Denti cariati

La carie ai denti è un accidente che può capitare.
Hai un bel pulire, sciacquare, gargarizzare con collutori... basta un niente e la macchietta nera si forma; trascurata diventa un buchino nanoscopico che, se ignorato ancora, diventa una caverna.
Un odontoiatra provvederà a ripulire, trapanando quanto basta, e introducendo nel pertugio particolari veleni bloccherà l'avanzare del malanno.
Non seguita, non curata, una semplice carie è foriera di accidenti gravi, talvolta letali, per il possibile avvelenamento di tutto l'organismo.
Quando è troppo avanzata l'unica soluzione è l'estirpazione del dente offeso. Eradicazione radicale, fino all'ultimo residuo di radice. Ché anche quello potrebbe portare a infezioni dannose per tutto l'apparato masticatorio e per quello cardiologico.
Dalla prima macchiolina in avanti non sarò più un divertimento... aggravato dalla comune idiosincrasia verso i dentisti.
Prima per i dolori fisici e, successivamente, per quelli monetari.

Se un bacio può essere visto poeticamente come un apostrofo (che come 'elisione' non avrebbe lo stesso sapore aulico), poeticamente rosa, nulla impedisce all'amicizia di essere vista come una stella.
Fissa, brillante, luminosa, che mostra il suo splendore nel buio della notte.
Vedere la stella, o le stelle, di giorno, non è sinonimo di un bel momento; e non offre spunti di poesia, ma solo di dolenti note.
Nel corso di una vita, alcune di queste stelle, ritenute giustamente tesori si trasformano in denti cariati, cariatissimi al punto che prima li estirpi meglio è, a salvaguardia della propria salute o di quello che di questa rimane.
Possibilmente prima che finiscano per avvelenare tutto l'organismo.
Il termine "amicizia" è usato sovente a sproposito.
L'amicizia dovrebbe essere un rapporto addirittura superiore alla fratellanza. Quest'ultima, a causa di interessi parentali, pur di imporre questi, arriva anche ai coltelli; l'amicizia, se vera sentita vissuta ricambiata, non porterà mai alle armi e neppure ai cazzotti.
L'amicizia è un tesoro, come cita il noto assioma.
Il problema è capire quando una conclamata amicizia è veramente tale o si tratta di una elucubrazione del termine ad uso e consumo di una delle parti coinvolte in questo sentimento.

Questo post è nato da una coincidenza: una vicina aveva suonato al citofono (solitamente "bussa" per dare notizia di accidenti vari, di morti defunti in particolare). In quell'occasione si era premurata di avvisarci che era morto un tizio di un paese vicino; che sicuramente conoscevamo, visto che era nella combriccola di ballerini del sabato sera che comprendeva anche mia moglie, Angela. Il fatto che ci fosse stata questa frequentazione le aveva fatto presumere che fossimo amici.
Oltre dieci anni fa.
Da allora erano successe tante e tali cose che, se anche ci fosse stato un solo filino di rapporto che andasse oltre la limitata conoscenza, pure quello sarebbe finito quanto meno nel dimenticatoio.
In realtà la nostra solerte vicina si informava se avessimo intenzione di andare al funerale; non avendo la patente, con per marito un uomo che spesso e volentieri la lasciava a piedi, cercava un passaggio per partecipare al lutto, tra l'altro essendoci quasi costretta dalla compaesanità con il defunto.
Grazie, no, e ne abbiamo ben donde, pur elevando al Cielo un pensiero reverente in sua memoria.
Del morto, non della vicina.

Sorvolo sulle amicizie tra uomini e donne. Ci sono tomi che cercano di spiegare la possibilità o l'impossibilità che siano attuabili. Si finisce per fare distinzioni sessiste, antipatiche. Pare che le uniche amicizie possibili siano quelle tra due generi fisicamente diversi (maschile e femminile) e con mentalità identica. Per dirla tutta, tra un omosessuale (conscio e convinto) e una donna semplicemente donna, è probabile la nascita di una vera amicizia, che esula totalmente da quelli che sono i tipici rapporti di sesso, interdetti da indirizzi mentali specifici, che altrimenti finirebbero per tracimare in altro sentimento.

