Il vizio della violenza
Quello che segue, dopo questo mio superfluo corsivo, è un articolo del giornalista Martino Ciano, pubblicato nel 2017, con riferimento a scritti di Flaiano, inseriti nel suo Diario notturno di fine anni '50. Da allora molte cose sono cambiate. Chiaramente in peggio; anzi, mi sia consentito, in molto peggio. Purtroppo la voce 'cambiamento' non offre a priori l'opzione positiva o negativa; purché cambiamento sia, solo il futuro dirà la giustezza della direzione presa. Succede in tutti i settori della vita, e ne prendiamo atto giorno dopo giorno...
Nel suo articolo Martino elenca, in maniera sintetica, i vizi degli italiani. Di 'alcuni' vizi degli italiani... ché la lista completa credo sia troppo infinita per un elenco assolutamente esaustivo. In seguito splendido e acuto Autore di Zeig, già mi aveva dato la possibilità di un breve commento a quell'opera su questo blog.
Con la speranza che non mi richieda i diritti d'Autore... magari per festeggiare, con il mio contributo al pranzo luculliano per il suo compleanno, che cade proprio oggi, in una giornata ufficialmente dedicata ad altro argomento.
Questo elenco lo avrei visto meglio nel Diario degli errori, sempre di Flaiano, poiché avrebbe dato modo di valutare una facile comparazione: gli italiani, commessi gli errori, anziché agire per correggerli fanno che trasformarli in 'vizi', rendendoli abito proprio, adattabile a ogni circostanza o a seguire il vento che tira.
Rileggendo questo articolo mi ha colpito il (solo casuale?) posizionamento come primo vizio degli italiani quello della violenza, sovente assassina, sulle donne. Forse meno casuale di quello che sembra, è comunque coincidente con questa Giornata dedicata alla battaglia contro questa specifica infame violenza, e da questa prendo spunto per due parole in merito.
[Gli altri vizi li lascio in lettura, poiché trattandosi di un bell'articolo, merita a prescindere. E li metto in deposito, per ripescarli eventualmente in una giornata a ciascuno di essi dedicata. Aggiungendo ai vizi citati l'abitudine ormai conclamata della fissazione di giornate di presa di coscienza che lasciano il tempo che trovano. Le Giornate del Ricordo siano sempre benvenute, poiché tengono, dovrebbero tenere vivi i ricordi della Storia per evitare (evitare?) errori in un futuro ritenuto lontano e invece sempre prossimo].
Una giornata contro la violenza, contro la violenza sulle donne, purtroppo, non è un ricordo: è una situazione attuale, sempre più attuale, da combattere con nuove armi, nuovi sistemi, nuove leggi.
Una giornata che nasce come incitamento alla denuncia, quando è evidente che, a parte le chiacchiere, ci sono armi spuntate per contrastarla. O, dove ci sono, queste armi sono malamente usate.
Davvero è possibile credere che la denuncia di una violenza subita allontani un epilogo di altre peggiori violenze, fino all'assassinio, di chi, invogliata dal sostegno 'virtuale' dei più, affida alla legge e alle istituzioni la propria futura incolumità o, come si vede poi, la propria vita?
Il fatto che il violento (probabile-possibile futuro assassino, come raccontano le cronache ormai quotidiane) sia ufficialmente uno e siano invece migliaia, milioni, coloro che ritengono costui una bestia feroce qual è, non possono essere argine sufficiente a questa dilagante assurda bassezza.
Quell'unico maledetto continuerà a infierire su quell'unica sua vittima, e le migliaia, milioni, degli altri che aprono campagne di sdegno, come detto puramente virtuale, leggeranno le pagine di cronaca che raccontano l'evoluzione di vicende abominevoli.
Del come sono nate e del come sono finite, comunque tragicamente.
Giusti sdegni e giuste condanne... senza altri sviluppi possibili.
Indignazione, richiesta di pene severe, giustizia fai da te... giornate contro la violenza sulle donne: potremmo proclamarne 365/366 all'anno di queste giornate, ma senza una vera rivoluzione, legislativa e procedurale, con l'immediata applicazione di pene che allontanino queste belve dalle loro prede, con la creazione di un canale privilegiato specifico per questi reati, in modo da impedire che tra la denuncia e il giudizio rimanga tempo al violento/assassino di completare la sua opera demolitiva.
