Diciannove

'Diciannove' non è un freddo numero, anonimo, non è un numero qualunque. È una seconda decina mancata, incompleta, incompiuta.
Il diciannove è una pietra.

Oggi il 19 è una pietra storica... 

Nei giorni scorsi si è aperta la 19ª legislatura della Repubblica italiana e il fatto che sia comunemente indicata come "XIX Legislatura" riporta a un periodo in cui i numeri romani erano un completamento dell'anno solare, via via abbinati a questo come sigillo di una situazione ormai stabilizzata; i modi in cui questa stabilizzazione avvenne sono noti a tutti. 
A buona parte ignoti, da altri volutamente ignorati, da altra parte accantonati, da altra parte ancora mai rinnegati. Per una piccola minoranza quel lungo periodo fu il meglio che una Nazione potesse avere.
La storicità di questo numero, per come scritto in omaggio a consuetudini radicate, è stata confermata da un passaggio di consegne che, da solo, rende chiara un'assenza di sensibilità umana e politica che è un insulto alla già scarsa credibilità e dignità della politica stessa.
All'apertura della nuova legislatura la parte "vincente" ha imposto alla seconda carica dello Stato un fascitoide conclamato, non un neofita con la mente imbottita di una ideologia presentata come toccasana per un Paese in pre-fallimento. Il prescelto è uno che, oltre a non rinnegare il suo passato, di questo fa apertamente bandiera, arma comiziale per ricevere adesioni e applausi e voti.
Forse questa scelta sarebbe passata inosservata, anche perché l'alternativa avrebbe potuto essere quella di un personaggio molto chiacchierato, sia sul piano politico che su quello giudiziario, ancora di più sulla sua storia di vita personale. Quindi anche in quel caso la credibilità e la dignità della politica ne sarebbero state, comunque, ulteriormente pugnalate.
Forse la scelta del soggetto destinato a divenire presidente del Senato sarebbe passata, come già detto, inosservata, se non fosse stato noto a tutti che il passaggio del testimone era affidato dalla prassi a una persona che, per forza di età e di storia personale, sarebbe stata deputata all'apertura della legislatura in quel ramo del Parlamento.
Una persona con una Storia assai diversa da quella del senatore designato, anzi letteralmente agli antipodi. Nominata senatrice a vita, l'opposizione alla sua investitura era venuta dai sommi capi di due formazioni politiche; gli stessi che l'hanno "costretta" a offrire il prestigioso scranno a un individuo che offre tutti i motivi per ritenere questa XIX Legislatura un ritorno a un passato vergognoso.
Il fatto che su 200 senatori, ciascuno potenzialmente eleggibile, la scelta sia caduta proprio su questo personaggio dà alla nuova legislatura un'impronta chiaramente specifica.
Questo inizio della 19ª è una pietra, lanciata a futura, ulteriore, vergogna della nostra Storia.

Il 19 è una pietra tombale...

