mercoledì 2 settembre 2020

Prove di quarantena

Premessa: la legge mi costringerebbe a specificare le fonti storiche da cui vado ad attingere per la stesura di questo breve excursus su alcune quarantene, sanitarie e non, nel corso del tempo. Posso garantire in piena coscienza sulla loro veridicità, ma non le pubblico solo per evitare una segnalazione per pubblicità occulta.
Quelle su fatti di un lontano passato hanno la stessa attendibilità del dentista quando dice "tranquillo, non sentirà niente!", o del politico che dichiara solennemente "di essere una persona semplice al servizio esclusivo dello Stato". 
Quelle di vita vissuta, sia in tempi remoti che in altri recenti, hanno la stessa attendibilità che avrebbe lo stesso dentista qualora dicesse "non si agiti, le farò una male boia, ma le sto vicino e con una fialetta di adrenalina la rimetterò in sesto, nel probabile caso che avesse un collasso", o del politico che onestamente dichiarasse "io sono io, e voi siete un cazzo!" (cit. questa la so, è del marchese del Grillo, e vado sul sicuro).

Noè ed il barcone

La prima quarantena di cui si ha memoria e prove certe riguarda Noè e soprattutto la sua arca. In seguito erroneamente nota come Arca dell'Alleanza, proprio non appena le alleanze in atto iniziavano a sfasciarsi. Non era la stessa cosa, ma "arca" viene comunemente associata a due eventi diversi ma con la stessa valenza storica.
Dice la storia che a quel tempo gli umani erano diventati un branco di esseri impuri, oggi si direbbe di porci, i quali, non essendo ancora stati inventati i preservativi, stavano moltiplicandosi sulla Terra che manco i ricci.
Dio aveva provato in tutti i modi a ostacolare questo proliferare incontrollato: aveva inventato il ciclo alle donne, in modo da frenare per qualche giorno al mese una fornicazione che era ormai il passatempo unico e preferito di tutto il genere umano. Aveva anche messo un limite temporale all'attività sessuale, fissando il massimo della fertilità ai novecento anni... Purtroppo, nella sua onniscienza, aveva trascurato le capacità mnemoniche di questi vecchietti che, anche mentalmente, continuando a macinare i ricordi, li rendevano talmente solidi da riuscire a ingravidare le femmine senza neanche completare l'atto sessuale. Per le femmine credeva di aver messo un paletto inamovibile alla loro fertilità, dando un segnale chiaro con la cessazione del ciclo, ma anche queste, come i maschietti, avevano trovato il sistema di aggirare l'ostacolo, restando ingravidate anche oltre l'età dei maschietti coetanei. 
La moltiplicazione continuava ininterrotta, anche gli anziani, teoricamente fuori causa,  in aggiunta al pensiero vivace avevano trovato il modo di sopperire alle limitazioni del contatto fisico affidandosi a pillole, provette, protesi, cure anti età... e le donne avevano aggirato il divieto divino di procreare in età tarda, affidandosi a un contadino, mago delle semine, che con misture di semi vari riusciva a dare le gioie della maternità fino a oltre mille anni.
All'inizio dei tempi, lo stesso padreterno aveva dato a tutti un invito imperativo "crescete e moltiplicatevi", senza pensare che quello sarebbe poi stato l'unico suo comando ad essere ottemperato nei millenni a venire, senza considerare che a lungo andare il troppo avrebbe finito per stroppiare la Terra.
Disattendere un comando divino? Giammai!
Si erano resi tutti conto, per una sola volta, che l'obbedire era più piacevole del disattendere.
Risultato prossimo allo zero. Si era scassato proprio, il buon Dio, e aveva delegato un suo fedelissimo affinché mettesse sull'avviso quei maiali (nel senso letterale del termine): per farli smettere avrebbe distrutto tutta la terra e quanti la abitavano. A quel punto sarebbero stati cavoli amari per tutti, o quasi.
Anche la tutt'altro che velata minaccia era caduta nel vuoto, solo un paio tra tutti avevano smesso,  forse per smarrimento delle attrezzature nella bocca di un animale feroce e selvatico; gli altri avevano continuato a ramazzare come se niente fosse.
Dio, leggermente alterato (si sa, Dio non s'incazza mai, è innegabile), aveva ordinato a Noè la costruzione di un barcone, assemblato il quale avrebbe ricevuto le dritte per farvi salire una rappresentanza di generi, sui quali avrebbe poi ricostruito un genere (repetita juvant) umano a sua immagine e simiglianza.
Dopodiché avrebbe scatenato un diluvio che, come garanzia di equanimità, sarebbe stato universale.
Ci volle una settimana per costruire l'arca, diciamo che oggi sarebbe una settimana sul tipo  di una incubazione.
Ad essere ospitati sull'imbarcazione (oltre, ed era il minimo) al Noè stesso e ai suoi famigliari, fu deciso fossero innanzitutto gli animali, che tra tutti gli esseri viventi erano risultati i meno peccatori. 
Erano rappresentati quelli puri e, per bontà sua, un paio di impuri. Questi, manco a dirlo, erano i suinidi.
A questo, forse, risale l'avversione di alcune razze di eletti verso queste povere bestie, che per altri, peccatori incalliti, restano piatto forte un po' di tutte le cucine.
Per non apparire troppo drastico nella sua decisione, aveva consentito anche l'accesso all'isola galleggiante, di alcune coppie di politici, fidandosi della garanzia che gli avevano dato di operare seguendo, come sempre, le sue direttive.
Non volendo che sulla barca si ripetesse quanto accaduto sulla terraferma, Egli aveva vietato tutti gli accoppiamenti. Gli animali avevano rispettato il divieto, pur senza averne capito il senso; i politici no, pur avendo ben compreso il motivo di quel divieto, anzi proprio perché lo avevano compreso, avevano moltiplicato le prestazioni in barba al comando di chi li aveva creati.
Infatti, la loro figliolanza ha mantenuto viva nei millenni la consuetudine di garantire onestà e morigeratezza, sorvolando poi allegramente sulle promesse e, anzi, fregandosene altamente di quelle che per tutti gli altri sono regolamenti e leggi (vedi premessa).