Con la famosa, declamata, certezza della pena, costantemente disattesa da cavilli e premi per 'buona condotta'... in carcere, dove la non buona condotta è quasi impossibile.
Fare in modo che le segnalazioni non debbano necessariamente essere seguite da una denuncia specifica per avviare adeguati meccanismi di protezione...
La violenza, in particolare sulle donne, non rende; viene considerata reato marginale senza un ritorno soppesabile.
Le mafie, le corruzioni, gli abusivismi, il marciume politico... hanno un riscontro visibile e concreto, con tangenti o mazzette quando sono reati da perseguire; continuano a dare reddito una volta portati alla luce, tra parcelle di studi legali e, più sottobanco, con altre forme di mazzette o ricatti.
Quando una vittima di mafia denuncia un estortore viene, più o meno, protetta, almeno fino a che la longa manu della malavita 'offesa' non riesca a raggiungerlo, allargando il rischio di punizione a tutta la famiglia e agli amici; quei pochissimi rimasti, una volta annusato il pericolo di ritorsioni.
La violenza sulle donne cosa dà?
La segnalazione alle forze dell'ordine dall'esterno, fuori dall'ambito famigliare direttamente coinvolto, ottiene come risultato immediato la "non parte in causa" del segnalante con conseguente accantonamento come pratica non rilevante; nel contempo, altrettanto immediato, consegue un inasprimento della violenza qualora emerga il solo dubbio di "aver parlato" di cose che non dovevano trapelare fuori dai muri di casa.
La difesa legale dei violenti punta da subito a insinuare il dubbio su 'colpe' della vittima, su connivenza, o addirittura complicità, di quest'ultima, segnalando i ritardi nella denuncia come accettazione di uno status quo di violenza in cambio di un ipotizzato quieto vivere; dà pane e companatico ai mezzi d'informazione solo se si tratta di violenza talmente efferata da non poter essere ignorata; e più è ributtante più viene data in pasto a un popolame che ormai di questo si nutre, in alternativa al malaffare della politica, che con la violenza divide i palcoscenici cartacei e televisivi.
La violenza sulle donne continua a rientrare nell'antico adagio: "I panni sporchi si lavano in famiglia".
Quando i panni sporchi venivano lavati negli appositi lavatoi o sulla riva dei torrenti; dove quei panni venivano battuti e sbattuti fino ad apparire puliti, quanto meno a occhi non troppo pignoli. Ecco, le mogli e le donne in casa di un violento sono panni, che vengono battuti e sbattuti come fossero sporchi, fino a che raggiungano una 'pulizia' totale, fatta di sottomissione e ubbidienze assolute... troppo sovente 'pulizia' letale.
Fuori casa, il 'lavaggio' avviene ormai ovunque, con gli stessi risultati.
Questo è l'articolo di Ciano, cui addebito la responsabilità di questo mio sproloquio che, come tutte le altre chiacchiere fini a se stesse, lascerà solo l'ennesima giornata di parole senza fatti a seguire. Altro tipico vizio italiano.
Volevo leggere qualcosa sui vizi degli italiani e mi sono soffermato su Diario notturno di Ennio Flaiano. Sono andato sul sicuro, certo che avrei trovato risposte esaustive. L’ironia di questo scrittore-giornalista-cronista ha l’effetto di un digestivo.
Nel suo articolo Martino elenca, in maniera sintetica, i vizi degli italiani. Di 'alcuni' vizi degli italiani... ché la lista completa credo sia troppo infinita per un elenco assolutamente esaustivo. In seguito splendido e acuto Autore di Zeig, già mi aveva dato la possibilità di un breve commento a quell'opera su questo blog.
Con la speranza che non mi richieda i diritti d'Autore... magari per festeggiare, con il mio contributo al pranzo luculliano per il suo compleanno, che cade proprio oggi, in una giornata ufficialmente dedicata ad altro argomento.
Questo elenco lo avrei visto meglio nel Diario degli errori, sempre di Flaiano, poiché avrebbe dato modo di valutare una facile comparazione: gli italiani, commessi gli errori, anziché agire per correggerli fanno che trasformarli in 'vizi', rendendoli abito proprio, adattabile a ogni circostanza o a seguire il vento che tira.
