giovedì 21 maggio 2015

R.I.P. per un blog

Primavera 2013: a causa di un accidente capitato al computer, nella fregola di pubblicare comunque qualcosa che spiegasse la mia lunga assenza forzata da questo blog, avevo creato un sito d'emergenza, battezzandolo gattamaro. La speranza dichiarata era che fosse un blog provvisorio, in attesa di un pronto rientro in servizio di quello tradizionale.
In effetti così è stato: gattamaro aveva partorito due soli post, e il ritorno alla normalità ne aveva reso inutile il mantenimento in vita. 
Avevo potuto riprendere a pubblicare qualcosa su questo blog nella primavera del 2014, dopo circa un anno di assenza. In questo frattempo gattamaro era rimasto solingo e abbandonato, pur se non dimenticato.
Interruzioni successive non erano dovute a danni del computer, ma a guasti della persona che lo doveva guidare.
Nel corso delle canoniche pulizie di primavera ho deciso di eliminare gattamaro, con la speranza di non doverlo poi recuperare per altre spiacevoli contingenze.
Però voglio salvare quei due post, entrambi nel mio cuore, per motivi differenti.
Quindi li ripropongo, più come pro-memoria mio che per l'interesse di chi benevolmente li andrà a leggere postumi, ormai diluito dal tempo trascorso.
Ecco i due testi, uniti in un unico post; alcuni degli amici di questo blog già li conoscono, per altri sarà una lettura ex novo, piacevole a tratti, meno assai in altri passaggi.
(A completamento informativo: dei semafori, “forse” rossi, non ho avuto notizie, i punti patente li ho ancora tutti, almeno in quello sono ancora vergine).

sabato 21 settembre 2013

Malasorte

Premessa: questo blog qui nasce e qui spero presto muoia.
Nato per sfortuna e...


L'ho dovuto inventare, ultimo tentatiuvo prima di abbandonare tutto, per raccontare quello che sta succedendo.
L'ultimo post su Gattonero forse sarà apparso un pochetto criptico, ma si è trattato di una prova per vedere se i miei blog erano ancora in vita.
Per me sono morti e, dopo tanto tempo, pure sepolti.
Il post sulla sfiga è nato da una situazione apparentemente comune e non ignota a chi bazzica con Blogger.
Tutto ha avuto inizio con un'invasione di trojans (troiani di nome e troioni di fatto), di malware e di chissà qual'altri acari, che mi avevano reso impossibile la navigazione sul web.
Contattato il tecnico, questi, fatta la diagnosi, aveva provato a ripulire tramite TeamViewer, rinunciando poi per il troppo carico di infestazione.
Smontato l'elettrodomestico, portato in laboratorio, fermo un paio di giorni, ripulito, rientrato a casa, teoricamente vergine e intonso, pronto a rimettersi in pista...
Forse è stato ripulito troppo, quello che viene chiamato "fuoco amico" ha di fatto sbaragliato tutto quello che ha trovato sul suo cammino, il bello e il brutto, il buono e il cattivo, l'indispensabile e il superfluo.
Tutti i favoriti, giornali bancari bollette posta contatti diversi...: me li sono dovuti cercare uno per uno e rimetterli nelle loro cartelle.
Un po' di rottura, ma ho rimediato.



Bacheca di Blogger: su Chrome mi presenta quattro blog targati Gattonero, due completamente vuoti con l'invito a postare; gli altri due, identici uno all'altro, con i post fermi all'inizio dello scorso anno.
Il blogroll mi espone la possibilità di lettura di una decina di blog, perloppiù di sconosciuti, contro gli oltre 270 che avevo su Gattonero.
Eliminati questi quattro abusivi, mi ritrovo una strisciata che mi invita a creare un blog, essendo la bacheca vuota; il blogroll immutato, con la decina di tapini sconosciuti.
Su Explorer comparivano i miei post, nudi e crudi, senza commenti, senza blogroll, senza follower...
Da qui avevo mandato il post sulla sfiga, come buttato in mare dentro una bottiglia o legato alla coda di un aquilone e affidato al vento o bruciato come un vacuo bastoncino d'incenso che salisse all'alte sfere per riavere così il maltolto virtuale.
Sto tentandole tutte per ritrovare le mie due pecorelle disperse chissà dove; si dice che le vie del web sono infinite, quindi prima o poi le troverò.
Ecco, nel caso specifico, la mala suerte non riguarda tanto lo scrivere quanto il non poter leggere tutta la biblioteca virtuale che nel tempo mi sono creato.

