti eccezionali o da sogni, di solito con defunti che si materializzano “dando i numeri”, non nel senso metaforico della pazzia improvvisa ma fornendo direttamente quei segnetti, che dell’arabo sono l’unica cosa che conosciamo (a parte la Bonino che, non paga dei numeri noti ai comuni mortali, è andata sul loro posto natìo per imparare qualche parola alternativa al politichese nostrano imperante, a malapena oscurato dal parlare forbito di recenti neonati movimenti).
I numeri su quanto successo in quell’occasione non li avevo elaborati di persona (allora ne capivo una beneamata cippa di ‘ste cose, adesso invece… pure); li avevo ricevuti da un’esperta, che mi aveva garantito la vincita, purché li avessi giocati per almeno tre volte.
Detto-fatto, mi ero presentato in ricevitoria (un bugigattolo, poco più che un sottoscala, fiocamente illuminato, una specie di antro, con uno stretto banconcino dietro il quale stazionava una befana, con naso adunco e occhi grifagni; da allora, pensando o parlando di Fisco, ne abbìno l’ipotetica sua figura a quella di questa megera, in ciò confortato da tutte le caricature satiriche che ancora meglio lo descrivono), avevo esposto i miei numeri, la ‘personcina’ li aveva scritti a mano su una sottile strisciolina di carta verdognola…
“Su quale ruota?”.
“Cuneo”.
“Non esiste una ruota su Cuneo”.
Allora non ero sboccato come adesso (lo sono un pochino oggi, per adeguarmi al parlare quotidiano), ma sono certo che avrò pensato “Cazzo!”, come rafforzativo al disappunto per una notizia inattesa, di quelle che tagliano da subito le gambe a una prospettiva di gioco vincente.
Che allora sarebbe pure stata espressione originale, visto che  i vocabolari del tempo non la riportavano; a malapena questi, e  neanche tutti, citavano “Pene”, senza allargarsi più di tanto: organo di riproduzione maschile. Punto.
Una breve ricerca su alcuni di quelli in mio possesso, mi porta a scoprire che in uno del 1936 e in un altro del 1965, quel termine non compare. Figuriamoci “cazzo”…
Per curiosità, cercando il suo contrapposto fisico, alla voce “Vagìna” ho trovato, su quello del ’36: “in anat. Vagìna si usa a significare il canale che conduce all’Utero”; quello del ’65 è più esplicito: “Guaìna, fodero; tegumento (citando poi, di Dante: “la vagina delle membra sue”, riferito allo spellamento di Marsia da parte di Apollo). Punto, anche qui.
Provate a immaginare, in tempi più attuali, un De Falco che urla (incazzatissimo) a Schettino: “Torni subito a bordo, pene!”.
Peraltro, se  mai mi fosse sfuggito di bocca, ho il dubbio che la strega, certamente più esperta di me in quel campo specifico, più che esserne scandalizzata, mi avrebbe annunciato che:
“No, neanche la ruota sul Cazzo esiste… le ruote sono dieci, le vede lì appese al muro, su quale di quelle metto ‘sti numeri?”.
Un po’ scornacchiato, non ricordo su quale di quelle esposte li avevo puntati.
Come buon inizio di incoraggiamento non avevo vinto, in uscita manco un numero.
E sono certissimo che se ci fosse stata la ruota di Cuneo qualche soldino lo avrei portato a casa.
Va da sé che le altre due giocate non le avevo più fatte.
All'epoca le estrazioni avvenivano in ciascuna delle dieci città onorate del titolo di "ruota", e ricordo che venivano trasmesse in diretta televisiva, con affollamenti esterni in attesa fuori dalle singole sedi cittadine, con il ragazzino/ragazzina con gli occhi bendati che estraeva la pallina dall'urna a rete, ovalizzante ellittica, seguita dal passamano della biglia tra i funzionari schierati dietro il tavolone, fino alla fatidica esposizione del numero estratto, con l'urlo di gioia o delusione degli (a)spettatori.


Adesso i “giochi”, tutti quelli di questo genere, sono diventati in molti casi l’ultima ratio, talvolta troppo sovente prima di un suicidio.
Laddove l’articolo 1 della Costituzione ormai si basa su tutto meno che sul lavoro, una “Repubblica fondata sul gioco (d’azzardo)” farebbe la sua sporca bella figura.
Non avevo pensato di fare un post esplicito sul gioco del lotto, ma un fatterello ha stuzzicato il parto, consentendomi di porgere a quanti interessati un altro numerino da abbinare al già citato 44.
Da giocare per tre volte consecutive, su una ruota a piacere.

