giovedì 24 maggio 2018

Cose così

I misteri mi piacciono finché sono misteri tipo cubo di Kubrick: cerchi di risolverlo, poi lo sbatti sul pavimento e lo mandi al diavolo, senza nulla guadagnare o qualcosa perdere.
Quando sono misteri che rischiano di angustiarmi l'esistenza più di quanto questa sia angustiante di suo, cerco di accantonare quanto possibile, nella certezza che prima o poi qualche mente eccelsa svelerà l'arcano a favore anche di chi, come me, preferisce non affrontare il problema.
Poi ci sono i misteri che ti capitano tra capo e collo, che non riesci ad evitare e, per quanto ti scervelli, non riesci a venirne a capo.
Allora si accende la lampadina di Archimede, quello che risolve i problemi a tutta la banda Disney. Nel caso specifico solo per dare un'indicazione: divulgare il problema, sminuzzarlo tra tante menti pensanti, tipo chi frequenta Blogger o Facebook.
Magari non ne verrà una soluzione ma, diluito, il mistero finirà per apparire quasi insignificante.
Dopo questo incipit, voglio precisare che quanto segue è una specie di film di un vissuto recente, che vorrei mettere sotto censura ancora prima di raccontarlo.
Ammesso che riesca a introdurle, in questo filmato ci "potrebbero" essere immagini non in sintonia col mio bloggare regolare.
Pertanto lo piazzo sotto lo scudo del "vietato ai minori di 80 anni", dando per scontato che dopo quell'età più nulla possa turbare occhi e menti, poiché si dovrebbe avere visto tutto il peggio del visibile.
Introduzione: scena di vita serotina in interno.
Un sabato sera, ore 22,30 circa.
Lo spazio scenico si presentava così:
- la cognata seduta sul divano, teoricamente guardando un film in tivvù, con alternanza di crolli di capocchia e momentanei sussulti da risveglio;
- al suo fianco, appollaiata (sarebbe meglio dire aggattaiolata, ma non è termine molto usato, forse del tutto inesistente) sul bracciolo dello stesso divano, Blu, la gatta di casa, anche lei oscillante tra il film, la congenita sonnolenza e soprattutto l'attesa che vada a mia volta a sedermi sul divano per potersi accoccolare sulle mie ginocchia;
- io, seduto su uno sgabellino appositamente piazzato accanto al caminetto, attento marginalmente al film e più intento a che il fumo della sigaretta si inoltri nello stesso (quando non vado in giardino questo è il posto preferito per sfumazzare; oltre al bagno; colà per rinverdire ricordi lontanissimi di fumate a rischio di schiaffoni).
A parte le stupidate del film, di cui infatti manco ricordo il titolo, c'era un silenzio silenzioso, per non svegliare le due dormienti interrompendo i loro sogni, di già spezzettati dall'alzo di volume stupidamente improvviso delle pubblicità ricorrenti.
La cognata non so, ma la gatta mi è sempre piaciuto pensarla sognante grassi e appetitosi topi topini toponi, che peraltro sapevo che neanche in sogno avrebbe catturato e ucciso come legge di natura comanderebbe.
Quanto al mangiarli, ho l'impressione che il vomito, ogni tanto seminato per casa, sia proprio dovuto a quell'incubo, alternativo ai croccantini menu quotidiano.
Parte prima del filmato scritto.
Come detto, mi trovavo con l'occhio sinistro verso il caminetto a seguire il fumo per indirizzarlo all'interno dello stesso; quello destro oscillante tra televisione e le due appisolate, tipo l'occhio di un camaleonte.
All'improvviso, in questo girare lo sguardo a 180° mi era sembrato di vedere, verso il fondo della stanza, una specie di ombra nera, un lampo veloce verso la libreria.
Forse un baluginìo di riflesso dal televisore...
Con questa convinzione mi ero nuovamente concentrato nel mio compito di attesa dell'ora della nanna.
Ancora... e non era un baluginìo...
Era "qualcosa" che scorrazzava liberamente per casa.
Primo pensiero: un topino, forse infilatosi in casa in un attimo di disattenzione.
Secondo pensiero: impossibile!
Con una cognata che sente il battito d'ali di un moscerino; con una gatta adulta che "dovrebbe" sentire la presenza di un topo; con gatti che vanno e vengono in giardino come in una stazione della metro...