Rileggendo questo articolo mi ha colpito il (solo casuale?) posizionamento come primo vizio degli italiani quello della violenza, sovente assassina, sulle donne. Forse meno casuale di quello che sembra, è comunque coincidente con questa Giornata dedicata alla battaglia contro questa specifica infame violenza, e da questa prendo spunto per due parole in merito.
[Gli altri vizi li lascio in lettura, poiché trattandosi di un bell'articolo, merita a prescindere. E li metto in deposito, per ripescarli eventualmente in una giornata a ciascuno di essi dedicata. Aggiungendo ai vizi citati l'abitudine ormai conclamata della fissazione di giornate di presa di coscienza che lasciano il tempo che trovano. Le Giornate del Ricordo siano sempre benvenute, poiché tengono, dovrebbero tenere vivi i ricordi della Storia per evitare (evitare?) errori in un futuro ritenuto lontano e invece sempre prossimo].
Una giornata contro la violenza, contro la violenza sulle donne, purtroppo, non è un ricordo: è una situazione attuale, sempre più attuale, da combattere con nuove armi, nuovi sistemi, nuove leggi.
Una giornata che nasce come incitamento alla denuncia, quando è evidente che, a parte le chiacchiere, ci sono armi spuntate per contrastarla. O, dove ci sono, queste armi sono malamente usate.
Davvero è possibile credere che la denuncia di una violenza subita allontani un epilogo di altre peggiori violenze, fino all'assassinio, di chi, invogliata dal sostegno 'virtuale' dei più, affida alla legge e alle istituzioni la propria futura incolumità o, come si vede poi, la propria vita?
Il fatto che il violento (probabile-possibile futuro assassino, come raccontano le cronache ormai quotidiane) sia ufficialmente uno e siano invece migliaia, milioni, coloro che ritengono costui una bestia feroce qual è, non possono essere argine sufficiente a questa dilagante assurda bassezza.
Quell'unico maledetto continuerà a infierire su quell'unica sua vittima, e le migliaia, milioni, degli altri che aprono campagne di sdegno, come detto puramente virtuale, leggeranno le pagine di cronaca che raccontano l'evoluzione di vicende abominevoli.
Del come sono nate e del come sono finite, comunque tragicamente.
Giusti sdegni e giuste condanne... senza altri sviluppi possibili.
Indignazione, richiesta di pene severe, giustizia fai da te... giornate contro la violenza sulle donne: potremmo proclamarne 365/366 all'anno di queste giornate, ma senza una vera rivoluzione, legislativa e procedurale, con l'immediata applicazione di pene che allontanino queste belve dalle loro prede, con la creazione di un canale privilegiato specifico per questi reati, in modo da impedire che tra la denuncia e il giudizio rimanga tempo al violento/assassino di completare la sua opera demolitiva.
Con la famosa, declamata, certezza della pena, costantemente disattesa da cavilli e premi per 'buona condotta'... in carcere, dove la non buona condotta è quasi impossibile.
Fare in modo che le segnalazioni non debbano necessariamente essere seguite da una denuncia specifica per avviare adeguati meccanismi di protezione...
La violenza, in particolare sulle donne, non rende; viene considerata reato marginale senza un ritorno soppesabile.
Le mafie, le corruzioni, gli abusivismi, il marciume politico... hanno un riscontro visibile e concreto, con tangenti o mazzette quando sono reati da perseguire; continuano a dare reddito una volta portati alla luce, tra parcelle di studi legali e, più sottobanco, con altre forme di mazzette o ricatti.
Quando una vittima di mafia denuncia un estortore viene, più o meno, protetta, almeno fino a che la longa manu della malavita 'offesa' non riesca a raggiungerlo, allargando il rischio di punizione a tutta la famiglia e agli amici; quei pochissimi rimasti, una volta annusato il pericolo di ritorsioni.
La violenza sulle donne cosa dà?
La segnalazione alle forze dell'ordine dall'esterno, fuori dall'ambito famigliare direttamente coinvolto, ottiene come risultato immediato la "non parte in causa" del segnalante con conseguente accantonamento come pratica non rilevante; nel contempo, altrettanto immediato, consegue un inasprimento della violenza qualora emerga il solo dubbio di "aver parlato" di cose che non dovevano trapelare fuori dai muri di casa.
