Cammin facendo
Sono nato in una terra inzuppata nel mare, i primi vagiti erano lacrime di sale. Ho affrontato strade da subito in salita, le ho percorse, gattonando prima, molto camminando poi, sovente correndo, talvolta arrancando. Con più di metà del cammino superata, la strada era in piano o in dolce discesa; ma un brutto mattino me la son ritrovata nuovamente in salita, ripida e sconnessa.
L’ho affrontata, e in quest’ultimo tratto ho incontrato vermi in sembianze umane, con il cuore chiuso in un conto alla banca o in uno stupido fasullo sentore di potenza: monnezza, che tutta l’aria intorno ammorba.
Ma ho anche trovato fiori di campo, umili, immersi in un perpetuo precariato, creato da blatte che vanno decretando, gentaglia che taglia, la benda sugli occhi, e decide chi vivere può e chi deve morire. Questi fiori hanno profumo di speranza, persone che del mestiere fanno missione e che sopra le cure distendono amore. Li ho benedetti ieri e li benedico ancora: è grazie a questi fiori che pietà non muore.
Non inattesa, proprio sul bordo della strada, ho trovato una pietra, una pietra miliare, una di quelle che dicono quanto cammino è fatto, e dovrebbero segnare quello ancor da fare. Anomala, questa pietra ha un solo numero, quello che comunica “qui sei arrivato”; qualcuno, un vandalo, un dispettoso, ha scalpellato l’altro, quello che al futuro avrebbe indirizzato.
Era quasi nascosta dall’erba degli eventi, e stavo andando oltre, tentando d’ignorarla, ingenuo intento di fregare il tempo. Si è messa di traverso, facendomi quasi inciampare, pur di darmi un messaggio da non cancellare, spingendomi a vedere ciò che volevo evitare: quel numero solo, pesante e pure un po’ ammaccato.
Siedo su questo sasso, per riposare un poco, riprenderò il cammino appena tirato il fiato. Uno sguardo verso ponente per guardare la strada, quella da affrontare; non ne vedo la fine, è sterrata ed è, più che mai, in ripida salita.
Mezzogiorno è passato, pure da un pezzo, il sole ormai declina, si sta facendo sera. Sollevo le natiche, anchilosate dal riposo pur breve su questa dura pietra, e riprendo a scarpinare. Sono facile profeta, fra molto poco tempo tornerò a gattonare, su questa stessa strada, non so quanto lunga, ma di cui si intravvede la fine. Con nello sfondo una luce buia che invoglia a rinunciare e al tempo stesso invita a proseguire, verso un ipotetico striscione di fine corsa.
E camminando e gattonando e arrancando, troverò ancora una pietra, l’ultima miliare, senza numero, ma solo con una data esplicita. Non cercherò il nome e neppure il paese, ma capirò al volo che l’ora è scoccata, perentorio invito a per sempre a riposare.
Quello sarà, definitivo, il mio ponente, abbarbicato al sole anch’io tramonterò.
Tutta la metafora di una vita in un post. Bel post. Mi è piaciuta molto l'immagine degli umili fiori di campo, per fortuna ancora sbocciano nonostante tutto.
RispondiEliminaCiao.
Grazie. È il numerino sulla pietra che sta diventando pesante, i km che un tempo erano di mille metri, adesso sembrano poco più di duecento, e più vado avanti più diventano più brevi. Sono in lista d'attesa...
EliminaLo siamo tutti.
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