Bon, il diluvio minacciato arrivò ed ebbe una durata cronometrata di quaranta giorni e, secondo alcune versioni storiche, pure di quaranta notti (ma è tesi ancora dibattuta: dal punto di vista di studiosi discotecari la notte in realtà è prosieguo del giorno e ne è pure premessa, per cui sommandola al giorno vero darebbe un periodo di quaranta giorni pieni, composti di un minimo di 24 ore ciascuno).
La Terra, lo sappiamo tutti, allora era piatta, non esiste alcun dato che ci dica se la sua forma piana fosse rettangolare, quadrata o addirittura circolare, ma era comunque una grande distesa che si perdeva alla vista dell'occhio. Sugli animali non c'era da fare affidamento. C'erano, è vero, i politici ma si erano talmente abituati a mentire che, pur di ingraziarsi il pio e buon Noè avrebbero raccontato balle anche al padreterno. Già allora, incredibile!
Allo scadere dei quaranta giorni, ci sarebbe dovuto essere un "liberi tutti!", che fu ritardato dal timore che le piogge che, ininterrotte, avevano innaffiato tutto il terreno, si fossero solo prese un  breve periodo sabbatico in attesa di disposizioni, che tardavano a venire.
I tentativi di andare a vedere da vicino come stessero le cose erano andati a vuoto. Perfino la richiesta ad alcuni politici di andare a saggiare la consistenza del terreno sotto il metro d'acqua che lo ricopriva, era stata respinta con la motivazione che in una scala di salvataggi i primi a doversi salvare erano loro, in base al noto dettato celeste che citava espressamente: prima i politici, poi le donne, poi i bambini, poi gli anziani e, se avanza posto, poi tutti gli altri... che i nostri si erano impegnati a salvare, appresso a loro. Avevano preso i bambini appena figliati e ne avevano fatto scudo per evitare di essere cooptati per quella missione, probabilmente solo natatoria. Sugli animali non c'era da fare affidamento, erano troppo confusi. C'erano, appunto, i politici ma si erano talmente abituati a mentire che, pur di ingraziarsi il pio e buon Noè avrebbero raccontato balle anche al padreterno.
Già allora, incredibile!
Così, in aggiunta a quella quarantena, pare ci fossero state altre tre settimane di attesa; in realtà erano state indispensabili per consentire alle acque di defluire verso i mari e gli oceani, divenuti residui a memoria futura degli esseri umani di quanto accaduto. Finendo per formare territori a sé, ancora oggi solo parzialmente esplorati.
Fu in quelle tre settimane che la Terra prese la forma comunemente ritenuta attuale, tonda quasi come una palla da biliardo: infatti, per favorire lo smaltimento delle acque dovute all'ira divina, arricchite dai liquami prodotti nel  corso della quarantena, il terreno troppo pregno e piatto non riusciva ad asciugarsi, almeno quel tanto da consentire una ripresa delle attività su suolo solido. Allora Dio, che tra le altre infinite doti sue precipue, si era pure laureato in architettura modellistica, aveva iniziato ad arrotondare i bordi del pianeta, consentendo alle acque di scivolare verso l'infinito sottostante che, essendo anch'esso sotto la sua giurisdizione, si guardò bene dal protestare, per il fondato rischio di essere annientato pur'esso dalla sua ira, ancora non del tutto placata.
Plasma che ti plasma, questa grossa palla risultò essere cosa buona; solo che, troppo arrotondata correva il rischio di mettersi a ruzzolare incontrollabile lungo le vie dell'universo, per cui l'aveva premuta leggermente a due estremità casuali contrapposte, creando così i due poli, che non avrebbero altra funzione se non quella di fare da freno al rotolìo della Terra stessa.
E gli inquilini dell'arca?
Accertata la solidità del terreno, abbandonata la navicella, gli animali si erano sparsi per il mondo, trovando ciascuna razza l'habitat suo naturale, in attesa che gli umani dessero loro la caccia per eliminarli, chi con la scusa di sfamarsi, chi per puro sollazzo. Per quanto li riguardava, i cosiddetti sapiens, preso possesso del creato, se lo erano spartito più o meno equamente in base ai cerchi olimpici, appositamente inventati. Ai bianchi i terreni migliori, con risorse che sarebbero bastate a tutti; a quelli diversamente colorati erano stati affidati ampi territori da dissodare e rendere fertili in vista di una cessione ai bianchi in cambio della sopravvivenza; solo ai neri era stato assegnato un trattamento privilegiato: era stato loro concesso l'uso senza limiti del calore e della luce del sole fino all'estinzione della razza.
La procreazione era proseguita, i peccati pure... e Dio si era momentaneamente arreso, affidando al tempo il giudizio e le punizioni via via necessarie per mettere un freno agli abusi.
Quanto alla tondità della Terra passarono millenni prima che qualcuno di loro si rendesse conto del fatto di vivere su una superficie affatto piatta, e fu opera ardua convincere buona parte del genere umano di tale situazione; ci furono persone che addirittura finirono bruciate vive pur di non rinnegare questa loro scoperta, che peraltro era soltanto una teoria, volendo facilmente confutabile. Infatti, nel XXI secolo d.C. quello che si credeva cosa certa e ormai acquisita sta tornando in discussione.
E, dato che gli umani di oggi non hanno altri quesiti da risolvere (l'ultimo pare fosse quello millenario sulla nascita per primo dell'uovo o della gallina, risolto affidando a un gallo la primogenitura) il concetto di una terra piatta come un campo di calcio sta prendendo nuovamente piede e finirà per avere un peso determinante nei prossimi sondaggi referendari, proposti con una formula chiara, senza possibilità di errore:
"La terra è piatta? metti la crocetta su SI".
"La terra è tonda? metti la crocetta su NO".
Sarà una lotta all'ultimo SI e all'ultimo NO...
Vincerà sicuramente il migliore, come sempre accade quando si affida al popolo una decisione vitale, e il perdente si metterà l'animo in pace.


