Sinistri tre

La gloriosa “500” l’avevo sbolognata a un collega neopatentato, che nel giro di un anno l’aveva mandata alla rottamazione.
Con la Fulvia, già descritta nel primo capitolo, più che incidenti erano stati accidenti.
Avevo portato la papera (per via del colore giallo becco di papera, un po’ rospesca come sembianze) in officina, per una manutenzione ordinaria: cambio olio motore, controllo pasticche, livelli vari…
Ero andato a ritirarla in serata, quasi alla chiusura dell’officina; infatti una parte del cancello scorrevole era già stata avviata.
Per uscire, muso in avanti, mi si era presentato il classico dilemma che si presenta ogni volta che si deve passare in spazi troppo delimitati: passo, non passo, ma sì che passo…
Avevo preso le misure alla perfezione, impossibile sbagliare.
E infatti il lato guida era passato alla grande.
Fosse passato un cicinin meno alla grande, anche il lato passeggero sarebbe passato indenne.
All’altezza della maniglia della portiera di destra, c’era una specie di punzone che usciva dal telaio del cancello, forse come incastro nel cancello stesso al momento della chiusura.
Diagnosi: un buchetto di circa due centimetri, che aveva perforato la carrozzeria, senza danneggiare la maniglia e la serratura.
Il famigerato “che cazzo fai!” penso mi abbia seguito anche in questa occasione.
Avevo deciso, visto che l’integrità globale della vettura non era in pericolo, di non portarla in carrozzeria.
(Anche perché mi ero accorto che meccanici e carrozzieri, al momento del conto, non consideravano il danno; valutavano, di volta in volta, quanto il mezzo rientrasse nella “normalità”. La Fulvia era ritenuta abbastanza anormale da poterci calcare un po’ di più la mano: potevi essere un barbone, ma se avevi una Fulvia pagavi dazio).
Avevo deciso di curare a modo mio la ferita: un grumo di stoffa per chiudere il buco, tenuto fermo da due strisce di cerotto incrociate.
Meglio passare da stravagante che da imbranato.
Il secondo accidente, definitivo: autostrada, velocità poco più che discreta…
Forse se non ci fosse stato quel “poco più che”, il motore non si sarebbe fuso.
Prima colpi di tosse, sempre più violenti, poi il fumo dal cofano, mi avevano fatto capire che la poveretta era arrivata al capolinea. Capolinea situato alla prima piazzola utile.
Far rifare il motore mi sarebbe costato quasi come comprarne una nuova.

Ancora non ero sposato, quindi avevo optato per una “850 spyder”, sempre di casa Agnelli, sempre di seconda mano.
Verdone scuro.
Con questa niente incidenti, a parte la rottura di una coppa paraolio della ruota anteriore destra.
Come tutte le macchine pseudo-sportive, anche questa aveva un’altezza dal suolo quasi simbolica.
Ma la strada dove era successo il guaio avrebbe fatto saltare la paraolio anche a un trattore.
Agosto, ferie, mare.
Giorno: quattordici.
Con quella che era il mio amore (poi promossa a dolce metà, poi uniformata a mia signora, infine divenuta la scassa che è tutt’ora), avevamo deciso di salire dalla costa marina a un paese all’interno.
Per pura coincidenza, in quel paese abitavano i suoi genitori.
Anzianotti, ma ancora in gamba.
Si trattava di coprire una quindicina di chilometri, una strada fatta solo di curve. Non era asfaltata, e neppure sterrata: le curve della carreggiata avevano una degna concorrenza nelle buche della stessa.
Ma buche non da campo di golf; erano voragini nel terreno, e non erano occasionalmente provocate da un diluvio recente: erano buche naturalissime, da catalogare come “patrimonio dell’umanità”, tanto erano espressione di un passato antidiluviano.
Non le avevo contate, facciamo, a occhio e croce, che fossero quindicimila (e vado per difetto): 14.999 le avevo evitate, in ordine sparso.
Una no: combinazione, proprio la buca assassina.
Ricapitolo: quattordici agosto, coppa paraolio partita, in un paese semi-montano, che oltre ai pini (e ai cipressi del cimitero) credo vivesse vendendo le pelli dei lupi, poiché altro non poteva esserci…
E neanche la consolazione di un “cosa vuoi di più dalla vita?” che non era ancora salito agli onori degli spot.
Se ci fosse stato, più che a un amaro, avrei pensato a tre metri di corda e a un ramo d’albero robusto…
Nonostante tutto, il giorno dopo, quindici agosto, il fratello del mio amoruccio era sceso alla marina con una specie di motorino, aveva trovato la coppa, ed era riuscito a sistemare la macchina.
E’ una di quelle volte che uno si chiede perché gli esseri umani siano divisi in due sessi principali: se fossimo tutti unibisessuati, questa sarebbe stata l’occasione buona per chiedere al fratello di sposarmi al posto di sua sorella, che col cavolo sarebbe mai stata in grado di cambiare una coppa paraolio il quindici di un agosto qualunque.

Avevo pensato a un capitolino più breve, invece ho tracimato un pochino.
Pazienza, rimando a un prossimo seguito.

Commenti

  1. L'850 l'aveva anche il mio papà quando ero piccina piccina, colore azzurrino (bellissima), la teneva come un cimelio.
    :)

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  2. Piccola domanda sull'unibisessualità: se fossimo unibisessuati potremmo restare incinti con una sega?