Entrando nel mondo del lavoro, automaticamente si diventa compagni, colleghi, legati da vincoli che accomunano nell'espletamento di mansioni mirate a un interesse di gruppo. In genere si tratta di produzioni legate in successione fino al completamento di un prodotto finale.
Orari e timbratura di cartellini personali indicano una comunanza che solo raramente prosegue alla fine dei rispettivi turni.
Anche qui si tratta di convivenza coattiva, che raramente sfocia in amicizia. Anzi, proprio la frequentazione obbligata, lo stare gomito a gomito per periodi prestabiliti, spingono ad evitare ulteriori contatti nella parte residua della propria esistenza. Anzi, la possibilità che in tali raggruppamenti emergano, e vengano coltivate per anni, antipatie o addirittura odio, sono abbastanza comuni.
Compagni, quindi, quando va bene; sicuramente non amici.

Poi ci sono "amicizie" che lasciano, come già detto, un amaro e un vuoto nell'anima impossibili da ignorare o dimenticare.
Conosci, e poi frequenti per anni, persone instaurando rapporti di vita anche a livello famigliare, a cui dai una mano in caso di bisogno, entri in un giro di frequentazioni per cui è impossibile pensare a una non partecipazione ad eventi che riuniscono tutti, parentele e amicizie. Partecipi a battesimi, cresime, matrimoni, funerali, compleanni e onomastici; tutte quelle festività ed occasioni che raggruppano, quando nella festa e quando nel dolore.
Poi un bel giorno (si usa definire così un cadere temporale che raramente coincide con un vera bella giornata), tua moglie riceve una botta tra capo e collo, coinvolgendo nella caduta tutta la famiglia. Succede che sia ad un pelo dal passare alla sponda del non ritorno. Succede che, tirata in vita per i capelli, si ritrovi come conseguenza della botta mentalmente fuori dal mondo, per cui deve essere ricoverata in una struttura specifica; che in questa struttura rimanga per quasi cinque anni, all'inizio deambulante poi in sedia a rotelle... infine giacente in una cassa.
Bene, anzi male: in tutto questo tempo, lunghissimo, interminabile, non una telefonata, non una visita... non un accidente che li porti.
Forse in una città, magari una lontananza, magari un "non ho saputo", forse, ripeto, potrebbe essere attenuante, anche se la vera amicizia non conosce ignoranza o distanze, era tale nei periodi rosa e tale sarebbe dovuta rimanere soprattutto nei periodi neri.
In un paesotto di poche migliaia di abitanti, un umanissimo peto fuoriuscito in una montagna dei dintorni, in un attimo diventa uno tsunami aereo, un muro del suono infranto, che non sfugge all'udito di alcuno, anche del più sordo e distratto.

Capita che, dopo la botta di tua moglie, tra capo e collo ne arrivi una direttamente sul collo tuo.
Una di quelle botte che non puoi ignorare e che ti portano a ridosso della fossa.
Per essere più indimenticabile, la tegola arriva proprio quando il colpo a tua moglie sta arrivando alla fine del suo scopo.
Sarebbe stato romantico che ce ne fossimo andati insieme: dopo quasi cinquant'anni di vita mai separata, due persone che chiudono insieme la propria esistenza in effetti avrebbe fatto... effetto.
Non è andata così.
La tentazione sarebbe di aggiungere "pazienza!", ma non lo posso ancora fare, ci sono cose da sbrigare che vorrei evitare di lasciare in sospeso.
D'accordo, quando suona la campana le cose tue le finirà qualcun altro o resteranno incompiute... ma il credersi immortali aiuta a dimenticare di essere mortali. Come tutti, per fortuna.
La bottarella mia ha avuto un'evoluzione rapida; come quasi sempre accade quando un macigno ti sta per cadere addosso, qualcuno ti grida "attento!", neanche il tempo di guardare in alto per renderti conto di cosa stia per succedere... e ti trovi, neanche troppo metaforicamente, già steso in orizzontale.
Pochi mesi dalla scoperta dell'accidente, esami e visite, ricovero, intervento e dimissioni, rapide che i protocolli attuali non danno il tempo di rimetterti in piedi in corso di degenza. Ne avevo avuto un assaggio con Angela, già sommariamente descritto altrove.
E, da allora, i tempi sono divenuti sempre più stretti. Il tempo di sfilare sondini, sensori e cateteri, accertato che 'sembri' ancora vivo, e vieni dimesso.
Così è (se vi pare...).

