domenica 23 settembre 2018

Vendemmiando

Tempo di vendemmia, quanta allegria, quanta poesia...
Grappoli dorati e grappoli corvini che chiedono solo d'essere raccolti...
Quelli che restano, ché uccelli, topi e chiss'altri hanno già banchettato, piluccandosi gli acini neonati ritenuti maturi, già da luglio.
Ma tant'è, com'è bello andar a vendemmiar...
Un rito che risale, pare, ai tempi di Noè, o a qualcun altro che non ricordo. Ma Noè basta e avanza.
Si parte la mattina, armati di tutto punto, secchiellini e secchielloni, forbici, cappellino con visiera per il sole, scale a cinque e sette gradini...
Si parte fischiettando, si parte da leoni.
Al mattino ci si sente bucolici...
"La nebbia a gl'irti colli..."... e c'è un sole che spacca...
E quanto al mare che "urla e biancheggia"... tornasse quello che camminava sulle acque, ci pattinerebbe, nel mare laggiù... calmo e placido, che manco il Piave nell'introduttiva del 24 maggio...
Ma quanta poesia...

Alla sera, poesia 'n par de ciufoli, si rientra con un par de ....., non ci si sente più bucolici ma sezionati, con muscoli e ossa in bella vista.

Avevamo, un sacco di anni fa, fatto la pensata di mettere ai lati di un'area destinata a parcheggio un po' di piedi di vigna. A parte l'uva e la spremuta conseguente, l'idea era di fare un pergolato che riparasse dai raggi del sole le macchine colà parcheggiate.
Dai raggi del sole e, quando fosse stata ben fogliuto, dalle cacate dei piccioni.
Per il sole, in effetti, escludendo il tramonto che lo fa passare di traverso ma ormai decadente di calore, lo scopo era stato raggiunto.
Sui piccioni no: è incredibile di come riescano a superare l'ostacolo del fitto fogliame per defecare sui mezzi. Quasi da pensare che abbiano trovato il nodo di sedersi sui tralci, scostare le foglie d'ingombro, liberare l'intestino, ripulirsi con le stesse e andarsi a piazzare sui cavi aerei della corrente, quasi ad ammirare le loro opere d'arte. E vedere soprattutto le reazioni...
Lo so, se le mucche volassero sarebbe peggio...
Che poi, se le deiezioni finissero sulla capote, sul lunotto posteriore, sulle fiancate... sono un tipo paziente e, pur essendo le vetture un piezz'e core, aspetterei la pioggia che prima o poi arriva.
No, ti raccomando, il parabrezza è il loro cesso ideale; che se per qualche giorno non usi la macchina, col sole che aiuta, ci vuole la carta vetro per ripulire.
E così ogni anno partiamo fischiettando un "andiam, andiam, andiamo a vendemmiar...", sull'aria dei sette nani, che peraltro andavano a scavare diamanti... e di essere allegri avean ben donde.

Sviluppo tecnico dell'operazione.
Oltre al parcheggio avevamo optato per altri punti del giardino in cui piantare piedi di vigna, di specie differenti destinate alla tavola ma soprattutto alla spremitura per vino. I più a pergola, quindi sia per la cura che per la raccolta richiedono l'uso delle scale.
Piazzata la scala si destina l'ultimo gradino, quello più ampio, alla tenuta di un secchiellino che stia fermo sul predellino, da riempire col prodotto. Pieno il secchiello scendere, vuotare nella bagnarola più grande, spostare la scala quel tanto necessario per procedere nella raccolta.
Sali e scendi, risali e riscendi...
E nello spostare la scala mai dimenticare il secchiello là in cima... garantito al limone che cade, garantito al limone acerbo che cade sulla testa... e, anche vuoto, fa un male boia.
Sembra incredibile come un anno in più renda questa semplice ginnastica del sali-scendi, così distruttiva di quel poco di energia rimasto dal lungo uso di essa fatto nel tempo. Un tempo allegramente, poi via via sempre più pesantemente...
Ovviamente c'è il sole... un sole che strizza i pori uno per uno come fossero punti neri da eliminare per una carnagione pulita e ringiovanita. Coi capelli che zampillano come fontanelle. E che, quando te lo trovi di fronte, costringe a tagliare i grappoli per sentito dire. La famosa canzone che parlava del sole in fronte, aggiungendoci 'beatamente'... beata poesia... Non ricordo di avere mai terminato una vendemmia con le mani sane; anche grazie al sole una puntata di forbice me la sono sempre concessa, di solito sulla mano che scosta le foglie per tentare di vedere il grappolo da tagliare.
Anche quest'anno ho mantenuto il ritmo...