Questo è il post vero: 32 da giocare


Credo che tutti, chi più chi meno, più volte nella vita abbiamo avuto a che fare con la burocrazia.
(S)parlarne è come sparare sulla benemerita Croce Rossa.
Questa fantomatica signora esiste in almeno due versioni: quella plateale, fatta di muri e di paletti che ostacolano lo sviluppo di ogni settore della vita, bloccando nei suoi iter farraginosi un procedere lineare e sereno; di per sé già notoriamente stupida e incomprensibile, i burocratizzati ci mettono del proprio per renderla più personalizzata.
Esiste poi una burocrazia becera, sviluppata di solito a livello locale, ciliegina su una torta fatta di citazioni e riferimenti che fanno comodo solo a chi vuole che la semplicità sia ulteriormente nascosta o manipolata.
Di quest’ultima forma qui vado a raccontare.
Trentadue, trentadue anni…
Da quando mi sono trasferito qui, dove tutt’ora abito, sono passati trentadue anni.
Da allora, stesso mare, che guardo ogni mattina sorseggiando il primo caffè della giornata; stesso cielo; stesso giardino, variegato dai colori stagionali…
Stessa casa: qui hanno chiuso gli occhi sia mio suocero prima che mia suocera poi, quando la loro residenza è stata trasferita definitivamente nei mini alloggi comunali, recintati e rallegrati da piccoli vasetti di fiori e, la notte, da tante lucine tremolanti.
La mia famigliola ed io sono trentadue anni che abbiano qui la residenza; non abbiamo casa al mare poiché già ci siamo, non l’abbiamo ai monti accontentandoci del precollinare su cui la casa è costruita.
Luce, gas, acqua, allacci fognari, recapiti postali… tutto a posto, da appena arrivati qui.
Isi (la madre primaria di una vituperata tassa), Ici, Imu: tutto in regola, arrotondati al centesimo.
Fiscalmente siamo in una botte di ferro.
Ricevo una lettera (gialla) dal Comune: datata 03/05/2013, busta timbrata in posta il 16 di questo mese, infilata nella mia cassetta il 25, sempre di questo maggio.
Una tale celerità mi ha fatto subito pensare a qualche comunicazione importante e sicuramente sgradevole.
Infatti.
Cito, letteralmente, rispettando le maiuscole, le espressioni e la punteggiatura:

«Oggetto: censimento 2011
Se non vi presentate a chiarire la vostra posizione, sarete cancellati per irreperibilità.
(Ari-ri-omissis), 03/05/2013
L’Ufficiale d’Anagrafe»

Bene, à la guerre comme à la guerre.
Pertanto mi sono armato (di tutte le carte del censimento citato, comprensive di ricevuta dell’inoltro e di una lettera di un’aiutatrice alla compilazione, nella quale dichiarava di essersi recata al mio domicilio per aiutarmi, appunto, nella compilazione dei fascicoli censuari; mai vista) e sono andato in Comune.
Sportello, stranamente libero da code (forse uno dei motivi per cui non smette di piovere e ogni tanto tempesta pure):
“Ho ricevuto questa lettera…”.
Mimma, c’è un signore per il censimento…”.
Mimma (forse Domenica, anche se era lunedì, capa del dipartimento), da un ufficio all’interno:
Venga di qua”.
Per l’ufficio, a sinistra, prima porta a destra.
Faccio vedere la lettera, e mi appresto a sciorinare la lenzuolata delle dichiarazioni a suo tempo rilasciate per essere regolarmente censito…
No, non è necessario, è sufficiente che mi faccia una dichiarazione, in foglio di carta semplice, in cui dichiara di essere residente in questo Comune”.
Avrei voluto mettere in mostra un’espressione intelligente, quella di uno che ha capito al volo; credo invece che mi sia uscita una faccia da piciu, da scemo, poiché ha ritenuto di ripetermi una seconda volta il messaggio.
A casa ho battuto su Word la dicitura richiesta (il sottoscritto, nome, cognome, data e luogo di nascita, codice fiscale “dichiara di essere residente in questo Comune”, via, numero civico e, mi son voluto rovinare, ho aggiunto anche i distinti saluti, che l’Ufficio Anagrafe aveva trascurato) e son tornato a portare questa solenne pomposa dichiarazione.
L’avesse letta, avesse dato almeno uno sguardo per vedere se corrispondeva a quanto da lei desiato, sarei uscito da quel manicomio parzialmente appagato.
Manco pù cazz, neanche quello.
Ah, bene, finisco qui (al computer, giurerei che si stava facendo un solitario di carte) e metto a posto”.
La burocrazia, se non ci fosse bisognerebbe inventarla, tanto è divertente.
E se, con questi chiari di luna, finisce il divertimento, significa che siamo prossimi alla fine.
Lo so, lo so, ci siamo lo stesso, ma farlo sghignazzando colora d’arcobaleno questo periodo, che oltre al grigio offre soltanto il nero.


Nota finale: il numero 44 suggerito non corrisponde in cabala alla burocrazia, ma alla voce Assurdità; credo sia il minimo dovuto.

martedì 7 maggio 2013

Giro d'Italia: spiccioli di ricordi

È iniziato sabato il 96° Giro ciclistico d'Italia, e viene spontanea una scrollatina ai ricordi di un passato lontano, pur se non ancora remoto.
Voglio raccontare un paio di episodi, legati a due Giri diversi, minuscoli frammenti di un mondo sportivo un tempo epico e oggi anch'esso tecnologizzato.
Per introdurli ho pensato di mettere un'immagine, che nella sua semplicità antica li accomuna entrambi.

