mercoledì 8 marzo 2023

Otto marzo, parliamoci chiaro

Non lo faccio mai, ma oggi voglio condividere qui un testo appassionato e veritiero, il racconto di un Otto Marzo qualunque, il racconto di quello che è, il racconto di quello che dovrebbe essere.
E non sarà mai...
È di Titti De Simeis, che non conosco e che neanche mai conoscerò; come non ho conosciuto, nè mai conoscerò le migliaia di donne che nel corso dei secoli hanno fatto sentire la loro voce a un mondo perennemente sordo alle richieste di una vera parità di genere. Non le conosco, non la conosco, ma questo non mi è di impedimento a condividerne i pensieri e le parole e le opere.
Ogni Otto Marzo, pare un dcm, un codicillo della Costituzione, per "festeggiare" questo giorno, vengono sciorinate, con freddi numeri, le violenze, le morti, le disparità nei trattamenti: all'interno delle famiglie, nel lavoro, nelle chiese, nei tribunali, nelle carceri...
E domani sarà un altro giorno, un altro giorno da dimenticare, come sempre, da sempre.


OTTO MARZO (di Titti De Simeis)
Si festeggia la donna. Il mondo si colora di giallo mimosa, parte la caccia alle frasi d'effetto per i poeti dell'ultima ora; fiori e regali, cene a lume dell'apparenza, concerti in omaggio e tutto ciò che può sembrare festa. Che renda diverso un giorno all'anno in onore della donna. E che la renda felice, un giorno all'anno. Che la faccia sentire importante, un giorno all'anno. Il resto delle quotidianità, invece, viaggia in direzioni opposte, tra solite abitudini e promesse a tempo perso, dimenticate. Il mondo al femminile vive ancora di troppe carenze, poche certezze e risente di un passato che fa fatica a cancellarsi; vive di retaggi scottanti, di paure, violenze, preconcetti e un'arretratezza paradossale in un mondo che ha bevuto progresso fino a stordirsi. La donna continua, invece, a dissetarsi a piccoli sorsi, pagando i passi azzardati, costretta in amori troppo salati o troppo crudi, senza un lavoro perché madre, velata da leggi disumane, muta per sopravvivere o nuda per un piacere pagato, assuefatta a bugie, le solite, pronte a cancellare le lacrime. Circondata da uomini in carriera, giacca e cravatta, bellocci da scrivania bravi a giudicare una donna leader con commenti dal gusto scaduto, tra l'invidia per un ruolo estorto all'eredità maschile e la rabbia per un sorpasso che spaventa. Sconcerta ascoltare il silenzio, pesante ed acuto, di tutte quelle donne cui viene spenta la parola dietro ogni pensiero, desiderio, progetto e sogno lasciando loro solo il tempo dell'obbedienza o, per le più fortunate, della fuga verso mondi meno ingiusti. Sì, perché per le donne, in ogni parte del mondo, ciò che è giusto non esiste. La verità si traveste e si addomestica a seconda del bisogno. Si camuffa, si confonde o ritratta in difesa. Noi donne stiamo ancora così: apparentemente affrancate e sempre all'erta, consapevoli che l'universo al maschile non sarà mai pronto alla grande rivoluzione della parità, attento, invece, a linee di confine ben demarcate in nome del proprio, illuso, vantaggio. Noi, preparate ai compromessi, alla resa, a cambiarci d'abito e rimboccare il mattino con rinnovata pazienza o rammarico frenato dal quieto vivere: questo è il nostro otto marzo quotidiano. Un quotidiano intenso di piccoli passi, amore, forza e dignità, notti insonni e ninna nanne, lavori pesanti e mal pagati, letti sfatti e lividi tremanti di pioggia, piatti caldi zitti di complicità. Noi vorremmo non festeggiare perché la normalità è fuori dai riflettori e, se non esiste la 'festa dell'uomo', quella della donna sa di contentino mascherato di ipocrisia. Non vogliamo una festa che ci ricordi quanto siamo state, e siamo ancora, considerate 'diverse', 'inferiori', 'deboli', 'cose' da gestire, possedere, umiliare, vendere e massacrare. Non vogliamo nient'altro che i nostri diritti. Uguali per tutte. Uguali a quelli dell'uomo. E i diritti non si festeggiano, sono definiti 'inalienabili' e vengono riconosciuti ad ogni essere umano, senza alcuna differenza di genere. Ci sono stati sottratti, negati, sono stati equivocati a tornaconto di una società in cui l'uomo avesse le redini e il controllo su tutto. E questo si chiama sopruso. Sopportarlo ci è costato, e ci costa, tanto. No. Noi non lo vogliamo un giorno per 'celebrare' ciò che dovrebbe essere, da sempre, indiscusso e indiscutibile. Non un'eccezione. Né una conquista. Come ogni conquista fatta dalle donne: eccezionale non dovrebbe essere più.

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