mercoledì 1 febbraio 2012

Quarantadue (più due)


(Oggi, un anno fa, Angela è stata in sala operatoria per sei infinite ore. Vorrei raccontarle, ma è un’esperienza ben nota a chiunque (da un intervento all’appendice, a un parto o all’ablazione di un tumore) abbia sostato nelle sale d’attesa. Sarebbe una storia di fumo e di sudori freddi. Preferisco vedere questa data da un’altra angolazione).

“Quarantadue (più due) gatti, in fila per tre…”.
No, non sono gatti, e sono in fila indiana, uno appresso all’altro.
Due da maritati, quarantadue da sposati.
Era il ’68, quando ci siamo messi insieme; ma non eravamo stati influenzati né dai movimenti studenteschi né dalla nascente libertà sessuale.
Eravamo fuori dal giro, ormai da tempo.
Lei sola, io solo: dui balengu (letterale: due poveri deficienti,  sprovveduti,  imbranati; figurato: due poveri tapini) in una grande città; come due parti di una meringa, che la crema aveva  (ha) unificato.
Nel periodo ‘pre’ si era buscata la pleurite; due mesi in ospedale (non c’era ancora la manìa di mandare la gente a morire per strada in cerca di un posto-letto; e gli ospedali curavano, per quanto possibile guarivano, e se non eri guarito, o morto,  non ti facevano uscire).
C’erano le camerate, una ventina di posti in ognuna.
Donne già mature, sposate, mariti e figli e figlie che le andavano a trovare.
Per non essere da meno delle compagne di stanzone, mi aveva presentato come marito, chiedendomi di confermare questa situazione.
Suore in plancia, forse le avevano chiesto chi era quel giovanotto che ogni giorno si presentava nelle ore più svariate, troppo interessato alla sua persona per essere un semplice conoscente; anche loro erano fuori dal giro, ma con altre motivazioni.
C’era, infatti, un terzo modo per uscire da 'quegli' ospedali: allora il latino nell’ambiente ecclesiale era unica lingua ammessa, e il termine more uxorio rientrava nella vasta terminologia dei peccati; tra l’altro, di quelli ‘mortali’.
Il termine ‘convivenza fuori dal matrimonio’ poteva voler dire dimissione immediata, il peccato non poteva avere un letto in corsia.
Era il tempo dello sgonfiamento della gomma della macchina, come ritorsione per la soffiata di un’amica che le aveva riferito d’avermi ‘visto’ in giro con un’altra ragazza.
(Enrica, mi ruga inserirti in questo testo, ma lo faccio per dirti quanto sei stata stronza; hai colto al volo la gelosia di Angela, e così mi sono trovato con la ruota della macchina sgonfiata da quella pazzerella. E hai pure avuto il coraggio di unirti a noi per andare a mangiare il gelato da Florio, tremante nel segnalarmi che “qualcosa nella macchina non andava”. C’è altro: spero che la parrucca che ti sei comprata con il biglietto da cinquantamila, sfilato dal libretto postale che avevo affidato ad Angela, fosse di già piena di pidocchi; a questi, con te, se ne sarebbe aggiunto uno. L’avessi almeno speso dal dentista, visto che avevi denti a seghetto, che se mai avessi accettato di farmi 'monicare' da te avrei dovuto fargli indossare un pneumatico, per non vedermelo finire  come sanbartolomeo, scorticato vivo. Con quel cinquantino, all’epoca ci avrei pagato tre mesi della mia ammobiliata: oggi appaiono cifra ridicola, ma allora non lo era. Vai al diavolo, solo il ricordarti mi ha fatto incazzare).
La proposta di sposarci non l’avevo fatta col classico ginocchio a terra a implorare il suo “sì”. Sarebbe stato pleonastico, e, ormai conoscendomi anche per le battute, ci sarebbe stato il rischio di una risata o quell’invito recente in risposta al mio “perché sei bella”.
Una notte qualunque, espletati i piaceri caserecci, le avevo detto:
“Sposiamoci”.
“Va bene”, aveva risposto, convalidando l’ok con un bacio.
“Buona notte”.
Sicuramente non ero ‘mbriaco, altrimenti la mattina dopo non avrei ricordato quel messaggio notturno.
Ho una memoria discreta, ma non ricordo di averle dato il cosiddetto “anello di fidanzamento”. Probabilmente già allora lo ritenevo una baggianata, pleonastica come un sì dopo due anni di convivenza.
Oggi pomeriggio, quarantadue anni fa, eravamo sposati.
Giorno della merla, c’era il sole e faceva freddo.
Oggi, giorno della merla, il cielo è di piombo, piove e fa freddo. Manco fosse inverno.
Cerimonia al paese dei suoi, simpaticamente a casa del diavolo: quindici chilometri di strada groviera, senza un filo d’asfalto; solo alberi ai lati, per la maggior parte pini; da filo mare saliva solo fino ai seicento metri, ma sembrava un nido d’aquile.
Nel paese, la stradella che portava alla chiesa era un acciottolato, con una cunetta centrale, che convogliava del liquido verso una piazzetta più in basso, in ciotoli pure quella.
Noi elegantini, scarpe stilose, massima attenzione a non inzupparle in quel liquido, che, teoricamente, avrebbe potuto essere acqua, ma in realtà era una abbondante e poco prosaica pisciata d’asina.
O d’asino.
Impegnati a superarla indenni, non avevo fatto prelievi per sapere il sesso di quella fontana. E comunque i ris, i ros, i rip e i rap erano ancora in lontanissimo itinere.