Era il 19 di giugno quando Angela aveva lasciato questo mondo, alle 7 del mattino, forse per non essere d'intralcio al traffico quotidiano che di lì a poco avrebbe preso il via.
Il giorno prima aveva compiuto gli anni... Se ne fosse andata due giorni prima, di lei si sarebbe detto che era prossima ai 72 anni, una 72enne che non aveva terminato del tutto il suo percorso. 
Così, invece, era in regola: aveva completato i suoi 72 anni, tondi, senza mesi o giorni in avanzo.
Circa un mese dopo l'intervento che ce l'aveva restituita, ufficialmente non più senziente, era venuto in camera il primario della struttura riabilitativa in cui era ricoverata, con il codazzo di assistenti, infermiere, portantini (così come ben raccontato da Sordi, primario della clinica Villa Celeste; peraltro senza gli eccessi comici di quel film) e l'aveva salutata con un affettuoso: 
"Come va oggi la nostra Angiolina?". 
Lei non aveva accettato quella confidenza e, freddamente, aveva risposto: 
"Angela, mi chiamo Angela, non amo i diminutivi!". 
Il primario aveva incassato e portato a casa. Noi eravamo rimasti con la lacrima asciutta agli occhi per una reazione che ci aveva, insperatamente, fatto sperare. Si era acceso un cerino, che ci aveva dato luce e calore per la possibilità balenata di un ritorno prossimo a realtà precedenti. Non andò così, era stato un falò di foglie secche, ma il ricordo di quella risposta così netta, così convinta, addolcisce ancora oggi le amarezze degli anni successivi e, infine, della sua partenza.
Negli anni precedenti, molto precedenti, ci si trovava talvolta a fare quei discorsi che (forse) si fanno tra innamorati. Ci chiedevamo a vicenda cosa avremmo fatto se lei od io fossimo morti, lasciando l'altro/a in vita. La risposta reciproca era che subito dopo avremmo seguito chi per primo avesse lasciato questo mondo. Discorsi infantili, da sciocchini innamorati, da piccioni che tubavano ignorando il tempo che passava. 
Quando aveva chiuso gli occhi per non riaprirli più io non c'ero; non potevo esserci perché, non per mia volontà, la stavo quasi per precedere in quell'ultima camminata. Poi mi sono ripreso, acciaccato ma vivo: non ho mantenuto quella "promessa" che ci eravamo fatti tante volte, non l'ho potuta mantenere perché altro mi tiene ancora legato a questa terra, e mi piace pensare che lei abbia capito e perdonato.

Il 19 è una pietra miliare...

Una di quelle pietre che indicano, in progressione, quanto percorso si è fatto su una ipotetica strada, verso un punto di arrivo del quale si è certi, ma di cui non è possibile sapere il 'quando' sarà raggiunto. Sulle antiche pietre miliari, nate in epoca romana, era indicata, a ogni miglio, la distanza dall'Urbe e il totale del cammino fatto per avvicinarsi a questa città. Era l'epoca della Roma caput mundi, che ha lasciato nei cittadini romani (con l'Italia appresso a questi) la credenza che essa sia ancora tale; e l'incuria ormai congenita della città viene quasi ritenuta retaggio del passato storico come a noi tramandato. Da salvaguardare, quanto e più dei reperti che la rendono unica a livello mondiale.
La mia pietra miliare è più concisa, non come me quando scrivo qualche riga di testo: indica solo il cammino percorso, non dà indicazioni su quanto manca all'arrivo.
E oggi, 19 di questo mese di ottobre, mi comunica che sono arrivato a un punto avanzato del cammino verso il traguardo. Ci fu un'epoca in cui questo punto di arrivo era prefissato all'anno 2000, per me e per molti miei coetanei; sembrava talmente lontano nel tempo, da apparire irraggiungibile.
È una pietra miliare un po' sbilenca, e non potrebbe essere altrimenti, ma riesce a stare ancora ritta, e già questo è un risultato inatteso, quasi una sorpresa visto quello che ho passato nel frattempo.
Mi ci siedo sopra e non guardo più al futuro, guardo indietro: la strada percorsa, nei ricordi, mi sembra breve, tanto questi sono ancora vivi. I ricordi sono la mia forza, qualunque siano, dolci o amari, lieti o tristi, dolorosi o gaudiosi.
Ho iniziato la mia vita tra anziani sconosciuti, a loro sconosciuto a mia volta: loro abbandonati, io pure. Non erano in grado di capire chi fosse e cosa ci facesse tra loro quel piccolo moccioso frignante; da parte mia non avevo la capacità di ritenere la vecchiaia un fatto anomalo nel piccolo mondo in cui ero stato accolto. Loro ed io, insieme per un atto di carità.
Non posso dire se la mia infanzia (e la seguente adolescenza) sia stato un periodo felice: fino a una quindicina d'anni non ho avuto un metro di raffronto diretto con quello che era a tutti gli effetti un mondo esterno, lontano, sconosciuto, eppure così prossimo. Per toccare con mano, per vedere, per capire quanto fosse diverso ho dovuto arrivare nei pressi della maggiore età; ed erano passate le prime venti miglia.
In quegli anni di 'domicilio coatto' sono stato calzato, vestito e pasciuto quel tanto sufficiente alla copertura dei piedi e del corpo, nonché al riempimento di uno stomaco sempre affamato. Inoltre mi sono stati insegnati due mestieri, uno lasciato a favore del secondo, che dava più certezze.
Il primo, mestiere finito, lo avevo accantonato per le poche possibilità che offriva in vista di una vita indipendente e dignitosa: lavoro sì, molto e richiesto, ma avevo preso atto che, con quanto avessi guadagnato, a malapena sarei sopravvissuto una settimana, in mesi che già allora di settimane ne prevedevano almeno quattro. 
Così, di punto in bianco, avevo lasciato quella prima scelta, accettando di restare ancora in stato coattivo il tempo per apprenderne un altro. Che è quello che mi ha poi consentito di camminare, abbastanza spedito, sulla via che mi era stata indicata da un sistema educativo ampiamente religioso, ma che non rinnegava la praticità di una vita manuale che desse da vivere. 

