domenica 16 settembre 2018

Nuove perle

Ecco, uno apre un post, si ritrova con l'immagine di un libro e, giustamente, pensa: uffa!, un'altra barbosa recensione...
Bene, ammesso che ciò possa invogliare alla lettura, questa non è una recensione, non vuole esserlo, perlomeno non del tutto. Parzialmente sì, lo è, ma solo come spunto a considerazioni che esulano un po' (tanto) da quello che è il contenuto del libro stesso.
Ho letto il libro, questo di cui a fianco vedete la copertina.
Ne parlo a modo mio, senza pretendere che il pensiero sia condiviso. È solo un'opinione, una delle tante, certamente non tra le più qualificate.
Quando leggo un libro, ma anche solo un articolo di giornale o rivista, se mi appassiona, mi ci tuffo dentro, ci arzigogolo fino ad uscire quasi del tutto dal testo in sé. Leggendo creo un libro mio parallelo, solo mio, con note, pensieri, considerazioni, che restano nella mente fino a quando non ritengo di far fuoruscire quello che non è materia grigia, essendo questa da tempo esaurita, ma il racconto di un altro tometto personale.
Se poi coincide con il reclamizzare (che parolona!) anche il prodotto da cui traggo spunto... meglio; i classici due piccioni con una sola fava.
È un messaggio che, raccontando fatterelli (le perle) dati ai giovani nuovi porci (affettuoso appellativo identificativo degli studenti in generale), è in realtà una metafora assoluta destinata ai vecchi porci (appellativo affatto affettuoso verso i vecchi studenti, peraltro fuori scena), causa principe del decadimento progressivo dell'istituzione scolastica. Con l'aiuto disinteressato dei vari governi in comica successione (nel senso che di scuola meno se ne interessano meglio è; ogni volta che lo fanno, sono picconate a demolire, fregandosene farebbero meno danni).

Al dunque: la scuola è quella che è, ormai è chiaro che non è (più) quella che dovrebbe essere; non dico quella di una volta, poiché non credo, pur andando a ritroso per migliaia di anni, che la scuola come ciascuno la sogna sia mai esistita. Proprio perché, come in politica e nelle religioni, si tratta di modi di vedere, credere e sognare assolutamente soggettivi.
Tanti siamo? Altrettante sono le idee, i credo e i sogni...
In fondo è una delle poche cose belle di questa nostra disgraziata umanità.
Intanto mi tolgo dai piedi il libro di Perboni (pardon, del professor Gianmarco Perboni; ché la confidenza non dia l'impressione che questo mio specie di  pamplhet sia scritto da un conoscente, magari da un famiglio, dell'Autore).

È un genere già molto ben noto a chi lo segue dai primissimi "vagiti", prima su blogger e poi sulla carta stampata.
Dal primo prodotto, anzi dai post, Perboni spara a zero contro questa scuola; da notare che 'questa' si riferisce a tutti i diversi passaggi, indipendentemente da chi sia, o sia stato, al timone di questo settore o da tutte le politiche che di volta in volta sono intervenute con l'intento (fallace e fallito) non dico di sanarla ma almeno di migliorarla.
La prima impallinata, se ricordo bene, fu la Mariastella; le immagini che proponeva me ne avevano fatto innamorare (ma non fa testo, in queste cose sono sempre stato infantile: mi ero innamorato, come un po' tutti i maschietti credo, della maestra delle prime elementari, più avanti di un'altra che era una suora e che, nonostante ciò, era proprio bella, anzi forse più bella che se fosse stata laica; il top lo toccai alle medie con la profia di matematica, che aveva creato in me un conflitto di interessi insanabile, odiando con tutte le mie forze quella materia, nel contempo adorante nel corso delle sue elucubrazioni su fisica e matematica).

