Nero bancario (I)
Atto primo: la banca
Ormai credo di essere una specie di parafulmine per come attiro i guai. Anche nei fatti che a me sembrano limpidi, alla fine me li trovo rovesciati, arravogliati, incredibili nella loro illogicità.
Stavolta vado a raccontare un'avventura bancaria che mi ha visto (e che mi vede) coinvolto in prima persona. Nel tempo con le banche ho mai avuto problemi, non fosse che ci ho rimesso belle lire nel dar retta ai consulenti finanziari. Fondi, assicurazioni, azioni, buoni del tesoro... capisco che c'è molta gente che su queste operazioni ci campa (e pure bene), ma quando ti rendi conto che costoro campano (bene) a spese tue alla fine tiri i remi in barca e, anziché puntare agli ipotizzati guadagni favolosi, nei quali la postilla "non si garantiscono per il futuro" (per via della volatilità, degli incidenti di percorso, della famosa farfalla che sbattendo le ali in Polinesia potrebbe rendere nullo l'investimento) viene minimizzata, preferisci scegliere un prodotto che ti darà poco, ma con la certezza che quel poco lo metti in cassa.
Non so come andrà a finire la vicenda che dà origine a questo racconto, ma comunque vada merita di essere raccontata, per la sua originalità e per gli sviluppi, tanto per cambiare, piuttosto irritanti.
Cliente del braccio esterno di una banca on-line da circa sei anni, avevo dato a questo sportello virtuale, in conto deposito vincolato, via via rinnovato, quel poco che il vivere mi consentiva di avanzare, una volta pagato tutto il pagabile, dalle tasse alle bollette, dall'assicurazione auto al bollo della stessa, dalle luci al camposanto ai costi sanitari, euro su euro avevo messo insieme un piccolo gruzzoletto. Talmente piccolo che farebbe ridere o piangere di compassione i nostri Paperoni, senza andare a sfruculiare personaggi d'oltremare, d'oltreoceano o nelle steppe dell'oriente europeo.
Avevo un piano preciso di "accumulo": mettevo la cifra racimolata in conto deposito vincolato a un anno, al termine del quale mi trovavo gli interessi maturati, cui aggiungevo quello che ero riuscito ad avanzare, arrotondando la cifretta col passare del tempo... e degli anni, purtroppo (o per fortuna, a seconda della prospettiva). La banca oggetto di questo racconto gli interessi li offriva in anticipo, sì da poterli considerare da subito proprietà del correntista, disponibili per qualsivoglia altro uso; salvo riprenderseli, giustamente, in caso di svincolo anticipato.
Il ritiro anticipato, come detto, non era nei miei piani, per cui ogni volta salivo di un gradino allo scadere del vincolo e arrotondavo per quanto possibile: banca felice nel suo essere colosso e io pure, nel mio essere minuscolo risparmiatore.
Questo per cinque anni... Poi il braccio esterno è stato assorbito dalla casa madre, ha cambiato ragione sociale, ha inviato a tutti i correntisti una comunicazione rassicurante sul fatto che nulla sarebbe cambiato nei rapporti tra banca e clienti.
In aprile 2024 scadeva il vincolo annuale, avevo messo in conto di aggiungere qualcosina e procedere ad un nuovo vincolo, sempre per dodici mesi. L'offerta in essere era del 3% lordo che avrebbe dato, dedotte le tasse, un 2,22% netto, con gli interessi anticipati. Come l'anno precedente, appena scaduto...
Non avevo in previsione di usare sia il gruzzoletto che gli interessi, per cui ai primi di maggio avevo rinnovato il vincolo. A scanso di sorprese, di non prevedibili incidenti di percorso, avevo suddiviso il malloppetto in piccoli tranci, vincolandoli in giorni successivi, così da poterne prelevare la parte che mi fosse servita per affrontare l'inconveniente, senza intaccare il resto.
Ho lasciato il tutto in salamoia, o come carta virtuale sotto il materasso, aspettando fiducioso la maturazione di quanto messo a riposo.