La carbonaia: fumi verso il cielo, non trattenuti 
1986: 69° Giro d'Italia
Qualunque fatto sia accaduto nel corso di quel Giro, è stato, per così dire,
cancellato da un evento tragico, che fin dalla prima tappa lo ha segnato come quantomeno sfortunato.
Proprio in quella prima tappa, la Palermo-Sciacca, che il giorno avanti aveva visto il prologo a cronometro su Palermo, un ragazzo, il 22enne Ravasio, era stato coinvolto in una caduta, si era rialzato, era risalito in sella alla sua bici e aveva terminato il percorso di quella tappa...
Sembrava una caduta come tante altre, risoltasi per il meglio, invece poco dopo era entrato in coma: lo sconforto, che aveva colpito la carovana, era mitigato dalla speranza di un suo prossimo risveglio.
Le tappe successive erano state come ricoperte da un leggero velo di speranza, che verso fine mese si era tramutato in un pesante lenzuolo, sudario di un giovane che aveva concluso in maniera brutale l'ultima tappa della sua vita.

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E ancora sotto quel velo di speranza il 15 maggio si era svolta la quarta tappa, la Villa San Giovanni-Nicotera, su un percorso prettamente marino.

Nicotera, borgo antico
L'attesa dei "girini" provenienti da Villa San Giovanni, a parte le bandierine, la gente vociante, i cappellini e tutto il colore che da sempre accompagna e segue questa manifestazione, era concentrata sulla strada del percorso di arrivo.
Perfettamente asfaltata.
Da pochi giorni.
Forse troppo pochi, per sopportare il sole cocente di quel giorno, insolito anche per quel paese del sud mediterraneo e nettamente superiore a quelle che i meteorologi definiscono "medie stagionali", e che faceva letteralmente sciogliere il manto di bitume.
L'interesse, in quella situazione, andava alle moto della carovana, soprattutto quelle della RAI, che erano delle monovolume su due ruote, con nella parte posteriore delle specie di armadietti contenenti i "ferri del mestiere" dei cineoperatori, e quelle del servizio d'ordine, addetti alla chiusura degli accessi al percorso, posteggiati a bordo strada: si trattava di stabilire quale dei cavalletti che le tenevano diritte sarebbe sprofondato per primo nell'asfalto quasi liquido, facendole coricare sulla destra o sulla sinistra.
Le imprecazioni dei titolari di quei mezzi non erano sufficienti a impedirne l'abbattimento.
Per chi guardava, un divertimento, innocuo e gratuito.
Nel pomeriggio, al seguito televisivo della carovana, era arrivato Gino (per alcuni Ginetto, per altri Ginettaccio) Bartali, che aveva preso possesso di un bungalow all'interno di un grande complesso turistico, aperto in anticipo per consentire il ricovero dei numerosi gruppi che operavano, chi direttamente come i ciclisti, chi come supporto tecnico e chi per la pubblicità.
Foto di repertorio, interno villaggio turistico
Premessa, per chi non lo ha conosciuto direttamente o solo per sentito dire: Bartali era un personaggio colorito, vivace, il suo "l'è tutto da rifare" è passato alla storia del ciclismo, poi esteso un po' a tutte le attività a cui metteva mano.
Era, altresì, un personaggio notoriamente pio e devoto: il distintivo che portava al bavero sinistro della giacca, che recitava AC non significava Automobil Club, ma Azione Cattolica; non ne sono certissimo, ma mi pare fosse anche terziario francescano, seguace di quel Francesco di Assisi che della povertà e dell'amore aveva fatto suo abito.
Amore per le persone, ma anche per gli animali.
Non per niente questo santo è considerato loro protettore, in generale (poi ci sono le varie specialistiche, per i cani come per i criceti e via via tutti gli altri, lupi compresi).
È anche santo protettore dell'Italia, con scelta, a ben guardare, affatto casuale.
Tornando al nostro Gino, sistemati i doveri di critica televisiva per cui era retribuito, si era ritirato nel suo ricovero per un riposino e per le pulizie personali, in attesa della cena.
Avevo visitato quella struttura in anni precedenti, ma nella cosiddetta alta stagione, e la ricordavo come una delle migliori in zona, come alloggiamento, ristorazione e attrattive varie.
L'anticipo, assolutamente fuori stagione, forse aveva fatto leggermente trascurare un suo riordino perfetto.
Alla presa d'atto diretta di una situazione fuori del normale era dovuta l'uscita furibonda di Gino dal suo nido provvisorio.
Le orecchie e le nari fumavano come (detto in apertura del post) una carbonaia.
La bocca non fumava.
La bocca, da buon toscano devotamente pio, dialogava "amichevolmente" col Padreterno, per esporgli il suo disagio di fronte ad alcuni insetti trovati nella stanza,  usciti in perlustrazione sentita la novità del movimento umano così fuori stagione.
Francescano, ergo amante anche degli animali, avrebbe dovuto esserlo, tra questi, anche degli insetti.
Che poi, in fondo, si trattava di alcuni scarafaggini e di qualche ragnetto...
Teoricamente, non la fine del mondo.
È pur vero che gli scarafaggi sembravano tartarughine, quelle graziose bestiole verdastre ospitate negli acquari casalinghi; però in abito da sera, neri.
Quanto ai ragni erano palline da ping-pong, con ventri lucidi, zampotte pelose e occhietti maligni; neri pure questi, tanto per non sfigurare nei confronti degli altri coinquilini.
Aveva raccontato la scoperta a chiunque gli era capitato a tiro, insultando senza ritegno i responsabili, fino a quando l'Organizzazione gli aveva trovato un posto decente in cui andare a riposare.
A circa quaranta chilometri, forse per non sentirlo più 'dialogare'.
All'indomani raccontava ancora l'accaduto, enfatizzandolo come si fosse trattato di un safari africano. 
Per la cronaca: tappa a Gibi Baronchelli, Giro a Visentini.

