Petali di crisantemo
Quando facevo parte della forza lavoro attiva, battevo...
(E dai, già dal titolo si capisce che sto per raccontare qualcosa di serio, magari tragico, ma come faccio a continuare se dal fondo e dal sottofondo capto, già dopo la prima riga, commenti dissacranti:
"Lo dubitavo, adesso ho la certezza...".
"Ecco cosa faceva il gatto, quando diceva di lavorare...".
"Apperò, 'sembrava' così ammodino...".
"Peccato, qualche anno dopo e anche lui sarebbe entrato nell'entourage...".
Ovviamente è la malignità tipica dei piccolotti che mi fa pensare queste cose. Che, sono certo, mai passeranno nella mente di chi bonariamente mi legge.
Comunque, il primo che dice: "Io non l'ho pensato", lui è il Giuda).
Dicevo, nel mio peregrinare, ho vissuto esperienze che hanno lasciato un segno particolare nei miei ricordi.
Come forse già sapete, negli ultimi anni della mia vita lavorativa, ho vissuto più negli alberghi che a casa mia.
In parecchi di questi, al mio arrivo non chiedevano più i documenti, perché ero già schedato, catalogato e questurato.
Mi dicevano: "Signor Gattonero (ndr: per evitare che dopo il 'lavoro' qualcuno pensi che è il vero nome, sia chiaro che trattasi di pseudonimo), ecco la chiave, stanza 69", o un altro numero, sempre per evitare malignità.
Una mattina, verso le 9, me ne andavo bello bello in auto sulla statale, diretto a un paese che quel giorno sarebbe stato oggetto della mia attenzione.
In transito, proprio di fronte a uno degli alberghi di cui ero cliente, ho visto in lontananza un agente di polizia, che con la paletta indicava di moderare la velocità.
In terra pezzi di plastica, di ferro, di lamiere...
Un incidente, di sicuro.
Non sono un patito degli incidenti stradali; nella folla di curiosi stronzi che guatano e commentano non vedrete mai un gattonero.
Anche per evitare grattugiamenti o addirittura sassate.
Ho tirato dritto.
Una mezz'oretta dopo, raggiunto il mio corrispondente, questi mi ha raccontato l'incidente, per filo e per segno.
La sera prima, un tizio aveva preso una stanza dell'albergo; aveva parcheggiato nell'ampio spiazzo di fronte alla scalinata d'entrata, e, dopo la cena, era salito a ramazzare in camera.
Dal racconto del mio corrispondente, che chiamerò Nino per brevità, ho appreso che: a) la ramazzatrice era minorenne e b) era parente di qualcuno che non gestiva un'impresa di pulizie.
Per far capire al ramazzatore che "queste cose non si fanno", nella notte gli avevano messo un petardo sotto la macchina, collegato all'accensione.
Verso le cinque del mattino, finite le pulizie, con lo scopetto a riposo, il tizio se ne era andato; forse per continuare le pulizie a casa sua.
Il petardo aveva fatto saltare lui e la macchina fino all'altezza del quarto piano dell'albergo.
Qualche residuo dell'auto era arrivato fino alla statale. I suoi residui, non lo so.
Due parole su questo Nino.
Innanzitutto, era professore di matematica e insegnava alle medie della cittadina.
Una delle sue caratteristiche, quasi una mania, era la pulizia del baule della mia macchina.
All'epoca, in quel baule, mettevo una serie di gadget (materassini, tovaglie da mare, biro, mollettoni pubblicitari ecc.).
La prima volta che ero andato da lui, come avesse annusato che c'era qualcosa di buono "anche" per lui, si era tuffato nel baule e me lo aveva svuotato.
Il mio occhio vigile ha evitato il prelievo della gomma di scorta o del cric.
Ora, quel materiale avrebbe dovuto essere centellinato tra i diversi corrispondenti suoi colleghi.
Ai quali, nella visita successiva, allargando le braccia ho dovuto dire: "Non mi è arrivato ancora niente. Al prossimo giro".
La prima volta. Da allora l'ho messo per ultimo nelle visite; ci passavo subito prima del rientro alla magione, poteva ripulirmi solo degli avanzi.
Tra i miei compiti istituzionali c'era anche la verifica della contabilità.
Ho detto che Nino era prof di matematica. Ossia uno di quei pochi che i numeri li rivoltano come vogliono, e il risultato è sempre esatto.
Nelle mie verifiche questi numeri quadravano, come solo loro sanno quadrare; soprattutto se manipolati da un prof di matematica.
C'era ancora la lira, e i conti quadravano alla lira. Ci fossero già stati gli euro, sono certo che i conti sarebbero tornati al milionesimo di centesimo.
Perfetto.
Ma, non so perché, ogni volta che lo lasciavo, prima ancora di mettere in moto la macchina, mi dicevo: "E' tutto a posto, ma io so che mi ha di nuovo fregato! Non so dove, ma mi ha fregato!".
Sovente, queste visite si concludevano con una cena comune, or qui or là.
Una volta, finito il lavoro nel primo pomeriggio, ci eravamo dati appuntamento alla sera, per cenare insieme.
Albergo, pisolino, telefonata, cinque righe di relazione sulla giornata...
(Altra pausa: so, oh se lo so, che oltre ai commenti sul mio 'lavoro' ce ne saranno altri sulle "cinque righe" della relazione. Allora erano veramente cinque righe, non ne servivano di più. Solo recentemente, sarà la prostata, sarà la vescica, sarà il pisellino, ormai quasi a riposo, che mi implora "almeno fammi pisciare", e piscia gli dico; ne consegue che, 'chi non piscia in compagnia...', non essendo né ladro né spia, piscio anch'io).
