Gioventù abbrustolita (II)

Chiusa la parentesi prettamente religiosa, passo ad altro.

Ho rubato, in un paio di occasioni; della prima sono pentito (fui costretto al pentimento), della seconda no. E dire che sapevo bene il peso del settimo Comandamento, quello che "invita" a non rubare. Il fatto è che dei Comandamenti capivo poco, erano chiaramente elencati, li sapevo a memoria ma, come le preghiere in latino, mi erano nella più parte estranei. Pensavo al quarto: onora il padre e la madre. E quando questi non ci sono, né mai ci furono, chi diavolo avrei potuto onorare? I facenti funzioni?... non era proprio il caso.
 
Avevo trovato, non ricordo dove, una Colt, un revolver reso famoso dai film western, con le dotazioni tipiche di quelle pistole, in metallo stampato, col tamburo rotante con grilletto, il suo mirino...
Ci giocavo, cercando di imitare i pistoleri nella rapidità estrattiva dal fodero, che non c'era; ma con la fantasia sopperivo facilmente a questa mancanza. Che era, modestamente, molto sbrigliata: il manico di una scopa era il destriero con cui galoppavo nelle praterie a piastrelle, addirittura scendendo le scale a cavallo e risalendole.
A completare il quadro, però, mancavano le pallottole. Sapevo dell'esistenza di capsule apposite all'uopo vendute; avevano la stessa piccola carica delle caramelle esplosive, quelle dure che era possibile  succhiare fino a consumo per evitare di finire per succhiarsi un dente; queste erano avvolte in una carta colorata con il fiocchetto laterale, si lanciavano in aria e, cadendo al suolo, esplodevano, senza peraltro danneggiare troppo il contenuto. Piccole castagnole, che oltre al botto lasciavano il dolce della caramella, anche se con un retrogusto di polvere da sparo bruciata.
Quelle munizioni non c'era modo di procurarsele e chiedere informazioni in alto loco avrebbe comportato il rischio di sequestro dell'arma. 
Animo in pace, fino all'occasione, cercata, sperata... invano.
Ero persona di fiducia, posata, seria e affidabile... perlomeno così apparivo. A causa di questo apprezzamento, uscivo dal ghetto per commissioni varie, talvolta strane, altre per servizio comune; tra  quelle strane ricordo un chierico che periodicamente mi mandava a prendere un decimo di cognac in un'osteria su un corso poco distante, mi dava cento lire e una bottiglietta di vetro colorato e l'oste, indifferente allo scarafaggio che glielo chiedeva, prendeva il biglietto, metteva il liquido e... ciao. 
Il servizio comune consisteva soprattutto nel portare e riportare le pizze dei film da una parrocchia vicina al nostro ricreatorio, che ogni tanto diventava saletta cinematografica. Poiché lo stesso film veniva proiettato sia nel salone parrocchiale che da noi, negli stessi orari serali, l'abilità consisteva nell'interscambio della pellicola, facendo coincidere i tempi di proiezione reciproci. Noi trasmettevano in streaming, molto prima che il termine ostrogoto entrasse nel parlare comune.
A piedi, con la cassetta quadrata del contenitore della pizza singola, non che dovessi correre, ma sicuramente non potevo distrarmi ed era imperativo camminare veloce.
Altre commissioni mi portavano verso il centro città, con viaggio in tram (ché solo quelli all'epoca circolavano, con autista e bigliettaio seduto all'entrata sul retro), leggendo attentamente il numero nel tondo sopra il tettuccio per non finire in tutt'altra parte di dove si era diretti: viaggetti emozionanti, vite scorrenti sulla via nello sferragliare delle ruote intercalato dallo scampanellio del conducente.
Mi ero trovato a passare, a piedi, in un grande corso, con portici altissimi, e marmi e vetrine e luci; camminavo con gli occhi sbarrati, cercando di assaporare con quelli le meraviglie che vedevo. Mi ero fermato davanti a un grande magazzino, e il desiderio di ampliare le mie conoscenze visive mi aveva spinto ad entrarci. 
Avevo saltato tutti i settori, cercando subito quello dei giocattoli. Di questi mi ero riempito virtualmente uno zaino altrettanto virtuale. Stavo per allontanarmi, quando l'occhio mi era caduto su una cosa che da tempo immemorabile cercavo: le pallottole per la mia Colt.
Ne stavo infilando una bustina nell'inesistente zaino quando, ahimé!, questa mi era scivolato nella tasca del pantalone. Vera e non bucata.
Ignaro di ciò (lo giuro, vostro onore!), mi ero avviato verso una delle casse; avendo acquistato nulla, l'avevo attraversata, ma... impalato, subito al di là, c'era un uomo, in borghese, che mi fissava con una intensità sospetta; forse era uno di quelli adusi a molestare i bambini, o addirittura a rapirli...
Non aveva detto niente, mi aveva preso per un braccio, e mi aveva dolcemente condotto in un ufficio. Aveva fatto delle domande, cui avevo risposto negativamente, forte del fatto che non avendo fatto acquisti, avevo nulla da dichiarare. In un attimo l'ufficio si era riempito di uomini e donne con sguardi di riprovazione, non li riuscivo a guardare negli occhi, ma li immaginavo iniettati di sangue. Mi avevano invitato a vuotare le tasche e, oh!, da una di queste era caduto il pacchettino virtualmente messo nello zaino.
Nome, cognome, dove abiti, perché rubi nei negozi... visto il prodotto prelevato, mi avevano predetto un avvenire da delinquente, che dai giocattoli sarei passato ad armi vere, e chissà quante persone avrei ucciso in futuro. Uno, a dimostrazione di quello che mi sarebbe prima o poi accaduto, mi aveva appoggiato il pugno a una guancia. Avevano parlottato tra di loro, forse in disaccordo sulla pena da infliggermi (corda, rogo, ascia...), avevano chiamato un anziano, gli avevano dato l'indirizzo della mia residenza e, nell'affidarmi a lui, mi avevano raccomandato di non farlo più, di non rubare più.
Tram, in un tragitto che era stato lungo come la circonferenza della Terra; tranquillizzandomi lungo il tragitto, sia sul tram che nel percorso a piedi. Che tranquillità poteva mai instillare a un bambino prossimo a subire un trattamento tale che il pesto alla genovese sarebbe sembrato un vasetto di nocciole?
Eravamo arrivati davanti alla porta, aveva suonato il campanello e, senza dire nulla alla suora portinaia, mi aveva fatto entrare. Il sospiro di sollievo ancor m'assale... ma allora troncato dal timore che al prefetto (così era nomato il direttore) venisse comunicato in via confidenziale il delitto da me commesso. Per giorni e giorni, in ogni sguardo di questo, mi sembrava di leggere un messaggio gelido: "Io so, sappi che io so!".
Per oltre un decennio non avevo più messo piede in un grande magazzino: in prossimità di questi passavo sul marciapiede di fronte, sbirciando sulle vetrate alla ricerca della mia immagine con tanto di taglia. O la immaginavo all'interno tra le offerte di salumi e formaggi, come pro memoria agli sceriffi, magari con l'ordine di sparare a vista. Certo, data la mia minuzia fisica, avrebbero dovuto avere una buona mira, ma era meglio non fidarsi.  