Oggi sono orgoglioso di ogni anno vissuto, di tutti e di ciascuno rivivo i ricordi; di questi sorrido, mi emoziono, sovente mi commuovo, talvolta mi irrito per situazioni che mi avevano fatto alterare in passato... Ho fatto tutto quello che destino mi ha invitato a fare, visto che di programmato non c'era nulla. Con un rimpianto: di non avere potuto studiare per mancanza di possibilità oggettive.
Oltre il mestiere, appreso per sopravvivere, nella vita ho imparato ad apprezzare alcune cose che, con i ricordi, sono la mia ricchezza personale, con un valore che non ha prezzo e non ha mercato.
Ho imparato che la gratitudine è un sentimento da stampigliare nel cuore e nella mente: a suo tempo ho avuto senza chiedere, e, in seguito, nessuno di coloro che mi hanno aiutato nella crescita ha chiesto di ricambiare quanto datomi.
Ho imparato che l'amore è vero quando ci si trova nella condizione di sapere che non è, non può essere, ricambiato. Negli ultimi cinque anni della sua vita, mi sono reso conto di amare Angela forse più che nei circa quarantacinque precedenti: quando credevo di avere la certezza che lei non fosse più in grado di capire, di ricambiare quell'amore. Per tanti anni avevo amato il suo corpo, in quell'ultimo periodo so di avere amato la sua anima. E la sua assenza mentale non mi era di peso... c'era lei, e tanto mi bastava.
Ho imparato a vivere con ironia, pur non avendo un passato giovanile che la giustificasse. Ironia, quasi mai sarcasmo; questo dedicato alle prepotenze, alle violazioni del vivere civile, purtroppo frequenti a tutti i livelli del quotidiano.
E ho imparato a pedalare in bicicletta, e a nuotare: ho pedalato per 81 anni, ho nuotato sempre in stile libero, pedalando e sbracciandomi in acque non sempre pure, talvolta melmose, altre letteralmente putride... credo sia ora di cominciare a nuotare supino, ferme le braccia e le gambe, fissando l'azzurro del cielo, quando tale sia. 
E quando scenderà la notte cercherò nel cielo buio una stella pulsante, che mi porterà a sussurrare un sostantivo che in questi tanti anni di vita non ho mai potuto usare: mamma!

Senza fretta, però: ho atteso l'evento per tutti questi anni, non mi dispiacerebbe aspettare ancora per almeno altrettanti, rinunciando ai canonici 'cento' che sono base di augurio per ogni compleanno. Credo che la vita sia bella finché è vissuta; non sono un patito dell'eternità, anche perché, parafrasando il Magnifico, dell'Aldilà non v'è certezza...  

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