Punto interrogativo...
Sono zio di una nipote diciasettenne, che frequenta (che frequentava, visto che l'anno scolastico è ormai alle spalle) la seconda liceo, in un piccolo paese di mare. La scuola è adeguata al paese, piccola e malandata, come edificio, quanto basta per essere inserita tra le vergogne dell'edilizia scolastica.
Non siamo ancora al crollo dei soffitti, ma è suggerimento comune di zompare uno per volta, in due ci sarebbe il rischio, in tre il crollo quasi certo.
Non c'è uno straccio di palestra e anche le aule sono a capacità ridotta. Per dire: nei tagli governativi viene ribadita la necessità di accorpare le classi, per tagliare insegnanti e quindi risparmiare, per salvare il bilancio dello Stato. Il problema, qui, non è nel numero degli studenti per classe, min/max, ma nella mancanza di aule capaci di contenere questi accorpamenti. A meno di fare scuola sotto gli abeti del giardinetto attiguo alla scuola; che poi, lo fanno in Africa, non si capisce perché non si possa farlo anche da noi.
Il clima scolastico è buono, non c'è bullismo (anche perché, conoscendosi tutti, studenti e genitori, è d'obbligo correre nei binari della civile convivenza), litigi, screzi e scherzi, rientrano nella normale vivacità di un'età che vede i problemi della vita ancora lontani a venire.
Questa nipote è bravina, quanto può definirsi bravina una ragazza che dalle elementari in poi non è mai scesa sotto la media dell'otto e spiccioli.
D'altronde, con uno zio così non poteva essere altrimenti.
(Pausa caffè. In una località del basso Piemonte c'è un detto che dice "chi 's lauda s'ambrauda", in italiano: chi si loda s'imbroda. Il lodarsi, ogni tanto, muove un pochino l'autostima, che di questi tempi è piuttosto sotto i tacchi; ci sentiamo dei Fantozzi, perseguitati dalla sorte, burattini manovrati, insomma, sempre alla Fantozzi, delle "merdacce". La sbrodolata è il bagno di umiltà conseguente, previsto nel detto popolare. In pratica, non credo che lo zio in questione abbia influenzato più di tanto la ragazza, ma vantarsene lo fa crescere un pochino. Senza tacchi).
Non è la migliore, la media generale degli altri studenti ruota intorno a quel voto, poco più poco meno.
Il rapporto con i prof, sia degli studenti che dei genitori, sono franchi e in genere cordiali; e gli insegnanti sembrano appassionati alle loro materie e all'insegnamento delle stesse.
Anche le fughe, i "filoni", le marinate, sono nei limiti accettabili.
Si direbbe una scuola quasi modello.
Potrebbe in un clima simile, pressoché idilliaco, mancare la classica mosca bianca?
No, e infatti la mosca bianca è rappresentata da una prof che, appena può, crea malcontento tra i ragazzi e, di conseguenza, tra i genitori.
Il "punto interrogativo" del titolo si riferisce a un episodio specifico, che mi ha lasciato un po' sconcertato. Ne faccio la cronaca, così come è emersa dal racconto della nipote e dei compagni d'avventura.
C'è nella sua classe un ragazzo un po' picchiatello; perché solo picchiatello si può definire chi, per tre anni di seguito, va a sbattere con il motorino, rompendosi, nell'ordine, prima una caviglia (chiodata per mesi), poi un braccio (gesso per trenta giorni) e buon ultimo, frattura scomposta del femore. Intervento chirurgico per il posizionamento dei frammenti d'osso, tutore metallico interno, controllo costante in ricovero ospedaliero per una decina di giorni.
Insomma un incidente un po' più grave degli altri, senza essere mortale.
Bene, in questa situazione, i compagni di classe hanno fatto la bella pensata di andare tutti insieme a trovarlo in ospedale. Che si trova a una quarantina di chilometri dal paese di residenza, raggiungibile o col treno o lungo la costa in auto.
Preso atto che nella settimana una mattina c'erano due ore di vuoto per assenza del prof, concordano il "filone" umanitario per quella mattina, in modo da limitare i danni da assenza.
Quel mattino, anziché a scuola si trovano alla stazione. Biglietti andata/ritorno, obliterazione e partenza. L'ospedale dista dalla stazione poco più di un chilometro, una bella camminata fa sempre bene.