Spara, Perboni, con un cannone, spara palle pesanti, fasciate dalla bambagia dell'ironia che appena possibile scivola nel sarcasmo, ma in modo così dolcemente carognesco che le sue considerazioni spingono, nell'immediato, alla risata, per poi scivolare nel ghigno e finire nel chiedersi se siano veramente frutto di vita vissuta o invenzioni di un Artista.
Il che dà a questo, come agli altri suoi libri sullo stesso genere, un incredibile sapore di tragico.
Quel tragico che consente di ridere digrignando nel contempo i denti, in una forma di bruxismo alla luce del sole.
Per chiudere degnamente il riferimento diretto al perbonismo, è mio dovere ribadire che si tratta di un autore carogna, qualità di cui non fa mistero; anzi, sentirselo dire da altri, meglio se suoi lettori, lo manda in sollucchero. Come quello che, guardandosi allo specchio, si dice "ma quanto sei bello e quanto sei bravo!". Va da sé che è una considerazione soggettiva, con il valore che può avere un giudizio interessato. Diverso è il discorso se a dire "quanto sei bello e quanto sei bravo!" è una voce o uno scritto terzi. A un "rinfaccio" vis-à-vis di questo titolo risponderebbe con un disarmante "Sì, sono una carogna... e allora?".

Bene, passiamo a parlare di cose serie.
Per farlo prendo spunto da un paio di capoversi di queste Perle, con la speranza che lui non si alteri (prego notare la finezza del termine, grazie) per un prelievo che nulla toglie al valore tragicomico dell'opera nella sua globalità.
Lo farò con la mia solita, nota e apprezzata, concisione.
Prima riporto i periodi, poi tento di dire la mia.

"Dopo l'uscita da scuola, nel piazzale antistante l'edificio, un ragazzo ne spintona un altro, mandandolo a gambe all'aria e facendogli sbattere la testa.
Dal portone una bidella ha assistito e riferisce al preside, che prende provvedimenti (assai blandi) contro l'aggressore.
A questo punto (omissis, sia per evitare un'accusa per plagio, sia per non allungare vieppiù queste noterelle, sia perché a chi fosse interessato il libro è disponibile sia in libreria che on-line) quale sarà stata la reazione del padre di quest'ultimo...
Tale padre si è infatti recato dal preside e chiedere sanzioni contro la bidella.
Perché?
Perché costei aveva violato la privacy del proprio figlio, con la sua delazione riguardante un episodio avvenuto fuori dalla scuola".