Il secondo non era stato proprio un furto. Molto più avanti sarebbe stato definito 'prelievo proletario'...
Ho detto che ero persona di fiducia: tra i miei compiti era prevista la pulizia e lucidatura delle scarpe del solito prefetto. Cielo, forse era più un compito da schiavetto, ma non c'era altro modo per crescere di grado. Comunque la fiducia in me non era del tutto mal riposta: ad esempio, avevo scoperto, curiosando in un armadietto, un apparecchio televisivo, quando questo elettrodomestico era ancora ben lontano dal divenire comune.
E avevo taciuto, come avevo ritenuto di dover fare; un segreto d'ufficio mantenuto... fino a oggi.
Però, nello svolgimento del mio compito istituzionale, avevo trovato, infilata in una scarpa una mazzetta di biglietti da mille tenuta insieme da un elastico. No, dico, da mille, che era la prima volta che ne vedevo dal vivo; un capitale. Forse offerte per le messe o entrate sue di famiglia, che sapevo benestante.  
Non li avevo contati, avevo lucidato la coppia di scarpe e avevo rimesso la mazzetta al suo posto.
Forse la cera del lucido (nero, quello nelle scatoline rotonde di metallo con una farfallina per aprirle) o il sudaticcio nervoso delle mani provocato dall'emozione, fatto sta che uno di questi biglietti mi era rimasto attaccato alle dita. Le stesse dita lo avevano ripiegato e infilato nel calzino, a ridosso del tallone per evitare che nel cammino uscisse da quella giberna spartana.
Non era tanto, anzi per niente, il peso del peccato (settimo comandamento, vuoi che non lo sapessi!) commesso, quanto la presa d'atto di un gesto azzardato che avrebbe certamente provocato una reazione adeguata: e non sarebbe stata un buffetto sulla guancia...
Niente, silenzio assoluto, forse non erano stati contati, forse aveva ritenuto di essersi sbagliato nella confezione della mazzetta. 
Ho ritrovato le scarpe da lucidare, mazzette mai più... Le avessi trovate, ero abbastanza smaliziato da intuire che sarebbe stata un'esca. E non avrei abboccato. Forse. Meglio che non ci fossero...
Va da sé che non ho mai confessato quel peccato, la mia fiducia nel sempre decantato segreto della confessione non mi aveva mai convinto. Anche se i confessori cambiavano, il dubbio che i sacerdoti quando si trovino in compagnia, a pranzo o nei ritiri spirituali, si raccontassero a vicenda peccati e peccatori, già allora allignava in me. 
La somma (casualmente) prelevata l'avevo dilapidata in caramelle e wafer alla vaniglia, consumati sempre in privato, lontano dagli assistenti e soprattutto dai compagni di ventura, voraci come murene e bravi a lavorar di fantasia, arrivando magari a ipotizzare un furto, a scapito di chissà chi. 

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