1990: 73° Giro d'Italia
Giro caratterizzato dall'impresa di Bugno, maglia rosa dalla prima all'ultima tappa.
La prima, il 18 maggio, era stata una cronometro Bari-Bari, con un percorso breve da ripetere non ricordo più quante volte.
Bari, Teatro Piccinni
Partenza nel rettilineo lungo il Teatro Piccinni, proseguendo poi sul lungomare con ripasso e arrivo finale allo stesso punto dello start iniziale.
La cronaca della tappa è marginale, comunque Bugno aveva già messo la sua impronta, vincendola alla grande.
Il giorno precedente, i ciclisti avevano fatto una sgambata di riscaldamento, e, al rientro nei rispettivi alberghi, si erano sottoposti alle carezze dei massaggiatori, per far rilassare i muscoli delle gambe e tonificarli.
Per chi, senza essere atleta del settore, si trovava a condividere l'albergo, era stato un bagno turco di fumi canforati, che si erano insinuati in ogni pertugio del complesso.
La cena era stata impregnata da questi odori, alterando i sapori dei cibi e delle bevande
Anche per 'tentare' di allontanarsi da quegli effluvi, ci eravamo adagiati sulle poltroncine all'esterno, di fronte al cancello d'entrata e alle cancellate di recinzione; una vasca con pesci rossi e fiori di loto a rallegrare la vista, un whisky con ghiaccio a rinfrescare il palato e mitigare la calura della sera.
Non posso parlare del silenzio della notte, che pure darebbe un tocco di poesia al racconto, poiché la caciara che facevano gli atleti e i loro manutentori sopprimeva il piacere della pace serotina.
A un certo punto, però, il silenzio era calato improvviso, costretto dal rumore di botti in sequenza, all'inizio attribuiti a fuochi d'artificio, prima di abbinarli alle sirene e ai lampeggianti delle auto dei carabinieri, in transito proprio davanti al nostro albergo, lanciate in un furioso inseguimento...
Calato il silenzio, eravamo usciti sulla strada, parlottando sottovoce, forse nell'inconscio tentativo di non farsi intercettare da eventuali cecchini appostati chissà dove nel buio.
Qua e là in terra bossoli di proiettili.
Li stavamo raccogliendo, quasi a farne souvenir, quando erano arrivate alcune auto dei militi che andavano raccogliendo quei reperti; avevano insistito acché chi li aveva raccolti li restituisse.
Senza spiegazioni.
Chi sparasse, e a chi, contavamo di apprenderlo dai giornali l'indomani mattina.
Niente, forse per non turbare il giorno d'inizio del Giro il fatto risultava come non avvenuto. 
Della nostra strizza non era fregato a nessuno.

Bari antica
Nella marea di giornalisti al seguito del Giro, spiccava Candido Cannavò, direttore della Gazzetta organizzatrice dell'evento.
Nel corso della mia vita, discretamente lunga senza essere (per adesso) matusalemmica, ho conosciuto due sole persone nomate Candido.
Una, di vecchia data, stava a Torino, e scriveva i nastri per le corone e cuscini mortuari. La sua caratteristica principale era il perenne mal di stomaco, sicuramente dovuto all'aspirazione costante degli inchiostri usati nel suo lavoro.
L'altro Candido conosciuto è il già citato Cannavò.
Al suo rientro in albergo, in tarda serata (o piena notte che dir si voglia), aveva fatto segnare la "comanda" per la mattina successiva: con la colazione aveva richiesto il Corriere e la Gazzetta.
Che, al mattino, erano stati puntualmente recapitati in camera.
Era sceso furibondo (rif. la carbonaia all'inizio), accusando tutti di lesa maestà, poiché il Corriere e la Gazzetta propinatigli non erano quelli da lui ordinati.
A Bari, e generalmente in tutta la Puglia, chiedendo, in edicola come in albergo, la Gazzetta, questa è intesa come quella del Mezzogiorno; e chiedendo, ancora genericamente, il Corriere, nelle stesse zone è percepito come dello Sport.
Forse non tanto quella Gazzetta quanto "quel" Corriere, il buon Candido lo aveva letto come uno sfottò, diretto specificamente al direttore del primo quotidiano sportivo nazionale; per di più in un città da giorni tappezzata di rosa, con il logo stampato in ogni dove, meno che in cielo.
Anche lui, come Gino nel precedente, si era vivacemente alterato, insultando 'dolcemente' la direzione dell'albergo, gli addetti della reception e coinvolgendo nel fatto offensivo anche l'ufficio che lì lo aveva prenotato.
C'era voluto del bello e del buono per convincerlo che si era trattato solo di un qui-pro-quo che non intendeva sfottere la sua persona.
E non sono sicuro che sia poi partito da Bari soddisfatto della spiegazione.

