martedì 28 luglio 2020

Il dono delle lacrime

Un tempo prerogativa femminile, il piangere dell'uomo era considerato segno di scarsa virilità, un qualcosa da evitare o, quantomeno, da evitare in pubblico. In tempi recenti questa espressione ha preso il valore di partecipazione; partecipazione a un dolore, a una commozione diffusa per avvenimenti che "toccano l'anima". Talvolta coinvolgenti, altre volte irritanti.
Anzi, ormai il pianto maschile è divenuto sinonimo di una sensibilità preclara, tant'è che sono molti gli esempi, apertamente visivi, che offrono questa sensazione a chi ha la ventura di assistervi, meglio se in diretta sui social, che riescono talvolta a capovolgere l'impressione che il piangente di turno fosse un duro, notoriamente un cinico.
Anche i delinquenti incalliti hanno scoperto che il pentimento per le performance del passato se irrorato da lacrime (l'abilità consiste nel saperle far scorrere copiose sulle gote, fino a sentirne il sapore sulle labbra) rende, a livello promozionale e giudiziario.
Chiaramente non voglio qui sviscerare il valore delle lacrime, non sono all'altezza di valutarne l'apporto sociologico, comportamentale e filosofico. Dopo aver letto L'idiota di Dostoevskij (tutto, fino all'ultima goccia), lascio ad altri la trattazione di un tema così complesso. 
No, qui voglio raccontare di lacrime metaforiche, non meno commoventi (o irritanti) di quelle che sanno di sale. Un tipo di lacrima molto diffuso, sottaciuto, disprezzato e deprezzato, che riguarda un piagnisteo generale che il virus dilagante ha reso più visibile. Oserei chiamarle lacrime senza pudore, che anziché intenerire finiscono per apparire offensive. Al buon senso, in particolare.
Riguarda il commercio in generale, ma nello specifico fotografa il settore del ristoro, che ufficialmente pare sia stato tra i più colpiti dalla pandemia, tuttora in atto ma (per ora) in fase di assestamento, in attesa di una remissione totale; sul cui avvenire i pareri degli specialisti sono più che mai discordi. Que sera sera...
I ristoratori erano scesi in piazza, come un po' tutte le categorie del lavoro manuale, e i professionisti più svariati. Tutti hanno ricevuto dallo Stato quello che è stato definito "obolo", in alcuni (rari) casi rifiutato poiché ritenuto offensivo della dignità delle categorie. Tutti indistintamente proclamando fior di tasse e fisco strozzante.
Pensionati e lavoratori attivi non avevano motivo di reclamare, essendo noto che costoro le tasse non le pagano; il fatto che le paghino per prelievo diretto, a giudizio insindacabile delle varie agenzie che provvedono a cadenza mensile al suggimento del poco sangue rimasto in vena, è un fatto sopportato senza che le proteste abbiano un seguito. Parafrasando il famoso detto "non hanno pane? che mangino brioches!", questi ultimi (in tutti i sensi) non meritano attenzione. Se è destino che campino bene, altrimenti... si arrangeranno.

Ho il piacere (si dice sempre così) di conoscere alcuni ristoratori, con cui sono abbastanza in confidenza e che non esitano a parlarmi a ruota libera della loro attività. Di tutti ho raccolto il pianto greco durante la fase acuta della pandemia, dando a tutti una parola di conforto e speranza. Onestamente ammetto che tale conforto e speranza le ho date obtorto collo, parole in realtà poco sentite e meno ancora condivisibili.
È sempre stato in me il dubbio che chi può decidere, ed agire adeguandolo, quanto pagare allo Stato, e alla collettività, fosse potenzialmente a rischio di evasione fiscale. So anche che questa convinzione rientra in quella che genericamente è detta 'demagogia', ma si tratta di una sensazione assolutamente personale, che credo sia condivisa sì e no da poche decine di persone, quelle con la corda al collo a mo' di cravatta con il nodo scorsoio che si stringe sempre più. Quindi ne parlo solo per parlarne...