A fine aprile 2025 la banca aveva iniziato a mandare i preavvisi per ogni prossima scadenza... mai mi fossi dimenticato dell'affidamento. Rimborso cap/int dicevano gli avvisi.
Maggio 2025: allo scadere del primo vincolo ero andato sul sito, area riservata, e, in effetti, sotto la voce importo disponibile il 'capitale' risultava presente, ma nudo e crudo come lo avevo lasciato l'anno precedente. Non un centesimo di interesse...
Immediata telefonata di 'segnalazione' della svista. E prima caduta di braccia: oltre 17 minuti per sentirmi dire che: è tutto a posto, gli interessi sono nel saldo totale (che, guarda caso, presentava la stessa cifra dell'investimento), che forse li avevo ritirati (aveva la schermata davanti al naso, poiché mi aveva citato la banca di appoggio in cui li avrei potuti versare... forse a mia insaputa), il sistema non sbaglia; alla fine, chiaramente seccato da un imbecille (io) che non voleva aprire la sua mente alle sue chiare delucidazioni, mi aveva invitato a rivolgermi a una filiale sul territorio.
Che non esiste!
Al secondo svincolo, con la stessa modalità di non accredito degli interessi, ho preso carta e penna (così si dice, anche se ormai a 'carta e penna' ci scrive solo la mia nefrologa, che anche in farmacia fanno fatica a decifrare) e ho mandato una 'segnalazione' scritta allo sportello dedicato ai reclami.
Tre giorni dopo la risposta: "gentile cliente, abbiamo preso in carico il suo reclamo, le faremo sapere l'esito della verifica nelle tempistiche previste dalla normativa". Sessanta giorni...
Nel frattempo, completati gli svincoli, mi sono ritrovato con la stessa cifra complessiva di un anno fa... e mi viene da pensare che mi stia andando pure bene.
Dopo l'invio della segnalazione e dopo che tutti i vincoli erano caduti, mi era arrivata una chiamata dalla banca, cui non avevo risposto nella certezza che fosse la richiesta di un giudizio (da 1 a 10, come prassi) sul servizio telefonico ricevuto. Sapendo che si trattava di chiamata in automatico, non avrei avuto la soddisfazione dell'insulto, per cui avevo preferito glissare. In cambio avevo mandato un sequel scritto all'ufficio reclami, in cui citavo la chiamata, tiravo in ballo il precedente colloquio, e restavo in attesa di uno scritto giustificante l'errore per potere eventualmente, in caso negativo, ricorrere a chi giudicasse la correttezza specifica dell'operato della banca.
Al maturare del quarantesimo giorno senza alcuna risposta, memore dell'esito della telefonata avevo deciso di giocare d'anticipo, presentando ricorso all'Arbitro Bancario Finanziario, il settore specifico della Banca d'Italia che si occupa delle controversie tra clienti e intermediari.
Infatti così sono definite le banche, con un termine che mi lascia alquanto perplesso. Come intermediario ho sempre inteso un sensale, qualcuno che si interpone tra due possibili contraenti, con l'intento di giungere a un accordo, in campo matrimoniale o agricolo, tratto di unione tra domanda e offerta. Nello specifico avrei visto come intermediario l'Arbitro Bancario Finanziario, con me cliente e la controparte banca.
Mi ero detto: se la banca non ha risposto finora è possibile che non risponda proprio, ovvero che porti al limite temporale la risposta, probabilmente negativa. I fatti negativi invogliano di più le fantasie di quelli positivi, che di solito si esauriscono in un sospiro di sollievo.
Proponendo il quesito all'ABF prima della scadenza dovrei guadagnare tempo, avendo questo benemerito Istituto già tutte le carte necessarie per una visione più ampia possibile del problema. Nel caso, se la risposta al sessantesimo giorno risultasse positivamente risolutiva, basterà che comunichi la cessazione del problema e... nemici come mai prima. Con la banca.
Mi ero detto...
Una mossa astutamente semplice che descriverò nella seconda parte di questo racconto, sia per non tediare chi benevolmente mi leggerà sia per l'attesa di sviluppi, per ora non prevedibili.
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