Goccia su goccia

(Le 'gocce' precedenti sono del 31 luglio e del 27 novembre).

La chiusura della 'goccia' precedente accennava velocemente alla cena di fine giornata lavorativa. Ed è proprio una di quelle cene a fare da trampolino di lancio a questa 'goccia'.
L'epoca: primavera inoltrata di un anno che fu.

Le prime due parti di questo raccontino erano state pollizzate per renderle più commestibili.
Questo racconto parla anche di cose serie, quindi sarà umanizzato: i polli saranno ufficialmente colleghi, in veste forzosa di esseri umani; il pollaio resterà pollaio, ristoranti e albergo continueranno ad essere quello che sono da sempre, enti commerciali con fini di lucro..
Oltre l'aggiornamento della diaria e i rimborsi chilometrici, accennati nella precedente 'goccia', altro punto importantissimo era la scelta del ristorante per la cena. 

La mensa del pollaio era aperta fino a sera tardi, ma un distacco totale dall'ambiente dopo un'intera giornata sonnolenta, era obbligatorio. Per ritemprarsi, in vista di un altro giorno che sarebbe stato fotocopia di quelli passati e di quelli a venire.
Alla ricerca del locale più adatto erano delegati, come logica imponeva, i colleghi indigeni, o comunque bazzicanti in zona.
Di solito tra una riunione e l'altra passavano sei/otto mesi, quindi avevano tutto il tempo per cercare, provare, promuovere o bocciare, e infine proporre. Che questa ricerca potesse portare discapito all'attività lavorativa di costoro, era punto non considerato. 

Al limite, c'era chi, lautamente pagato, avrebbe potuto chiosare in negativo. 
Mai successo: anche i decurioni facevano parte della brigata, e sapevano dare il giusto peso alle cose veramente importanti della vita. Ed erano molto forti di mascella...
Trovare il meglio era per i fortunati prescelti un punto d'onore.
Al termine dell'evento ricevere il plauso del gruppo era il massimo dei riconoscimenti: sulla personale operatività nelle varie zone di competenza lavorativa non si potevano dare giudizi, sia perché non c'erano collegamenti diretti, sia perché la cosa non poteva fregare meno; ma pur essendo il compito di queste ricerche soggettivo, il de gustibus finale complessivo era di promozione o bocciatura, in quest'ultimo sciagurato caso senza appello per le scelte future.
Al branco interessava che chi aveva l'onore della scelta fosse un buongustaio, tutto il resto erano pinzillacchere. Il ricordo di quelle cene doveva restare in memoria più assai delle comunicazioni, peraltro vagamente recepite, nel corso delle riunioni, almeno fino al futuro incontro collegiale.
Durante queste cene, essendo il gruppo formato (purtroppo/per fortuna) esclusivamente da maschi, gli argomenti di accompagno al cibo e alle bevande vertevano su questioni di interesse comune e generale, più a livello mondiale che nazionale.


(Purtroppo: è fuori di dubbio che una presenza femminile, in qualunque manifestazione, dà (quasi) sempre un tocco di gentilezza al convivio.
Per fortuna: è altrettanto fuori di dubbio che, nel caso specifico, sarebbe stata un freno a formulazioni verbali che in questi tipi di pranzi sono di prammatica; qualche termine poteva uscire leggermente fuori dal pentagramma dell'educazione abituale, per dare a questi pasteggi un tono da antica osteria, in ambienti eleganti, che invitavano a compostezza e decoro, e una presenza femminile sarebbe stata una palla al piede a chiacchiere in libertà, probabilmente non usuali nel normale ambito famigliare o lavorativo. Provocando magari un disagio generale che avrebbe poi influenzato il prosieguo del pasto. 
È doveroso, peraltro, specificare che parliamo di un illo tempore ormai assolutamente tramontato. La valanga di cambiamenti succeduta al famoso/famigerato '68 ha nel frattempo rivoltato completamente questa differenza di genere. Oggi, ma anche nell'immediato ieri, ci sono donne che potrebbero mettersi in gara con gli scaricatori di porto, la cui la fama (raggiunta nel corso di secoli) li metteva storicamente ai vertici del libero improperio e del più lascivo turpiloquio, in quello che era definito sinteticamente 'parlare crasso'. Forse non vincerebbero, ma sicuramente non sfigurerebbero...
Altri tempora, altri mores...).