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Sia Gino che Candido se ne sono andati, dopo aver vissuto i loro sogni, dopo averli raccontati, presumibilmente realizzati raggiungendo la fama, ciascuno nel proprio campo; e ciascuno concludendo fino alla fine il proprio Giro della vita. 
Ma, alla fine del post, il pensiero va ad Emilio, quel ragazzo di ventidue anni di cui non si sapranno mai né i sogni, né le aspirazioni, né il seguito di una vita, appena iniziata e subito finita.

2013: 96° Giro d'Italia

Oggi, 7 maggio, dalle 12 alle 12,30:

Sette in fuga
Il gruppo all'inseguimento

Fine post, buona serata a tutti

giovedì 2 maggio 2013

C'è chi semina e c'è chi raccoglie

Ingrandire con le opzioni,
se lo faccio io esco dal blog.
Ho scoperto che è sufficiente cliccare sulla foto 
per portarla a livello di lettura

martedì 30 aprile 2013

Affinché Primo Maggio sia

Francesco (che sono costretto a cognomizzare vista l'inflazione di questo nome) Zaffuto ha formulato sul suo blog una proposta per limitare i danni che la mancanza di lavoro sta provocando a livello nazionale, con particolare riguardo ai giovani e alle donne. 
Il fatto che nel governo testé nato siano stati inseriti questi e quelle non deve trarre in inganno: quando si parla di lavoro non si intende «quel» lavoro, che ha avuto una sua passata dignità, ma oggi ancora tutta da dimostrare.
Quando si parla di "lavoro" si intende quello che una volta era indicato come «guadagnarsi il pane» (anzi, ricordo che un noto personaggio aveva aggiunto «col sudore della fronte»), cioè quel tipo di lavoro che consenta di vivere dignitosamente e di programmare almeno un minimo di futuro.
Altri blogger hanno pubblicato questo post, ma valendo più che mai il "ripetere giova", aderisco volentieri all'iniziativa.
Pur ritenendola, Francesco lo sa, più che un sogno un'utopia.

A partire dal 1 maggio 2013

Ai fini dell’applicazione dell’art. 1 della Costituzione italiana sono istituite presso i centri di impiego regionali e provinciali le liste di collocamento al lavoro con carattere obbligatorio e pubblico.

 Ogni cittadino in condizione di disoccupazione e che cerca con urgenza un’occupazione può iscriversi a seconda delle sue capacità professionali alle liste di collocamento e come minimo a tre tipologie di mansioni.

 Tutte le ditte private che assumono sono obbligate ad assumere tramite le liste di collocamento pubbliche per almeno il 70% delle assunzioni, sia per le assunzioni a tempo indeterminato e sia per le assunzioni a tempo determinato. Tutti gli organismi pubblici sono obbligati ad assumere tramite dette liste per il 100% delle assunzioni a tempo indeterminato e determinato, tranne per i posti soggetti a concorso pubblico.

 Tutte le ditte private che dimostrano di assumere per il 70% tramite le liste di collocamento pubbliche potranno detrarre gli emolumenti corrisposti a questi lavoratori dalla base imponibile IRAP.

Le assunzione avverranno sulla base delle seguenti priorità: carichi di famiglia e precedenza per maggior tempo di attesa in collocamento.

 Durante il tempo di attesa verrà riconosciuta una indennità di disponibilità al lavoro di 20 euro al giorno a carico dello Stato  esente da ogni tassazione e tributo. Ai fini previdenziali e pensionistici i periodi di permanenza di iscrizione alle liste di collocamento sono riconosciuti come lavoro effettivo.

 Il centro di impiego comunicherà al lavoratore in disponibilità il primo lavoro disponibile e il lavoratore sarà obbligato a prendere servizio. La mancata presa di servizio viene a comportare la cancellazione dalle liste per mesi tre e la sospensione dell’indennità per lo stesso periodo.

 Durante il periodo di permanenza in disponibilità i Comuni possono utilizzare gli iscritti alle liste per lavori socialmente utili. In tal caso i comuni provvederanno a pagare al lavoratore altri 20 euro per l’effettiva utilizzazione giornaliera.

