Michelina

Cielo, mare, fiori: ti siano compagni, ovunque tu sia

Era un grissino, già quando l'avevo vista la prima volta, nove mesi fa, da chiedermi come facesse a stare in piedi senza spezzarsi, talvolta senza appoggi.
Per occhi aveva due fanali, sempre spalancati. Quando una domanda, un argomento, un oggetto la eccitavano, lampeggiavano per un attimo, come gli abbaglianti all'interno di una galleria, o come quando si lampeggia a chi viene di fronte per segnalare la presenza di elementi 'pericolosi' lungo la strada.
Era uno scheletro rivestito di pelle.
Si portava sempre appresso un cuscino, poiché sedersi sul duro era costringere le ossa del bacino a premere direttamente sulla pelle, dolorosamente.
Camminando talvolta dava l'impressione di brevissimi saltelli, ma di solito trascinava i piedi, attenta a non cadere.
Aveva passato la vita intera tra ospedali, case di cura o di riposo.
Non ho potuto sapere se, in questo suo doloroso peregrinare, abbia mai provato qualche sprazzo di felicità. Però, a qualche ricordo del passato, un breve sorriso e il lampeggio degli occhi mi fanno ritenere che, sì, qualche attimo bello nella sua vita ci sia stato.
Settant'anni: come capita sovente entrando in questa età, deve avere dato una ripassata alla sua esistenza, prendendo atto che i conti non tornavano. 
Lo sbilancio della sua vita era in rosso, insanabile.
Aveva una voce adeguata al fisico, più il leggero miagolio di un gattino che di una persona.
Quando si frequentano queste strutture, ai propri guai personali inevitabilmente si aggiungono anche quelli degli altri, in una specie di sostegno reciproco.
"Ciao, Michelina, come va?", era la domanda di ogni giorno.
"Come Dio vuo'... ", "Abbastanza bene...", "Così così...", erano le risposte che si alternavano, un giorno dopo l'altro.
Un "Bene!" a tutto tondo non lo aveva mai detto, e mi sarei stupito se le fosse uscito un miagolio in tal senso.
Aveva deciso di chiudere il libro mastro, ma non sapeva come fare.
In una struttura assistita non ci sono ganci cui appendersi per il collo; non ci sono veleni, a parte quelli detti medicinali; non sono disponibili neanche sacchetti di plastica con cui soffocarsi; e la struttura è a un piano unico, piano terra, quei piani che se ti getti ti fai male, senza raggiungere lo scopo...
Qui già la parola 'libertà' non può esistere, neanche come chimera; tanto meno la libertà di sentirsi addosso un peso troppo grande e volerla fare finita.
C'era uno spiraglio tra questi muri, e lei lo aveva adottato.
Aveva deciso per un modo, che di solito è messo in atto come segno di protesta (talvolta di ricatto): smettere di mangiare.
Ai primi di aprile aveva iniziato il suo cammino su questa strada.
Non erano serviti gli interventi della psicologa, dei medici, di chi quotidianamente veniva ad assisterla...
Aveva solo un fratello, lontano e con vita propria. 
Due sorelle, abitanti nella zona, si erano fatte carico di lei, e ogni giorno le portavano qualcosa di merenda, la facevano passeggiare, chiacchieravano con lei, le facevano passare un paio d'ore in compagnia, come fossero suoi famigliari. Ogni tanto se la portavano a casa, per farle passare una giornata fuori da un ambiente che, per quanto accogliente, era pur sempre restrittivo.
Una quarantina di giorni è durata la battaglia per riportarla a pasteggiare o, comunque, per rimetterla in quella carreggiata che lei rifiutava.
Fleboclisi, integratori, alimenti liquidi... tutto per sostenerla, con la speranza di un ripensamento.
Quaranta giorni di lentissima agonia.
Chi andava nella struttura in visita, chiedeva alle sorelle o alle assistenti o alla psicologa  notizie sulla sua situazione. 
Nei primi tempi, ogni tanto spuntava un "mah, forse...", che faceva seguito all'inattesa entrata nel suo corpo di uno yogurth o di un integratore; ma ormai i segnali non erano più a parole, erano un allargare le braccia e alzare gli occhi al cielo.
Camminava ancora, sostenuta per le braccia. La sua consistenza fisica era ridotta a una sola dimensione.
L'altro ieri sera, quest'ultimo giovedì, ha vinto la sua battaglia, abbandonando il campo.
Immagino che l'ultimo suo istante non sia stato dedicato a un sorriso, troppo faticoso; credo invece in un ultimo lampeggio dei suoi fanali, a illuminare per l'ultima volta il tunnel triste della sua vita.
Ciao, Michelina, da uno sconosciuto che ti ha conosciuta, e che tanto gli basta per piangerti. 