E sfiga continua...


Dalla struttura sanitaria che frequento avevano portato via Antonio, inizialmente diagnosticandogli un attacco di angina pectoris.
La chiamata del 118 avrebbe comportato il rischio che fosse portato fino a centinaia di chilometri, alla ricerca di un posto letto ospedaliero, che ormai è diventato utopico come la ricerca di un posto di lavoro.
La dottoressa della struttura aveva suggerito alla nipote di caricarselo in macchina, portandolo di persona al pronto soccorso più vicino.
Abbiamo così scoperto che un paziente presentato con un mezzo privato non può essere rifiutato, mentre con i mezzi di soccorso "ufficiali" può essere dirottato verso la prima struttura che si dichiari disponibile all'accoglienza.
Foss'anche a casa del diavolo.
Era stato ricoverato due giorni in una stanzetta attigua ai locali del pronto soccorso, in attesa di un posto letto in corsia (le corsie d'oggi sono camerette a tre/quattro posti; io sono fermo a quelle lunghe camerate con decine di letti allineati lungo le pareti, talvolta anche con una fila centrale, e un paravento snodato per coprire interventi di cura agli allettati o a tenue copertura di ultimi istanti di vita di persone in partenza definitiva).
Lo avevano ricoverato il giovedì mattina, la successiva domenica sera ero partito con mia cognata, Elena, per andarlo a trovare, sapere come stava, fargli sentire la nostra vicinanza, portargli il saluto affettuoso degli altri ospiti coscienti della struttura che lo aveva ospite pagante da diciotto mesi.
Da oltre un mese, il suo saluto di commiato ogni sera era un copia-incolla da un giorno all'altro:
"Domani, se quando vieni non mi trovi qui fuori, o nella stanza o presso la macchinetta del caffé e delle bibite, vienimi a trovare in quella stanza là sotto, accanto alla cappella".
Quella stanza aveva fuori una targhetta: Morgue.
Quasi ad "addolcire" il cinico italiano di Camera Mortuaria.
Partiti, dopo una cinquina di chilometri...
Elena: "Era rosso...".
Io: "Cosa, era rosso?".
Elena: "Il semaforo".
Io: "Quale semaforo...".
Elena: "Quello che hai appena passato, ed era rosso".
In un'ottantina di chilometri, su quella statale ci sono due postazioni semaforiche; sotto entrambe sarò passato centinaia di volte, sicuramente sempre col verde, altrimenti avrei ricevuto la cartellina che mi avrebbe ricordato che col rosso non si passa.
E questa che avevo appena superato è pure munita di telecamera automatica.
Come dire che non basterà un semplice mea culpa per cancellare il peccato.
E così, dopo quarantott'anni di patente immacolata, trenta punti tondi in saccoccia, qualcuno mi manderà a dire che non sono più vergine, battendo cassa ed estirpandomi sei punti, che se fossero denti mi farebbero meno male di quello che mi farà quel prelievo.
Da Antonio: non era angina quella che lo aveva portato al pronto soccorso...
Era una situazione complessiva che avrebbe fatto la felicità di una clinica universitaria di patologia medica, che su un solo "pezzo" avrebbe potuto esaminare quasi tutti i malanni, altrimenti visibili in almeno una decina di persone diverse.
Da vivo.
Da morto, la stessa felicità per un ipotetico reparto di anatomia patologica.
Cardiopatico, polmoni malandati, fegato cirrosico, ernia al limite dello strozzo, reni presenti solo di nome, prostata matura come un'arancia...
Questa "torta" era completata dal diabete, come una spolverata di zucchero a velo, che col diabete ci va a nozze.
Diciotto mesi non sono sufficienti a capire se una persona è un "brav'uomo" in senso lato; per me lo era, ma più che altro era un pover'uomo cui la parte finale della vita aveva appioppato quasi tutti gli accidenti, che sono poi la risorsa dei vari specialisti in medicina.
Aveva lavorato a lungo in Liguria, dalle parti di Chiavari.
Di quella zona aveva un ricordo affettuosamente ricorrente: il pesto come lo fanno là...,  un olio d'oliva così non esiste al mondo..., le foglie di basilico? quelle d'altrove sono foglie taroccate...
Quando (diciamo ogni giorno) era alterato per qualcosa che non gli aggarbava (la cucina in primis, poi la dottoressa medico, le infermiere, le OSS, quelli delle pulizie...), raccontando il fatto oggetto di contestazione, intercalava con un "diopovero" a ogni tornata di respiro, chiaro residuo del suo soggiorno ligure.
Di tutta la sua vita, malanni singoli compresi, finivamo per ridere, ed era sempre un'ilarità piena, che gli faceva strizzare gli occhi e faceva sussultare tutta la carcassa che sosteneva una mente filosoficamente lucida.
Otto giorni dopo la nostra visita, la domenica successiva, gli avevano comunicato la dimissione per il lunedì mattina; nell'insieme pare avessero tamponato una situazione compromessa da chissà quale altro accidente.
Alle dieci del lunedì, messaggio della nipote:
"Zio è in coma...".
Alle dodici:
"Zio è morto".
Un mese e mezzo dopo, domenica, sms da Nizza:
"Anche mio dolce papà è morto, oggi alle dodici".