La difesa legale dei violenti punta da subito a insinuare il dubbio su 'colpe' della vittima, su connivenza, o addirittura complicità, di quest'ultima, segnalando i ritardi nella denuncia come accettazione di uno status quo di violenza in cambio di un ipotizzato quieto vivere; dà pane e companatico ai mezzi d'informazione solo se si tratta di violenza talmente efferata da non poter essere ignorata; e più è ributtante più viene data in pasto a un popolame che ormai di questo si nutre, in alternativa al malaffare della politica, che con la violenza divide i palcoscenici cartacei e televisivi.
La violenza sulle donne continua a rientrare nell'antico adagio: "I panni sporchi si lavano in famiglia".
Quando i panni sporchi venivano lavati negli appositi lavatoi o sulla riva dei torrenti; dove quei panni venivano battuti e sbattuti fino ad apparire puliti, quanto meno a occhi non troppo pignoli. Ecco, le mogli e le donne in casa di un violento sono panni, che vengono battuti e sbattuti come fossero sporchi, fino a che raggiungano una 'pulizia' totale, fatta di sottomissione e ubbidienze assolute... troppo sovente 'pulizia' letale.
Fuori casa, il 'lavaggio' avviene ormai ovunque, con gli stessi risultati.
Questo è l'articolo di Ciano, cui addebito la responsabilità di questo mio sproloquio che, come tutte le altre chiacchiere fini a se stesse, lascerà solo l'ennesima giornata di parole senza fatti a seguire. Altro tipico vizio italiano.
Volevo leggere qualcosa sui vizi degli italiani e mi sono soffermato su Diario notturno di Ennio Flaiano. Sono andato sul sicuro, certo che avrei trovato risposte esaustive. L’ironia di questo scrittore-giornalista-cronista ha l’effetto di un digestivo.
Accettarci è difficile, eppure, conviviamo con i nostri sensi di colpa, lasciandoci cullare dai complessi. Forse ne abbiamo bisogno; d’altronde, come faremmo a giustificare il nostro immobilismo e la nostra incapacità di reagire? Già negli anni Cinquanta, Flaiano scriveva del vizio dei mariti italiani di uccidere e di picchiare le loro mogli. Già parlava della spettacolarizzazione del macabro che ci rende allegri necrofili. Già descriveva i nostri peccati e i mille modi escogitati per leccare il culo al potere.
Il posto fisso; la sfrenata ambizione; il moralismo esasperato, usato per mascherare le porcherie quotidiane; la finta indignazione davanti agli scandali, grazie alla quale ci sentiamo un po’ meno corrotti; il nostro bisogno di apparire, ossia, l’antitesi della volontà di potenza.
Volere è potere: la divisa di questo secolo. Troppa gente che «vuole», piena soltanto di volontà (non la «buona volontà» kantiana, ma la volontà di ambizione); troppi incapaci che debbono affermarsi e ci riescono, senz’altre attitudini che una dura e opaca volontà. E dove la dirigono? Nei campi dell’arte, molto spesso, che sono oggi i più vasti e ambigui, un West dove ognuno si fa la sua legge e la impone agli sceriffi. Qui, la loro sfrenata volontà può esser scambiata per talento, per ingegno, comunque per intelligenza. Così, questi disperati senza qualità di cuore e di mente, vivono nell’ebbrezza di arrivare, di esibirsi, imparano qualcosa di facile, rifanno magari il verso di qualche loro maestro elettivo, che li disprezza. Amministrano poi con avarizia le loro povere forze, seguono le mode, tenendosi al corrente, sempre spaventati di sbagliare, pronti alle fatiche dell’adulazione, impassibili davanti ad ogni rifiuto, feroci nella vittoria, supplichevoli nella sconfitta. Finché la Fama si decide ad andare a letto con loro per stanchezza, una sola volta: tanto per levarseli dai piedi.
Ed oggi, c’è in giro qualche nuovo Flaiano?