La montagna e il deserto

Dopo quella dovuta al diluvio, le quarantene di cui si hanno notizie documentate sono quelle di Mosè sul monte Sinai e quella di Gesù detto Cristo nel deserto della Giudea. Su questi due eventi sono stati scritti fiumi d'inchiostro, addentrarsi nei quali non è impresa alla mia portata. Mi affiderò quindi alla memoria di quanto, molto succintamente, mi fu raccontato in illo tempore.

La quarantena di Mosè fu attribuita a un ordine di Dio, tanto per cambiare, che impose al Nostro di recarsi sul monte Sinai (per alcuni Oreb), teoricamente per fare penitenza e purificarsi in vista della consegna delle Tavole della Legge, più note come i Dieci Comandamenti.
In realtà credo che quei quaranta giorni furono il minimo indispensabile per scolpire su pietra le disposizioni divine; i caratteri mobili furono inventati e brevettati da Gutemberg qualche migliaio d'anni dopo, per cui l'unico modo per tramandare ai posteri le leggi divine era scolpirle su un manufatto che resistesse più a lungo dei disegnini incisi su papiro o delle tavolette di cera che, se non tenuta in frigo, erano destinate a sciogliersi come neve al sole, ma anche prima. Due tavolozze di pietra erano la base ideale per lasciare all'umanità un messaggio indistruttibile. Non mi pare che gli attrezzi disponibili all'epoca andassero oltre a una specie di scalpello (forse di pietra pure quello) e un sasso a mo' di martello, per cui Mosè era stato impegnato a sbatacchiare su pietra ciò che Dio a mano a mano gli dettava.
Basterebbe chiedere ai nostri Michelangelo, Bernini, Canova, Leonardo, Cellini e moltissimi altri un giudizio sulla fatica di uno scalpellinamento per scrivere lettere e parole, ma soprattutto concetti, su una dura roccia, per di più con mezzi probabilmente rudimentali.
In quaranta soli giorni Mosè riuscì a dare ai posteri un'opera d'arte che, nella sua virtualità, continua a essere parlante nella sostanza del messaggio, da secoli per secoli. Cielo, messaggio tanto apprezzato e discusso quanto poco seguito nella sua applicazione.

Gesù nel deserto:  sono quaranta i giorni e (qui ben rimarcato) quaranta le notti, ufficialmente trascorsi là in solitudine e digiuno, per provare la sua resistenza morale alle tentazioni che colà avrebbe trovato.
Pare che quel deserto fosse in realtà un monte, ma la sostanza non cambia. Si può essere eremiti sul monte e sul mare, su un panfilo come in una villa lussuosa, o in una metropoli densamente popolata, fianco a fianco con migliaia di persone... Si tratta di una condizione soggettiva, dovuta a situazioni contingenti o al rifiuto di convivere con altri esseri umani, ovvero alla necessità di esaminare in profondità il proprio stesso essere, da vivente e pensante.
Poi ci sono romitaggi imposti dalle circostanze, magari per salvaguardare la salute comune o per dare modo di rivedere quanto eventualmente malefatto con atti criminosi... I primi accolti con malcelata gioia, bandiere e canti dai balconi, a conferma della necessità di un 'fermo immagine' periodico per rivedere un po' di vita in comune; i secondi un po' molto meno.
Dunque, seguendo il filone storiografico, Gesù fu invitato (per talune fonti trasportato a forza), da angeli dipendenti da suo Padre, a ritirarsi per un periodo limitato in questo deserto, come detto per passare il tempo resistendo ad alcune tentazioni cui Egli stesso lo avrebbe sottoposto, tramite suoi emissari, appositamente addestrati e specializzati nell'attentare alle virtù congenite all'essere umano.
Qui dovrei entrare in considerazioni teo-filosofiche a cui non sono portato, esattamente come la matematica o la fisica, per cui salto a pie' pari il quesito del perché un padre (divino) abbia ritenuto utile sottoporre suo figlio (divino pur'egli) a una prova del genere.
Mi sono fatta un'idea diversa, ritenendo che la decisione della quarantena in quel romito fosse volontaria, per potersi preparare al meglio in vista del compimento della missione per cui era sceso in Terra.
Così i quaranta giorni li aveva trascorsi mettendo in bozza i suoi discorsi, affinando le parabole per renderle comprensibili pure ai ciechi e ai sordi e ai tonti, fare le prove per gli svariati miracoli che avrebbero poi costellato il suo cammino in mezzo alla gente da salvare; per mostrare all'umanità la luce in fondo al tunnel si svegliava prima dell'alba, catturando il primo raggio di sole per scaraventarlo nel buio nero della notte, e mostrare a tutti che la salvezza sarebbe stata universale, per tutti, così come i raggi del sole e il dimenticato diluvio.
Sono passati più di duemila anni e ho l'impressione che cecità e ipoacusia si siano aggravate, al punto da essere divenute ormai irreversibili. Ai motivi che provocarono il diluvio se ne sono aggiunti talmente tanti altri che Dio "sparando nel mucchio" degli umani non si preoccupa di sbagliare: chi coglie coglie, sicuramente era un peccatore. Una botta qua, una là, più o meno periodiche, talvolta successive sulle stesse località (penso ai terremoti, cui solitamente seguono piogge torrenziali e visite di politici nullafacenti e incapaci che vanno ad offrire aiuti certi, che non arriveranno mai. Ovviamente questo è un esempio puramente casuale, che per ora non ha riscontro alcuno).
E la Terra tutta comincia a stargli antipatica e pezzo a pezzo la sta avviando a completare l'opera, sospesa sulla fiducia, del diluvio.