E questa è la considerazione conseguente:
- l'educazione non è compito della scuola. La scuola deve (dovrebbe, ormai) insegnare, gli insegnanti sono docenti (da docere [mamma mia, è l'unico termine  latino che ricordi e, quando lo riesco ad usare, godo come una filovia], insegnare, guidare verso la scienza o quantomeno verso la conoscenza);
- l'educazione è uno dei compiti primari della famiglia. È la famiglia che per prima si trova fra le mani un batuffolo neonato, che ne segue la crescita, in salute ed educazione. La crescita di un ragazzo è (dovrebbe, oggi meno che mai) essere seguita dal primo vagito fino alla maggiore età. Con il supporto della scuola, non come rimpiazzo di queste. Se una delle due parti è assente, famiglia o scuola, alla fine rovinano a terra entrambe, per simpatia l'una dell'altra.
Un tempo, parlo di secoli or sono, l'educazione dei virgulti era affidata un po' a tutti, in parte anche agli insegnanti, ma a questi più che altro nell'interno delle aule. Se sputacchiavi un compagno o lanciavi palline o facevi, come si dice oggi, casino, le sberle e le righettate arrivavano con una generosità che fossero stati soldi ci si sarebbe arricchiti; una ricchezza che lo studio, almeno materialmente, non dava (non dà?).
Parolacce o, nonfossemai, bestemmie erano non dico bandite ma assolutamente inesistenti; come il tu agli insegnanti o agli stessi bidelli, come l'uscire dai banchi per bighellonare in aula o arrivare alla cattedra senza essere espressamente chiamati a rapporto.
Parolacce e, nonfossemai, bestemmie si raccoglievano, si memorizzavano e si ripetevano "fuori".
Fuori, nel mondo esterno, all'educazione erano tacitamente delegati tutti, per una norma forse mai scritta ma applicata senza deroghe o trascuranze.
Vado sul personale.
Rientravo da non so quale missione, per farlo dovevo attraversare una grande piazza, che era sede di mercato quotidiano, enormemente rinforzato nella giornata del sabato. Gli altri giorni chiudeva nel primo pomeriggio, il sabato durava fino a sera tarda.
Per cui la pulizia delle camionate di rifiuti avveniva la domenica mattina.
Servizio svolto da spazzini manuali, integrati poi da passaggi di mezzi lavanti, forse pure disinfettanti.
Avevo deciso di traversare la piazza in scorciatoia, cercando di evitare i rifiuti dove non ancora raccolti, anziché seguire il perimetro della piazza orlato dal marciapiede.
Lo avevo fatto canticchiando una canzoncina, da poco sentita e prontamente memorizzata.
Inciso: ero stonato a tal punto che la classica campana crepata al mio confronto ero un suono dolce di violino. Il tempo credo abbia peggiorato questo mio pregio...
Ecco perché, conscio di ciò, una delle poche occasioni per poter gettare al vento le mie note garrule era trovarmi in una grande, meglio se grandissima, piazza o in un luogo comunque privo di altre presenze umane. Nel prosieguo della vita, l'interno della macchina (a vetri alzati e con pausa ai semafori) si è poi rivelato provvidenziale. Il mio cantare non mi disturba, e non capisco perché non sia apprezzato dagli altri. Nel coretto della scuola il mio solo aprir bocca era richiamo di schiaffi; dovevo fingere, muovendo le labbra a suon di musica. Un'arte anche quella.
Metto il testo della canzoncina, tanto presumo che queste righe siano lette da soli adulti... o da ragazzini comunque più svegli di quanto fossi io allora.
La donna immobile (sic)
sul letto stava
col dito pollice (sic)
se la grattava
Il (sic) significa che così l'avevo recepita e così l'avevo proposta a un uditorio quasi inesistente.
Quasi... perché uno spazzino l'aveva sentita e, chissà perché, mi aveva urlato di brutto:
"Ehi, moccioso, che .... stai cantando!" (dove i puntini sospensivi starebbero per "cazzo", che era una delle tante parole allora a me ignote).
Si fosse limitato all'urlo, me ne sarei forse fatto un baffo, anche se ero ancora implume, invece aveva imbracciato la scopa a mo' di scopa e si era diretto quasi di corsa con la chiara intenzione di ramazzarmi a dovere. Avrei capito lo avessi offeso con il mio gorgheggio, invece era partito in tromba per menarmi per il testo della canzone.
Di cui non sapevo il significato, e che nei giorni seguenti mi avevano spinto a tentare di chiarire.
Cominciando da "cazzo": assente dal vocabolario, non potevo correre il rischio di buscarle chiedendo a qualche grande; che ne sai di come ragionano questi?
L'aria della canzoncina era di un'opera. Il che mi aveva illuminato sul perché non risultasse nelle canzoncine di Sanremo, allora ai primordi del suo festival; e anche perché non fosse presente nel repertorio gregoriano che allora mi veniva propinato. 
In quell'opera la donna è mobile: e questo aveva abbattuto il dubbio iniziale su come ella si potesse grattare stando immobile; quindi poteva. Punto.
Col dito pollice: in seguito, molto in seguito, sarei venuto a sapere che non del pollice si trattava ma di un altro dito che ritenevo servisse solo al lancio di affettuosi saluti; serviva anche ad altro. Punto.
Se la grattava: nebbia assoluta... le testa, la spalla, la recchia, la ginocchia... nel massimo slancio di giovanile libidine ero arrivato all'ombelico, ma non quadrava col genere femminile del testo. Anche a quello, col tempo, ci sono arrivato... Punto.