Ormai sono passati quattro anni.
La prima preoccupazione, al rientro a casa dopo essere stato alleggerito di un po' di materiale infetto, era stata la ricerca di un infermiere specifico per seguire l'evoluzione della vicenda.
Il sapere che una persona esperta ti fosse vicina in un simile momento era di conforto e, forse, di aiuto non solo fisico ma anche morale. Il rientro aveva coinciso con l'ultimo chilometro di Angela, e soprattutto il morale era molto più che sotterra... era in Antartide, passando dal centro del globo.
Sapevamo a chi affidarci: un infermiere del reparto chirurgia dell'ospedale, con esperienza precipua nel campo di mio interesse, era il non plus ultra di quanto cercavamo.
Non era un infermiere conosciuto sul suo campo; fortunatamente né Angela né io avevamo frequentato il suo reparto, e neanche, a dirla tutta, gli altri reparti di quell'officina..
No, con questa persona avevamo fatto nottate di baldoria in un localino che aveva aperto anche col nostro aiuto. Una specie di balera casereccia, con cucinotto, un piccolo bar (senza macchina da caffè, che avrebbe portato più tasse che utile), un ampio salone munito di impianto musicale alla buona per serate danzanti senza pretese (per dire, ballavo anch'io che non sapevo né so ballare, il che può dare un'idea di quanto fosse alla buona), un tesserino per dare un'impronta di club privè... Avevamo fatto quanto più possibile, un po' tutti i partecipanti, ciascuno mettendoci più inventiva che capacità, ricorrendo al minimo a gente professionale.
E anche quei pochi tecnici avevano partecipato per amicizia, mettendo in conto solo il materiale utilizzato.
Certo, ogni tanto saltava la corrente a causa di contatti elettrici non perfetti, se pioveva dovevamo evitare le pozze d'acqua che si formavano sul pavimento in linoleum per perdite dal tetto... ma il cucinato era genuino, fosse pasta fatta in casa o trippa o pasta e fagioli, e anche il vinello andava giù manco fosse stato acqua sorgiva.
Tutto questo prima dell'affaire di Angela.
Eh sì, perché da allora non avevamo più avuto sue notizie.
E neanche notizie dalla moglie e dalle figlie e dal figlio... pur avendo partecipato al matrimonio della figlia più giovane che si era fatta ingravidare da un grosso rivenditore di auto usate (ma questo lo scrivo solo per amore di un po' di gossip, essendo fatto che mi lascia assolutamente indifferente).

Questo l'antefatto.
Tornando all'attualità di questo testo, ero stato dimesso e la necessità (visto che indispensabilità è termine desueto) di una presenza "tecnica" mi aveva fatto accantonare il malessere che provavo al pensiero di dover contattare un "amico" del genere.
Quando si è presi per la gola, ci si strozza pure nel chiedere aiuto...
Aveva chiamato la sorella di Angela.
Per andare subito al sodo gli aveva detto che avevo subito un intervento e che sarebbe stata utile una sua visita.
Molto professionale, non aveva chiesto che tipo di operazione fosse stata, si era informato su "dove" era stata effettuata. Il quando, il come, il perché, non era stato il caso di raccontarglielo.
Al sentire il nome dell'ospedale, aveva subito interrotto:
"Ahia!", aveva esclamato, limitandosi poi a fornire il nominativo di un collega specialista della materia.
Quell'ahia! era più che sufficiente a chiarire, mai ce ne fosse stato bisogno, che sapeva benissimo sotto quali forche ero dovuto passare. Citare quel nosocomio già diceva tutto e anche di più...
Inizio e fine del tentativo di ri-rapporto.
Da allora sono passati quattro anni, che aggiunti ai quasi cinque di Angela, diventano circa nove...
di silenzio assoluto, totale...
Questo è solo un vago esempio di come sono andate le cose. Ripetibile, paro-paro, a decine di altri casi.