 Ai fini del finanziamento di questi dispositivi vengono sospese tutte le pensioni superiori a 5.000 euro netti mensili e tutti gli emolumenti pubblici non potranno superare tale riferimento; e in caso di mancata capienza si farà riferimento alla fiscalità ordinaria proporzionale e progressiva.


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E FATELO ARRIVARE  A SINDACALISTI E POLITICI

venerdì 26 aprile 2013

Napolitano non dixit


Il discorso di Napolitano, rivolto alle Camere riunite, sottotitolato per i non udenti.
Ho un televisore vecchio, forse è per quello che nelle riprese andate in onda questi sottotitoli non si sono visti.
Comunque ho l'impressione che lì ad ascoltarlo ci fosse una folta rappresentanza dei non udenti d'Italia.

domenica 21 aprile 2013

Passato, presente, futuro, bacio

passato
Presente
Futuro
Un bacio al volo a chi se ne va

lunedì 15 aprile 2013

Sinfonia del 730/13



Francesco (in barba alla privacy, con l’inflazione dei Franceschi che c’è in giro, devo aggiungere il cognome) Zaffuto, nel suo blog politico-economico-indignados  La Crisi 2009 ha iniziato da par suo la descrizione dell’odissea per la compilazione del 730/13; è alla seconda puntata, e ha già ben descritto alcune novità di questo modello, che anno dopo anno sta diventando sempre più stellare.
Per la gioia dei pensionati non-baby, ossia con qualche annetto e poco-nulle competenze webbaiole (i baby-pensionati non hanno problemi, nella capacità di gestione web sono quasi alla pari dei baby-prodigio delle scuole materne), l’Inps (in crisi economica, forse prossimo al fallimento) ha deciso d’amblé di non mandare più i Cud ai propri “clienti”; annullando il suo cartaceo pare che ottenga un risparmio, non quantificabile dai non addetti, ma sicuramente consistente.
L’operazione segue quella della cancellazione dell’ invio del modello ObisM, che inizio anno avrebbe dovuto comunicare ai pensionati la situazione previsionale retributiva per il 2013.
Annullati: senza se, senza ma e senza beh.
Peraltro i dati relativi, dei Cud e dell’ObisM, sono reperibili via internet; chi possiede un pc, e lo sa manovrare, si fa carico della ricerca dei file d’interesse e della stampa in cartaceo, da consegnare con gli altri documenti per la compilazione del 730 o per la richiesta del modello Isee aggiornato.
Semplice, no?
L’Inps risparmia, e questo è il lato positivo delle sue operazioni.
Il cittadino (facciamo finta, ma solo in questa occasione, che anche il pensionato sia un cittadino), soprattutto se negato, per limiti fisici o chiusura mentale verso questi aggeggi, si ritrova a girare in tondo alla ricerca di qualche anima buona che gli fornisca questi documenti, raramente a costo zero.
Siamo a metà aprile e alzi la mano chi non ha già dato uno sguardo veloce alle istruzioni per la compilazione del 730 o di Unico.
Tra le altre novità l’occhio mi è caduto, alla voce “deducibilità”, sul SSN, compreso nelle assicurazioni RCA dei veicoli a motore.
Fino all'anno scorso questa tassa, regolarmente segnalata distintamente nelle polizze, era deducibile, per intero, dal reddito imponibile, concorrendo, nel suo piccolo, a ridurre la tassazione lorda.
Da quest’anno la deducibilità è ammessa per le cifre superiori a 40 euro.
Di fatto escludendo del tutto dal (piccolo) beneficio tutti i veicoli di piccola/media cilindrata e, parzialmente, quelli di classe superiore, che peraltro mantengono ancora una bella fetta deducibile; chi possiede più mezzi, ovvero più lussuosi, può ancora tagliare l’imponibile, riducendo l’imposta.
Ossia la franchigia già in atto per le spese sanitarie (peraltro previste come detrazione al 19%, quindi operante sulla tassa) è stata estesa al SSN polizze auto.
Al di là del fatto che non ho mai capito la coerenza tra l’applicazione di una tassa su un documento (la polizza) e il rimborso su un altro (il 730), quando, anche per calmierare i costi assicurativi ormai alle stelle, sarebbe stato più semplice eliminarla direttamente dalle polizze.
Se questa tassa è indirizzata alla copertura degli interventi sanitari sui sinistri della strada, il suo rimborso integrale (o con franchigia da quest’anno), ingenuamente mi fa pensare che gli incidenti stradali con danni fisici più o meno gravi siano (miracolosamente?) cessati, e lo Stato, agendo come sempre con lo spirito del buon padre di famiglia, restituisca una tassa che, in queste condizioni positive, non ha più motivo d’essere.
Si tratta, chiaramente di una fesseria,  a livello prettamente monetario, quella della franchigia di 40 euro.
Ma di fesserie è piena l’economia, anzi proprio le fesserie sono il suo miglior carburante.
Questa “fesseria” consentirà all’erario un risparmio, pronta cassa, quasi senza colpo ferire, di un rimborso intorno ai due miliardi di euro, che non sono cifra astronomica se confrontata con gli altri triliardi buttati al vento, ma neanche possono essere definiti bruscolini o lupini o noccioline...
Al dunque: l’Inps risparmia, lo Stato risparmia…
Quindi, visto che:
                                l’Inps, ente astratto, siamo noi,
                                lo Stato, ente astratto,  siamo noi,
è chiaro che chi risparmia, in fondo, siamo sempre noi cittadini.
Deduzione facile, con una sua logica, ma stranamente un po' difficile da digerire.
Nel frattempo i risparmi e i tagli che i cittadini si aspettavano, continuano a vagare nell’alto dei cieli, poiché chi li dovrebbe mettere in atto gioca a rimpiattino, pur di non fare quello per cui, principalmente stavolta, è stato votato.
Buon 730 a tutti. 