Tutto questo per dire che a quell'accidente di spazzino cosa poteva fregare se nella mia canzone aveva letto qualcosa di vagamente osceno? Ma si era sentito in dovere di educare un moccioso sconosciuto, che in un occasionale transito nella sua zona di operazioni era uscito inconsapevolmente (ma lui, il moccioso, non lo poteva sapere) dai binari di un esprimersi in maniera pulita.
Dovesse ripetere quella performance un ragazzino d'oggidì, che reazioni ci sarebbero? A parte il fatto che nessuno è più inconsapevole, a parte il fatto che non c'è più bisogno di documentarsi per avere lumi su qualsivoglia argomento, a parte il fatto che non ci sono più gli spazzini di una volta... a parte tutti i fatti, assolutamente nessuna reazione, un menefreghismo totale, un'educazione che si pretenderebbe solo ed esclusivamente dalla scuola.
Nel frattempo quello spazzino sarà ormai impegnato a scopare (ehm, ramazzare...) in cielo, per cui non lo posso ringraziare di quella lezione di educazione civica, che era disposto a rafforzare con un metodo oggi ritenuto non ortodosso, ma allora molto comune ed efficace.
(Mi devo ricordare di segnalare al prof il rischio che sta correndo col definire bidella una bidella, nel frattempo sopraelevata al rango di operatrice scolastica; qui posso ancora impunemente citarli come  spazzino o bidella, poiché ai quattro gatti che leggono importa un fico secco e presumo abbiano altro da pensare che denunciarmi: Ma mettendo in giro, nero su bianco, termini che oggi appaiono quasi spregiativi, potrebbe costargli caro; sicuramente l'aggio sulle vendite del libro potrebbe finire in fumo).
Nella scuola entra quello che si apprende in famiglia, nell'ambiente in cui gli studenti operano fuori dall'ambito prettamente scolastico.
Un tempo il terreno su cui i docenti andavano a seminare era vergine; che quel seme germogliasse o inaridisse dipendeva da fattori diversi che andavano dalla propensione soggettiva degli allievi alla capacità di coltivare le menti da parte degli insegnanti.
Oggi i bambini vanno alle materne già ben tonsi, il terreno lungi dall'essere vergine è ormai sfruttato fino all'esaurimento. Tentare di recuperare i danni fatti prima, e fuori, dell'accesso alla scolarizzazione è ormai impresa utopica; e quei danni, come le epidemie, tendono a peggiorare, poiché non ci sono più mezzi e capacità di porvi rimedio. E ormai neanche più la volontà.
Pessimismo? Bastano le notizie quotidiane per rendersi conto che si tratta di un pessimismo ampiamente giustificato...

Altro giro, altra corsa, altro periodo, a conferma di quanto esposto fin'ora.
Si affrontava un problema collegiale relativo all' "Analisi della situazione didattico-disciplinare" riguardante uno studente che in classe fa di tutto, ma proprio tutto, meno che aprire un libro o fare almeno finta di studiare.
Intervento, sollecitato, del prof di cui trattiamo:

"Non sarà necessario che vi ricordi che se trovate un ladro in casa e lo mazzolate, quello dei due che passerà guai seri non sarà certo il ladro. Anzi, attenti a non fargli troppo male, o la casa la dovrete vendere per risarcirlo. Sempre perché siamo in Italia. Anche a un livello più basso le cose non funzionano diversamente. Se vogliamo punire uno studente indisciplinato, i primi a subire la punizione siamo noi insegnanti. Grazie, ma mi sono più che sufficienti le sofferenze che già mi vengono inflitte d'abitudine, senza bisogno dei tempi supplementari".