C'è un detto, dialettalmente meridionale ma noto, e applicato, in tutto il Paese, che recita "chiagnere e fottere", piangere e fottere. Pare sia la ricetta migliore per vivere e migliorare la propria condizione e il proprio futuro.
Non sto a disquisire sul controsenso della frase in sé, poiché il piangere e il fottere difficilmente coincidono: di solito chi piange lo fa perché non fotte, e chi fotte non ha motivo alcuno per piangere.
Questa frase me l'ha detta uno di questi ristoratori conosciuti, mostrandomi una specie di suv, un macchinone che lévati, alla mia osservazione, peraltro ironica senza arrivare al sarcasmo, che evidentemente gli affari andavano bene; me l'aveva buttata lì con altrettanta ironia, forse senza malizia.
Questo prima delle feste di fine anno, quando di pandemia ancora non si parlava, ovvero era raccontata come fatto triste riguardante altri, essendo noi in grado di bloccare sul nascere ogni accenno di contagio. Poi vennero i primi mesi del nuovo anno che ci costrinsero ad aprire gli occhi, spingendoci giorno dopo giorno all'adozione di misure drastiche, quantomeno atte a circoscrivere quanto più possibile l'espandersi del malanno.
Accantonata, come tante battute che si dicono, senza dare loro un peso specifico... data per evitare di dare risposte sul perché e su come avesse potuto concedersi questo capriccio. In uno degli infiniti momenti in cui il pianto greco dei commercianti inondava, anche e già allora, la Penisola.
La crisi si era abbattuta su tutti, ma in particolare su questa categoria; ufficialmente benemerita nel sostegno allo Stato con il pagamento di supertasse e paletti burocratici che la soffoca. Da lì a diventare cavallo di battaglia di politici cui il pelo sullo stomaco fa gonna, il passo era stato breve. E poiché, parlando di ristoro, il pensiero corre subito alla pancia, costoro avevano raccolto gli alti lai, accentuati dalla sopraggiunta crisi causa virus.

Le paure del contagio, col passare dei mesi, avevano dato spazio alla presa visione di una crisi economica che, a detta degli esperti, rischiava di fare più danni di quella sanitaria.
Il primo passo, allentati i cordoni della sanità, era stato quello di convogliare in piazza i disagi, le proteste e le richieste che da ogni dove pervenivano ai governanti.
Cui questi rispondevano sfornando interventi quasi a pioggia, alle famiglie e alle imprese. A detta di tutti gli interessati, perlomeno a detta di quelli che ne usufruivano in via diretta, interventi insufficienti a soddisfare le necessità, già falcidiate dalla crisi precedente. Il "non arrivare a fine mese" era il mantra più in voga, con la soglia di povertà sempre ritoccata al peggio.
Allo scopo di aiutare i vari settori produttivi a riprendersi era stato varato un incentivo destinato al ramo edilizio,  con particolare riferimento a ristrutturazioni, rinnovi e installazioni mascherate da risparmio energetico.
Con maxi offerte, in un primo tempo fissate a un rimborso del 90% di quanto speso, poi divenuto 100% e, buon ultimo, al 110%. Non mi addentro nel cuore di queste percentuali, soprattutto di quest'ultima che per me, esperto di aritmetica come una salamandra può esserlo di astronomia, è un mistero. Per quanto ne so, un 100% significa tutto, un tutto di tutto, per cui questo 110% mi è ostico quanto poco altro. La mia ignoranza mi spinge a credere che spendendo 1000, lo Stato restituirà i 1000 più 100 di mancia...
Forse perché non sono interessato visto che, per quanto riguarda il risparmio energetico, nel mio piccolo ho già dato da almeno una dozzina di anni a questa parte.

