venerdì 10 aprile 2020

Caleidoscopio

Avviso ai naviganti: credo che sarà leggermente lunghetto. In altri tempi avrei detto: "Se avete altro da fare, fatelo, che non perdete niente". Oggi: "Visto che avete ormai esaurito quello che avevate da fare, avete letto tutti i libri in casa, tv e pc vi hanno stufato... riempite quei cinque minuti scoperti, senza impegno da parte vostra e con impegno relativo per la parte mia". Si tratta di un cronoracconto senza pretese... E, a modo suo, vuole essere un ringraziamento verso chiunque in questo periodo combatte contro un malanno misterioso e subdolo; questo post non ne diminuisce, anzi aumenta, l'ammirazione per le tantissime persone che lottano per noi, sovente a costo della vita.

Medico di base

Non è una fake news, una notizia falsa o un pesce d'aprile; e non sono io a scoprirla.
Da un po' di tempo (in realtà molto breve, senza bisogno di confrontarlo con l'eternità, che a molti pare lungo come quest'ultima, per una insofferenza innata e cronica alle costrizioni, quali esse siano), siamo ufficialmente nel guano, o letame che dir si voglia, o nella merda secondo la Treccani.
Una volta diramate le direttive, con restrizioni ai movimenti e indicazioni sull'igiene (concentrate soprattutto sul lavaggio delle mani e sui contatti corporali), a corredo di queste è stata fornita una scala di contatti sanitari, in cui il medico di base ha assunto un valore chiaramente definito da sempre, ma che il tempo e le tecnologie avevano diluito.
Il ruolo rivisitato pone il medico di base (ex medico di famiglia) proprio come base di una piramide, al cui vertice estremo si trova la sala rianimazione. A dire il vero quel vertice ha il suo apogeo in una sala mortuaria, ma quello non è oggetto di questo post.
All'esplodere della pandemia, le indicazioni di intervento avevano escluso da subito il ricorso diretto agli ospedali, in particolare ai pronto soccorso, e al numero nazionale di soccorso 118 (anche il 112, che avrebbe smistato a chi di competenza il problema da risolvere).
In prima battuta unico punto di riferimento è il medico di base.
È un po' il casa base del baseball, il noto e appassionante gioco tipicamente americano; casa base da cui si viene indirizzati una palla verso altre basi, che via via, nel caso nostro, diventano primarie nel prosieguo del percorso sanitario.
(Confesso: ho scritto 'appassionante' solo per far felici i lettori americani che un domani dovessero approdare su questo sito.
In realtà, ma parlo solo per me, di appassionante (o quantomeno comprensibile) trovo ci sia poco. In passato ho avuto modo di frequentare un giornalista veramente cotto per questo sport; bastava lanciargli la palla che lui, a mo' di battitore, scatenava la sua conoscenza enciclopedica su quello sport. Non si fermava fino a quando non riusciva a piazzare un fuori campo... che per chi lo ascoltava significava averle proprie piene.
Quando citava, e lo faceva spesso, Joe Di Maggio i suoi occhi brillavano come quelli degli scout quando citano Baden-Powell. Entrambi poco conosciuti, ma Di Maggio lo conoscevamo come marito di Marylin Monroe e pure perché col baseball aveva fatto un mucchio di quattrini, anzi di dollaroni, il che ci faceva riconoscere che in quella specie di sport qualcosa di buono doveva esserci.
Amava anche i cavalli, in teoria sapeva tutto di corse e di scommesse, nelle scuderie degli ippodromi era di casa, i fantini se lo tenevano buono nel timore che attribuisse a loro stessi le mancate vittorie, anziché alla sfortuna o altri inghippi; ma le dritte 'sicure' che ci dava, a noi pischelli ingenui non avevano portato in tasca manco una lira. Per cui anche parlando di baseball alla fine veniva invitato a darsi all'ippica...).