No! La qualità dei nostri cronisti è scadente. Tutti vanno alla ricerca degli scoop, ma di quelli che scoperchiano una passeggera e provinciale indignazione. Mancano opinionisti degni di nota. Più che bastioni della cultura, abbiamo prigioni dentro cui il nostro cervello non deve pensare. Tutto deve andarci bene.
La critica è affidata ai comici. Abbiamo dato a Made in Sud e a Zelig il compito di aprirci la mente. (A questi aggiungo di mio Striscia la notizia e Le iene, tra i principali divulgatori della cultura dell'indignazione, che la suscitano senza peraltro poter influire più di tanto alla soluzione dei problemi, essendo perlopiù ritenuti programmi ricreativi o esclusivamente comici). I nostri difetti ci fanno tenerezza, rappresentano un patrimonio inestimabile, che esportiamo con fierezza.
Le case crollano con i ponti, le coste continuano ad essere erose dal mare. Finita la speculazione edilizia è iniziata quella culturale. Ma in fondo Ennio Flaiano ha anticipato questo fenomeno… cosa sarebbero gli italiani senza i cognati e i parenti, senza l’attesa di un miracolo che risolva ogni problema, all’improvviso, senza far vittime, ridando a tutti lo status di innocente? Il nostro nepotismo ha fatto scuola, in Europa già viene imitato.
L’Italia è quindi un paese immenso che può finire in un diario che si scrive di notte, quando le tenebre nascondono meglio i nostri peccatucci, grazie ai quali si ride, si piange e si spera in un domani migliore.
Volere è potere: la divisa di questo secolo. Troppa gente che «vuole», piena soltanto di volontà (non la «buona volontà» kantiana, ma la volontà di ambizione); troppi incapaci che debbono affermarsi e ci riescono, senz’altre attitudini che una dura e opaca volontà. E dove la dirigono? Nei campi dell’arte, molto spesso, che sono oggi i più vasti e ambigui, un West dove ognuno si fa la sua legge e la impone agli sceriffi. Qui, la loro sfrenata volontà può esser scambiata per talento, per ingegno, comunque per intelligenza. Così, questi disperati senza qualità di cuore e di mente, vivono nell’ebbrezza di arrivare, di esibirsi, imparano qualcosa di facile, rifanno magari il verso di qualche loro maestro elettivo, che li disprezza. Amministrano poi con avarizia le loro povere forze, seguono le mode, tenendosi al corrente, sempre spaventati di sbagliare, pronti alle fatiche dell’adulazione, impassibili davanti ad ogni rifiuto, feroci nella vittoria, supplichevoli nella sconfitta. Finché la Fama si decide ad andare a letto con loro per stanchezza, una sola volta: tanto per levarseli dai piedi.
Ed oggi, c’è in giro qualche nuovo Flaiano?
No! La qualità dei nostri cronisti è scadente. Tutti vanno alla ricerca degli scoop, ma di quelli che scoperchiano una passeggera e provinciale indignazione. Mancano opinionisti degni di nota. Più che bastioni della cultura, abbiamo prigioni dentro cui il nostro cervello non deve pensare. Tutto deve andarci bene.
La critica è affidata ai comici. Abbiamo dato a Made in Sud e a Zelig il compito di aprirci la mente. (A questi aggiungo di mio Striscia la notizia e Le iene, tra i principali divulgatori della cultura dell'indignazione, che la suscitano senza peraltro poter influire più di tanto alla soluzione dei problemi, essendo perlopiù ritenuti programmi ricreativi o esclusivamente comici). I nostri difetti ci fanno tenerezza, rappresentano un patrimonio inestimabile, che esportiamo con fierezza.
Le case crollano con i ponti, le coste continuano ad essere erose dal mare. Finita la speculazione edilizia è iniziata quella culturale. Ma in fondo Ennio Flaiano ha anticipato questo fenomeno… cosa sarebbero gli italiani senza i cognati e i parenti, senza l’attesa di un miracolo che risolva ogni problema, all’improvviso, senza far vittime, ridando a tutti lo status di innocente? Il nostro nepotismo ha fatto scuola, in Europa già viene imitato.
L’Italia è quindi un paese immenso che può finire in un diario che si scrive di notte, quando le tenebre nascondono meglio i nostri peccatucci, grazie ai quali si ride, si piange e si spera in un domani migliore.
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