Di bocciare studenti, magari a un passo dal divenire plateali delinquenti, non è più possibile.
Addirittura non è lecito 'minacciare' l'estrema ipotesi di bocciatura. Non che sia consigliato di evitare questo, è espressamente vietato.
Anche perché, nel frattempo, avverso le bocciature si ricorre immediatamente al giudice, se questo non basta si arriva al TAR, se ancora non basta c'è la Cassazione. Poi Strasburgo e poi l'Onu... Alla fine il somaro o bullo, o entrambi i titoli, bocciato otterrà giustizia con il reintegro della promozione. Ossia ai giudici viene affidato il giudizio sulla somareria o meno di uno studente, sul suo comportamento bullistico o scansafatiche; i quali, dopo avere visionato carte e sentito legali (che qui raccomando!) per una manciata di minuti, intuiscono capacità e modus operandi di ragazzi in aperto contrasto con chi per un anno intero di questi ha seguito l'evoluzione (si fa per dire...).
A mio parere, siamo all'assurdo, fino a poco fa inconcepibile.
Già un voto basso o un rimbrotto ritenuto offensivo dal virgulto, suscita reazioni, violente e immediate, da parte dello stesso. A pronto seguire, l'appoggio incondizionato da parte dei genitori, per la più parte rappresentati da madri inferocite che, accantonata l'ancestrale delicatezza femminile, vestono la pelliccia delle belve inferocite verso chiunque tocchi i loro cuccioli.
Quello che emerge dalle cronache quotidiane è solo la punta di un iceberg, il resto che sta sotto è troppo vasto per riuscire a vederne la consistenza.

Altrove, in diversi interventi, il professore dà anche la ricetta per risolvere l'idiosincrasia allo studio, ma soprattutto i comportamenti di prepotenza ormai endemici nella scuola italiana.
Consiglia qualche legnata sulla schiena, qualche schiaffone ben assestato, il ritorno alla famigerata righella... e bocciature e grappoli.
In pratica un ritorno al passato per provare a entrare in un futuro meno nero di quanto appaia oggi.
Un'iperbole?

È ovvio che parla per assurdi, enfatizzando un sistema ormai tramontato e non più riesumabile.
L'esimio prof ignora, o finge di ignorare, gli effetti deleteri di quel modo di insegnare.
Non vuole vedere l'invasione dei sessanta/settantenni che, solitamente in branco, terrorizzano le nostre città, i parchi, le scuole, gli uffici. Costoro vandalizzano senza ritegno, derubano, quando possibile violentano chi gli capita a tiro, minorenni o meno; sui mezzi pubblici ormai è impossibile circolare, le auto private sono oggetto di attenzioni modificatorie delle sagome originali...
Girano in branchi, come bestie feroci, alla continua ricerca di nuovi stimoli, di sfoghi adrenalinaci che solo la violenza riesce ad appagare.
In branco, perché solitamente la vigliaccheria si evidenzia inesorabile quando si agisce in singolo.
Incontrarli camminando su un marciapiede è preludio di guai, a meno di riuscire per tempo a svicolare.
Ecco, come fare a spiegare al prof che costoro sono stati allevati con i metodi che lui suggerisce e di cui auspica il ritorno?

Già, i sessanta/settantenni a loro tempo hanno avuto schiaffoni, righettate, bocciature... e talvolta cinghiate, queste a casa per pareggiare quanto ricevuto a scuola. Con questi trattamenti sono arrivati tutti a qualcosa, chi in meglio di quanto sperato, altri in pareggio, altri in peggio. Hanno coronato i loro sogni, chi nell'imprenditoria, chi in politica, chi nell'insegnamento, chi nella medicina; chi è rimasto semplice impiegato o operaio; chi a questa età si trova disoccupato, ma questo non per "merito" suo o per i ruvidi insegnamenti a suo tempo ricevuti... colpa di altri che hanno barato, nelle imprese, ma soprattutto in politica...
E meno male che, forti del ricordo delle botte pedagogiche ricevute, hanno saputo trasmettere a figli e nipoti quel senso del dovere, quell'amore allo studio, quel rispetto degli altri; il rigetto del bullismo; questi ragazzi, così bene allevati, dovrebbero essere d'esempio per i bullastri citati poc'anzi. Sono loro che prontamente difendono a spada tratta le carognate dei genitori o nonni, giustificandole come frutto incipiente di una senilità prorompente. Avessero qualche anno in meno, questi sbracamenti, sarebbero definiti "ragazzate"; le conseguenze? esagerazioni dei media che non capiscono niente dell'educazione di questi vecchiardi, peraltro ormai irrecuperabili.
Fine dell'iperbole.