C’era il rock, ma non eseguiva esami di laboratorio.
Parenti per parte mia non ce n’erano. Non avevo  fatto venire mia sorella, troppo lontana e con un bimbo piccolo.
Per il testimone di lei non c’erano stati problemi, in un paese meno che piccolo si conoscevano tutti. Per me era stata cercata una volontaria, che sapesse scrivere, per via della firma  nel registro della chiesa.
Un solo fotografo in zona, aveva preso due appuntamenti, per due matrimoni quello stesso pomeriggio, il nostro e un altro alla marina.
Alternandosi, con quella strada e con tempi coincidenti, da noi era arrivato in ritardo; e il prete, in latino, bestemmiava come un turco.
Ventiquattro foto, dodici in bianconero, dodici a colori.
Il prete, nel frattempo, si era acquetato.
Finita la cerimonia non c’erano stati i soliti fiumi di lacrime che caratterizzano queste situazioni. Qualcosina da parte della madre, ma proprio il minimo per non essere definita cinica.
I genitori, il fratello e la sorella non si erano messi a saltare di gioia per l’avvenimento, ma ad Angela, nei momenti di guerriglia urbana, ho sempre insinuato che dopo la nostra partenza avranno gozzovigliato per settimane: troppa doveva essere stata la felicità di liberarsi di lei e del suo bel caratterino.
Festa in una stanza grande, messa disposizione da un paesano.
Le travi del soffitto in legno non impensierivano più di tanto, non era zona di neve; invece quelle che sostenevano il pavimento un pochino mi davano dei dubbi sulla tenuta.
Un pochino molto.
E ballarci sopra rumbe mazurche sambe valzer tanghi era stata una sfida alla fortuna; tra l’altro un angolo era già sfondato, e il padre di Angela faceva la guardia acché i ragazzini non andassero a ramengo al piano di sotto.
Io non ballo, non so ballare e non mi sono mai preso la briga di imparare. Se questa, agli occhi dei ballerini, è una malattia, non so come affrontarla; e di andare dal medico a dire “non so ballare, mi dia qualcosa” non ci penso nemmeno. Mi vergognerei di meno, se e quando, a chiedere la pillola blu, quella ‘ricostituente’.
Ma la tarantella me l’avevano fatta zompare, ed era stata la prova del nove che quel giorno quel pavimento non sarebbe crollato.
Magnitudo 9 della scala Richter, un’arca di Noè in un mare infuriato; manco la xamamina avrebbe fatto effetto.
Scarpe nuove, gambe buttate a vanvera, calci dati e ricevuti, trenini, contrapposizioni maschi-femmine, bambini urlanti: un casino impossibile da dimenticare .
In un angolo, contrapposto a quello sfondato, un cestino di vimini, chiaramente autarchico, intrecciato da mani che avevano secoli di esperienza: era lì per ricevere i regali in busta, alternativi o complementari ad oggetti di vario genere, poveri, poiché erano tutti di gente veramente povera.
Ma con una dignità che gli aderenti alle liste-nozze odierne manco sanno cosa sia.
Le buste: bigliettini da visita, bianchi, con gli auguri e le firme a questi pressoché illeggibili; o pezzi di quaderni a quadretti, in cui 'aguri' o anche 'auri' abbondavano. Manzi, qui, non era ancora arrivato.
Mille lire, i più facoltosi duemila: ma erano pesanti, molto più di quanto quelle cifre dicessero.
Insomma, nell’insieme, era stata quella che si dice una bellissima giornata.
Notte, piedi gonfi, testa a macigno, avrebbe dovuto essere la fatidica “prima notte di nozze”: piombati in un sonno da catalessi.
Anche perché la stanza in cui avremmo dovuto ‘consumare’ era occupata per intero da un letto matrimoniale cigolante, e l’entrata/uscita dava direttamente nella camera da letto dei suoi genitori.
Il pensiero che potessero essere dei ‘guardoni’ non mi ha mai sfiorato; che potessero sentire eventuali incontrollabili cigolii miagolii o guaiti, sì. E non è che in quelle situazioni sia possibile mettere la sordina.
Tanto la strada ormai la conoscevo, la speranza e l’augurio di quel giorno era che fosse più  lungo possibile.
Fin'ora lo è stato.
L’indomani il padre di Angela aveva tirato fuori un quadernetto, sciupato dalla frequente consultazione. Ci segnava tutti i nomi e le cifre e i regali; il ricevuto era tutto da rendere, nella stessa misura o allo stesso livello, in occasione di battesimi, cresime o matrimoni.
Un do ut des casalingo; una contabilità all’antica, in cui i conti avrebbero dovuto tornare, a costo di rimetterci, per via dell’inflazione.
Una nota, per consentire a chi legge di asciugare i lacrimoni di commozione: per quarantatré anni ho ritenuto di avere amato Angela; se l’avessi amata con la stessa intensità di quest’ultimo, a battere queste sciocchezzuole non ci sarebbe un gatto ma una larva dello stesso.
Tenetelo per voi: so, modestamente, di far parte degli animali in via d’estinzione, e non vorrei finire in una gabbia, con la scusa di salvaguardarmi.
Fin  che potrò, cercherò di salvaguardarmi da solo.
Dopo, mi tirerò il lenzuolo fin sotto il naso e mi farò una bella, lunga dormita.


