sabato 11 marzo 2023

Giornalismo di periferia

Oggi mi sono alzato col buzzo sbagliato e l'unico modo per raddrizzarlo è mettere nel post un pizzico di polemica. A seguire, un articolo che racconta di una tragedia, pubblicato da poco ma riferito a un evento accaduto parecchi giorni fa. Un ragazzo 30enne viene "sparato" in piena notte, viene ricoverato, diversi interventi tentano di salvargli la vita ma, dopo un breve miglioramento, le sue condizioni precipitano, portandolo alla morte.
Come in tutti i casi di eventi delittuosi a cui si dovrebbe dare una spiegazione, l'autopsia è il primo atto formale richiesto dai protocolli giudiziari.
L'articolo presenta il dolore di una madre, intanto per la perdita del figlio e poi per la ritardata consegna del suo cadavere agli affetti famigliari.
Fermi restando il rispetto e la condivisione del dolore di questa donna, l'articolo invita a un commento generico e altri più specifici. Il generico è questo prologo, gli altri in calce all'articolo stesso. Agli attori e ai luoghi metto le sole iniziali; sono fatti avvenuti dalle mie parti per cui chi sa sa, chi non sa non serve sappia di più.

L'articolo in (quasi) copia/incolla

«Voglio mio figlio, voglio dargli una sepoltura dignitosa e la pace che finora non ha avuto». E. L. è disperata. Il suo unico figlio, F. P., è morto lo scorso 27 febbraio all'ospedale del capoluogo di provincia, dopo dieci giorni di agonia, e da quel giorno attende ancora che la magistratura disponga l'autopsia sulla salma e le restituisca ai famigliari per i funerali. «Non ho potuto nemmeno salutarlo o dargli un ultimo bacio - ci dice -. Aiutatemi, nessuno mi fa sapere niente, io non ce la faccio più, non so più a chi rivolgermi». È dolore che si aggiunge altro dolore. Il giovane, che avrebbe compiuto 31 anni il prossimo 25 marzo, viveva a T. con la madre e la sera del 17 febbraio è stato colpito da una raffica di colpi di fucile caricato a pallettoni, proprio sotto la sua abitazione. In un primo momento, le sue condizioni non avevano destato grosse preoccupazioni, ma a poche ore dall'agguato, ancora avvolto nel mistero, il quadro clinico è peggiorato fino al tragico epilogo. Ora la sua mamma chiede solo di poter celebrare i funerali e portare un fiore sulla sua tomba, ma a distanza di quasi due settimane non si conosce nemmeno la data dell'esame autoptico.

L'agguato sotto casa
La procura di P. ha aperto un fascicolo di indagine sulla vicenda, che contesta ad ignoti l'accusa di omicidio. Per gli inquirenti sarà cruciale ricostruire gli ultimi minuti di vita del 30enne. «Quella notte mio figlio era tornato a casa e aveva fame - racconta la madre -, aveva tagliato la pancetta e messo a bollire l'acqua per la pasta». Poi lei gli dà la buonanotte e va a dormire. Quello che succede dopo è un nodo ancora da sciogliere. Di certo c'è che F. ha già buttato gli spaghetti in pentola, quando riceve una chiamata. Corre giù, in strada, senza spegnere il gas. Pochi istanti dopo è già riverso sul marciapiede, sanguinante, con il corpo crivellato, ma lucido e cosciente. Sono le sue urla ad allarmare il vicinato, ma non sua madre, che non si accorge di nulla. Sul posto arrivano due ambulanze, i sanitari caricano il paziente in barella e lo trasportano nel nosocomio, mentre gli spaghetti cominciano a bruciare e la sua casa si riempie di fumo. E. viene svegliata dai carabinieri intorno alle sei del mattino. «Non si preoccupi - le dicono i militari - suo figlio non è in pericolo di vita». F., infatti, nel tragitto verso l'ospedale parla, è vigile, sembra essere riuscito a schivare i colpi mortali. Ma alle 10 di quello stesso giorno i medici dell'ospedale sono costretti a sedarlo perché i dolori sono sempre più lancinanti. Quando arriva la madre, F. è già in coma indotto. Non si riprenderà più. Il suo cuore cesserà di battere dieci giorno dopo.