Un tempo, di fronte a fattacci riprovevoli, c'era nelle famiglie, come nelle scuole, un lungo momento di presa di coscienza, una camera caritatis in cui era possibile chiarire ad personam, a quattr'occhi si direbbe, le situazioni scabrose, una specie di brainstorming in seduta privata utile per evidenziare eventuali problemi soggettivi o famigliari: per porvi rimedio quando esistesse un barlume di possibilità di recupero; da questi colloqui talvolta si riusciva a rimettere i balordi sulla retta via.
Farlo oggi? viene solo da ridere...

Chiedo scusa all'Autore se ho sbracato un pochino, prendendo spunto dalla lettura del suo libro (divertente e piacevolissima come sempre). Sono pensieri in libertà che rispecchiano, malamente, il mio pensiero sulla scuola d'oggi, sulle famiglie d'oggi, sui quasi anziani (cui chiedo perdono della inversione dei ruoli, negando fermamente che siano loro i famigerati bulli di cui tanto si parla; accusandoli peraltro di essere la causa prima di questo sbandamento generale ["quello che abbiamo provato noi, non lo faremo provare ai nostri figli e nipoti"; con questo risultato!]).
Personalmente non credo che lo sfacelo sia recuperabile... mi piacerebbe vivere abbastanza a lungo da vedere i frutti del cambiamento generazionale futuro, figlio del totale permissivismo attuale. I giovani d'oggi saranno un domani anche loro sessanta/settantenni... e per loro prevedo un risveglio (tardivo) molto acido.

L'epilogo del libro: nell'ultimo capitolo offre un suggerimento per risolvere la crisi scolastica nel suo insieme. Con una botta sola, che non è una bomba esplosiva come si potrebbe pensare, bensì una soluzione di una semplicità unica, talmente semplice che mai verrà messa in atto. È una specie di parte finale di un thriller, per cui non la riporto per non guastare un finale (quasi) a sorpresa. Magari bloccando il pensierino di provvedere all'acquisto del libro... che poi la Carogna metterebbe a mio carico per le mancate vendite.

E a questo punto credo sia opportuna una precisazione: non sono insegnante, a nessun titolo e a nessun grado; non ho, né mai ho avuto contatti col mondo della scuola, salvo il minimo (ma proprio minimo) sindacale per essere da questa licenziato con un pezzetto di carta che vale quanto un rotolo di carta igienica; con Perboni ho solo un rapporto di conoscenza virtuale, ovviamente non sono suo parente; non sono il suo editore; non sono un libraio; in realtà della scuola me ne frego come e più di quanto importi ai governi o alla parte lavativamente operativa del settore...
Quindi, perché?
Nostalgia, nostalgia canaglia... verso qualunque cosa che ci fu e ora non c'è più, e che non sto ad elencare per non tediare ulteriormente chi lo è già per ben altri motivi più importanti
Mi pare ce ne sia abbastanza per rinunciare a leggere questo sproloquio, ma ormai lo avete fatto, per cui ringrazio e saluto.




  







10 commenti:

  1. Qualcuno (non io) diceva che le cose ricominceranno a funzionare nelle famiglie e a scuola quando i genitori smetteranno di essere fan dei propri figli, e si comporteranno da ecucatori, piuttosto che da follower..
    La scuola è alla deriva. La società tutta anche.