Inoltre, la monotonia degli argomenti in chiacchierata, avrebbe potuto annoiarle...
Infatti si finiva per parlare soprattutto di fi...dejussioni, di fi...lantropia, di fi...renze, di fi...gurine, di fi...lologia, di fi...libusta, di fi..latelia, di fi...ori, ecc. ecc.
La coincidenza del prefissoide, soprattutto a causa di bicchieri presto vuotati, era di grande aiuto alla visione di un universo variegato, che in fondo sulla sillaba più immediata e intuitiva che lo seguiva fa perno il mondo. 
Checché se ne dica...
Ogni tanto, per evitare tempi vuoti e per tenere sciolte le lingue, ci si scambiavano aneddoti sulle rispettive zone, senza mai approfondire troppo l'argomento che, preso seriosamente, fregava, come detto, ad alcuno.
Raramente qualche cena non risultava rispondente alle attese ma, pur non avendo avuto un esito gaudioso, restava comunque nel ricordo, ma unicamente per la compagnia. 

Anche se l'amaro del fallimento sarebbe rimasto, nei secoli a venire, ricordo ricorrente...
E per il vino... che in caso di disastro culinario annegava il disappunto e consentiva di rinviare al prossimo cenacolo, senza ritorsioni troppo violente nei confronti di chi aveva sballato la serata.

Unica penalità, l'aut-aut a mai più occuparsi di una faccenda così delicata....
Dopo la cena, il caffè e il pussacaffè, le ore si facevano piccole, e ci si avviava, passin-passetto, come un branco di lupi sfamati verso l'albergo, solitamente lo stesso, in prossimità del pollaio. 

Gli stanziali accompagnavano i colleghi fino alla hall, sia per finire i commenti iniziati che per tenere compatto il gruppo.
Superfluo precisare che la camminata era utile anche a smaltire le conseguenze del bevuto.
Diciamo che come liquidi, senza arrivare all'essere brilli, si stava benino.


Tra le cene periodiche, una è rimasta impressa, nella testa e nel cuore del narrante, in modo particolare. 
Non per il cibo, non per il vino: più che altro per un breve scambio di battute, verso il termine del lento cammin facendo nel dopopasto, a nutrimento dello spirito dopo quello in via di smaltimento al corpo.
Quella volta eravamo, appunto, in cammino verso l'albergo.

Nel gruppo c'era un collega "A proposito".
Spiego: mettiamo che si parli di Egitto, piramidi, Il Cairo (la capitale, non il presidente di una gloriosa e infelice squadra), se uno saltasse su e dicesse: 

"A proposito, sapete che a Torino c'è il museo Egizio più fornito dopo quello del Cairo?".
L'a proposito ci sarebbe stato tutto.
Ma se, parlando magari, che so, di storia d'Italia (si fa per dire, vale solo come raffronto), un collega saltasse su sparando: 

"A proposito, sai qualcosa di quella bambina rapita?".
Buttato nel mucchio, ma mirato a un collega in particolare.
Che lo dico a fare: quel tapino, nell'occasione, ero stato io.