La mia quarantena (in quarantena)

Eravamo molto meno di un terzo degli uomini di Pisacane, non eravamo ancora uomini, tanto meno eroi.
Formavano una squadra di ragazzi che strane vicende della vita avevano allocato in un luogo e in una condizione, a dir poco, non ideale per dei ragazzini che ancora si pulivano dalle labbra il latte materno (quei poche che ancora avevano una madre), o quello del latte condensato delle lattine militari gli altri.
Non ci era nota sotto quel nome, ma la nostra vita era una quarantena permanente. Un isolamento rotto dalle uscite quotidiane per recarsi alla chiesa, per assistere alla messa o altre forme di preghiera.
Giorno dopo giorno, per ogni benedetto giorno dell'anno.
Veramente c'erano anche le uscite dal guscio ogni giovedì pomeriggio, per lunghe passeggiate nei viali della città, a lato dei quali ancora erano visibili le macerie lasciate dalla guerra.
Una volta l'anno, la visita al cimitero generale in occasione della cosiddetta festa dei morti era occasione per vedere cose nuove e respirare aria esterna diversa da quella del nido. Ed era pure l'inizio all'apprezzamento dell'arte, soprattutto  dovuto alle opere cinerarie e alle storie che di ognuna ci venivano propinate. Immutate nel tempo, dai più dimenticate, per noi erano lezioni ripetitive, in alternanza alle aule, ai banchi e alla lavagna nera della scuola.
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(Qui, di 'quel' tipo di quarantena ne parlo solo marginalmente, a mo' di introduzione a quella oggetto di questo pezzullo, e voglio subito precisare che se questo primo, sommario, accenno potesse dare un'immagine di vita in una struttura poco meno che carceraria, in realtà sarebbe non solo ingeneroso, ma segno di becera ingratitudine, non dire subito che qualunque richiamo a quel periodo, in qualunque modo sia espresso, parte da un affetto, un rimpianto, un essere grato che vanno ben oltre il semplice ricordo. Tanto dovevo; a suo tempo parlerò più diffusamente di quel periodo importante per la mia vita, altrove).