mercoledì 3 aprile 2013

Ricordo pasqualino

Un suspir

E piôv a zil ròt e l’aqua la s’insteca
stra i còp slabré e zò par al duzàj.
Sbalutêdi da e lans d’una vintê,
e sbrèsa al goz, dri la vidariê.
Luntân e sbat un òs,
e ogni böta cl’arbomba
l’è un suspir ch’u s’amöla
da e baracôn dla nòt.
E pasa l’infarmir par amurtê al lus,
e in chêv dla sêla e da l’utom avis.
Sol cl’òm smanarlê u n’i da bêd.
U s’adâna int’ e lët, tòt ingiavlì,
e sturzend la bòca a la finëstra,
e rugia cun la bêva e j’òcc svarsê:
“A voj turnê a ca! A ca, da mi fiôla!...”.
Dis en fa, li l’al fè srê,
pasèndal par mat:
la ca, za vinduda,
pr’andê a stê in zitê…
(Sergio Chiodini – 1979)

(Un sospiro: Piove a dirotto  e l’acqua si infiltra / tra i coppi sbrecciati e giù attraverso le grondaie. / Agitate dall’ansimare di una ventata, / scivolano le gocce, lungo la vetrata. / In lontananza sbatacchia una porta / e ogni colpo che rimbomba / è un sospiro che si abbandona / dal baraccone della notte. / Passa l’infermiere a spegnere le luci, / e dal fondo della sala dà l’ultimo avviso. / Solo quell’uomo discinto non gli dà retta. / Si sfianca nel letto, in preda alla collera, / e storcendo la bocca verso la finestra, / urla con la bocca e gli occhi stravolti: / “Voglio tornare a casa! A casa, da mia figlia!...”. / Dieci anni fa, lei lo fece rinchiudere, / con la taccia di matto: / la casa, già venduta, / per andare ad abitare in città…).



 Perché questa poesia e perché questo post…

Mattina di Pasqua: vado a prendere Angela, per un pranzo a casa, tutti insieme.
Contrariamente alle previsioni meteo, la giornata è bella, il cielo abbastanza terso, la leggera brezza che viene dal mare non disturba più di tanto.
Nella struttura è un via-vai di auguri… 
Buona Pasqua…
Auguri dati e ricevuti senza un costrutto particolare; per una volta sostituiscono i 'buon giorno' e i 'buona sera' della quotidianità.
E, anche questi, dati e ricevuti in un ambiente in cui nulla invoglierebbe a vedere il “buono” in qualsivoglia cosa, un modo come altri per scambiare un saluto, senza l’impegno di un seguito.
Auguri dati meccanicamente, automatici, quasi non sentiti, sovente senza risposta.
C’è già l’addetta alle pulizie che spinge il suo carrellone, schivando le carrozzine e i sedili che alcuni visitatori hanno spostato per stare meglio vicini agli ospiti.
Buona Pasqua… 
... A Pina, a Maria Teresa, ad Alberto, ad Errica, a Lilly… a tutti coloro che il turno ha voluto qui presenti.
E tanti auguri a quelli che non il turno ma il destino vuole qui anche oggi, giorno di festa.
Con una stretta di mano e un abbraccio: ad Antonio, a Francesco, a Mario, a Rosa, a Natalina, a Giuseppe…
A Giuseppe…
Circa ottant’anni, autonomo nel deambulare, pancetta in evidenza, testa glabra, un viso quasi senza rughe…
Nonostante la ritualità del gesto, con la stretta di mano e gli auguri ci si guarda in viso, occhi negli occhi per l’istante di durata del saluto.
E dagli occhi di Giuseppe, oggi, scendono due timide lacrime, che la sua dignità non è riuscita a bloccare.
“Buona Pasqua, Giusè…”.
“Grazie, anche a voi…”.
Una specie di sorriso, di quelli che spostano leggermente le labbra verso l’esterno, in un esile tentativo di far credere che va tutto bene.
In poco meno di due anni di frequentazione quotidiana, non ho mai visto un visitatore suo personale, un parente, un amico, un conoscente…
E neanche ne ha mai parlato.
Quasi da pensare a una solitudine cercata e voluta, forse da prima del suo ricovero.
Oltre ad altri acciacchi, l’unico parente che gli sta addosso giorno e notte è fratel Diabete, come lo chiamerebbe il santo di Assisi.
A modo suo è lucido, e le due lacrime che scendono lente sulle gote lo dimostrano.
Per chi non sa, è un poveretto che la sfortuna ha relegato in una solitudine di cui non dimostra solitamente il peso; salvo oggi, che il giorno di “festa” amareggia più del solito.
Chi sa (e io so): ha due figli, entrambi avvocati, entrambi più che latitanti sia nei confronti del padre che della struttura che lo ospita, negandosi a questa quando li cerca per comunicazioni o necessità contingenti.
A chi mi dava queste notizie avevo detto, porgendola come una battuta, cinica ma innocente:
“Verranno per il funerale, come è successo a molti altri, abbandonati in vita e pianti in morte”.
La risposta, anche questa innocentemente cinica:
“Ci sono buone possibilità che non si facciano vivi neanche allora; hanno venduto la casa e si sono spartiti tutti i suoi averi; hanno fatto tutto in modo astuto, senza ricorrere all’interdizione per incapacità di intendere e volere, per evitare a priori il rischio di coinvolgimenti. Ci sono buone possibilità che l’inumazione del padre finisca a carico del Comune…”.
Quelle lacrime sul viso voglion dire tante cose, canterebbe Solo Bobby, ma in quelle tante cose  ci saranno il rimpianto, il dispiacere, la solitudine… non saranno mai più lacrime d’amore.
Vorrei essere medico o infermiere, per iniettare nelle vene ai due figli quel detto che recita:
oggi, voi siete quello che io fui;
oggi, io sono quello che voi sarete.