La compagnia te la raccomando: un paio di vespe ronzanti, che cerco di cacciare con la tecnica del vento, agitando la forbice nel tentativo, vano, di beccarle al volo; alla fine si allontanano di loro sponte, non credo lo abbiano fatto per il timore di essere fatte in due tronconi, forse altrove c'era di meglio da importunare.
E le formiche: devono essere termiti carnivore, lo deduco dalla velocità con cui arrembano le mie mani non appena tocco un ramo. E con queste le forbici non le posso usare.
E c'è questo tizio, nella foto a fianco... Non lo avevo notato, in un primo momento era sdraiato lungo lungo su quel ramo, si vedeva solo una corteccia con due occhi. È il Grigio. Il tempo di andare a casa a prendere il cellulare e già si era drizzato, quasi a darmi del fannullone poiché avevo interrotto il lavoro.
Nel parcheggio, da un bordo erboso era uscita una biscia nera, forse una cucciola visto che non superava il metro di lunghezza. Aveva attraversato tutto lo spiazzo, correndo velocissima sul ghiaietto; nell'aria sembrava di sentire il cloppete!cloppete! galop!galop! di jacovittiana memoria. Per sparire, insalutata ospite, nell'erba all'altro lato del parcheggio.
Il micio? manco una piega... Comincio a pensare che non sia un gatto da guardia; gatto guardone sì, da guardia proprio no.

Beh, vieni al dunque: com'è andata?
In estrema sintesi, direi comme çi-comme ça, così-cosà, 'nzomma...
Leggibili, tutte e tre le versioni, come:
a) poteva andare meglio,
b) poteva andare peggio,
c) più o meno come l'anno scorso,
d) chi si contenta gode,
e) da interpretare a piacimento.
Non avendo avuto grandinate serie che potessero aver danneggiato i frutti, pur tenendo conto dei furti citati all'inizio, ci si aspettava un raccolto quantitativo più abbondante. Forse la troppa pioggia, forse il troppo caldo fuori stagione, forse il diavolo che ci ha messo del suo... fatto sta che un po' di delusione c'è.
Quella servita in tavola era ottima, speriamo che il vino sopperisca in qualità quello che è mancato in quantità.
Adesso è nel tino che sta mostando dopo la spremitura, poi passerà al torchio... con la speranza che l'assaggio del novello ai primi di dicembre sia opportunamente centellinato.
Altrimenti rischiamo di consumare il beveraggio di tutto l'anno già nel primo assaggio.

Non bevo vino fuori pasto.
Mai.
Magari un grappino o un whiskyno, se l'occasione comporta, ci stanno, il vino mai.
Non so il perché; si potrebbe pensare che abbia preso in un passato lontano una sbronza tale da farmelo odiare, sbronza di cui peraltro non ho ricordo; se ci fu, dev'essere stata talmente ciucata da avermene cancellato memoria. Ma, teoricamente, lo dovrei avere in uggia sempre, invece durante i pasti mi scende che è un amore; mai più di un bicchiere, però. A meno che non si tratti di uno spumantino di accompagno a un dolce, panettone o altro che sia, al termine del pasto o a qualche festicciola alla buona, dove, purtroppo, lo champagne non è d'uso corrente.
Lo stesso effetto me lo fa il cioccolato delle uova di Pasqua; che siano uova, gallinelle o coniglietti non mi vanno più giù: ma, con questo tipo di cioccolato, so il perché. Ricordo di averne mangiato, divorato, in prima gioventù, uno enorme facendone un'indigestione stratosferica. Ricordo anche di aver vomitato l'anima... imprimendo in memoria 'quel' tipo di cioccolato, pur non ricusando il fondente tradizionale in barrette, quadri, cioccolatini, boeri... Non più con la frenesia e l'ingordigia di un tempo che fu, ma non disdegno.
Del vino in prima gioventù ho un buon ricordo.
Ero stato avviato alla carriera sacerdotale, o perlomeno questa forse era la speranza di chi mi aveva inserito nel primo gradino di una scala gerarchica che mi avrebbe portato sicuramente al papato.
Ero chierichetto, con tanto di tonaca nera e cottarella bianca, abiti della tradizione; il chierichetto in borghese era rarissimo, come erano rari gli spazzini o i postini senza divisa, o gli agenti di polizia sotto copertura... l'abito, allora, faceva il monaco.
Il mio volo pindarico (che non avevo idea di cosa diavolo fosse) mi aveva fatto già prenotare il nome da offrire alle genti dopo il grande gaudio dell'annuncio della mia elezione a papa: Gerundio. Mi sarei chiamato papa Gerundio, evitando così il numerale che viene aggiunto al nome: sarei stato papa Gerundio, probabilmente unico e irripetibile...
Ma questa è un'altra storia.
I chierichetti erano indispensabili per dialogare con i celebranti. Le funzioni avevano come unica lingua d'uso il latino, che richiedeva nelle varie funzioni una specie di risposta o di completamento a quanto il prete andava sciorinando. Monosillabi imparati senza saperne il significato, che però pare fossero indispensabili per il buon esito delle cerimonie stesse.
Solo le prediche erano offerte in italiano, col celebrante rivolto direttamente verso il pubblico, e in quelle l'inserviente non metteva lingua. Prediche poi divenute omelie, e non ho mai capito perché. Nel detto predicare bene, solitamente seguito da e razzolare male, vorrei vedere come suonerebbe un eventuale omeliare bene... non ci starebbe proprio.
Da chierichetto partecipavo, oltre che alle funzioni religiose loro proprie, alle festicciole per battesimi, cresime, comunioni, matrimoni, cui seguiva immancabile una specie di buffet, che non era a livello dei pranzi luculliani attuali, quelli che mettono in ginocchio l'economia famigliare per anni a venire; sul tavolo bottiglie di vino, di solito bianco, non necessariamente frizzantino, biscotti, amaretti, cioccolatini... qualche scialacquoso pure una torta, di solito fatta in casa.
Solo nei funerali il servizio non si concludeva come fanno vedere nei telefilm americani, dove al termine della cerimonia d'addio si abbuffano e sbevazzano in onore del dipartito.
Ecco, nei biscotti la mia preferenza andava ai savoiardi, che intingevo nel vinello, e di cui ero ghiottissimo. Intingi e ciuccia, bastavano poche inzuppate per mettermi allegria, e non credo fosse merito del biscotto.
Nelle funzioni in chiesa non c'erano buffet, ma per il completamento delle messe era indispensabile la presenza di due ampolline (si chiamavano proprio così, non era un vezzeggiativo), una con acqua e una con vino.
Bianco.
Santo.
Vin santo.
Una favola...
In attesa dell'uso canonico, queste ampolline erano posizionate su un tavolinetto a parte; oggi sono in bella vista sull'altare, e il celebrante può seguire con lo sguardo sia il pubblico che gli inservienti, avendo l'uno di fronte e gli altri al suo fianco.
All'epoca, c'era il momento in cui il chierichetto si rendeva utile portando le ampolle dal tavolo all'altare; qui il celebrante mesceva nel calice una (buona) parte del vino e poche gocce d'acqua.
Nel riportare le ampolle al tavolinetto, il chierichetto voltava le spalle sia al sacerdote che al pubblico. Quello era il momento giusto per versarsi nel cavo della mano un po' di vin santo, che nei successivi attimi di preghiera intima era possibile annusare e leccare prima del suo naturale evaporamento.
Chissà se questo agire rientrava nella lunga lista di peccati da confessare...
Vabbè, tanto ormai sarebbero peccati cancellati da prescrizione, inutile pormi i problema.