Una madre coraggio
E. non si rassegna. Per quel figlio ha dato l'anima, ma non è servito. «Mio figlio era caduto nel tunnel della tossicodipendenza - ci dice - e non c'è niente da nascondere. Mio figlio è una vittima». Anzi, lo aveva detto a tutti, amici e conoscenti: «Speravo che qualcuno lo aiutasse». Lei ci ha provato in tutti i modi. In piena pandemia l'ha convinto a disintossicarsi ed entrare in comunità, ma ci è rimasto soltanto un paio di mesi. Tornato a T., è rientrato nel giro della droga. «Allora l'ho denunciato, per il suo bene. Il cuore mi si è spezzato, ma speravo che lo arrestassero e lo portassero via da qui». Invece non succede nulla, se non che madre e figlio sono costretti a vivere separati. Ma un giorno il giovane citofona a casa: «Mamma - le dice, quando la vede sulla soglia della porta - lo sai che io non riesco a mangiare a casa di un altro». E. va a ritirare la denuncia. F. finalmente torna a casa, ma la tossicodipendenza non gli dà tregua. E nemmeno certi suoi "amici". Un anno e mezzo fa la sua auto va in fiamme nel cuore della notte, un mese prima dell'agguato qualcuno spara alla porta di casa. E. trema: «Chi è che ti vuole male? Ti prego, stai attento». F. si chiude a riccio. Forse lo sa che sta rischiando la vita, ma da certi giri non puoi uscirne, nemmeno se hai paura. Nemmeno se hai 30 anni e capisci che devi ricominciare tutto da capo. La notte del 17 febbraio, torna a casa dopo una serata con gli amici e sembra tranquillo. Ha fame. Vuole solo mangiare il suo piatto di pasta preferito e sprofondare nel suo letto. Invece sprofonda in una trappola mortale. «La situazione è drammatica - spiega sua madre -, qui ci sono un sacco di ragazzi nella sua situazione e nessuno li aiuta. Sono completamente ignorati dallo Stato e dalle istituzioni. Io voglio che tutti conoscano la storia di mio figlio perché spero di salvare altri giovani. Nessuna madre dovrebbe soffrire il mio stesso dolore». Il dolore di una madre che perde un figlio morto sparato e non ha ancora nemmeno un corpo su cui piangere.

L'articolo è firmato F.L., pubblicato sul web, dove ha raccolto decine e decine di like e reazioni di protesta e disapprovazione e critiche all'operato della giustizia. Oggi, come detto alzato col piede sbagliato, non riesco a non analizzare il senso di questo testo. 
Per quanto riportato, intanto è chiaro l'intento dell'articolista di rendere edotti i lettori del fatto che l'omicidio di questo ragazzo (riposi in pace) era evento assolutamente imprevedibile.
L'andamento della serata lascia quantomeno perplessi: F. rientra per cenare, forse non a tardissima notte, butta gli spaghetti, riceve una chiamata, lascia gli spaghetti sul fuoco e si allontana. E., non avendo il figlio precedenti tali da indurla in preoccupazione, se ne va a dormire. La casa si riempie di fumo a causa del gas acceso che fa bruciare gli spaghetti.
Nel frattempo, sotto casa non a chilometri di distanza, tra le due e le tre di notte, suo figlio viene crivellato di colpi. Arrivano le ambulanze, i carabinieri, la polizia locale; tutt'intorno il trambusto che sia i colpi di fucile che il traffico hanno generato, con i vicini a curiosare allarmati dai balconi o con la scesa in strada. Il ragazzo viene portato via e inizia i suoi ultimi passi verso la fine.
La madre viene svegliata alle sei del mattino, e a quell'ora apprende che appena fuori casa suo figlio è stato sparato. Il ragazzo, visti i precedenti, doveva essere ben noto alle forze dell'ordine, per cui non avranno avuto problemi nell'identificazione. I vicini conoscevano le 'imprese' del ragazzo (un'auto bruciata e colpi di arma da fuoco verso la porta di casa, il fatto che avesse rapporti con la droga, non passano inosservate, neanche in un mondo che ha fatto dell'indifferenza virtù), sapevano con chi abitava... e c'erano voluti i carabinieri, ore dopo il fattaccio, a comunicare l'accaduto.
La protesta, dolente e vibrata, viene riportata dall'articolista che si chiede, e chiede alle autorità competenti, il perché di un simile ritardo nella consegna del corpo del ragazzo. Omettendo, peraltro, di specificare che nel frattempo è partita, da parte del famigliari, una denuncia al nosocomio per presunte mancanze, ritardi, inosservanze nella cura del ragazzo.
Il che, probabilmente, sarebbe giustificativo di questo vituperato ritardo, poiché, vado a braccio, oltre all'omicidio si apre una querelle legale che, sempre probabilmente, richiederà ulteriori approfondimenti sulle modalità seguite nell'intervento curativo.
Da un po' di anni è vietato morire, sia d'incidente che d'accidente, sia di morte naturale che di qualunque altra morte: è ormai consuetudine puntare direttamente alla foce di queste morti, ossia il medico o la sanità in generale, ufficialmente per ottenere giustizia, in realtà per avere un qualche indennizzo, un risarcimento, un qualunque cosa per la perdita di persone care.
In casi come quello descritto nell'articolo, il resposabile dell'omicidio probabilmente un giorno sarà individuato, forse condannato... o fose no; comunque non sarà in grado di risarcire alcuno del danno fisico e morale causato. Causa della morte dei congiunti è sempre chi firma la cartella clinica che attesta il decesso, ed essendo persona fisica o giuridica facilmente individuabili, qualcosa alla fine magari si racimola. 
Mi sento moderatamente maligno nel vedere in questa denuncia il tentativo di avere da un figlio morto quello che non si è stati in grado di ottenere da lui vivo, preso atto del percorso distorto seguito da questi in vita.

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