I gatti più famosi della storia risalgono all'antichissimo Egitto, dove erano venerati come semidei, a ragione ben veduta: infatti nella storiografia di quel luogo si parla di gatti, a miglior memoria mummificati come i faraoni, e non mi pare ci siano tracce di topi o pantegane o collaterali.
Da qui a dedurre che i gatti di allora sapevano qual era il loro dovere e lo assolvevano con religioso impegno è un passo obbligato.
Terzo pensiero: da buon gatto sarò io a scoprire il fantasma o la belva che si aggira per casa.
Quarto pensiero visivo: è un topo!
"C'è un topo!".
Sotto la libreria.
Cognata che schizza fino al soffitto, gatta (infame) che la segue spaventata.
Caccia grossa: aperta via di fuga (al nemico che fugge, ponti d'oro...), scopa con manico roteante, baccano, spazzolate sotto il mobile.
Gatta (sempre infame) che segue tutte le operazioni da vicino con il massimo interesse, guardandosi bene dal prendervi parte in maniera attiva.
Si era fatta mezzanotte, il sonno era andato a farsi friggere, e noi ancora in attesa che la belva uscisse di casa per tornare nella foresta. esterna.
Scopa, racchetta antizanzare ben sistemate a giusta altezza, in tenace attesa delle mosse del nemico.
Silenzio tombale, per sentire il minimo rumorino, uno squittio, che ci indicasse il migliore punto di postazione.
Si era fatta l'una, e la tensione aveva lasciato il posto a una sonnolenza non più contenibile.
Cognata e gatta cominciavano a guardarmi dubbiose, inizio della convinzione che mentre loro dormivano io avessi tenuto loro giusta compagnia, appisolandomi e sognando.
Un topo.
Ovvero, meno prosaicamente, che fossi rincoglionito...
Non potendo escludere del tutto la presenza del ratto, avevamo messo in atto un astuto piano d'emergenza.
Chiuse le porte del soggiorno, aperto un spiraglio della porta del giardino, bustina topicida subito fuori nel terrazzo... e tutti a nanna.
Mattino: prima delle operazioni solite che seguono i risvegli avevamo aperto con cautela la porta del soggiorno; nessun movimento.
Dal terrazzo era sparita la bustina...
Ergo, il topo c'era stato, e la mia sanità mentale, per quella volta, era salvata.
A pulizie e bisogni del mattino adempiuti, a colazione rilassante, a verifica sommaria sulla presenza di eventuali cadaveri in vista, eravamo passati alla disinfezione operando sui presunti passaggi del roditore.
Da sotto la libreria erano spuntate pallottole di polvere, un paio di viti residuo del montaggio del mobile e... una cosina non ben definibile, almeno sul momento.
Per farla breve, non era un topo quello a cui avevamo dato la caccia, bensì una topa.
Gravida, aveva scambiato il nostro soggiorno per una sala parto, aveva scodellato il frutto dei suoi amori e se ne era andata, insalutata ospite, lasciandoci un ricordino del suo passaggio.

Questo, malamente fotografato per imperizia congenita irreversibile.
Era lungo meno di un centimetro e per ottenere una foto decente (vabbé, si fa per dire...) avevo frapposto una lente d'ingrandimento tra il soggetto e l'obiettivo del cellulare.
Forse un po' deformato, dà l'impressione di una creatura preistorica, dinosaurica direi.

             

Per chiudere il racconto: brutta fine (probabile) per la topina, brutta fine (accertata) per il pargoletto.






2 commenti:

  1. Occhio ai cubi di "Kubrick": il famoso regista non produsse nessun cubo! Il nome ci assomiglia ma non è lo stesso: cubo di RUBIK.

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    1. Per commentare hai letto, e ti ringrazio. In effetti a Kubrick saranno fischiate le orecchie... Chiedo venia al signor Rubik per lo scambio d'autore dovuto a una maggior dimestichezza col regista e pochissima col suo cubo, a causa dell'assenza di quella manualità mentale, e pazienza, indispensabili per risolverlo. Chi ci riesce, per me è un mostro. Odio i mostri.

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