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  3. bel post
    gatto
    divertentissimo

    ti vedo in perfetta forma

    comunque anch'io ho cominciato con una 500, era grigia e si rompeva spesso, ma è sevita per le prime fughe da casa...

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  4. ahahaha prima il punzone e poi la buca, e continua l'escalation di danni. Sei proprio un abbonato al sinistro, sei un comunista, è palese.

    E comunque aspetto la risposta al commento di Sgamen! :D

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  5. Quoto il rospo...accienti ma sei sfortunatissimo! buona giornata :)

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  6. Non c'è che dire... sei proprio un pò sfigatello !!!
    Comunque pure io sono interessata alla domanda di Sgamen.
    Buona giornata

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  7. @Sgamen in primis, @Rospo in secundis, poi @Martina (con riserva, perché non ho capito il 'quoto' sul rospo, se al comunista o all'attesa della risposta):

    Sarò sintetico, premettendo che parlo da gatto.

    L' si riferiva al regno animale, a tutto il regno animale.
    Con una sega sparata al vento non mi risulta ci sarebbe la possibilità di restare autoincinti, salvo esperimenti recenti, di cui non sono a conoscenza.
    Per arrivare a uno stato interessante in domo propria bisognerebbe seguire alcuni protocolli, con la limitazione che bisogna essere fermamente sicuri di volere quest'automaternità.
    Tutto parte dal lavaggio della parte interessata: tu, e gli altri animali umani (o che si dichiarano tali, anche quando fanno schifo sia come umani che come animali), procedete a quel lavaggio servendovi delle zampe anteriori.
    Sapendo che, comunque, avete a che fare con la testa di un politico, e sapendo altresì che una buona pulizia comporta un po' di maltrattamento, per il lavaggio userete la mano che più ritenete opportuna per schiaffeggiare o massaggiare, la destra o la sinistra. Negli ultimi tempi sta sorgendo un polo ulteriore, detto centro: questa testa si presenta talmente macro che richiede l'uso di entrambe le mani.
    Passiamo al gatto: per le dette pulizie non ricorre alle zampe anteriori; usa la favella (non dico lingua, ché qualcuno potrebbe male interpretare una trattazione tipicamente ginecologica, scambiandola per una porcinelleria).
    Quella testa che gli umani maltrattano, il gatto se la pulisce con vigorose leccate.
    Che hanno un effetto collaterale non sempre controllabile (e che non approfondisco, perché c'è una santa che vagola nei blog e cazzara chiunque tocchi l'argomento): ed è quello il momento più a rischio.
    L'interruptus non sempre riesce, e se le tonsille sono in una fase ciclica favorevole, il pateracchio ci scappa.
    E non sempre l'otorinolaringoiatra ginecologo riesce a bloccare l'immissione.
    Le uniche soluzioni sono la pillola del giorno dopo, la spirale e gli appositi gel lumachicidi che si vendono anche dai fiorai.
    La spirale è il sistema più antipatico, perché deve essere posizionata attentamente a ridosso delle tonsille/ovaie, il che può dare una sensazione di vomito quasi uguale a quella che si prova poco dopo l'ingravidamento umano, prima ancora che il passaggio avvenga.
    Ecco, Sgamen Rospo (e EllyMarti, sempre salva la riserva iniziale) se siete veramente interessati a una maternità autarchica, e vi sentite unibisessuati, questa è l'unica possibilità che posso suggerire.
    Le zampe anteriori devono servire solo per gli allenamenti e per i lavaggi di quelle teste.

    Per i rospi e gli alligatori la faccenda potrebbe essere più complicata, ma hanno fantasia sufficiente per risolvere il problema nel migliore dei modi.

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  8. Nota: la L' a vuoto intendeva "unibisessualità" che è saltato, non so perché.

    Colgo l'occasione per dedicare la risposta anche @zicin, che è entrata mentre battevo le due righe di commento. Tra l'altro denunciando interesse esplicito al problema.

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  9. Il gatto nero
    nella notte di dicembre
    è un viandante intelligente!
    Cerca il bianco solitario
    tra le fasi del lunario,
    tra la luce e tanta gente
    che si abbuffa lentamente.
    Sol due vecchi fan baruffa
    per la macchina fetente
    che si è spenta nella zuffa
    di una notte divertente.
    Guarda gatto che succede!
    Due ceffi
    brutti e storti
    tra le corna e gli stramorti
    non sanno cosa fare
    nella notte di Natale,
    se dar colpa al santo vero
    o soltanto al gatto nero.

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  10. @Heidi: me la stampo e la leggerò ogni sera prima di andare a dormire.

    Se ti dico "è commovente"
    tu rispondi certamente
    "il viandante intelligente
    ha capito proprio niente".

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  11. Brutto gattaccio, in quale cavolo di blog devo leggere i tuoi post?
    Mi fai girare la testa!

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  12. Gatto non prendermi in giro, è scarsissima e scontata ma non avevo mai scritto nulla prima, mi è venuta così.

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  13. Mi piace il tuo modo di scrivere , passero volentieri da queste parti.
    Buona serata

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  14. @Demetra: benvenuta. Però se non schiarisci il tuo blog in modo da renderlo leggibile, il benvenuto te lo dò a sculacciate (virtuali). Inoltre se non esce lo spazio apposito per i commenti, come faccio a commentare a casa tua?

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