Piccolo mondo in piccola Italia
Mi trovo in quello che viene solitamente definito "silenzio stampa", per via di fatti personali sanitari che non stanno girando per il verso giusto e mi fanno mancare lo spirito per scrivere lucidamente e raccontare l'andamento (lento, molto lento) della vicenda.
Interrompo questo silenzio per divulgare un "racconto" di vita ormai quotidiana, fatta di piccola (inteso come minuscola, bassa, misera) gente che per appagare i propri appetiti sta distruggendo una creatura alimentata da migliaia di lavoratori che, con la prospettiva di una integrazione alla (allora lontana) pensione, hanno versato per decenni un contributo prelevato in percentuale sui salari e stipendi, via via adeguati a ogni rinnovo di contratto.
Con questo blog il testo ha poco/nulla a che vedere; lo presento come un ennesimo spaccato di un'Italia sempre più incompetente, quando non più ladra e comunque sempre più impunita.
Stampa: Un Fondo che affonda
Il Fondo Casella dei lavoratori poligrafici sull’orlo del fallimento. Sprechi e cattiva gestione, le cause del dissesto
mercoledì 25 febbraio 2015, di Adriano Todaro - 264 letture
Interrompo questo silenzio per divulgare un "racconto" di vita ormai quotidiana, fatta di piccola (inteso come minuscola, bassa, misera) gente che per appagare i propri appetiti sta distruggendo una creatura alimentata da migliaia di lavoratori che, con la prospettiva di una integrazione alla (allora lontana) pensione, hanno versato per decenni un contributo prelevato in percentuale sui salari e stipendi, via via adeguati a ogni rinnovo di contratto.
Con questo blog il testo ha poco/nulla a che vedere; lo presento come un ennesimo spaccato di un'Italia sempre più incompetente, quando non più ladra e comunque sempre più impunita.
Antico modello di Linotype per la composizione a caldo delle righe di testo destinate alla stampa |
Il Fondo Casella dei lavoratori poligrafici sull’orlo del fallimento. Sprechi e cattiva gestione, le cause del dissesto
mercoledì 25 febbraio 2015, di Adriano Todaro - 264 letture
Quando parliamo di libertà di stampa, di copie di giornali sempre meno venduti, di problemi che attanagliano il mondo editoriale, è necessario tener conto anche di tutto il comparto, di come, nel corso degli anni, mancati controlli e pressapochismo, stanno portando alcuni settori al fallimento.
E’ il caso del Fondo Casella, istituito nel 1958 fra editori dei giornali e impiegati e operai poligrafici che aveva ed ha lo scopo di erogare una pensione integrativa a tutti coloro che, appunto operai e impiegati, sono stati occupati in campo editoriale. L’alimentazione del fondo è costituito da trattenute dalla busta paga dei lavoratori e un contributo da parte degli editori. Il nome del Fondo è riconducibile a Fiorenzo Casella, un avvocato di Genova, presidente dell’Associazione nazionale stampatori giornali che, assieme ad altri aveva "inventato" il Fondo.
Tutto bene? Tutto bene sino a qualche tempo addietro quando una lettera arriva a tutti gli aderenti del Fondo Casella. Nella lettera, in pratica, si sottolinea che è necessario un taglio del 25% come Contributo di solidarietà. Certo, i pensionati mugugnano. Ma la crisi è sotto gli occhi di tutti ed è giusto contribuire. Poi il 30 gennaio 2015 altra lettera: ci siamo sbagliati. Al primo contributo del 25% è necessario aggiungere un altro 25% (un anno fa c’era stato un altro taglio, sempre del 25%). "Questa decisione ‒ si afferma nella lettera ‒ è motivata dalla crisi generale del paese e in particolare del settore ’Giornali Quotidiani’, che, nel trascorso 2014, ha subito un calo degli addetti e del monte retributivo-imponibile notevolmente superiore alle previsioni, tanto da rendere, in proiezione futura, insufficiente il precedente intervento che sarebbe risultato adeguato in condizioni di invarianza dei parametri ’iscritti-retribuzioni’...".
Certo, la prosa è burocratica ma il senso è chiarissimo. D’altronde "in condizioni di invarianza" il taglio non ci sarebbe stato. E chi doveva controllare le "condizioni di invarianza"? Il Fondo Casella ha un Consiglio di amministrazione formato da 24 persone a cui vanno aggiunti 4 persone come Revisori dei conti: totale 28 persone. Sono tantissimi. Per fare un paragone, sempre in campo editoriale, il Corriere della Sera ha un consiglio di amministrazione formato da 8 persone. Fuori dal campo editoriale, la Fiat ha un consiglio di amministrazione formato da 11 persone. Sono 28 persone che dovrebbero controllare il buon andamento dei conti affinché il Fondo possa continuare ad esistere.