Sosta momentanea per un inciso, obbligatorio: poco più di un paio di mesi prima era stata rapita una bambina, di circa otto anni, a scopo dichiarato di estorsione. 
All'epoca la notizia aveva fatto un giusto scalpore; già il rapimento era, ed è, un crimine odioso, ancora di più se la vittima è una bambina o, come già successo, un bambino. 
Peraltro, alla luce di quello che è emerso negli anni successivi, con rapimenti a scopo pedofilo, sovente con l'uccisione delle piccole vittime dopo l'oltraggio, quel rapimento potrebbe essere visto come una normale transazione commerciale o finanziaria, un più o meno normale do ut des; sempre rispettando il dolore delle famiglie coinvolte emotivamente, colpite negli affetti più cari e preziosi, e, nello specifico, le paure della piccola rapita.
I giornali e le trasmissioni televisive più disparate avevano giustamente dato ampio spazio a quell'atto criminale, ipotizzando chi-come era stato commesso. 
Il perché si sapeva... e faceva temere per l'incolumità della piccola, al di là del pagamento o meno del riscatto.
Orbene, sul caso gli investigatori inizialmente brancolavano nel buoi, come si dice, e non rilasciavano dichiarazioni che andassero oltre la garanzia di una 'profonda indagine' in corso.
Che ai media non era sufficiente, cercavano di scavare nelle espressioni o nelle virgole alla ricerca di indicazioni atte a sfamare la voglia di sapere di lettori e tele-lettori.
Probabilmente su un input anonimo vagamente recepito, avevano, in prima battuta, indicato le ricerche verso una specifica Regione, in cui i rapimenti erano ormai una S.p.A., probabilmente con tanto di partita Iva e iscrizione alla Camera di Commercio, forse sotto la voce 'transazioni finanziarie senza limiti morali'.
Si dava il caso che quella Regione avesse avuto il mandato divino, in un tempo già lontano, di scodellarmi alla vita. E fin qui nulla di anomalo, una pugnata di milioni di corregionali avevano avuto questo privilegio, e a tutti si rizzava il pelo nel sentirsi accomunati a mascalzoni infami.
Esaurita questa pista, sempre per il solito pissi-pissi-bau-bau anonimo, le ricerche pareva si fossero dirette verso un'altra Regione, puntando i riflettori su questa che, a Dio piacendo, quanto a crimini di questo tipo aveva nulla da imparare.
La quale Regione, manco a farlo apposta, era tra quelle di mia competenza, e in cui, ormai da anni, avevo portato la mia residenza.
I giornalisti, non so in base a quali indizi, avevano anche accennato al luogo della possibile prigionia della bimba. Avevano parlato della zona di un monte, che più che leopardianamente ermo, era letteralmente aspro.
La strana coincidenza non aveva spinto gli investigatori ad aprire un fascicolo su di me e sul mio operato, né era venuto loro in mente di inserirmi nella lista dei possibili informati.
Nel periodo di questo racconto, da un paio di settimane era in atto un silenzio stampa, imposto dalle forze dell'ordine e accoratamente richiesto dalla famiglia della piccola.
Evidentemente il cerchio si stava stringendo, e non si voleva che da qualche gola profonda uscissero indicazioni che, allarmando i rapitori, ne avrebbero favorito la fuga, spingendoli ad azioni disperate, che sovente si risolvono in un esito tragico per le vittime innocenti.

Torniamo a noi e al ricordo di quel dopocena.
Gli inquirenti non mi avevano ritenuto degno di attenzioni, nonostante questi indizi potessero essere valutati. Forse la mia vita intemerata aveva fatto premio su valutazioni investigative che altrimenti sarebbero state per me perigliose.   
Non così per il collega A proposito, che da quelle coincidenze non aveva, ovviamente, tratto motivi di dubbio sulla mia probità, ma la provenienza natia della prima ipotesi sommata a quella del vivere nei luoghi indicati dai media come rifugio dei malfattori nella seconda, gli aveva dato lo spunto per porre quella domanda.
Essendo collega navigato, aveva pensato che il risiedere in quella zona fosse più che sufficiente per avere l'obbligo professionale di 'sapere'.
L'aveva posta, la domanda, con fare innocente, quasi casuale, direi giochereccio, in calce ad altri argomenti futili e ormai esauriti. Che, ovviamente, con la bimba nulla avevano a che vedere.
Appunto, a sproposito...
Era stata buttata nel mucchio, ma non era necessario essere particolarmente perspicaci per intuire a chi era rivolta.
Ora, le possibili risposte ad un 'a proposito' detto a sproposito, erano due:


a) "non ne so nulla, c'è pure il silenzio stampa"; che avrebbe provocato nell'astuto proponente una considerazione tipo: "ma come, sei in zona, ci vivi, e non sai quello che succede?", che come stupidità sarebbe stata pari al 'a proposito';


b) "siamo a buon punto, questione di poco e sarà liberata".


