venerdì 12 agosto 2022

La convenienza del dìvide et ìmpera

Il 'dividere per vincere' risale, per quanto ne so, alla storia romana, all'episodio della lotta tra Orazi e Curiazi, raccontataci fin dalle elementari, a da noi tenuta viva sui campi di battaglia calcistica. Che era la più vicina al nostro quotidiano, assai più degli Scevola, dei Regolo e dei cavalli senatori. Le Poppee, le Agrippine e le Cleopatre erano fuori dalla nostra portata immaginifica: sì, sapevamo che erano donne, come lo erano tutte le Madonne che veneravamo... e poi?

La Storia d'Italia è l'esempio più lampante di quanto sia stato utile dividere in piccoli staterelli lo Stivale per tenerlo sotto i vari predomini, succedutisi nei secoli. Poi venne l'unità (minuscolo per non confonderla con una testata giornalistica, a suo tempo gloriosa) che ufficialmente estromise i potenti che fino ad allora l'avevano dominata, per accettare una sottomissione a un potere centrale che, proprio per mantenere questo, ha sminuzzato i territori solleticandone i campanilismi ancestrali in modo da controllare meglio un popolo che il federalismo lo vede ancora come era visto nel Medioevo. Cioè abbondantemente malvisto.

E vennero le Regioni, le Province, i Comuni... e poi i Comitati di quartiere. Ognuno di questi settori ha provveduto nel tempo a creare una propria isola di potere, con relativi palazzi che sovente, soprattutto in alcune Regioni, superano in grandiosità le pur maestose cattedrali, vanto della Santa Romana Chiesa, che a suo tempo aveva contribuito all'unificazione nazionale, purché sotto il suo tallone.

Oggi ci sono alcune Regioni che, come logica, non avrebbero motivo di essere tali. Per numero totale di abitanti e per estensione territoriale. Ma ogni tentativo di accorpamento va a sbattere contro tutta una serie di ostacoli, artatamente burocratici, per evitare operazioni che sarebbero utili per ridurre costi e costi e ancora costi, sopportati dai cittadini popolo per sostenere apparati e burocrazie residuo di antichi e obsoleti  ducati. Popolini tra l'altro felici di avere un minigoverno che credono operi per il loro esclusivo benessere.

Si era parlato di eliminare le Province... e per attuare la loro cancellazione furono raddoppiate. Creando, è vero, posti di lavoro e palazzi ad hoc, e uffici e parchi macchine (blu, come i nostri cieli), e gruppi di potere, i cui presidenti e consiglieri, una volta insediati devono (per legge?) essere definiti onorevoli; e, perlomeno come titolo, possono fregiarsi di quel titolo a vita. In alcune Regioni quei presidenti amano essere definiti Governatori, e gli onorevoli di cui si circondano più che consiglieri si presentano come consigliori.

I Comuni: in tempi di vacche grasse si sono moltiplicati, più assai dei mitologici pani e pesci: ogni piccolo agglomerato di case, talvolta di cascine, ha voluto diventare comunità conosciuta e riconosciuta a livello nazionale. E ogni nuovo 'staterello' ha avuto diritto al suo prìncipe e, come ogni prìncipe che si rispetti, alla sua piccola corte. Questi, in un tempo lontano, veniva scelto tra i meglio della comunità. L'eletto indossava il suo ermellino virtuale e si metteva al servizio dei concittadini, talvolta rimettendoci di tasca propria pur di non deluderne le aspettative, visto che gli onorari di cui godevano avevano il sapore di parsimoniosi rimborsi spesa.
Era il tempo dei Podestà, in un periodo che affidava loro ogni delega per il mantenimento del decoro e dell'ordine del territorio, con nomine che venivano dall'alto ed erano valutate non in base alla 'pulizia' dei soggetti prescelti ma alla fedeltà al credo all'epoca imperante.