Per fare questo controllo sono, giustamente, retribuiti. Dalla relazione di bilancio 2013 si viene a sapere che mentre si chiede e si attua il taglio del 50% della pensione integrativa, gli emolumenti agli amministratori (compresi i gettoni di presenza) ammontano a 294.692 euro (erano 289.514 nello scorso esercizio). Poi ci sono 326.082 di compensi professionali e 2.765.947 euro per il personale dipendente.
E così si viene a sapere che il Fondo ha alle proprie dipendenze 29 dipendenti, 2 impiegati part-time e 2 dirigenti. Un esercito di persone a cui si danno anche i buoni pasto per un totale di 40.152 euro che significa che ognuno di loro mangia per 12.167 euro.
Si taglia nei confronti di chi, ogni mese, ha versato i propri contributi e poi la voce "Viaggi, trasferte e rimborsi spese" arriva a 13.147 euro e si spendono 60.715 euro per la pulizia e la manutenzione degli uffici. E non è finita. La manutenzione del proprio sito Internet succhia 25.490 euro e il canone di manutenzione, sempre dei sistemi informativi, altri 28.868 euro e circa 30 mila euro per l’affitto di una cantina e spese condominiali. E’ certamente difficile che un Fondo integrativo possa restare in attivo con 16 mila pensionati e solo 4 mila occupati che versano i contributi. Ma queste cifre sono, semmai, un aggravante perché la crisi non è di ieri. Sono anni che la base contributiva, con la chiusura delle aziende editoriali, è sempre minore. Proprio per questo era necessario intervenire e, soprattutto, informare i propri iscritti. Il 19 luglio 2013 è stato firmato un accordo sindacale dove c’era scritto chiaramente che dal 2018 non si potevano garantire più le pensioni. Perché questo accordo non è stato pubblicizzato?
Per ultimo è necessario conoscere un po’ più da vicino i 24 componenti del Consiglio di amministrazione. Cominciando, naturalmente, dal presidente che è l’avvocato Fabrizio Carotti, rappresentante della Fieg (di cui è direttore), la Federazione italiana editori giornali. A leggere gli incarichi che ha o ha avuto questo 48enne avvocato, dottore commercialista e revisore dei conti, c’è da rimanere basìti da tanta capacità ubiqua. Spazia dalla docenza universitaria agli articoli sul Sole 24 Ore, dalla Commissione per la Riforma del diritto societario del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti all’Osservatorio permanente sulla riforma dell’amministrazione finanziaria, presso il CNEL non disdegnando incursioni, diciamo così più "politiche", come l’essere stato collaboratore del Presidente della Commissione Bicamerale per la Riforma fiscale (“Commissione dei Trenta”) e consulente del Servizio Bilancio della Camera dei Deputati che ha come compito istituzionale la verifica degli effetti dei provvedimenti all’esame del Parlamento sul bilancio dello Stato.
E com’è che cotanta esperienza non è servita per gestire il Fondo Casella? Com’è che, nel corso degli anni, nessuno si sia accorto che si andava verso il fallimento? Gli altri membri del Consiglio di amministrazione? Su 24 membri, 10 sono rappresentanti della Fieg e ben 12 sono i rappresentanti dei sindacati Cgil-Cisl-Uil (3 Uil, 6 Cgil, 3 Cisl). Cosa controllavano questi sindacalisti? Cosa hanno controllato in tutti questi anni? E cosa facevano? Tutte queste persone, inoltre, non sono eletti democraticamente attraverso un voto degli iscritti al Fondo ma si eleggono fra loro, in pratica sono nominati.
Sarà per questo che fra i lavoratori c’è grande rabbia ma anche un po’ di rassegnazione. In un’assemblea molto partecipata che ha visto la presenza di almeno 600 persone provenienti anche da altre città, tenuta nei giorni scorsi presso la Camera del lavoro di Milano, molti si sono espressi per le dimissioni in blocco di tutti i 24 componenti del Consiglio d’amministrazione che, hanno sottolineato, sono "nostri dipendenti". Alla fine dell’assemblea è stato approvato un ordine del giorno dove si denuncia la "totale assenza di trasparenza, di informazione e di consultazione di pensionati e lavoratori nel percorso che ha portato le parti sociali a sottoscrivere un accordo che taglia il 50% delle prestazioni del fondo a meno di un anno dal precedente accordo che prevedeva un taglio del 25%...". L’odg chiede anche la sospensione dell’applicazione dell’accordo del 18 dicembre 2015 e "un’azione di responsabilità nei confronti del presidente e dell’esecutivo del fondo per le responsabilità loro ascrivibili" nonché, come detto, le dimissioni. Proposta anche una class action.