Se al posto di 'siamo' fosse uscito 'sono' sarebbe stato meno coinvolgente, ma avrebbe suscitato lo stesso qualche dubbio; sono/siamo poteva essere visto da due angolazioni diverse:  con la legge o contra legem?

Stesso verbo, stessa declinazione, plurale la prima, singolare la seconda: una differenza minima e nel contempo abissale con il semplice cambio di una sillaba.
Qualunque persona con un po' di buon senso avrebbe scelto la prima risposta (il 'non so nulla' è il modo più breve per sviare domande alle quali non si hanno risposte)  ma, per stare al gioco e nella certezza che la risposta a) non avrebbe dato soddisfazione agli uditori, avevo scelto quella b), ritenendola comunque innocua...
La risposta era stata accolta come giustamente meritava: una battuta e niente più.

" 'Notte", ormai piccola per noi, tutti a nanna, appuntamento all'indomani, che in realtà era già l'oggi di ieri.

Mattina successiva: barba, abluzioni rituali, paramenti adeguati alla riunione del giorno, e discesa verso la sala pranzo per la colazione di gruppo.
Pigro mattutino incallito, ero risultato buon ultimo della congrega.
L'entrata della saletta al piano, adibita all'uopo, era interdetta da porte scorrevoli, con vetri opacizzati, e con sensori di apertura automatica.
Avanzando con il passo tipicamente vispo di chi vuole mimetizzare le palpebre pendule, avevo superato l'ostacolo vetrato, oltre il quale si accedeva a un pianerottolo di breve sosta, da cui, scendendo pochi gradini, si arrivava alla meta.
I colleghi erano già tutti presenti, ma non avevo problemi, visto che per la colazione non era previsto un conclave ufficiale.

Il cicaleccio con cui alternavano i vari passaggi della colazione si era bruscamente interrotto.

Prima uno, poi con una specie di passaparola telematico, tutti i colleghi guardavano verso il nuovo entrato.

Ero solo, quindi non avevo alibi: dovevo essere io.
Il 'buongiorno' era offerto da un silenzio assoluto, assordante al confronto con  il parlottio appena interrotto.
Non soffrivo il complesso dell'incarnazione della Wanda nazionale (la Osiris, non la Nara, per chi sbocconcella i dintorni del calcio), quindi mi ero bloccato, cercando, come si dice, di fare mente locale, con un rapidissimo controllo mnemonico: pantaloni, c'erano; versare la quota della cena, fatto; odio le cravatte, poteva averla dimenticata, a posto anche quella...
A un silenzio si può rispondere solo col silenzio, supportato da un leggero scotimento della testa, destra-sinistra/alto-basso, completato dall'universale congiungimento delle dita rivolte verso l'alto, come quando si chiede, senza parlare, "che ca...volo succede?".
Nel frattempo avevo un piede rivolto in avanti per scendere, e l'altro rivolto all'indietro, pronto alla fuga: da un branco di colleghi silenti ci si poteva aspettare di tutto.
Sembravano tranquilli, e una volta sceso al piano, uno di essi aveva aperto il giornale, ancora profumato d'inchiostro, fresco di stampa. 