Questo, per dire che qualunque ulteriore restrizione partiva da una situazione già in atto, quindi, al limite, sarebbe stata un di più tollerabile. C'era già una sorta di allenamento...
Non so come e da dove fosse venuta fuori, fatto sta che si era attivata tra noi la difterite. Che è malattia altamente infettiva, in determinati casi letale.
Questo malanno, guarda le coincidenze, ha quasi gli stessi sintomi del virus che oggi circola nel mondo: tosse, astenia, febbre, difficoltà respiratorie, inappetenza, talvolta edemi sul derma. Quando presa in tempo, è (o forse era, visto che sarebbe stata debellata da decenni; dicono) curabile con terapie antibiotiche mirate, riposo e un discreto periodo di convalescenza. Ovviamente i colpiti erano prontamente isolati e seguiti a vista, con prognosi riservata fino a definitiva guarigione.
Tanto per proseguire con le coincidenze, oltre i malati effettivi, in fase acuta e prontamente ricoverati in isolamento sanitario, erano presenti sul 'mercato' (mi sia concesso) i cosiddetti portatori sani. Immunizzati, probabilmente da vaccinazioni precedenti in tempi non sospetti o da qualche misterioso anticorpo soggettivo, passavano indenni attraverso la malattia; però, onorando il titolo di portatori, erano in grado di trasmettere quel virus a soggetti più deboli o non espressamente vaccinati.
Erano gli a-sintomatici di oggi... con la piccola differenza che per la difterite evitata uno dei motivi di tale esenzione era attribuito a un vaccino, mentre oggi che questo non esiste ancora (almeno ufficialmente; c'è chi sostiene altrimenti) è chiaro che questi a-sintomatici sono portatori abusivi, ancorché ufficialmente sani, ed estremamente pericolosi. A loro insaputa... (toh! un'altra somiglianza con molte situazioni attuali, frase sfruttata oggi per giustificare comportamenti altrimenti vergognosi).
E, mentre per la difterite l'accidente circolava più che altro tra ragazzi e adolescenti (restava tra coetanei), costoro diffondono allegramente verso tutti, democraticamente direbbero i politici.
Torniamo a noi: il mistero del perché e del percome fosse arrivato tra noi è, appunto, un mistero.
Non lo si poteva attribuire a migranti esterni, visto che allora non esistevano ancora, inoltre nel mondo vigevano una pace e un silenzio da bombe che non avrebbero potuto giustificare fughe perigliose dalle terre natie; migranti eravamo stati invece tutti noi, gli indigeni del nostro gruppo si contavano sulle dita delle mani, e comunque gli altri eravamo tutti immigrati ormai stanziali. Credo che a nessuno fosse venuto in mente questo canale come possibilità filtrante.
Eravamo un piccolo gregge di pecorelle, e come queste eravamo stati guidati, a piccoli gruppi, all'Istituto d'Igiene e Profilassi per l'accertamento delle portabilità sane, poiché qualche altro chiaramente infetto era già finito nell'apposita infermeria.
Questo Istituto era situato a meno di un chilometro dalla nostra residenza, so per certo che non avevamo preso mezzi per raggiungerlo; così fosse stato, sarebbe stato avvenimento più indimenticabile di qualunque altro: salire per la prima volta su un tram, per ogni gruppo sarebbe stata un'avventura che avrebbe segnato la vita. Inoltre la prima fermata utile era a circa metà della strada da percorrere, le gambe, ancorché gambette, erano predisposte ad affrontare quel percorso, senza spese e senza rischi.
All'interno persone tutte vestite di bianco, il che per i ragazzi sensibili era stato un trauma: immaginare costoro armati di siringhe, sogghignanti in attesa di infilare gli aghi in pelli delicate refrattarie a questo tipo di intrusione, era la fantasia più immediata.
Per inciso, tra tutti credo che fossi il più sensibile... già il camice bianco dei barbieri (allora divisa comune di questi) era sufficiente a mandarmi in crisi, e non erano crisi mistiche.
Invece si erano limitati a infilarci un tampone in bocca, fino a solleticare le tonsille; con me saranno stati delusi, visto che queste mi erano state asportate qualche anno prima, senza tener conto della mia contrarietà a quell'intervento.
Eravamo risultati positivi in cinque. Piccoli supereroi in grado di colpire chi ci avesse trattato meno che bene; sarebbe stata una strage... da cui si sarebbero salvati solo alcuni compagni.
Era stata predisposta una cameretta apposita per ospitarci, per quello che si prevedeva sarebbe stato un periodo non definito, comunque non breve.
Cinque letti, distanziati meno di un metro l'uno dall'altro, con relativi comodini, un piccolo bagno con vaso e lavandino, un piccolo specchio sopra questo, un tavolo da sei con sedie allegate... e il nostro nuovo alloggio era pronto. certamente più intimo della camerata che ospitava un centinaio di letti in un lungo camerone, peraltro non tutti occupati, i bagni con vasi turchi a terra e porta di chiusura, orinatoi a muro, lavandini, che erano sul modello dei lavatoi, con una serie di rubinetti per soddisfare le abluzioni mattutine del viso, sempre di corsa per non tardare alle messe.
Non ci furono cure, almeno apparentemente, a meno che fossero proditoriamente mescolate nei cibi o nell'acqua, probabilmente potabile, contenuta in caraffe di metallo.
Forse non fu una quarantena simile, nei tempi, a quella di Noè o del Cristo, anche perché non certificata da alcun documento a noi conosciuto. E che difficilmente sarebbe passato alla storia, a futura memoria.
Dopo una decina di giorni erano venuti nel repartino un paio di medici, ci avevano tamponato e se ne erano andati. Il prelievo era stato effettuato ancora un paio di volte, poi avevamo avuto un "liberi tutti" di cui, sinceramente, avremmo fatto a meno.
Quella quarantena aveva due aspetti, in cui quello positivo era maggioritario di gran lunga sulla mancanza di libertà che, comunque, sarebbe stata limitata, come detto in precedenza.
A far pendere la bilancia verso il proseguimento della 'reclusione' c'erano fattori che non potevamo esternare, col rischio di giocarci l'incolumità sanitaria appena acquisita con altre 'cure' che avrebbero lasciato segni sulla pelle, assai pesanti.
Intanto la scuola: le maestre ci mandavano ogni paio di giorni compiti da svolgere, in piena autonomia e senza costrizioni ufficiali e libri da leggere; sono certo che a loro non saranno sfuggiti compiti identici, evasi in un clima di collaborazione in cui il copiare non era delitto. Eravamo un po' barbari, non scalpitavamo per il rientro in aula, né ci sentivamo partecipi dei dispiacere delle maestre nel non vederci con gli altri, che magari ci invidiavano pure.
I pasti: ufficialmente eravamo malati, bisognosi di particolare attenzione come tutti i ricoverati, altrove e per altre patologie. Forse era solo un'impressione ma la pasta, la carne, il pesce, il pane stesso, avevano un altro gusto. Sulle patate lesse si intuiva una lacrima d'olio, e pure sulle insalate. La bevanda era unica, acqua di rubinetto, con lo stesso gusto di cloro di questa, era nelle caraffe, forse per farlo decantare, o per dare l'impressione di essere un'acqua benedetta a supporto alla nostra guarigione, ma al gusto e all'olfatto era difficile mentire.
Il non far niente non portava noia, era dolce come poesia comanda, potersi stiracchiare dopo il risveglio del mattino senza sentire ringhi di sollecito... non aveva prezzo.
Le messe: intanto l'andare a messa ogni mattina non era nei nostri sogni, peraltro ridotti dal limitato mondo in cui la sorte ci aveva calato; ancora meno lo era il fatto che per recarcisi la sveglia era prevista all'ora del sorgere del sole, e né il freddo, né la pioggia, né la neve facevano rinunciare o ritardare l'avvio verso il tempio. La funzione era poi un parziale prosieguo occulto del sonno perduto, che i saliscendi continui interrompevano (in piedi, seduti, in ginocchio...), rendeva stressante la giuntina di riposo. In quarantena ogni pomeriggio una suora infermiera-sorvegliante-sacerdotessa ci invitava alla recita del rosario, al di là di una vetrata che le consentiva di verificare la partecipazione attiva a quella preghiera; il numero esiguo di partecipanti costringeva a una partecipazione vocale che nei numeri grandi era possibile evitare senza troppi rischi. In fondo era uno scambio accettabile...
Questi i motivi principali per cui non saremmo scesi in piazza per reclamare un rientro che proprio non ci sconfinferava.
Quelli negativi si riducevano al rimpianto del cortile con le interminabili partite a pallone, il passo volante (una giostra a spinta pedestre), le figurine Panini con calciatori e ciclisti, e le biglie di vetro colorate da far correre in piste polverose sempre rinnovate... e poco altro.
Finito il tempo, dopo che l'ultimo tampone aveva accertato l'assenza del microrganismo marrano, eravamo tornati all'ovile, reinseriti nel gregge di pecorelle, che nel frattempo nulla aveva cambiato della routine quotidiana. Non ci furono festeggiamenti né complimenti ufficiali per lo scampato pericolo. Il fiume umano aveva proseguito imperterrito il suo corso durante la nostra assenza, ed era stato assolutamente indifferente al nostro rientro.