Intanto il Fondo affonda sempre più mentre la Corte dei conti blocca il prelievo di solidarietà sulle pensioni di manager e politici perché esse sono "diritti acquisiti". Il nostro è un Paese che dà i vitalizi anche ai parlamentari condannati definitivamente e addirittura in carcere. Sono anche questi vitalizi, "diritti acquisiti"?
E perché le pensioni dei lavoratori che hanno versato in modo regolare, non lo sono?
Su Facebook ho lanciato una raccolta di firme a sostegno dell'iniziativa che punta all'allontanamento di questi elementi dalla gestione di questo Fondo, pur essendo convinto che si stia chiudendo la stalla con i buoi ormai in fuga, metaforicamente parlando. Con la speranza che siano comunque perseguibili sotto qualunque Codice applicabile.
E’ il caso del Fondo Casella, istituito nel 1958 fra editori dei giornali e impiegati e operai poligrafici che aveva ed ha lo scopo di erogare una pensione integrativa a tutti coloro che, appunto operai e impiegati, sono stati occupati in campo editoriale. L’alimentazione del fondo è costituito da trattenute dalla busta paga dei lavoratori e un contributo da parte degli editori. Il nome del Fondo è riconducibile a Fiorenzo Casella, un avvocato di Genova, presidente dell’Associazione nazionale stampatori giornali che, assieme ad altri aveva "inventato" il Fondo.
Tutto bene? Tutto bene sino a qualche tempo addietro quando una lettera arriva a tutti gli aderenti del Fondo Casella. Nella lettera, in pratica, si sottolinea che è necessario un taglio del 25% come Contributo di solidarietà. Certo, i pensionati mugugnano. Ma la crisi è sotto gli occhi di tutti ed è giusto contribuire. Poi il 30 gennaio 2015 altra lettera: ci siamo sbagliati. Al primo contributo del 25% è necessario aggiungere un altro 25% (un anno fa c’era stato un altro taglio, sempre del 25%). "Questa decisione ‒ si afferma nella lettera ‒ è motivata dalla crisi generale del paese e in particolare del settore ’Giornali Quotidiani’, che, nel trascorso 2014, ha subito un calo degli addetti e del monte retributivo-imponibile notevolmente superiore alle previsioni, tanto da rendere, in proiezione futura, insufficiente il precedente intervento che sarebbe risultato adeguato in condizioni di invarianza dei parametri ’iscritti-retribuzioni’...".
Certo, la prosa è burocratica ma il senso è chiarissimo. D’altronde "in condizioni di invarianza" il taglio non ci sarebbe stato. E chi doveva controllare le "condizioni di invarianza"? Il Fondo Casella ha un Consiglio di amministrazione formato da 24 persone a cui vanno aggiunti 4 persone come Revisori dei conti: totale 28 persone. Sono tantissimi. Per fare un paragone, sempre in campo editoriale, il Corriere della Sera ha un consiglio di amministrazione formato da 8 persone. Fuori dal campo editoriale, la Fiat ha un consiglio di amministrazione formato da 11 persone. Sono 28 persone che dovrebbero controllare il buon andamento dei conti affinché il Fondo possa continuare ad esistere.
Per fare questo controllo sono, giustamente, retribuiti. Dalla relazione di bilancio 2013 si viene a sapere che mentre si chiede e si attua il taglio del 50% della pensione integrativa, gli emolumenti agli amministratori (compresi i gettoni di presenza) ammontano a 294.692 euro (erano 289.514 nello scorso esercizio). Poi ci sono 326.082 di compensi professionali e 2.765.947 euro per il personale dipendente.
E così si viene a sapere che il Fondo ha alle proprie dipendenze 29 dipendenti, 2 impiegati part-time e 2 dirigenti. Un esercito di persone a cui si danno anche i buoni pasto per un totale di 40.152 euro che significa che ognuno di loro mangia per 12.167 euro.
Si taglia nei confronti di chi, ogni mese, ha versato i propri contributi e poi la voce "Viaggi, trasferte e rimborsi spese" arriva a 13.147 euro e si spendono 60.715 euro per la pulizia e la manutenzione degli uffici. E non è finita. La manutenzione del proprio sito Internet succhia 25.490 euro e il canone di manutenzione, sempre dei sistemi informativi, altri 28.868 euro e circa 30 mila euro per l’affitto di una cantina e spese condominiali. E’ certamente difficile che un Fondo integrativo possa restare in attivo con 16 mila pensionati e solo 4 mila occupati che versano i contributi. Ma queste cifre sono, semmai, un aggravante perché la crisi non è di ieri. Sono anni che la base contributiva, con la chiusura delle aziende editoriali, è sempre minore. Proprio per questo era necessario intervenire e, soprattutto, informare i propri iscritti. Il 19 luglio 2013 è stato firmato un accordo sindacale dove c’era scritto chiaramente che dal 2018 non si potevano garantire più le pensioni. Perché questo accordo non è stato pubblicizzato?