13 commenti:

  1. anche i miei... : fidanzati nel 68, sposati nel 70... :)

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  2. si, sei decisamente in via di estinzione e ti salvaguarderei per sempre per queste, proteggendoti e tenendoti nascosto, ma in totale libertà perchè non è dei gatti la vita in gabbia...

    ... nota: quarant'anni dopo, in un paesello sulla riva del mare, il quadernetto l'ha tirato fuori anche mia suocera... anche lei in via di estizione?

    un abbraccio... e auguri

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  3. Non c'ho parole, anzi sì: le ho tutte.
    Ma metterle per iscritto equivale a leggere la realtà (mia).
    Che mannaggia, dimmi che sono una stronza egoista, ma vorrei potesse somigliare ad un terzo della tua realtà.
    E che sei una vera persona è indubbio: salvaguardati per bene, mi raccomando. Un abbraccio

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  4. Solitamente mi annoio a guardare i filmini dei matrimoni, ma questo tuo mi ha proprio divertita. Sarà che vederti zompettare è stato fantastico. Non sei male, un po' di legno, ma hai il tuo fascino ;)
    AUGURI di BUON ANNIVERSARIO amico mio carissimo, ovviamente auguri anche ad ANGELINABBELLA :)
    Ormai mi pare di conoscervi davvero e questa cosa è davvero impressionante.
    Ho letto anche il tuo post precedente,non una volta sola,eh.. ma non sono mai riuscita a commentare.
    Forse perchè non rieco a prendermi il tuo grazie.
    Non ho fatto abbastanza e non posso prometterti, ahimè, che lo farò in futuro.
    Che poi anche l'abbastanza mi sta stretto, ma tant'è.
    Però sono felice di farti un po' di compagnia e di strapparti dei sorrisi ogni tanto :)
    Almeno questo..
    almeno questo.
    Bacione

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  5. Sono qui che leggo e rileggo e penso che Angela deve essere davvero stupefacente e altrettanto devi essere tu, e di questo ne ho quasi la certezza. E' una storia fatta di cose semplici, genuine, quelle che danno valore al tempo. Davvero stupendo gatto, davvero.

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  6. Che bello questo post. Una bella storia raccontata con delicatezza e sincerità.

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  7. anch'io , fidanzata nel 66 e sposata nel '70 mi sento appartenente ad una razza in via di estinzione, comunque noto con piacere che ci sono giovani ai quali piacerebbe ripetere le nostre esperienze, speriamo bene.....

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  8. 43 anni, momenti belli, momenti difficili ma non ne cambieresti uno.
    Buona o cattiva sorte, salute o malattia... proprio così.
    Non è una formula vuota.
    Ci vuole coraggio per seguirla alla lettera e tu ne hai, questo è un fatto.
    L'ennesimo (ma non certo l'ultimo) abbraccio, gattone nerissimo.

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  9. Nel 68 diventai mamma per la prima volta.
    Sposata giovanissima, in un'età che oggi potrebbe essere definita lattante.

    Ho letto attentamente tutto ieri e questa mattina.
    La tua autoironia è la tua vera forza e sarà lei che ti aiuterà a superare ogni momento critico.
    Un abbraccio ad Angela e a te.
    Ciao

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  10. Assolutamente stupendo, noi arriviamo solo a 38. Seguirò questo blog

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  11. Che botta di vita, e di storia vera e sana, narrata con il tuo piglio originale! Trovo qualche similitudine con qualcosa che ho visto, per lo più. Cosa ho fatto, meglio, non fatto? Non ballare. Come te!

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  12. buon anniversario ,anch'io ad ottobre faccio 40 di matrimonio,chissà se riuscirò come te descrivere quei momenti..vedremo........

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  13. Oggi arrivare a tanti anni di matrimonio non è da poco, ma più che alla quantità io bado alla qualità di un rapporto, perché credo, per quello che vedo, che ben oltre la metà dei matrimoni stia in piedi per comodità (di varie tipologie). E' una statistica preppappochista me ne rendo conto, ma basta su esperienze vere come questa tua descrizione.
    Tanta è la dolcezza che ci hai messo che mi sono quasi commossa a ripensare come erano diversi i tempi solo pochi decenni fa.
    Buon anniversario :*

    P.S. Per me il cinismo è una dote ;)

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