lunedì 1 aprile 2013

Due ricette come pesce d'aprile

Crapiètt' ccu patàn' all' fùrn
Ci vuòn:
- 'nu crapiètt' nustràn' 'i 'na trjina 'i chil nètt,
- cipùdda, rosmarin,
- rùa cucchiaràt' 'i gràss 'i puorch',
- rùa chil' 'i patàn' munnàte,
- uògliu e sal' q.b.

Piglia 'u crapiètt' pulizzàt', ascjiugàl', càccia 'a càpa e tutt' 'i còs' rinta (stintin', ficatu, rìni e purmùni), fall' 'a pièzz giùst' e mintil' 'nta 'nu bèll' tjian' grànn' ccù assajia cipùdda fàtta a fedd', assajia rosmarin', rùa cucchiaràt' 'i gràss' 'i puòrch' e 'nu poch' 'i sal'. Mintic' 'nu poch' r'àcquae 'mpilal' 'ntù fùrn' e fàll' còc'.
Arricuòrdat' ch' mintic' còc' sicci vò 'n poch' r'àcqua mintacèlla. 
'Ntramènt' piglia n'àta tièdda, mintic' i patàn' munnàt' e fàtt'a spicch' gruòss, 'u rosmarin', 'nu poch' 'i gràss', abbùcall' 'nt' 'u crapiètt', fàcc' piglià sapùr' riminiànn' tutt' e facjiènnul' stà 'nat' poch' 'ntu fùrn' fin' a quànn' 'u crapiètt' e li patàn' nun si bell' arrussicàt' e c'è rimàst' sul' l'uògliu.




♥   ♦   ♣   ♠


La fricassà mista

As pijo ‘d fӫttin-e ‘d cheussa, ‘d fidich, ӫd cotlette d’agnel, ӫd cunji, ӫd servela e gamba tajà a fӫttin-e. Pronté ‘d sӫmmolin butand al feu: mes liter ӫd làit, quat cuciar ӫd sùcher, ‘n pession ӫd sal e as gionta la sӫmmola an toirand da bin.
Quan ch’a sarà tut bin ӫspess gionteje ancora na pleuja ‘d limon gratà.
Gavè dal feu e gionteje, an toirand, un ross d’euv.
Versé sta polentin-a ant 'n piat, lassé sfreidé e tajela a quàder o a romb.
Passé costi tòch ant l’euv ӫsbatù e ant ӫl pangratà e peui buteje a fricassé (ansema a la carn che i l’avreve tajà e già butà ant la pèila), andrinta a motoben d’euli.
As peul ӫdcò gionteje ‘d sautissӫtta tajà a tòch e cheuita da na part, d’articiòch, ӫd cossòt tajà a fӫttin-e (e passà ant l’euv ӫsbatù e pan gratà) e fricassà.
As serv motoben càud con contorn ӫd caròte e spinass.






domenica 31 marzo 2013

venerdì 8 marzo 2013

Pausa dell'intervallo


La Festa della Donna 
è una bella cosa,
dura un giorno solo, 
otto di marzo.
"Far la festa" alla donna 
è un'altra cosa,
e dura, 
vigliacca e infame, 
per il resto dell'anno.