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Ho passato l'infanzia, l'adolescenza e la prima maturitΓ circondato da persone disabili. Ma non le chiamavamo disabili: per noi tutti erano semplicemente invalidi.
Erano ciechi, monchi, sordomuti, sciancati, focomelici (ma questa 'specialitΓ ' l'ho appresa molti anni dopo)... ma anche scemi, epilettici... e vecchi, alcuni bavosi e strani.
Non erano diversi da noi, anche noi eravamo invalidi, mancanti di qualcosa: chi di un papΓ , chi di una mamma, i piΓΉ di entrambi.
Mia madre era morta prima che 'facessi' i due anni, mio padre mi dicevano che 'stava' in ospedale, ma avevo saputo che invece 'stava' in carcere; non ho mai chiesto il perchΓ©, nΓ© me lo sono mai chiesto. Quando mi avevano portato a salutarlo era uno sconosciuto, come tanti altri che in seguito avrei imparato a conoscere, alcuni ad apprezzare, altri meno, altri meno assai.
Era da poco finita la guerra (la seconda, per non invecchiarmi piΓΉ del necessario), ed ero stato ospitato in un ospizio, un orfanotrofio per vecchi, e qui avevo avuto i primi contatti con la disabilitΓ . Il fatto che fossi un frugoletto implume non li aveva spaventati, nΓ© io ero stato turbato dalla loro decrepitezza.
In seguito, in un passaggio affatto indolore nel lasciare piccoli amici e ambienti noti e amati, ero stato portato in un orfanotrofio vero, che si affacciava su altri orfanotrofi, per adulti, sfortunati come noi. Non eravamo in grado di soppesare le reciproche invaliditΓ , nΓ© di provare vicendevoli compassioni particolari.
Personalmente, crescendo avevo avuto modo di frequentarli tutti, e di tutti avevo provato invidia.
Di Giorgio, il cieco che suonava la trombetta, leggeva libri in braille e che, con una piccola macchinetta, scriveva lettere e mi faceva vedere come funzionava una serie di punzoni che bucherellavano fogli di carta leggermente piΓΉ spessi di quelli dei miei quaderni.
C'era Didimo, privo delle gambe fino sopra il ginocchio, che faceva il barbiere a tempo perso, seduto su una panchetta, alla quale sembrava avere il sedere incollato tanto la manovrava a suo piacere, girando intorno al 'cliente' nel tagliare i capelli o fare la barba.
E Gaetano, focomelico, che nella piccola banda musicale suonava la grancassa: con il percussore fissato al moncherino da una cinghietta di cuoio batteva il tempo quasi con furia. Era lo strumento che preferivo tra tutti, bastava battere e ribattere facendo un fracasso altrimenti vietato.
Dei sordomuti andavo pazzo per quell'agitar di mani, quelle espressioni del viso che 'parlavano' meglio delle nostre lingue.
C'era lo sciancato che aveva la manutenzione di tutte le caldaie, a carbone, posizionate sotto ogni palazzone. Ogni sera le andava a caricare e al mattino a recuperare i residui, a noi noti come 'maciafer'.
C'era lo scemo che correva dietro alle foglie, le raccoglieva, le metteva nelle tasche e scappava come si sentisse colpevole di furto; e i tentativi di 'fregargliele' erano respinti anche con violenza. Bastava lasciarlo in pace e non avrebbe fatto male a una mosca...
Non c'erano barriere architettoniche 'da abbattere': c'erano solo tante barriere da superare, e le vedevo superare con una naturalezza a noi (ragazzini diversamente disabili ma abili e scavezzacolli) sconosciuta.
Eravamo tutti abilmente disabili, chi nel fisico chi negli affetti, non avevamo la possibilitΓ di compatirci, ma non era cinismo: era condivisione tacita e inconscia di situazioni non cercate e impossibili da modificare.
Poi i tempi sono cambiati: oggi definire un invalido col termine invalido è ritenuto quasi offensivo, l'invalido è divenuto disabile, con tutte le derivazioni. Così il cieco è divenuto non vedente; il sordo, non udente... e così via. Il diverso approccio filologico imposto per legge. Con l'estensione del diversamente abile, che fa a pugni con la metrica filologica e col buon senso.
In cambio il rispetto spontaneo che noi, orfani e ignoranti, portavamo alla categoria degli sfortunati, non esiste piΓΉ. Sono visti come un ingombro, una croce che noi, sani di fisico ma non piΓΉ di mente, malamente sopportiamo. Noi, divenuti croce per loro...
C'Γ¨ solo una categoria che nel cambio di 'ragione sociale' ci ha guadagnato: quelle che un tempo erano definite battone, passeggiatrici, meretrici, per i piΓΉ colti peripatetiche, per i volgari semplicemente puttane... affatto cordialmente disprezzate, oggi sono diventate "escort", apprezzate, portate, come si dice, in palmo di mano, chiamate come opinioniste di punta nei programmi... ignorando le (a)scese in politica... ecco il guadagno Γ¨ evidente. E, per dirla tutta, anche le tariffe sono, giustamente, lievitate.
Quasi quello che avviene per le pensioni agli invalidi, ai quali sono state 'addolcite' le pillole della disabilitΓ , lasciando queste invariate, come prima e piΓΉ di prima da semplici invalidi, nonostante i vari cambi di destinazione che li collocano tra i diversamente abili. Hanno ricevuto una promozione con adeguamenti che hanno il sapore di elemosine.
A questo proposito con una curiosa distinzione: se hai una invaliditΓ congenita e sei inabile (o disabile) riconosciuto, ricevi i gradi e il contributo; se il destino ti 'dona' la disabilitΓ dopo i 65 anni di etΓ , ricevi i gradi ma non il contributo. In pratica Γ¨ vietato invalidarsi dopo una certa etΓ , casualmente quella che piΓΉ necessiterebbe di sostegni, e non di pacche di affettuoso compatimento.
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