Non bastasse...



"Pì, vieni a vedere, ma non t'incazzare...".
Alle porte dell'estate, ossia quando più mi sarebbe utile, uno dei due pannelli solari è esploso, imploso, prosaicamente crepato.
Idraulico: vedere in vetreria se sia possibile sostituire il vetro senza svuotare e smontare tutto, un lavoraccio.
Vetreria: il tecnico visita il defunto, prende le misure, sfascia un po' di più il già sfasciato per farsi meglio un'idea dell'intervento...
Ci vorranno una quindicina di giorni, poiché il vetro è da temperare.
Ne sono passati venti, e sono ancora in attesa.
Ecco, dopo tanta sfiga, finalmente posso dirmi fortunato: a mia sorella una gastroscopia gliel'hanno prenotata per fine anno.
Nel frattempo il pannello sopravvissuto fa gli straordinari, pur di non farmi mancare l'acqua calda.
C'è voluto più d'un mese, ma adesso il pannello è a posto e sta recuperando la produzione persa.

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giovedì 17 ottobre 2013


15 Ottobre 2013
Otto e trenta del mattino, suona il cellulare.
Visto il nome, Gianluca, temo di sapere cosa mi dirà.
Infatti:
"Mamma è morta, stanotte, nel sonno...".
Gianluca è mio nipote.
E la mamma era mia sorella, l'unica mia sorella.
Ciao, Mariangela, ovunque tu sia, aspettami.
Sono stanco.

sabato 16 maggio 2015

L'asinello


C'è chi nasce con la camicia.
La strada della vita in perfetta pianura, quando non in dolce discesa.
Lui era nato con il basto incorporato, una piccola sella già pronta ad accogliere, da subito, la soma della vita, un carico prodromo di fardelli a mai finire.
Il primo, per dare il benvenuto alla nuova vita, era stato il peso di un vuoto.
Un peso che faceva a pugni con le leggi della fisica, ma che invece era immane, impossibile da catalogare in una comune scala di valori specifici.
Era il vuoto di una carezza materna, gonfiato dall'assenza di un surrogato qualunque a questa mancanza, di un affetto, qualunque fosse, che riempisse, almeno un pochino, la sua assenza.
Dapprima inconscio, poi via via più sentito, questo primo aggravio era divenuto parte integrata del basto, un peso da portare fino alla fine del viaggio.
Peso crescente, col passare degli anni.
A questa mai vissuta prima infanzia erano seguite l'adolescenza e la maturità, tutte sullo stesso metro, con le aggiunte di affanni che ciascun periodo riteneva di dover caricare sulla sua schiena.
Alle soglie della vecchiaia il suo sogno era che questa fosse, come si dice, serena, senza altri grossi pesi che non fossero quelli della vita quotidiana di tutti gli esseri viventi.
Tasse, bollette, costi della vita, piccoli imprevisti... ostacoli da superare a zampe unite, quasi ridicoli a fronte di quanto vissuto in passato.
Invece no.
Amici e amiche, che avevano chiuso in anticipo il loro libro della vita, avevano dato la la stura a una sequenza di avvenimenti che avrebbero reso il suo basto ormai inadeguato a tanto carico aggiunto.
Azzerato lo spirito della compagna della sua vita, cancellata la sorella, altri amici volati via...
Sembrava fosse finita.
Sembrava...
Ma c'era ancora un peso, preparato sul ciglio della strada, pronto ad essere caricato, in aggiunta agli altri già pesanti fardelli.
Da portatore di questi, lui stesso fardello è diventato.
Scoprendo così quanto sia greve il peso del suo proprio corpo infranto.

