domenica 1 dicembre 2019

Me lavadur (al lavatoio)

L'articolo su un quotidiano che raccontava di una donna 96enne, Maria Salti, ultima lavandaia di Milano ai Navigli, mi ha portato alla mente questa poesia di F. Gamberini, del 1979, pubblicata nel prezioso libretto "Garnël 'd guàzza", editato nell '84 dall'appassionato bibliofilo parmense R. Battaglini. La pubblico in omaggio a quella signora, non senza una considerazione fattuale: le lavandaie antiche sono scomparse, i lavatoi antichi pure; il Parlamento, per antico che sia, rimane, vivo e vegeto più che mai, sempre più astutamente vorace, con panni sporchi e manovre zozze che le lavatrici attuali non riuscirebbero mai a ripulire. Forse le strizzate e le sbattute sulle pietre dei lavatoi di quelle lavandaie raggiungerebbero lo scopo... Forse, ma la speranza che i membri di quel consesso possano 'ripulirsi' e cambiare, va scemando, scomparendo, come quelle lavandaie, le vere 'onorevoli' di fatto. Un altro piccolo grande mondo che se ne va.


Me lavadur
(Francesco Gamberini - 1979)



Am fermèva longh e fòs tott ch’al dòni a sbarlucè;
l’era un spas mo sèmpre gròs a sentili ciacarè.
M’al do fili d’lavandèri, ch’a gl’andèva sô e zô,
ui piaseva al cosi cèri da strizè ’na vòlta d’piô.
Al nutizi piò atuèli ch’al daseva turbameint,
seinza pel e puntuèli a gl’aveva i su cumèint.
Fra ‘na bota e ‘na risèda l’argumeint al dipanèva
E sl’ultima insavunèda enca e fat us risciarèva.
S’a fasèm un paragòun fra ti-vu e lavadur,
bsagna fèsne ‘na rasòun, l’era st’ultme piô sicur.
L’era cum’è in Parlameint sa ognun te su sètor,
cun mumeint ad smarimèint ch’i ‘era satur ad livor.
Snà che i què al lavurèva sal su brazi e cun sudor,
meintre lor i sla spasèva a la faza dl’eletor.
Ma sta gran lavanderia pina ad pan d’una zità,
tott e sporch che vniva via gnenca l’era la mità.
Ma un gnèra cativeria sol un pezgh d’malignità;
l’onich sfigh che la miseria la s’permett in quantità.

Al lavatoio


Lavatoio dei Navigli a Milano
Mi fermavo lungo il fosso tutte quelle donne a rimirare;
era veramente uno spasso sentirle chiacchierare.
Alle due file di lavandaie, che andavano su e giù,
piacevano le cose chiare da strizzare una volta in più.
Le notizie più attuali che davano turbamento,
senza peli e puntuali avevano il loro commento.
Fra una battuta e una risata l’argomento dipanavano
e con l’ultima insaponata anche il fatto rischiaravano.
Se facciamo un paragone fra televisione e lavatoio,
bisogna farsene una ragione, era quest’ultimo meno dubbio.
Era come in Parlamento con ognuna nel suo settore,
e momenti di smarrimento saturi di livore.
Solo che qui si lavorava a forza di braccia e tanto sudore,
mentre là se la spassavano alla faccia dell’elettore.
In questa grande lavanderia, piena di panni d’una città,
tutto lo sporco che veniva via non era neanche la metà.
Ma non c’era cattiveria, solo un pizzico di malignità;
l’unico sfogo che la miseria si può permettere in quantità.

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