Poi venne la democrazia, conquistata con sacrifici e sangue. I Sindaci vengono creati dai cittadini, con il voto, ufficialmente libero e convinto. Il loro onorario è stabilito in base al numero di cittadini da amministrare. Più risultavano in anagrafe, più l'assegnato era alto. Non essendo valutabile con un pro capite difficile da contabilizzare, le prebende sono distribuite per fasce di residenti. Fino a 3.000 abitanti,  da 3.001 a 5.000, da 5.001 a 10.000... e via andare fino ai 250.000, non capoluoghi di provincia. A ciascuna fascia è destinato, per legge, un riconoscimento monetario mensile, con una scaletta che ne destina una parte al sindaco, altra al suo vice, altra ancora al presidente del consiglio comunale e agli assessori. I consiglieri trovano riconoscimento con gettoni di presenza, presumibilmente alle sedute consiliari. 
In italia risultano attivi 7094 comuni, tra città metropolitane, capoluoghi di provincia, grossi centri, centri medi e centri piccoli. Ci sono anche dei microcentri, che con la loro esistenza danno un'idea, diciamo, poetica a tutto l'insieme amministrativo nazionale. 
Del totale fanno parte i circa 5500 comuni con meno di 5.000 abitanti, una settantina di comuni con meno di 100 abitanti e una decina con meno di 50. Due o tre tra questi si aggirano stabilmente intorno ai 30 abitanti.
Villaggi dei Puffy, senza offesa ai cittadini di questi e quei villaggi.
Una scuola elementare di un paese medio o un piccolo condominio avrebbero più presenze che in questi mini comuni. E ciascuno ha il suo sito, il proprio sindaco, vicesindaco, giunta e consiglio comunale. Con fascia sindacale regolamentare, gonfalone e quant'altro li rende a tutti gli effetti Comune d'Italia. Il sorriso spontaneo che sfugge nel visitare questi siti non sa di ironia ma di infinita tenerezza.
Ogni tanto a qualche economista sconsiderato sfugge l'ipotesi di un accorpamento di questi piccoli centri, sì da renderli, appunto, economicamente adeguati ai tempi. Proposte regolarmente respinte, solitamente per campanilismi risalenti al Medioevo, tramandati come religione di difesa della tradizione, del territorio, delle sue proprie usanze. Quelle stesse caratteristiche che, in macro, risultano evidenziate tra i centri più grandi, a misura regionale.
Un sito a caso: circa 30 abitanti (tra 29 e 33 a seconda dei movimenti occasionali, altalenanti tra decessi e nascite), 13 amministratori, 2 alunni in età scolare (rispettivamente 9 anni un maschietto e 14 una femminuccia), più, per buon peso, un neonato considerato in età pre-scolare. Facile pensare subito alle lotte all'ultimo sangue per avere la carica di primo cittadino... 
E salendo fino ai 100 abitanti non è che la musica cambi molto: è un'unica sinfonia, senza tempo, senza tempi e senza una metrica musicale logica.

Ai campanilismi ancestrali si è aggiunta ultimamente una legge di adeguamento dei costi amministrativi comunali. C'è chi li dice adeguamenti al costo della vita, chi li dice incentivi alla partecipazione popolare più diretta e incisiva della semplice scheda elettorale che, inserita nell'urna, viene presentata già come tale ma che, in realtà, appare più un premio alle chiacchiere e alle promesse dei candidati.
Un adeguamento talmente sostanzioso che da alcuni è stato definito semplicemente immorale.
Per i tempi in cui questa legge è stata emessa, per le modalità tacite in cui è stata inoltrata, per il peso ulteriore a una situazione economica nazionale già paurosa al presente e spaventosa per il futuro.
Ma forse al popolo la faccenda interessa poco: le pandemie (eh sì, non è più solo una, che già di suo ha fatto, e sta facendo, più danni di una guerra guerreggiata), le guerre (eh sì, sono più di una, che direttamente o indirettamente ci coinvolgono), le bollette, i costi generali di tutto, dalla sanità ai trasporti alla monnezza alla siccità alle catastrofi paranaturali... sono chiaramente invenzioni di chissachì, che lasciano il tempo che trovano poiché nessuno le prende in considerazione. Nessuno lassù, nell'alto dei cieli, in quei cieli in cui stazionano i rappresentanti del popolo, che già duellano per mantenere o accaparrarsi le poltrone che diano loro benessere e un futuro roseo, fuori dalle beghe terrene e dagli svariati accidenti che ne colpiscono i viandanti, se ne cura.
Se vinciamo, ci pensiamo noi... dicono tutti.
Tanto per stare in una via di mezzo: il sindaco, il vice sindaco e il presidente del consiglio comunale dei comuni tra 5.001 e 10.000 abitanti, dal 2022 si sono trovati sotto il cuscino un aumento sostanzioso che, per semplificare, corrisponde al raddoppio di quanto percepito fino al 2021. In dobloni sonanti, per un sindaco in questa fascia di amministrati, significano circa 4.000 € al mese, lordi (precisazione obbligata: 'lordi' non è da intendere 'sporchi', ma tasse comprese. Forse); per tredici mensilità, come a ogni dipendente che si rispetti.
Fino a ieri, la corsa al podio di sindaco (e del suo staff) era questione di prestigio, talvolta di vera volontà di ben operare per il bene degli amministrati. Non avveniva mai, che io sappia, per la ricerca di un posto di lavoro, di uno stipendio; tant'è che sovente i candidati erano professionisti affermati, ai quali era difficile addebitare una caccia al tesoro che presumibilmente sarebbe andata contro i loro interessi professionali.