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    1. Infatti, è quello che sostiene Perboni e che io, indegnamente ho cercato di riassumere (vabbé, riassumere...).

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    2. Ahahah
      Sai che io ho il problema inverso?
      In redazione mi chiedono 7mila battute. Io ne scrivo 5mila di getto, e poi fatico un sacco per "allungare il brodo".
      Ho un eccessivo "dono" della sintesi. 😉

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    3. Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.

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  2. Volevo andare a letto presto, perché domani ho il primo ingresso in classe e invece mi sono letto tutta la tua recensione, che probabilmente voleva stabilire il primato di prima recensione al mondo più lunga del libro. Concordo con tutte le tue osservazioni, a parte ovviamente gli apprezzamenti che mi fanno molto piacere. Grazie. E ora buonanotte.

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    1. Su fb sono stato molto sintetico e lineare con il libro. Intanto grazie a te che mi hai dato ampio spunto per parlarne. Quanto ai complimenti è una delle poche occasioni che si presentano di poterlo fare senza essere menato. Pensa se mi scappasse di scrivere che un membro governativo è una carogna. Oscuramento del sito, polizia postale ecc. ecc. Dire la verità qui non è possibile. Buonanotte a te e in culo alla balena per domani (e anche per il resto dell'anno...).

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  3. Questa società è alla deriva più totale, i genitori devono finire di fare gli amici dei figli, ma cercare di trasmettere dei valori.
    Saluti a presto.

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    1. Ma soprattutto di trasmettere valori che non siano frutto di insegnamenti o esempi del loro passato. Quanto descritto, grazie allo spunto ironico di Perboni, è parte di ricordi di gioventù, in cui i virgulti non erano allevati solo con il 'sì'; la preminenza era data all'insegnamento del 'no', che nel corso della vita è monosillabo più ricorrente. Il saperlo accettare denota una maturità raggiunta. Senza questa, generalizzata, si finisce a rotoli.

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  4. Non so quando sia iniziata questa follia, ma credo che sia emblematico il fatto che siamo un paese in cui il criminale si difende accusando i giudici e parte dell'opinione pubblica gli dà pure ragione.

    Ho capito che torturare un bambino legandolo alla sedia e bastonandolo con una mazza chiodata non sarebbe opportuno, ma nella mia Terronia si è sempre detto "mazz e panella fann e figl bell" (Bastoni e pagnotte rendono la prole gradevole).
    Io ero il primo a ribellarmi coi miei genitori quando mi sembravano troppo severi o restrittivi, ma col tempo ho capito che han fatto di tutto per non farmi diventare un coglione (riuscendoci solo in parte, purtroppo).
    Nell'insegnamento, ormai è abituale che i genitori degli alunni se la prendano coi professori anziché ammettere che il proprio figlio è un caprone.

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    1. Siamo alla follia dei criminali che non hanno più necessità di difendersi: ci pensano i giudici, probabilmente affidandosi ai like sul web.
      Non solo nella tua Terronia, in un tempo lontano, non c'era tanto il terrore degli insegnanti, quanto quello di un ritorno a casa buscando il resto, solitamente più sodo e abbondante. E non era rara la perla: "Se piangi ne prendi il doppio!"...
      La ribellione a metodi esageratamente costrittivi e violenti c'era, ma, almeno a sentire quelli che oggi sono genitori, tutti li ricordano come meritati e utili alla formazione di un civismo e di un carattere che nel futuro, per loro ormai passato, sarebbe venuto a taglio.
      Il fatto è che più che di passato ormai si tratta di trapassato, inteso come passato a miglior vita, dimenticato. Mi piacerebbe godere di un'eternità (ridotta) di vita per poter vedere cosa raccoglieranno i genitori di oggi da quanto stanno così bene seminando.

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