Comunque, per completare questo racconto, settimana scorsa mi sono trovato con il citato conoscente ristoratore nei pressi di un bar e da lì all'andare insieme a prendere un caffè c'era voluto poco. Ristretto, zucchero da bustina bianca... lo preciso per evitare che lo zucchero di canna possa suscitare velenose insinuazioni su quanto potesse essere dolcificante e quanto... canna.
Parlando di questo e di quello, come è d'uso negli incontri occasionali, a seguito del suo chiangere solito, avevo buttato lì l'amo dell'incentivo prima citato, che poteva essere l'occasione per rinnovare gli infissi di un suo alloggio, che sapevo essere in condizioni a dir poco pietose: in legno, smangiucchiati da tarme e umidità da piogge battenti, in vita da una quarantina d'anni, mi era sembrato consiglio da amico. Che un addentro al commercio come lui mi stupiva non avesse già preso in considerazione.

"Ne ho parlato con il commercialista, non posso aderire perché pago poche tasse".

Per me, ignorante congenito, poche tasse versate significherebbero poco lavoro, gente che mangia a sbafo, nel periodo estivo un turismo latitante, e quel poco che arriva privo di mezzi...

Pare che questo rimborso (fuori da ogni logica percentuale), di cui prima parlavo, avvenga scalando nella denuncia annuale dei redditi, ogni anno per cinque anni, un quinto dell'importo dei lavori effettuati, fino al rimborso totale, anzi, per come l'ho capita io, fino a un rimborso addirittura maggiorato. 
Per il poco che ne so, funziona più o mano così: se nella denuncia dei redditi dell'anno precedente si ha una detrazione da portare a credito, per ottenerla è indispensabile che le tasse pagate nel corso dell'anno di riferimento la possano assorbire, riducendo l'importo del totale pagato al fisco e che da questi viene rimborsato, seguendo le dritte emanate in sede di decreto legislativo, nel corso dell'anno corrente. Se le tasse versate sono talmente basse da non poterci scalare quanto chiesto in detrazione, questa passa in cavallina; il sistema manco accetta la domanda, la considera mai fatta. 
Succede per le detrazioni, che prevedono il rimborso al 19% di quanto speso, ad esempio per spese sanitarie; succede pure per le deduzioni del totale di quanto speso, per altri interventi espressamente previsti, anno per anno. È la prima volta nella storia che viene offerto un rimborso al 110%... a patto che si siano pagate tasse sufficienti a sopportarlo e rispettati i non pochi paletti per accedervi. Questi ultimi facilmente superabili se messi in mano a commercialisti e tecnici adusi a queste operazioni.
Ergo: poche tasse, nisba rimborso.
Questo è quanto ho capito io; e non mi stancherò mai di ripetere e ribadire che permane il dubbio che questo ragionamento sia frutto dell'ignoranza endemica della materia.

Però: mentre gli slogan dalle piazze gridano al mondo le troppe tasse pagate dagli operatori del settore, di cui tutti siamo consci, a parte una minima parte di demagoghi che contestano l'affermazione solo per partito preso, questo "pago poche tasse", spiattellato lì per lì in una tazzina di caffè, mi ha lasciato di stucco.
Io che ingenuamente mi ero aggregato alle lacrime di ristoratori prossimi alla fame, mi ritrovo a prendere atto che, forse, il fondo vero di verità sta nel fatto che, pagando poche tasse, anche le rivendicazioni dovrebbero essere calibrate a queste, altrimenti affiora il dubbio di truffa ai danni dello Stato, ai danni di noi tutti, quelli che le tasse le pagano, e pure in anticipo. Tanto vituperata l'evasione fiscale quanto altrettanto vivacemente combattuta dalle forze dell'ordine delegate all'uopo... forse in maniera troppo blanda per apparire fattiva agli occhi degli ingenui come me.
In coda a questo pago poche tasse conviene dare un'occhiata, superficiale e non maligna, a cosa supporta questa affermazione.
Che, lo ribadisco, è puramente soggettiva, anzi oserei dire unica, essendo impensabile che sia di portata universale in un mondo che, in fondo, lavora per sfamarci.