Nel frattempo, seguendo le istruzioni dei rispettivi famigliari, i telefonini mandavano, in voce e in messaggi, notizie sul progredire dell'avventura.
Dallo scambio reciproco di notizie, era emerso che la prof/mosca bianca stava facendo un giro di telefonate per avvisare le famiglie di questa fuga in massa. Dai genitori, alla prof era stato spiegato il motivo della marinata collettiva, di cui erano tutti a conoscenza.
I ragazzi, in marcia verso l'ospedale, commentavano a modo loro l'intervento della prof, prevedendo per l'indomani una "cazziata" con fiocco e controfiocco.
Ma...
Entrata dell'ospedale, un custode blocca il gruppo: non si può entrare. Interviene un secondo custode: perché non possono entrare, visto che per ortopedia l'accesso è libero e non hai mai bloccato nessuno? Risposta: sono tutti minorenni e a quest'ora dovrebbero essere a scuola.
La citazione della scuola aveva fatto drizzare le antenne al gruppetto. Vuoi vedere che la prof ha chiamato, chiedendo (ordinando?) il divieto di accesso a questi balordi?
Alle loro suppliche, il secondo custode ha ceduto, mettendo come condizione di non salire in più di tre per volta. Saliti come prescritto, si sono ritrovati tutti nella stanza del picchiatello.
Lacrimuccia di quest'ultimo, commosso per la sorpresa che non si aspettava.
Avendo saputo che il rattoppato dopo l'anestesia stentava a riprendere a mangiare, gli avevano portato un po' di viveri stuzzicanti. Mia nipote una torta; e visto che chi non mangia la torta in compagnia o è un ladro o è una spia, lo hanno costretto a mangiarla con loro, con i complimenti del medico in visita di controllo.
Prima di uscire dall'ospedale, conferma del custode in merito alla telefonata interdittiva.
Scarpinata di ritorno alla stazione, e da qui rientro alla base.
L'indomani si sono presentati a scuola, pronti alla battaglia con la mosca bianca.
Niente di niente. O la prof aveva parlato col preside, e questi aveva smorzato le sue ire giustificando la fuga come un fatto pedagogico, o, molto poco probabile, la prof stessa si era resa conto di avere tracimato dalle sue competenze e aveva tirato i remi in barca.
Il punto interrogativo non richiede necessariamente una risposta univoca: ciascuno può dare una propria valutazione dell'episodio, raccontato fine a se stesso.
Non siamo ancora al crollo dei soffitti, ma è suggerimento comune di zompare uno per volta, in due ci sarebbe il rischio, in tre il crollo quasi certo.
Non c'è uno straccio di palestra e anche le aule sono a capacità ridotta. Per dire: nei tagli governativi viene ribadita la necessità di accorpare le classi, per tagliare insegnanti e quindi risparmiare, per salvare il bilancio dello Stato. Il problema, qui, non è nel numero degli studenti per classe, min/max, ma nella mancanza di aule capaci di contenere questi accorpamenti. A meno di fare scuola sotto gli abeti del giardinetto attiguo alla scuola; che poi, lo fanno in Africa, non si capisce perché non si possa farlo anche da noi.
Il clima scolastico è buono, non c'è bullismo (anche perché, conoscendosi tutti, studenti e genitori, è d'obbligo correre nei binari della civile convivenza), litigi, screzi e scherzi, rientrano nella normale vivacità di un'età che vede i problemi della vita ancora lontani a venire.
Questa nipote è bravina, quanto può definirsi bravina una ragazza che dalle elementari in poi non è mai scesa sotto la media dell'otto e spiccioli.
D'altronde, con uno zio così non poteva essere altrimenti.
(Pausa caffè. In una località del basso Piemonte c'è un detto che dice "chi 's lauda s'ambrauda", in italiano: chi si loda s'imbroda. Il lodarsi, ogni tanto, muove un pochino l'autostima, che di questi tempi è piuttosto sotto i tacchi; ci sentiamo dei Fantozzi, perseguitati dalla sorte, burattini manovrati, insomma, sempre alla Fantozzi, delle "merdacce". La sbrodolata è il bagno di umiltà conseguente, previsto nel detto popolare. In pratica, non credo che lo zio in questione abbia influenzato più di tanto la ragazza, ma vantarsene lo fa crescere un pochino. Senza tacchi).
Non è la migliore, la media generale degli altri studenti ruota intorno a quel voto, poco più poco meno.