La sera Nino era passato a prendermi in albergo, e mi aveva portato fuori città in un posto un po' isolato, in un ristorante, che sembrava più una bettola. Quelle bettole che, al di là delle apparenze del locale, ispirano fiducia su quello che ingurgiterai.
Infatti, il mangiare e il bere, erano stati una favola.
Verso la fine del pasto, dalla cucina era uscito un omone, con la casacca tipica dei cuochi, con chiazze di bianco qua e là che ne indicavano il colore originario.
Aveva un'aria macilenta, il viso emaciato, gli occhi lacrimosi...
Riconosciuto Nino, dopo averlo guanciato, si era seduto al nostro tavolo, per bere un bicchiere con noi, e chiaccherare. Con Nino, perché tra frasi in dialetto e occhi di pianto, non avevo potuto seguire i suoi piagnistei.
Però avevo capito che aveva qualche guaio con la giustizia.
La sua figura, così abbattuta, il suo parlare quasi singhiozzante, mi avevano fatto pensare al poveraccio che, rubata una mela per fame, viene fagocitato negli ingranaggi di una giustizia che non lo molla più, quasi a dire "la legge c'è e deve essere rispettata".
Dal ladro di una mela.
Tutti i prof, anche le più carogne, hanno un cuore (fino a prova contraria), e Nino quel cuore lo aveva in mano, consolava il derelitto, "vedrai che le cose si chiariranno, non ti abbattere...".
Il mio, di cuore, lo avevo posato nel piatto, per meglio solidarizzare con quel poveraccio.
Se dico adesso "per farla breve", so che mi arrivano una o più pernacchie.
Ma non demordo, morirò di pernacchia, sul campo (dopo la scorregia nel cuore in segno d'amore, va tutto bene) .
Finita la cena, dopo lo sguanciamento di saluto tra Nino e il cuoco, eravamo saliti in macchina per il rientro a domicilio.
Nino dopo la messa in moto, e usciti dall'aia dell'osteria, e mi ha detto: "Quello ha sulla coscienza almeno quaranta omicidi".
La classica tegola in testa mi avrebbe fatto il solletico; era un tetto intero.
Santa ingenuità, gli avevo detto: "Ma tu gli hai fatto coraggio, lo hai consolato...".
Fermata la macchina, mi aveva guardato fisso: "Perché tu cosa gli avresti detto...?".
Se presa a mo' di domanda, c'erano due possibili risposte.
Una: "Torniamo dentro a consolarlo ancora...".
Due: "Andiamocene, non vorrei che il detto 'arrivati a ventinove, facciamo trenta' venisse aggiornato in 'sono a quaranta, faccio quarantuno' ".
Chiamatemi coniglio, se volete, ma...
Nell'albergo dell'addetto alle pulizie non ho più messo piede.
In quell'osteria neanche.
Tra il primo e gli altri quaranta, sono quarantuno i petali del crisantemo.
Il quarantaduesimo, per vostra sciagura o per vostro sollazzo (visto che il cinismo tra voi abbonda), è quello che ha raccontato.
che bello… uno spaccato del battitore! :) non ho fatto nessun commento all'inizio, ma ho letto il tutto con interesse e il sorriso, spernacchiando per fare sottofondo! ;)
RispondiEliminaQuindi la ramazzatrice era figlia del cuoco?
RispondiElimina:)
Porca vacca che storia Gatto... Avrei fatto la stessa cosa anche io... Certo che immaginare la cosa è un conto, viverla deve essere stato tutt'altro. Sei un gatto vissuto, e comunque se fossi saltato in aria tu, saresti caduto in piedi.
RispondiEliminaammazza che storia!
RispondiEliminaehm, forse "ammazza" non è la parola giusta...
bella fine, 'sto prof...
quell'oste sembra uscito da un film dell'orrore di una volta...
Ottima sceneggiatura. Sarei curioso di vedere che film ci tirerebbe fuori Moccia.
RispondiEliminaChe storiaaaaaaaaa!!
RispondiEliminaNon so commentare. E' grave ?
RispondiEliminaTanto per tenere tutti aggiornati: ieri, postato il post, ho fatto in tempo a leggere il commento di Petrolio e sono ripiombato nel silenzio informatico.
RispondiEliminaFino a oggi pomeriggio.
Mi preoccupa il fatto di averla presa con filosofia: ho preso atto; sono andato a tagliare l'erba della stradella, ho sfasciato le cassette, ho chiamato il call del gestore, ho dato l'antiruggine alla griglia del box, ho messo tavola, mangiato, dismesso tavola, limoncello, pisolino (andato a buon fine), caffè, sigaretta, rientro in consolle, adsl tornata.
La faccenda mi preoccupa: non è umano che non abbia provato neanche un filo di delusione...
Sarò vicino alla fine della corsa, per cui non me ne frega più niente di tutto?
@ Steffy: non credo che i due episodi fossero collegati, sia perché non ho sentito citare figghie, sia perché distanti temporalmente tra loro. Sicuramente apparteneva a una 'famiglia'.
@ Itsas: anche questo prof era un po' carognetta, ma era una fonte inesauribile di informazioni. I prelievi dalla mia macchina forse erano una contropartita per queste. Se mi ricordo tornerò a parlarne.
@ Rospo: i gatti cadono sulle zampe quando cadono, non quando vengono zompati verso l'alto da un 'petardo'; in questi casi la forza di gravità li attira a terra già abbrustoliti. Meglio evitare.
@Tyler: tu che lo conosci, prova a proporglielo. Ma se la sceneggiatura è già penosa, dovrebbe essere un Moccia-dei-miracoli per tirarne fuori qualcosa di commestibile.
@ Grace: la tua presenza nella mia umile casa è già un commento; di più non posso chiedere, accomodati, non è la stratosferica ValGina, ma qui c'è il mare.