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Raglio d'asino, si sa, non sale al Cielo...
Meno male che ci salgono le preghiere degli umani, altrimenti la Terra tutta sarebbe nel caos.
Sarebbe?

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Caro Destino, tu che decidi chi nascerà con la camicia e chi col basto,
che poi segui passo dopo passo, stabilendo il meglio per l'uno e il peggio per l'altro, 
sappi che un asinello sardo lo puoi caricare  fin che il suo ventre sfiori il suolo, 
ma se lo vuoi fermare hai un solo modo: abbatterlo.


martedì 3 marzo 2015

Piccolo mondo in piccola Italia

Mi trovo in quello che viene solitamente definito "silenzio stampa", per via di fatti personali sanitari che non stanno girando per il verso giusto e mi fanno mancare lo spirito per scrivere lucidamente e raccontare l'andamento (lento, molto lento) della vicenda.
Interrompo questo silenzio per divulgare un "racconto" di vita ormai quotidiana, fatta di piccola (inteso come minuscola, bassa, misera) gente che per appagare i propri appetiti sta distruggendo una creatura alimentata da migliaia di lavoratori che, con la prospettiva di una integrazione alla (allora lontana) pensione, hanno versato per decenni un contributo prelevato in percentuale sui salari e stipendi, via via adeguati a ogni rinnovo di contratto.
Con questo blog il testo ha poco/nulla a che vedere; lo presento come un ennesimo spaccato di un'Italia sempre più incompetente, quando non più ladra e comunque sempre più impunita.
Antico modello di Linotype per la composizione a caldo delle righe di testo destinate alla stampa
Stampa: Un Fondo che affonda
Il Fondo Casella dei lavoratori poligrafici sull’orlo del fallimento. Sprechi e cattiva gestione, le cause del dissesto
mercoledì 25 febbraio 2015, di Adriano Todaro - 264 letture