Prima pagina, titolo a nove colonne, il massimo consentito dalla larghezza del foglio:


"L I B E R A T A"

Troppo facile capire a chi fosse dedicato...
Uno sguardo all'occhiello e al sommario: 
"Wow! (leggere Uau!), meno male, è finita...".
Non avevo ancora memorizzato il discorso finale della notte precedente.
Io...
Loro sì!
Commenti da parte dei colleghi, tra ironia e sospetti, delicatamente repressi.
Riferiti alla frase della notte, vagamente insinuanti; per tutto il giorno mi avevano tenuto sotto osservazione, magari speranzosi di un blitz delle forze dell'ordine; non per altro, solo per vivacizzare un incontro che sarebbe potuto passare alla storia.
Galeotto fu quel "siamo", detto tra l'altro non in un perfetto stato di grazia, ovviamente innocente; ma il dilemma, sotto-sotto era rimasto: l'esimio collega, sempre io, sapeva o non sapeva?
Avevo giurato sulla testa di Giorgio* che non sapevo e non ero coinvolto, con la speranza di tacitare quelle jene, che un verbo sballato aveva spinto verso una convinzione errata.

Non per niente, nel cartoncino di saluto finale al pollaio tutto, era stato previsto un richiamo esplicito di allerta verso ipotetiche protezioni, che nel verde prato della libertà sarebbero venute a mancare. 

(Per non finire così tronco: se il collega "a proposito" avesse avuto un po' di fantasia, basandosi sulla convinzione iniziale, vista la situazione, avrebbe organizzato una processione, in fila indiana; il capofila avrebbe preso la mia mano, mormorando con rispetto "baciamo la mano a vossìa", come il protocollo specifico insegna. In risposta a questo segno di devozione, avrei pensato a un termine in codice, che manco i servizi segreti sarebbero stati in grado di interpretare, tipo un "vaffanculo". Ripetuto a corredo di ogni baciamano, in segno di fratellanza assoluta tra pollastri, comunque destinati alla pentola).

Fine.
Anzi no: nell'articolo, che supportava il titolone a nove colonne, venivano date informazioni dettagliate sull'operazione delle forze dell'ordine: i delinquenti rapitori non avevano nulla a che vedere con la mia terra natia e neanche con quella di domicilio.
A notte inoltrata l'Ansa aveva diramato la notizia della liberazione, recepita al volo da tutti i quotidiani che erano riusciti a stamparla come notizia principale.
All'epoca i cosiddetti social erano ancora a venire, per cui non l'avevano potuta twittare al mondo notturno di cellulari e personal ancora in lento itinere.  
Si era trattato di una treina di farabutti quasi locali, non alle prime armi, ma evidentemente senza una storia patria alle spalle. 
Oggi che questo racconto esce, probabilmente sono da tempo in libertà; con la speranza che i riflettori di quella infamante momentanea notorietà abbiano nel frattempo illuminato le loro menti, portandole su una strada più onorevole di quella della (pure detta 'onorata') società a delinquere che avevano intrapreso.
Questo per la cronaca.

* Giorgio era un  rospo che frequentava il nostro giardino. Per i suoi colleghi e per gli animalisti, all'epoca era vivo vegeto e apparentemente felice; se ne è poi andato di sua sponte, comunque con la testa sul collo (o sulla schiena, boh!?), a conferma che il giuramento era andato a buon fine. Il nome era nato dal ricordo di un periodo lavorativo precedente, in cui avevo 5-colleghi-5 che si chiamavano Giorgio, con cui lavoravo quasi gomito a gomito. Ogni volta chiamare 'Giorgio' significava che per parlare con l'interessato era d'uopo accettare almeno quattro "che c...osa vuoi?" di chiamata a vuoto. All'epoca dell'episodio raccontato c'erano ancora tutti; tempo dopo ho saputo che almeno un paio se n'erano andati. Un modo come un altro per ricordarli tutti, con immutata simpatia. Il giuramento sulla testa di un rospo era meno impegnativo che farlo su un personaggio umano... Non si sa mai come vanno a finire certe cose... L'inferno straripa di persone presunte innocenti, così come il paradiso non riesce più a contenere fior di mascalzoni, che la storia conferma essere stati tali. Anzi, molti di questi sono pure glorificati sugli altari.

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