Cento passi
Leggo "passo" e lo penso come verbo (io passo, io sono passato, io passerò) che taglia le gambe al sogno d'immortalità che angoscia l'uomo da poco dopo nato a quando finisce ineludibilmente per "passare" alla sponda opposta al vivere.
Leggo "passo" e penso ai Watussi di Vianello, quelli che "altissimi negri, ogni tre passi facciamo sei metri", incredibilmente sfuggito all'accetta del politicamente corretto, dove i negri sono rimasti negri senza peraltro cambiare il colore della loro pelle. Era il 1963.
Leggo "passo" e penso al piccolo passo per l'uomo, grande balzo per l'umanità di Neil Armstrong mettente piede sulla Luna. Era il 1969, e 55 anni dopo ancora gira voce che fosse tutta una montatura americana di risposta alla cagnetta Laika, la 'ricciolina' russa, che nel 1957 fu sacrificata in nome di un primato spaziale che da allora in poi sarebbe stato oggetto di ulteriori sacrifici, umani e finanziari.
Leggo "passo" e penso ai cento passi che separano un mercato coperto dall'ingresso del pronto soccorso dell'ospedale di un piccolo centro dell'entroterra lucano tirrenico. Per gli amanti delle metrature precise, cento passi di un omino di gamba corta (i miei, appunto) sono meno di cinquanta metri...
Venerdì sei dicembre 2024, ieri per farla breve.
Era in corso una Fiera che prendeva il nome dal santo del giorno. Per far posto alle bancarelle avevano fatto sloggiare tutti i pullman dal grande piazzale loro deposito abituale; li avevano allineati lungo la strada solitamente vincolata al divieto di sosta, fiancheggiante un parcheggio coperto su due piani. Il traffico automobilistico era diretto alla ricerca di un posto dove poter lasciare i mezzi e visitare le bancarelle senza l'incubo di improvvidi biglietti di 'auguri' da parte degli agenti della polizia locale. Agenti peraltro assolutamente assenti: non uno che fosse uno, né per i controlli in Fiera né per i controlli del traffico, prevedibilmente superiore al quotidiano solito.
In cambio, all'entrata dell'ospedale due vigilanti, di pistola armati, con tanto di calzature militari a scarponcino, vigilano... sul via-vai di anziani, uomini e donne e bambini, malconci che entrano nel plesso sanitario alla ricerca di un qualche sollievo agli acciacchi che madre natura ha loro assegnato come dono in vista delle prossime feste.
Dopo il doveroso giretto tra le bancarelle (niente di che, la solita merce che si trova in tutti mercati settimanali paesani) ero arrivato dalle parti del citato mercato coperto. Avevo accelerato il passo poiché all'entrata di questo avevo visto una donna anziana sdraiata a terra, supina e sofferente. Pensando a un malore, a un calo di zuccheri o qualcosa che avesse a che fare col diabete, avevo chiesto lumi a un 'samaritano' che le stava accanto su cosa fosse successo: era inciampata in un sampietrino leggermente sporgente dall'angolo di una griglia di scolo, nel cadere all'indietro aveva battuto la testa contro il divisorio tubolare messo a impedimento del transito veicolare verso l'interno del mercato stesso. Stranamente non c'era il solito capannello di curiosi che di solito si forma quando qualcosa di insolito turba il passeggio; la gente passava, uno sguardo e tirava per la propria strada.
Che fosse educazione o indifferenza non lo saprò mai...
La persona che prestava assistenza all'infortunata non era un parente e neanche un conoscente e la definizione di 'samaritano' era quantomeno dovuta; oltre a impedirle di muoversi più di tanto, di tranquillizzarla, le aveva steso addosso il suo giaccone e aveva tempestivamente chiamato il 118 che, presumeva, sarebbe arrivato immediatamente, visto che non ci sarebbe voluto molto a coprire quei cento passi che separavano i due complessi, il sanitario e il commerciale.
Vedo che, nel chiedere soccorso, guarda verso l'ospedale e... non c'è disponibilità di mezzi per cui l'ambulanza arriverà da altrove. Un altrove casuale, non c'era stato modo di sapere di più. Ed era passata più di mezz'ora...
Peraltro un'ambulanza ferma proprio all'entrata del nosocomio, forse aveva scaricato un paziente, aveva fatto sperare in un intervento prossimo per prelevare la povera donna, che intanto si lamentava debolmente. Si era alzata la barra e avevamo tirato un sospiro di sollievo vedendo il mezzo dirigersi verso di noi. Sospiro troncato sul nascere: ci era passato accanto ed era salito nel parcheggio superiore, che aveva una zona di sosta riservata alla Croce Rossa. Che, a quanto pare, è cosa diversa dal 118; nazionali entrambi ma viaggianti su binari e protocolli diversi.
Dopo oltre un'ora, ecco un'ambulanza spuntare dietro la fila di vetture ancora alla ricerca di un parcheggio. Niente sirena, solo i lampeggianti blu, accodata come un mezzo qualunque... Con il brav'uomo ci sbracciamo per richiamare l'attenzione e, finalmente, punta su di noi e si ferma.
Due addetti, in tuta sanitaria rossa, uno con la scritta "infermiere" sulla schiena, l'altro senza scritte definenti il ruolo, chiaramente semplice autista. Venivano da un plesso ospedaliero situato a circa 30 chilometri.
L'infermiere aveva proceduto alle domande e alle palpazioni di rito per valutare sul campo la situazione fisica e mentale della donna. L'autista aveva posizionato la barella e stavano entrambi procedendo al travaso della poveretta dal suolo che l'aveva ospitata per ormai un'ora e mezza, quando... era arrivata una seconda ambulanza, gemella della precedente, silenziata come questa, proveniente dallo stesso sito sanitario, un infermiere con autista.
Essendo la donna alquanto massiccia (non leggerà mai questo mie righe, ma le chiedo scusa per il termine che, peraltro, rispecchia una situazione fisica non diversamente esprimibile) si erano messi in quattro per posizionarla al meglio sul lettuccio e trasferirla sul mezzo. Si erano salutati, e la seconda arrivata si era allontanata, forse per il rientro al nido.
Avevo pensato a una partenza a razzo del nostro veicolo, con sirena e quant'altro... ma mi sbagliavo. Non so cosa diavolo avessero dovuto, o potuto, fare all'interno del mezzo, fatto sta che prima di partire erano passati altri venti minuti. Ed erano ripartiti silenziati come all'arrivo, diretti verso la loro base, lasciandosi alle spalle il pronto soccorso dell'ospedale al di là della strada.
In poco meno di due ore le mie convinzioni in merito ai soccorsi degli infortunati si sono frantumate contro muri di cui non avevo contezza, dove i minuti erano tempo prezioso, dove le strade venivano sgombrate di brutto a suon di sirene e lampeggi per arrivare prima possibile a un soccorso prettamente medico.
Penso al passo dei Watussi, penso al piccolo passo di Amstrong, penso al grande balzo per l'umanità... e penso ai cento passi che possono separare un soccorso da un pronto soccorso.
Cogito, ergo sum... ma quanto è amaro questo mio pensare!
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