Commenti

  1. Che in Paradiso la portino gli angeli e la accolgano i Santi

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  2. Dove è andata starà meglio e credo che se davvero esiste un paradiso le porte si sono aperte per Michelina tutte.
    Un pensiero e un fiore a Michelina e grazie per la condivisione..

    Gli ultimi saranno i primi..

    Buona domenica

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  3. PS: complimenti per la nuova grafica:))

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  4. Sei un grande uomo Pietro. Hai scritto questo post con tutta l'umana sensibilità di chi ha capito quanto sofferenza albergava in quel corpo. Lo sfratto le era dovuto. E adesso posso salutare anch'io Michelina e abbracciare te forte forte!
    TVB

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  5. E'bello raccontare la storia di chi,altrimenti,non avrebbe storia.
    Grazie al tuo ricordo,rimarrà.

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  6. Condivido quanto scritto da Costantino.
    Michelina rimarrà, grazie a te e alla tua profonda umanità.
    Grazie e ciao Gattonero,
    Lara

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  7. Il mio più dolce pensiero per lei si unisce al Tuo.
    Grazie per averne parlato.

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  8. In qualche modo viviamo con questo possibile futuro. Ci penso e finisce che fumo qualche sigaretta in più.

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  9. Non trovo parole adeguate per esprimere la mia solidarietà alla figura di questa donna, che tu hai ricordato con affetto e composto dolore.

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  10. Molto triste questa storia, commovente. Spero ora sia davvero serena.

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  11. Una storia raccontata con partecipazione e delicatezza.Che almeno un ricordo bello anche se lontano, della vita l'abbia resa serena.

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  12. Un delicato ricordo. Ci son persone che vivono così, troppe, tante, ma quando ne conosci una da vicino ti lascia l'amaro in bocca. Spero che abbia sgranato i suoi occhioni su un lampo di vita catturato.

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  13. ciao grazie per questa tenerissima e triste storia,ci mostra un mondo diverso e delle realta' tragiche, talvolta le persone che incontriamo lasciano un segno del loro passaggio, per motivi disparati, ci affezioniamo e soffriamo quando purtroppo se ne vanno, ciao a presto rosa buon pomeriggio...

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  14. quando leggo queste cose, mi riprometto sempre di non lamentarmi mai più delle cose banali che mi capitano durante la giornata e che riescono a innervosirmi. Ci ricasco, poi, ma almeno per un po', faccio tesoro di storie come questa, che mi fanno capire che c'è gente che nella vita ha più sofferto che gioito... un saluto anche da parte mia a Michelina...

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  15. ...l'ultimo suo momento.. un lungo sospiro... me la sono immaginata così. Un abbraccio gattone

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  16. Tu mi vuoi fare morire... lo sai che in questi posti ci vado anche io e ogni dolore me lo riporto a casa...

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  17. Chissà quante Micheline sconosciute e sole vagano per questa inquieta esistenza.
    Almeno lei ha avuto un pensiero amico.
    Davvero malinconico.

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  18. Mio Dio che racconto spaventosamente triste! Ancora più triste se si pensa che altre come lei vivono o hanno vissuto questa esperienza.
    La vita può essere molto crudele e assolutamente indifferente.
    In ogni modo il tuo racconto è bellissimo e molto coinvolgente.

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  19. mio nonno visse la stessa cosa. Si chiamava Michele, il caso. "Come stai, nonnò?" "Benino", mi rispondeva. Ma evidentemente non era così. La sofferenza è la cosa più brutta che possa esistere. Ciò che la può aiutare a vincerla è la vicinanza delle persone, "sconosciute" o meno che siano. (Hai ragione, seguire i gattineri è cosa buona e giusta.)

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