Quarantena (attuale e virtuale)

Quest'ultima parte è destinata ad adulti, vaccinati o meno: avviso con valore legale onde evitare allo scrivente un'ulteriore grana, incidentalmente padana.

Sono su Facebook da parecchi di anni, me ne sto allontanando gradualmente per la piega che hanno preso i suoi contenuti. I post di politica non sono più dialogo, scambio di opinioni, critiche motivate, satira ironica... da una parola in su volano insulti e offese, una vignetta ironica riceve reazioni assurde anziché sorrisi tolleranti.
Come molti sanno, su questo social è prevista l'apposizione di faccine a denotare le diverse sensazioni che un testo o una figura suscitano nel visualizzatore: dal semplice mi piace al cuoricino, dall'abbraccio alla risata, dallo stupore al pianto, ultima l'irritazione. Consentono di esprimere un'opinione senza sforzare troppo la mente e i polpastrelli per formulare commenti magari sensati, risparmiando tempo da dedicare al girar dei pollici che, in questo periodo, sono utili per dissipare l'aria calda facendo nel contempo una salutare ginnastica alle giunture degli stessi.
Appiccico queste faccine il meno possibile, più che altro per far capire che le conosco, pur misconoscendone l'utilità. Dove trovo interesse, preferisco battere due parole di commento a livello sempre personale. Talvolta si tratta di un po' più di due parole, ma cerco di assemblarle al meglio per tentare di dare loro un senso compiuto e comprensibile.
Altrimenti ripongo i diti nel loro contenitore e mi limito a commentare mentalmente, evitando così  gli eventuali fulmini e le saette di buontemponi che sempre più spesso solcano questo speciale universo.
Quando trovo immagini o testi di particolare interesse, solitamente presentati da gruppi specificamente dedicati, aderisco (si dice così per indicare l'entrata in quel gruppo) e mi godo quanto via via viene da questi offerto.
Tempo fa ne avevo trovato uno molto interessante che, con immagini (sempre bellissime) e testi mi riportavano a cose e parole viste in particolare nel corse della seconda gioventù; mi emozionavano e mi trasmettevano sensazioni e ricordi peraltro mai sopiti.
Centellinavo i commenti, poiché sovente pregni di commozione, che il tipico pudore della quarta gioventù mi vietavano di esternare.
Sarò breve (come sempre), e vado a raccontare in diretta l'episodio che mi ha inguaiato con questo gruppo, e che mi ha 'condannato' a una quarantena virtuale fino a poco fa.
Preciso che si tratta di un gruppo specificamente regionale, in cui il dialetto locale la fa generalmente da padrone, con casuali escursioni nell'italiano e alcuni in altre lingue straniere. In tempi neanche tanto lontani anche l'italiano era lingua straniera; col tempo i dialetti stanno scomparendo senza che per molti l'italiano sia divenuto lingua corrente, restando ben lontana da un uso accettabile.
Nei commenti a un'immagine che segnalava i vari sottodialetti nelle singole località provinciali, nel dialogo di puntualizzazioni e approfondimenti era spuntata una bestemmia, in dialetto, a fondo perduto; ossia che con tutto il resto non aveva alcun riferimento o motivo d'essere; era un'entrata a gamba tesa assolutamente gratuita. Essendo un autodidatta specializzato in bestemmiologia dialettale applicata, pur non essendo più credente, quindi tanto meno osservante, non mi era sfuggita.
Tanto esperto di bestemmie in dialetto quanto poco rispettoso della norma filosofica del 'chissenefrega', lo avevo fatto notare, in maniera educata e ironica, a colui che, forse involontariamente, l'aveva profferita. Ritenevo, altresì, che Facebook, che tutto sa e tutto può, avrebbe bacchettato brutalmente il poveretto. Ho avuto modo di vedere siti sospesi per una coscia troppo scosciata o una tetta troppo stettata o una bocca troppo sboccata, per cui avevo il fondato timore che una espressione punita, a torto o a ragione, dal nostro codice penale, avrebbe fatto drizzare le antenne al nostra padre quotidiano.
Invece no, evidentemente Facebook, che sa tutto e tutto sa, non conosce questo dialetto.
Poteva finire così... in fondo non è che la cosa mi avesse eccitato più di tanto. E se lo fosse, finita così, chi legge potrebbe finalmente andare a fare altro invece di perdere tempo con questo testo.
No, sarebbe troppo semplice, chi è arrivato fino qui merita un qualcosa di più: è noto che di una tazzina di cicuta è l'ultima goccia ad essere veramente letale.
Il mio collega di dialogo mi aveva ringraziato della nota, e per giustificare l'uscita estemporanea aveva scritto che gli era venuta pensando che quel detto corrispondesse al bergamasco pota.
Oramai ero in ballo e, pur non sapendo ballare, dovevo tentare di seguire la musica, per cui avevo pensato bene di erudirlo in merito (attingendo al poco che ne so). Non senza prendere atto che evidentemente il desso era leggermente confuso sul dialetto vigente nel gruppo.