Per ultimo è necessario conoscere un po’ più da vicino i 24 componenti del Consiglio di amministrazione. Cominciando, naturalmente, dal presidente che è l’avvocato Fabrizio Carotti, rappresentante della Fieg (di cui è direttore), la Federazione italiana editori giornali. A leggere gli incarichi che ha o ha avuto questo 48enne avvocato, dottore commercialista e revisore dei conti, c’è da rimanere basìti da tanta capacità ubiqua. Spazia dalla docenza universitaria agli articoli sul Sole 24 Ore, dalla Commissione per la Riforma del diritto societario del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti all’Osservatorio permanente sulla riforma dell’amministrazione finanziaria, presso il CNEL non disdegnando incursioni, diciamo così più "politiche", come l’essere stato collaboratore del Presidente della Commissione Bicamerale per la Riforma fiscale (“Commissione dei Trenta”) e consulente del Servizio Bilancio della Camera dei Deputati che ha come compito istituzionale la verifica degli effetti dei provvedimenti all’esame del Parlamento sul bilancio dello Stato.
E com’è che cotanta esperienza non è servita per gestire il Fondo Casella? Com’è che, nel corso degli anni, nessuno si sia accorto che si andava verso il fallimento? Gli altri membri del Consiglio di amministrazione? Su 24 membri, 10 sono rappresentanti della Fieg e ben 12 sono i rappresentanti dei sindacati Cgil-Cisl-Uil (3 Uil, 6 Cgil, 3 Cisl). Cosa controllavano questi sindacalisti? Cosa hanno controllato in tutti questi anni? E cosa facevano? Tutte queste persone, inoltre, non sono eletti democraticamente attraverso un voto degli iscritti al Fondo ma si eleggono fra loro, in pratica sono nominati.
Sarà per questo che fra i lavoratori c’è grande rabbia ma anche un po’ di rassegnazione. In un’assemblea molto partecipata che ha visto la presenza di almeno 600 persone provenienti anche da altre città, tenuta nei giorni scorsi presso la Camera del lavoro di Milano, molti si sono espressi per le dimissioni in blocco di tutti i 24 componenti del Consiglio d’amministrazione che, hanno sottolineato, sono "nostri dipendenti". Alla fine dell’assemblea è stato approvato un ordine del giorno dove si denuncia la "totale assenza di trasparenza, di informazione e di consultazione di pensionati e lavoratori nel percorso che ha portato le parti sociali a sottoscrivere un accordo che taglia il 50% delle prestazioni del fondo a meno di un anno dal precedente accordo che prevedeva un taglio del 25%...". L’odg chiede anche la sospensione dell’applicazione dell’accordo del 18 dicembre 2015 e "un’azione di responsabilità nei confronti del presidente e dell’esecutivo del fondo per le responsabilità loro ascrivibili" nonché, come detto, le dimissioni. Proposta anche una class action.
Intanto il Fondo affonda sempre più mentre la Corte dei conti blocca il prelievo di solidarietà sulle pensioni di manager e politici perché esse sono "diritti acquisiti". Il nostro è un Paese che dà i vitalizi anche ai parlamentari condannati definitivamente e addirittura in carcere. Sono anche questi vitalizi, "diritti acquisiti"?
E perché le pensioni dei lavoratori che hanno versato in modo regolare, non lo sono?
Su Facebook ho lanciato una raccolta di firme a sostegno dell'iniziativa che punta all'allontanamento di questi elementi dalla gestione di questo Fondo, pur essendo convinto che si stia chiudendo la stalla con i buoi ormai in fuga, metaforicamente parlando. Con la speranza che siano comunque perseguibili sotto qualunque Codice applicabile.
Vengo a conoscenza della situazione dal tuo post. Un ennesimo, tragico malaffare in questo povero paese che annaspa.
RispondiEliminaCome Ambra, anch'io non avevo letto nulla su questo argomento di cui parlerò nel blog e a voce.
RispondiEliminaChe profondo nero stiamo vivendo... colpa anche dell'informazione che non c'è e di quella che, quando c'è, stravolge.
Ciao Gattonero.
raramente danno le giuste informazioni.....
RispondiEliminaanzi azzardo e dico non le danno mai, siamo noi a doverle cercare.
che tristezza.
Mi è piaciuto il tuo affondo sul fondo che affonda.
RispondiEliminaCordialità ^__*
Buona primavera, Gattonero.
RispondiEliminaCiao!
Sai Gattonero che la Rai mi ha mandato il messo a casa per abbonarmi forzatamente alla tv? Ti saprò dire come andrà a finire, intanto non ho intenzione di pagare,,, ah no...
RispondiEliminaCiao. :)
Ciao Gattonero. :)
RispondiElimina