Ci sono paesi che, più che limitrofi, sono letteralmente incastrati uno nell'altro, senza altri confini oltre quello di un rettilineo con la segnaletica che indica il cambio, l'una appresso l'altra. Ho scoperto l'esistenza dei punti di confine in occasione dei famosi/famigerati posti di blocco nella prima esplosione della pandemia di Covid. Le strade di collegamento regionale erano presidiate dalle forze dell'ordine federali, quelle che uniscono i paesi dai rispettivi vigili; che si fronteggiavano, a distanza di sicurezza, per bloccare le entrate e le uscite. Come nei migliori transiti di frontiera, c'erano strade minori non controllabili, per mancanza di personale o per scarsa credibilità sulle operazioni di blocco. E come in tutte le frontiere, erano la falla che consentiva di passare da una parte all'altra senza lasciapassare (chi ricorda più i dpcm sfornati a risme intere, in un continuo di precisazioni e contraddizioni?). E al bar, prendendo un caffè, la voce di questi buchi nella rete veniva divulgata solo tra conoscenti fidati, che manco i vecchi contrabbandieri.

Ebbene, tempo fa c'era chi aveva ipotizzato una unificazione di questi Comuni, non tanto per un vantaggio economicamente rilevante quanto per poter avere, con un consistente aumento dei cittadini amministrati, un maggior peso nelle trattative con la sede provinciale e quella regionale. Proposte cadute in nome di un campanilismo decantato, che era peraltro anche copertura di altri interessi.
Con questo provvidenziale aumento degli stipendi (o salari, parcelle, onorari...) viene dato il colpo di grazia alla possibilità di unione tra Comuni a identica vocazione. Chi potrebbe essere così incosciente da rinunciare a una torta così ricca in nome di una logica economica che i tempi grami che stiamo attraversando renderebbe più urgentemente indispensabile?
A questo punto, i candidati sindaci di questi paesi medio/piccoli si presenteranno come difensori dell'autonomia cittadina o riusciranno a convincere gli elettori che non si presentano per un posto di lavoro, portando in dote la promessa di intenti miranti al bene comune, ma certamente non più disinteressato.
L'adesione a questa legge deve essere votata in consiglio comunale; sia le Giunte in carica che le forze di opposizione si guarderanno bene dal rifiutare l'offerta: per le prime è il presente, per le seconde un auspicabile futuro.
Ai timidi accenni di dissenso da parte di cittadini strabiliati, la risposta più gettonata è che il peso di questo beneficio non graverà sulle singole comunità ma sarà erogato direttamente dallo Stato. Sorvolando sul fatto che lo Stato siamo noi tutti; almeno, così si dice. 
L'Italia, nei tempi, è stata definita in molti modi, vuoi di apprezzamento vuoi denigranti. Da alcuni decenni è nota come la Repubblica delle Banane, dove i banani da divorare sono i suoi fortunati abitanti. O anche Paese di Bengodi, dove coloro che, appunto, godono sono in aumento e i paganti questi godimenti sono in calo inarrestabile.

L'antico dìvide et ìmpera è diventato il moderno dìvide et manduca, col beneplacito di chi ammannisce il desco.

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