Quando parliamo di libertà di stampa, di copie di giornali sempre meno venduti, di problemi che attanagliano il mondo editoriale, è necessario tener conto anche di tutto il comparto, di come, nel corso degli anni, mancati controlli e pressapochismo, stanno portando alcuni settori al fallimento.
E’ il caso del Fondo Casella, istituito nel 1958 fra editori dei giornali e impiegati e operai poligrafici che aveva ed ha lo scopo di erogare una pensione integrativa a tutti coloro che, appunto operai e impiegati, sono stati occupati in campo editoriale. L’alimentazione del fondo è costituito da trattenute dalla busta paga dei lavoratori e un contributo da parte degli editori. Il nome del Fondo è riconducibile a Fiorenzo Casella, un avvocato di Genova, presidente dell’Associazione nazionale stampatori giornali che, assieme ad altri aveva "inventato" il Fondo.
Tutto bene? Tutto bene sino a qualche tempo addietro quando una lettera arriva a tutti gli aderenti del Fondo Casella. Nella lettera, in pratica, si sottolinea che è necessario un taglio del 25% come Contributo di solidarietà. Certo, i pensionati mugugnano. Ma la crisi è sotto gli occhi di tutti ed è giusto contribuire. Poi il 30 gennaio 2015 altra lettera: ci siamo sbagliati. Al primo contributo del 25% è necessario aggiungere un altro 25% (un anno fa c’era stato un altro taglio, sempre del 25%). "Questa decisione ‒ si afferma nella lettera ‒ è motivata dalla crisi generale del paese e in particolare del settore ’Giornali Quotidiani’, che, nel trascorso 2014, ha subito un calo degli addetti e del monte retributivo-imponibile notevolmente superiore alle previsioni, tanto da rendere, in proiezione futura, insufficiente il precedente intervento che sarebbe risultato adeguato in condizioni di invarianza dei parametri ’iscritti-retribuzioni’...".
Certo, la prosa è burocratica ma il senso è chiarissimo. D’altronde "in condizioni di invarianza" il taglio non ci sarebbe stato. E chi doveva controllare le "condizioni di invarianza"? Il Fondo Casella ha un Consiglio di amministrazione formato da 24 persone a cui vanno aggiunti 4 persone come Revisori dei conti: totale 28 persone. Sono tantissimi. Per fare un paragone, sempre in campo editoriale, il Corriere della Sera ha un consiglio di amministrazione formato da 8 persone. Fuori dal campo editoriale, la Fiat ha un consiglio di amministrazione formato da 11 persone. Sono 28 persone che dovrebbero controllare il buon andamento dei conti affinché il Fondo possa continuare ad esistere.
Per fare questo controllo sono, giustamente, retribuiti. Dalla relazione di bilancio 2013 si viene a sapere che mentre si chiede e si attua il taglio del 50% della pensione integrativa, gli emolumenti agli amministratori (compresi i gettoni di presenza) ammontano a 294.692 euro (erano 289.514 nello scorso esercizio). Poi ci sono 326.082 di compensi professionali e 2.765.947 euro per il personale dipendente.
E così si viene a sapere che il Fondo ha alle proprie dipendenze 29 dipendenti, 2 impiegati part-time e 2 dirigenti. Un esercito di persone a cui si danno anche i buoni pasto per un totale di 40.152 euro che significa che ognuno di loro mangia per 12.167 euro.
Si taglia nei confronti di chi, ogni mese, ha versato i propri contributi e poi la voce "Viaggi, trasferte e rimborsi spese" arriva a 13.147 euro e si spendono 60.715 euro per la pulizia e la manutenzione degli uffici. E non è finita. La manutenzione del proprio sito Internet succhia 25.490 euro e il canone di manutenzione, sempre dei sistemi informativi, altri 28.868 euro e circa 30 mila euro per l’affitto di una cantina e spese condominiali. E’ certamente difficile che un Fondo integrativo possa restare in attivo con 16 mila pensionati e solo 4 mila occupati che versano i contributi. Ma queste cifre sono, semmai, un aggravante perché la crisi non è di ieri. Sono anni che la base contributiva, con la chiusura delle aziende editoriali, è sempre minore. Proprio per questo era necessario intervenire e, soprattutto, informare i propri iscritti. Il 19 luglio 2013 è stato firmato un accordo sindacale dove c’era scritto chiaramente che dal 2018 non si potevano garantire più le pensioni. Perché questo accordo non è stato pubblicizzato?
Per ultimo è necessario conoscere un po’ più da vicino i 24 componenti del Consiglio di amministrazione. Cominciando, naturalmente, dal presidente che è l’avvocato Fabrizio Carotti, rappresentante della Fieg (di cui è direttore), la Federazione italiana editori giornali. A leggere gli incarichi che ha o ha avuto questo 48enne avvocato, dottore commercialista e revisore dei conti, c’è da rimanere basìti da tanta capacità ubiqua. Spazia dalla docenza universitaria agli articoli sul Sole 24 Ore, dalla Commissione per la Riforma del diritto societario del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti all’Osservatorio permanente sulla riforma dell’amministrazione finanziaria, presso il CNEL non disdegnando incursioni, diciamo così più "politiche", come l’essere stato collaboratore del Presidente della Commissione Bicamerale per la Riforma fiscale (“Commissione dei Trenta”) e consulente del Servizio Bilancio della Camera dei Deputati che ha come compito istituzionale la verifica degli effetti dei provvedimenti all’esame del Parlamento sul bilancio dello Stato.
E com’è che cotanta esperienza non è servita per gestire il Fondo Casella? Com’è che, nel corso degli anni, nessuno si sia accorto che si andava verso il fallimento? Gli altri membri del Consiglio di amministrazione? Su 24 membri, 10 sono rappresentanti della Fieg e ben 12 sono i rappresentanti dei sindacati Cgil-Cisl-Uil (3 Uil, 6 Cgil, 3 Cisl). Cosa controllavano questi sindacalisti? Cosa hanno controllato in tutti questi anni? E cosa facevano? Tutte queste persone, inoltre, non sono eletti democraticamente attraverso un voto degli iscritti al Fondo ma si eleggono fra loro, in pratica sono nominati.
Sarà per questo che fra i lavoratori c’è grande rabbia ma anche un po’ di rassegnazione. In un’assemblea molto partecipata che ha visto la presenza di almeno 600 persone provenienti anche da altre città, tenuta nei giorni scorsi presso la Camera del lavoro di Milano, molti si sono espressi per le dimissioni in blocco di tutti i 24 componenti del Consiglio d’amministrazione che, hanno sottolineato, sono "nostri dipendenti". Alla fine dell’assemblea è stato approvato un ordine del giorno dove si denuncia la "totale assenza di trasparenza, di informazione e di consultazione di pensionati e lavoratori nel percorso che ha portato le parti sociali a sottoscrivere un accordo che taglia il 50% delle prestazioni del fondo a meno di un anno dal precedente accordo che prevedeva un taglio del 25%...". L’odg chiede anche la sospensione dell’applicazione dell’accordo del 18 dicembre 2015 e "un’azione di responsabilità nei confronti del presidente e dell’esecutivo del fondo per le responsabilità loro ascrivibili" nonché, come detto, le dimissioni. Proposta anche una class action.
Intanto il Fondo affonda sempre più mentre la Corte dei conti blocca il prelievo di solidarietà sulle pensioni di manager e politici perché esse sono "diritti acquisiti". Il nostro è un Paese che dà i vitalizi anche ai parlamentari condannati definitivamente e addirittura in carcere. Sono anche questi vitalizi, "diritti acquisiti"?
E perché le pensioni dei lavoratori che hanno versato in modo regolare, non lo sono?