Qui apro una parentesi virtuale per cercare di chiarire a priori quello che andrò a sviscerare.
Al pota bergamasco, il cui oggetto è chiaro a tutti, nel dialetto contrapposto sarebbe, paro paro, ciornia. Che non  ha nulla a che vedere con Oci ciornie, film degli anni '80 con Mastroianni e la Mangano. Alla sua uscita, nella mia purezza d'animo, prima di andarlo a vedere, avevo creduto che quel ciornie fosse il plurale della parte femminile indicata nel singolare del dialetto di cui sto trattando. L'oci, ignorando il russo, avevo pensate fosse l'articolo a sostegno di quel sostantivo. Essendo parte anatomica molto diffusa, ritenevo che il plurale ci stesse tutto.
Alla giustificazione avanzata dal mio corrispondente avrei potuto dire: là è detta pota, nel tuo dialetto si dice ciornia. Ma non credo che avrebbe soddisfatto quanto desiato da cotesto interlocutore. Anche perché né la bestemmia né quest'ultimo termine trovavano un punto di attinenza accettabile.
Avevo intuito che la sua uscita era un'interiezione erroneamente paragonata a quella bergamasca. Che, come si sa, viene servita in ogni contesto, quale che sia. Penso che perfino sul cappuccino ci stia bene. Che ha il difetto/pregio di avere una valenza prettamente locale, provinciale, limitata appunto al bergamasco; altrove sarebbe interpretata come esclamazione stramba, poco comprensibile.
Dovevo dare al bestemmiatore incauto un qualcosa che, in campo regionale parificasse quella. Ce ne sarebbero alcune, ma non sono ripetute e ripetibili come il pota bergamasco.
Avevo subito pensato a un qualcosa a livello più diffuso, ultraregionale, nazionale.
E torniamo in presa diretta, per seguire questa poco appassionante ricerca semantica.

La prima tentazione era stata quella di spiegare per esteso il contrapposto del termine pota. Avrei dovuto, seguendo le direttive del vocabolario, scrivere: "pota, nel dialetto bergamasco indica l'organo genitale femminile, altrimenti detto figa; il corrispondente immediato nel dialetto del gruppo è ciornia". 
Non ci stava, né in cielo né in terra... non riusciva ad esprimere la benché minima emozione, reazione... valeva quanto il pota seminato fuori dal territorio d'uso.
Avevo individuato l'interiezione utile alla bisogna in un termine che in italiano meglio si sposa con quella bergamasco: cazzo. Avrei potuto metterlo anche in dialetto ma, vista la poca dimestichezza del dialogante con questo, avevo tagliato corto, prendendo la scorciatoia in chiaro, che mi fu poi fatale.
La prima è espressione prettamente localizzata, il secondo è ormai entrato nel parlare comune, avendo perso il senso di una volgarità letterale, ormai desueta. Cazzo risulta sdoganato da Leopardi e da altri poeti e scrittori; la definizione del marchese del Grillo, riferita alla generalità dei suoi concittadini, è ormai storia, ed è sovente usata dai nostri politici in maniera plateale nel loro agire, pur se astutamente velata nei loro concioni.
Tempo qualche ora e, al rientro sul sito per seguire i dialoghi colà ospitati, e mi ero trovato una finestra che mi annunciava la sospensione dal sito, a 'quarantena' determinata, per quanto riguardava i commenti; per addolcire a pillola mi sarebbe stato consentito spiaccicare le faccine del mi piace.
Motivo della tremenda punizione: "Questo sito è seguito da oltre due milioni di lettori sparsi nel mondo, ai quali potrebbe non essere gradito l'uso di termini come cazzo".
Dispettoso come un bimbo capriccioso, per tutto il periodo ho evitato di mettere faccine a commento delle immagini, che restano bellissime.
Ho fatto presente a coloro che avevano emesso la sentenza la disparità di trattamento tra una bestemmia e una semplice, comune, diffusa, e non più malintesa, interiezione.
Potevo spiegare a questi difensori del parlar forbito che il termine cazzo è l'antesignano delle faccine, e che queste non potranno mai avere l'espressività visiva di questo sostantivo? Con "cazzo!" è possibile esprimere stupore, ammirazione, risentimento, ira, affetto, ecc., tutte sensazioni concentrate in un solo termine.
Potevo dire che è diventata termine internazionale alla pari di "ciao" e "maccaroni" o "spachetti"? E che i vari fuck, mierda, merde... al nostro cazzo fanno un baffo.
Certo, un perdirindindina (cit. Totò) è più pulito, niente volgare ma, a parer mio, ha preso poco piede e la sua collocazione in un discorso apparirebbe un po' forzata.  
Nessun riscontro alla mia nota... lo stesso mi succede nei messaggi a Tim.
Ho atteso la fine della quarantena e ho dato l'addio al sito.