Fine della vendemmia, prossima puntata dedicata alle olive.
Che liquido subito: 'sarebbe' dedicata alle olive... se ce ne fossero.
Quest'anno nisba nada rien, niente... foglie tante, olive zero.
Niente olive, niente post; il tempo resosi disponibile potrà essere dedicato alla lettura di almeno un capitolo d'un buon libro.
Un cambio sicuramente vantaggioso...

6 commenti:

  1. La vendemmia fa pensare all'autunno, oltretutto oggi è proprio il primo giorno della nuova stagione..
    Ma da me fa ancora un caldo infernale.
    Quanto alla stanchezza, posso ben comprenderla.
    Poco prima dello scorso Natale, mio nonno mi ha messo a disposizione il suo immenso oliveto per raccogliermi le olive e preparare l'olio che mi sarebbe servito per tutto l'anno in corso.
    Ci ho messo 4 giorni a finire l'opera e credo di aver perso sei anni di vita. Mamma mia che fatica!!!
    Però la spesa vale l'impresa.
    Un olio così puro e prelibato non lo trovi da nessuna parte.. ed io sono figlia di un grossista di extravergine, che purtroppo non c'è più.
    Quindi, ho il palato allenato.... 😉

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    1. Quest'anno con le alive è anno morto. E ho ancora le ossa rotte dalla raccolta dell'anno scorso. Anche ogni volta basta un anno in più per renderti conto che il tempo non passa invano: fai un'esperienza che l'anno successivo non sai se sarai ancora in grado di applicare. E non abbiamo un immenso oliveto, una dozzina di piedi, ma ci mettiamo 4/5 giorni in due. È vero c'è la soddisfazione dell'olio tuo, così come il vino, ma la fatica è tanta.

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    2. Papà me lo diceva sempre che le campagne dell'olio buono andavano ad anni alterni.
      Quindi, devo dire che la scorta che ho fatto mi basterà anche per il prossimo. Tanto in commercio non troverei di meglio.
      Perciò non mi preoccupo... ;)

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    3. Idem, olio 2017 basterà fino al 2019, tanto lo usiamo per condimenti fini; per friggere olio di semi o girasole. Per il vino, lo faremo bastare... sto studiando l'aramaico per poter trovare la ricetta della tramutazione dell'acqua in vino... Pare che sia operazione fatta in passato una sola volta, tant'è che è stata definita miracolosa, ma è più segreta della pietra filosofale... che sarebbe altrettanto utile.

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