Tre alloggi, un paio di circa 150 mq ciascuno e uno di una quarantina di metri, assegnatigli dal padre, e a sua volta intestati ai due figli (prima casa per entrambi; of course, niente tasse comunali); due attività di ristorazione, prima avviate a poi date in gestione, il cui usufrutto mensile gli darebbe da vivere più che dignitosamente; un'attività gestita in prima persona che, presumibilmente, sarà il porcellino per le piccole spese, quelle voluttuarie, tipo il suv, quello che ha dato la stura a questo post minimale; furgone, due autovetture, una per figlio, un'altra macchinetta per eventuali consegne in tempo di lockdown... le moto, una ciascuno, per buon peso...
Ha un fratello, identiche condizioni sue, quasi una fotocopia: alloggio grande, macchinone, tre figli, un ristorante dato in gestione, un altro locale di piccola rosticceria anch'esso dato in gestione, e uno rilevato all'inizio della pandemia per consegne a domicilio di cibo, il che gli ha consentito di non interrompere l'attività, bloccata per gli altri locali. A differenza del fratello è meno piagnone, mai ammetterebbe di pagare poche tasse... rientrando a buon titolo nel novero dei reclamanti da piazza.
Il padre, a sua volta, credo sia stato un buon maestro, nel creare e nell'investire i sempre scarsi  (a suo dire) guadagni di un'attività che, alla pari delle pompe funebri, non conosce(va) crisi; ai suoi tempi. Villa (senza piscina, ma solo per mancanza di spazio utile), tre palazzi costruiti, moglie e amanti... auto e mezzi per il trasporto, il tutto  a carico dell'attività, con lo sconto dell'Iva corrente. 
Nel suo caso, il chiagnere e fottere era assolutamente genuino, non perdeva occasione per sciorinare le cifre al dettaglio di quanto pagava, fossero bollette o tasse; piangeva miseria senza vergogna e nel contempo fotteva a tutto spiano, seminando tra l'altro figli di cui si assumeva i costi iniziali senza riconoscerne la paternità. 

È ovvio che il ristoratore di cui ho trattato è la classica formica albina che, in una notte buia e tempestosa, cammina su una lastra di marmo nero. Un caso unico, che non sminuisce il valore e l'onestà di millant'altri operatori del settore.

E con questo chiudo questa elucubrazione: una frase innocente che mi ha scombussolato, mandando in frantumi la mia convinzione che le lacrime siano un dono. In realtà le lacrime, queste lacrime, sono una vera e propria attività. Dirò di più: attività artistica, visto che personalmente non la saprei mai mettere in atto. Se mai tentassi di esibirla, mi scapperebbe da ridere rovinando l'effetto salvifico della lacrimazione stesse...
Nel frattempo le tasse le pago, tutte, fino all'ultimo copeco. E nei 730 chiedo la detrazione per sole spese sanitarie: ogni mille euri me ne tornano indietro 190, ammesso che tutti gli scontrini siano ritenuti validati in maniera esatta. Avessi un rimborso del 110% farei mutui bancari per comprare farmacie intere; e, una volta recuperata la spesa, le darei in gestione, assicurandomi una pensione che nessuno arriverebbe a sognare.
E farei fare una bara a due piazze, per far posto al malloppo quando anche per me suonerà la campana. 

2 commenti:

  1. Hai fatto centro anche stavolta! Bravooooo!

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    1. Si tratta di un centro evidente a tutti. Mi sono sempre chiesto come fosse possibile girare in Ferrari e piangere miseria. E mi chiedo altresì perché sarebbe così scandaloso andare a sfruculiare le denunce dei redditi di chi le guida. D'altra parte non fa scandalo (o ci si chieda il perché e il percome) se il governatore della regione più ricca d'Italia abbia un conto in Svizzera (o in altri paradisi fiscali). Capisco il desiderio di farsi una pensione all'altezza del ruolo, ma perché non ammontichiare i soldini guadagnati (?) in terra nazionale? Forse perché Roma ladrona tassa? Su quella Roma ladrona il suo mentore (et similia) campa lautamente e poco ci vuole a pensare che un prossimo domani anche lui, il governatore, farà parte dello staff e attingerà a piene mani al truogolo romano, dopo essersi ingrassato (vabbé, si fa per dire, vista l'esilità fisica del personaggio) a quello lombardo.

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