Il rapporto con i prof, sia degli studenti che dei genitori, sono franchi e in genere cordiali; e gli insegnanti sembrano appassionati alle loro materie e all'insegnamento delle stesse.
Anche le fughe, i "filoni", le marinate, sono nei limiti accettabili.
Si direbbe una scuola quasi modello.
Potrebbe in un clima simile, pressoché idilliaco, mancare la classica mosca bianca?
No, e infatti la mosca bianca è rappresentata da una prof che, appena può, crea malcontento tra i ragazzi e, di conseguenza, tra i genitori.
Il "punto interrogativo" del titolo si riferisce a un episodio specifico, che mi ha lasciato un po' sconcertato. Ne faccio la cronaca, così come è emersa dal racconto della nipote e dei compagni d'avventura.
C'è nella sua classe un ragazzo un po' picchiatello; perché solo picchiatello si può definire chi, per tre anni di seguito, va a sbattere con il motorino, rompendosi, nell'ordine, prima una caviglia (chiodata per mesi), poi un braccio (gesso per trenta giorni) e buon ultimo, frattura scomposta del femore. Intervento chirurgico per il posizionamento dei frammenti d'osso, tutore metallico interno, controllo costante in ricovero ospedaliero per una decina di giorni.
Insomma un incidente un po' più grave degli altri, senza essere mortale.
Bene, in questa situazione, i compagni di classe hanno fatto la bella pensata di andare tutti insieme a trovarlo in ospedale. Che si trova a una quarantina di chilometri dal paese di residenza, raggiungibile o col treno o lungo la costa in auto.
Preso atto che nella settimana una mattina c'erano due ore di vuoto per assenza del prof, concordano il "filone" umanitario per quella mattina, in modo da limitare i danni da assenza.
Quel mattino, anziché a scuola si trovano alla stazione. Biglietti andata/ritorno, obliterazione e partenza. L'ospedale dista dalla stazione poco più di un chilometro, una bella camminata fa sempre bene.
Nel frattempo, seguendo le istruzioni dei rispettivi famigliari, i telefonini mandavano, in voce e in messaggi, notizie sul progredire dell'avventura.
Dallo scambio reciproco di notizie, era emerso che la prof/mosca bianca stava facendo un giro di telefonate per avvisare le famiglie di questa fuga in massa. Dai genitori, alla prof era stato spiegato il motivo della marinata collettiva, di cui erano tutti a conoscenza.
I ragazzi, in marcia verso l'ospedale, commentavano a modo loro l'intervento della prof, prevedendo per l'indomani una "cazziata" con fiocco e controfiocco.
Ma...
Entrata dell'ospedale, un custode blocca il gruppo: non si può entrare. Interviene un secondo custode: perché non possono entrare, visto che per ortopedia l'accesso è libero e non hai mai bloccato nessuno? Risposta: sono tutti minorenni e a quest'ora dovrebbero essere a scuola.
La citazione della scuola aveva fatto drizzare le antenne al gruppetto. Vuoi vedere che la prof ha chiamato, chiedendo (ordinando?) il divieto di accesso a questi balordi?
Alle loro suppliche, il secondo custode ha ceduto, mettendo come condizione di non salire in più di tre per volta. Saliti come prescritto, si sono ritrovati tutti nella stanza del picchiatello.
Lacrimuccia di quest'ultimo, commosso per la sorpresa che non si aspettava.
Avendo saputo che il rattoppato dopo l'anestesia stentava a riprendere a mangiare, gli avevano portato un po' di viveri stuzzicanti. Mia nipote una torta; e visto che chi non mangia la torta in compagnia o è un ladro o è una spia, lo hanno costretto a mangiarla con loro, con i complimenti del medico in visita di controllo.
Prima di uscire dall'ospedale, conferma del custode in merito alla telefonata interdittiva.
Scarpinata di ritorno alla stazione, e da qui rientro alla base.
L'indomani si sono presentati a scuola, pronti alla battaglia con la mosca bianca.
Niente di niente. O la prof aveva parlato col preside, e questi aveva smorzato le sue ire giustificando la fuga come un fatto pedagogico, o, molto poco probabile, la prof stessa si era resa conto di avere tracimato dalle sue competenze e aveva tirato i remi in barca.
Il punto interrogativo non richiede necessariamente una risposta univoca: ciascuno può dare una propria valutazione dell'episodio, raccontato fine a se stesso.
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