Su Facebook ho lanciato una raccolta di firme a sostegno dell'iniziativa che punta all'allontanamento di questi elementi dalla gestione di questo Fondo, pur essendo convinto che si stia chiudendo la stalla con i buoi ormai in fuga, metaforicamente parlando. Con la speranza che siano comunque perseguibili sotto qualunque Codice applicabile.

venerdì 6 febbraio 2015

Positivo negativo

L'Italia va a rotoli, la crisi generale cresce, il posto di lavoro è ormai un "sei" all'enalotto, la criminalità micro- e macro- è in aumento, la sanità va a puttane, il tempo ci mette del suo, terroristi che sbarcano a frotte mescolati a migranti disperati, la politica... lasciamo perdere...
Il nero è il non colore che copre ormai ogni settore del vivere quotidiano.
E quando già fai un pensierino all'auto-omicidio c'è chi propina pillole di saggezza: pensa POSITIVO, dice, e tutto si risolverà...
Solitamente l'invito viene divulgato da gente che ha le chiappe incollate a poltrone o posti di "lavoro" acquisiti per la vita, che non hanno pensieri su come tirare la carretta.
C'è un popolame intero che la tira per loro.
Il prezzo del barile di petrolio sale, e subito i costi di tutte le attività ad esso correlate schizzano al rialzo.
In pratica tutto.
Effetto prontamente NEGATIVO, costo dei carburanti in prima, e più immediatamente percepibile, battuta.
Il prezzo del barile di petrolio scende, a tal punto da non poter evitare ripercussioni su tutto quello che gli gira intorno.
Per il volgo e l'inclita, ossia chi va a fare il pieno di carburante a proprie spese, è un segnale positivo.
Invece no, per i cervelloni economici è un segnale negativo, ma in senso inverso.
Se l'inflazione sale, è un fatto negativo.
Se l'inflazione scende, è un fatto negativo.
È una introduzione fatta solo per giustificare il titolo del post.
I termini positivo e negativo, vengono adeguati, come si dice, alla bisogna, ma riescono a mantenere una loro coerenza.
E, comunque, per positivo si intende ufficialmente una cosa buona, un fatto favorevole; il negativo è notoriamente una cosa malamente, comunque sfavorevole.


Poi succede che tu venga sottoposto ad un intervento chirurgico, che sopravviva (ed è già un successo, con questi chiari di luna), stringa i denti per sopportare l'immediato post-operatorio, e per qualche settimana aspetti...
Nell'attesa pensi...
Pensi e speri...
Aspetti l'ultimo foglio di una cartella clinica, posizione che spetta di diritto all'esame istologico della monnezza che l'intervento ha dirottato in raccolta differenziata.
Ed è qui che la lingua italiana va a farsi fottere.
La speranza è che il termine "negativo" risulti, possibilmente bene in chiaro.
Invece no: ti ritrovi con un "positivo", velato da termini che non capisci, ma che la pur conclamata ignoranza non ti consente di travisare.
Comunque c'è chi provvede a chiarire i punti, le virgole e ogni singola parola del papiello.
Alla fine del chiarimento non esiste un "pochino" positivo, che darebbe un pelino di respiro: c'è solo quell'aggettivo, nudo e crudo, un pugno nello stomaco, manco avessi offeso la madre di un Papa.

Ti siedi, e continui a pensare a una situazione che apre due possibilità di lettura:
- speranza (utopica) da 1 a 10: 15, pensando (accidentaccio!) positivo;
- fiducia (per modo di dire) da 1 a 10: --5, pensando (accidentaccio!) negativo.

Entrambe, a modo proprio (pur con valutazione diversa), positive (eddaie!).
A quelle negative (eddaie!) penserò più avanti.