Spero con questo capitolo di non aver urtato la sensibilità di alcuno dei poco più di due m̶i̶l̶i̶o̶n̶i̶ lettori che, con pazienza (spero non con disgusto) sono arrivati fin qui.
Rispettiamo ben altre quarantene tuttora in atto, con un pensiero reverente a chi le decide e trova notevoli difficoltà a farle rispettare. E rispetto e onore a chi, in camici e scafandri bianchi, fa di tutto per limitare i danni di una malattia lungi dall'essere debellata.
Per quanto mi riguarda, come detto, ci sono allenato... alle quarantene.

I sogni in quarantena


E la gente rimase a casa. 
E lesse libri e ascoltò.
E si riposò e fece esercizi.
E fece arte e giocò.
E imparò nuovi modi di essere.
E si fermò.

E ascoltò più in profondità.
Qualcuno meditava.
Qualcuno pregava.
Qualcuno ballava.
Qualcuno incontrò la propria ombra.
E la gente cominciò a pensare in modo differente.

E la gente guarì.
E nell'assenza di gente che viveva 
in modi ignoranti,
pericolosi, 
senza senso e senza cuore,
anche la Terra cominciò a guarire.

E quando il pericolo finì, e la gente si ritrovò,
 si addolorarono per i morti, e fecero nuove scelte.
E sognarono nuove visioni.
E crearono nuovi modi di vivere.
E guarirono completamente la Terra.
Così come erano guariti loro.

(K. O'Meara
poesia scritta dopo l'epidemia di peste del 1800)

Sembra il resoconto di un qualcosa che fu, invece è il racconto di un sogno ricorrente dopo ogni tragedia che ha colpito l'umanità. Nel corso del paio di secoli e rotti che sono seguiti a questa poesia, abbiamo subito ogni tipo di disastro, quelli possibili ed evitabili e quelli ufficialmente attribuibili a interventi estranei alla volontà dell'uomo.
Guerre, pandemie, terremoti, tsunami... In un solo secolo siamo riusciti a provocare due guerre universali, siamo riusciti a creare colposamente virus letali, dove non c'erano terremoti li abbiamo inventati con bombe specificamente destinate a una distruzione da "tabula rasa", siamo riusciti (e ancora oggi ci chiediamo come sia stato possibile) a mettere in mano a pochi menteccati il destino fisico dell'umanità...
E in ogni immediato successivo a questi impropriamente detti avvenimenti, l'imperativo ricorrente è sempre stato "Mai più!", nella convinzione che le esperienze tragiche appena vissute fossero esperienza indimenticabile da tenere presente in futuro.
Tempo qualche giorno, giusto quello di far appassire la rosa sbocciata in un mattino di primavera, e tutto ha preso a girare come prima, come se nulla fosse mai accaduto, e sempre peggio di prima.
Non siamo guariti, né mai abbiamo voluto seriamente guarire... trascinando la Terra verso un baratro che ci coinvolge sempre più, e da cui sarà impossibile salvarsi.
Il poeta  si affida al sogno seminando ottimismo; il realista non può più dissimulare il pessimismo; non tiene più la teoria del bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto: il nulla sta avendo il sopravvento e finirà per schiacciarci.
Fino a quando un bimbo morto in mare susciterà commozione, senza reazioni pronte e concrete, il cammino verso quel baratro sarà inarrestabile; fino a quando una foresta sarà data alle fiamme in nome di un progresso in realtà regressivo; fino a quando fiumi e mari saranno discariche di rifiuti e liquami venefici; fino a quando si colpirà l'avversario con i giochi di un'economia soffocante; fino a quando... fino a quando... fino a quando...
Sappiamo benissimo le cose che devono cessare, assolutamente e immediatamente, i sogni forse sono desideri, mai saranno soluzioni. Al risveglio del mattino, a sogno dissolto, bisogna tirarsi su le maniche e affrontare una realtà quotidiana, che non può più essere soggettiva ma universale, come lo furono il diluvio, le guerre, le pandemie: contrapponendo alla loro attività distruttiva una ricostruzione che sia vera rinascita del genere umano e della Terra tutta.
Un passo avanti sarà l'esclusione della politica (o, meglio, dei politici) dalle opere di ricostruzione; esperienze passate e recenti dimostrano che dove la politica assume la guida delle operazioni. alle botte si aggiungeranno botte, ai disastri si sommeranno disastri... con in più le loro risate di contorno. 

5 commenti:

  1. Il poeta si affida al sogno seminando ottimismo; il realista non può più dissimulare il pessimismo; non tiene più la teoria del bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto: il nulla sta avendo il sopravvento e finirà per schiacciarci... i sogni forse sono desideri, mai saranno soluzioni.
    Auspico il primato della Politica, (non dei sedicenti politici di cui scrivi), intesa come azione comune per il bene comune, ma i desideri sono sogni.
    Bel post.

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    1. Ho battuto molto sui politici proprio perché noi non abbiamo politici: abbiamo mestieranti arraffatutto, non solo voti. E all'orizzonte veri politici di razza non se ne vedono. Uomini e donne che vedano veramente nella 'polis' un servizio al popolo, alla nazione, che accettino come un onore questo servizio. Una delusione che scivola nell'amarezza, talvolta nell'ira.
      Grazie, Be, un abbraccio.

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    1. Già trovarne cinque credo sia un'impresa. In cambio abbiamo elettori più che degni e meritevoli di tali assenze. Il Covid è un qualcosa in più, anche senza questo saremmo mal messi, con questo siamo moooolto mal messi. Finirà per avere il sopravvento il classico chissenefrega, per cui, vada come vada, chi ha già vissuto perderà meno di chi ancora della vita ha visto niente.

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