Mi capita, ogni tanto, di incontrare casualmente qualche vecchio amico e ripeto ogni volta il protocollo previsto per questi incontri in caso di lunga latitanza. Si accenna al tempo meteo e alla politica, per passare poi alla salute...
"Come stai? Come sta tua moglie?"...
Le prime volte rassicuravo sulla mia e passavo la notizia della morte di Angela, come fosse inedita.
Stupore, "oh, mi dispiace", condoglianze...
Purtroppo uno dei doni che arrivano a una certa età, è quello della commozione facile. A ogni comunicazione cruda, il groppo mio era inevitabile. Con relativa vergogna per una simile debolezza.
Da un po' di tempo a questa parte, alla richiesta sulla situazione di salute di mia moglie ho imparato a rispondere "adesso sta bene"; per come aveva passato il lungo periodo precedente, sapevo di non mentire.
Finisce con un ciao reciproco, col vantaggio che, rafforzandomi in questa convinzione, il groppo miracolosamente non si forma più.
Certo, la mia malignità (rimasuglio della mia antica gioventù) mi spinge al sogghigno, pensando al caro amico/a che, tornando a casa, raccontando al suo lei/lui del fortuito incontro, dia come buona la notizia che la cara amica Angela "stia bene", a detta del marito sicuramente sincero e bene informato.
E mi piace pensare che, in un barlume di altro 'sentito dire', questa benedetta donna sia stata, molto tempo addietro, data per morta.
Il risultato?
Finirò per passare per rincoglionito, ormai perso, irrecuperabile...
Magari lo sono, ma il sogghigno me lo godo.

A riprova che gli accidenti, e ancor più i malanni gravi, al loro accadere creano intorno ai malcapitati terra bruciata o, peggio, radiazionizzata, in cui vaporizzano amicizie, frequentazioni, anche parentele, e su cui diventa impossibile costruire alcunché.
L'unica disgrazia che non fa sparire le amicizie, anzi le ravviva, è una sonora vincita all'enalotto, una di quelle veramente pesanti... quasi quanto un tumore, ma sull'altro piatto della bilancia. Anzi, con una disgrazia del genere le amicizie resuscitano, per morte e sepolte che siano. E anche questa notizia, come il famoso peto o come la voce su malanni seri, in un paese piccolo si diffonderebbe in un baleno, risvegliando antichi ricordi e, soprattutto, vecchi appetiti.
Anche il deserto, la fuga, creato dai malanni, diventerebbe autostrada per un'infinita coda di formichine in cerca della briciola di propria spettanza.
Dovuta, in nome dell'antica amicizia...

Per chiudere; ho appreso con sconcerto dai media cartacei che la conduttrice famosa, cui ogni tanto accenno, ha licenziato il suo neo-fidanzato.
Il motivo?
Non la seguiva abbastanza nel suo percorso di recupero dal tumore che a suo tempo l'ha colpita; per esempio, non le stava vicino quando andava in chemioterapia.
Vien da pensare che miliardi di like e trilioni di applausi non ce la fanno a sopperire a una vicinanza umana fisica, una mano nella mano, un sorriso, una carezza, un bacio nel momento di maggior sofferenza...
Ma questo, ovviamente, è un cruccio mio; magari, oggi, il contatto virtuale appare più caldo e più prossimo di quello fisico. I tempi cambiano, e adeguarsi a questi cambiamenti non è da tutti.
Non è da me.

E per oggi basta e avanza.

Commenti

  1. "La vera amicizia non conosce ignoranza o distanze, era tale nei periodi rosa e tale sarebbe dovuta rimanere soprattutto nei periodi neri".
    Quanto ti capisco. Sta capitando a me, adesso, e non posso credere che persone che chiamavo (e si auto-proclamavano) "di famiglia", quelle che hanno presenziato a quasi tutti i miei momenti felici, quelli che addirittura avevano le chiavi di casa mia, si sono evaporati come acqua al sole.

    Fa una tristezza infinita.

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    1. Solo adesso, ripassando i vecchi post, ho trovato il tuo commento. Mi scuso per la sbadataggine, e spero che nel frattempo la tua situazione personale sia migliorata. Da allora nulla è cambiato, l'amicizia vera è una chimera, forse manco esiste, forse è un qualcosa che l'uomo si è inventato, una forma di religione, alla ricerca di qualcosa che non vuole in realtà trovare.
      Un abbraccio e un caro saluto.

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