Tornando al medico di base, nel caso mio personale è successo quanto vado a raccontare, premettendo un breve riferimento alla pre-historia.
Nei secoli precedenti avevo quasi mitizzato la figura del medico; in parte anche quella dei preti. Vedevo il medico come la persona che ti accompagna fino al bordo di un baratro; quando ti lascia subentra il prete che, mascherandolo da benedizione, ti affibbia il calcio nel sedere che ti scaraventa nel burrone. Per me, e per altri come me, il medico e il prete erano immorituri, forse eterni.
Ricordo ancora la prima volta che ho saputo della morte di un medico: era stato uno shock brutale, superato solo dalla scoperta che anche i preti fumano; fino ad allora, buona parte dei preti conosciuti si nutriva di tabacco da fiuto, presentato non come vizio ma come cura... mai appurato di cosa, il che consentiva loro di accogliere il compatimento di noi ingenui (forse pure stupidini e creduloni), accettando la schifezza puzzolente di cui facevano abitualmente bavero.
Il medico: da quasi otto lustri ne ho avuto uno, che mi aveva conosciuto la prima volta in seguito a una frattura della testa del perone, rimediata per l'urto di questa con una macchina scassata, contenente quattro individui alticci che avevano ritenuto di fermare il mezzo contro la mia gamba destra, mentre attraversavo sulle strisce; si recavano a un funerale poco più avanti e invero andavano piano, ma tanto era bastato per fracassarmi il pezzo.
Era un venerdì sera, al pronto soccorso mi avevano fatto qualche domanda per accertarsi che fossi cosciente (e lo ero), mi avevano applicato un po' di punti alla testa (non frantumata, ma ferita nel rimbalzo), mi avevano sollevato una alla volta le gambe e, attribuendo il dolore alla botta, avevano ritenuto superfluo passarmi i raggi. Avevo un centinaio di chilometri da fare... non posso dire di averli fatti "gambe in spalla", poiché il dolore boia mi aveva costretto a procedere quasi a passo d'uomo; limitando al minimo il tocco del freno per evitare il rischio di svenire.
Come detto era venerdì, ero tranquillizzato dal referto dell'ospedale che escludeva danni importanti o fratture. Ma il dolore diventava sempre più lancinante a ogni minimo movimento pedonale.
Lunedì mattina avevamo chiamato il medico, quello di cui parlavo, che oltre al piacere della conoscenza diretta, mi spediva al pronto soccorso prossimo, poco oltre sotto casa.
"Non si muova, non appoggi la gamba, c'è una frattura...".
La prima e unica frattura della mia vita, fino ad allora e oltre, fino all'oggi; toccando ferro...
Dopo quella prima volta mi aveva rivisto, più che altro per prescrizioni a mia moglie.
Ebbene, a fine '18 il "marrano" (Doc, le virgolette ti dicano che lo dico affettuosamente) se ne era andato in pensione. Il primo mese del '19 ero stato apolide sanitario, in attesa della nomina del sostituto. Con cui non avevo avuto difficoltà a intavolare un rapporto di simpatia.

E siamo arrivati al 2020.
Da qui in poi è la cronaca di sviluppi incredibili, imprevedibili, per certi versi inaccettabili.
Premettendo che si tratta del racconto di un fatto curioso, che nulla vuole togliere all'ammirevole dedizione quotidiana della classe medica, di quella infermieristica, farmaceutica e quella di quant'altri in questo periodo buio illuminano un tunnel di cui non s'intravvede la fine.

Ho la "fortuna" di portarmi addosso alcune patologie, che catalogo con dei verbi: la prima è abbinata al verbo sperare, la seconda va con aspettare... se n'è aggiunta una terza, recente, che si sposa con temporeggiare. Per tutte ho l'assistenza di specialisti nei rispettivi rami di competenza, per cui la presenza del medico di base sarebbe stata teoricamente superflua.
La terza patologia prevede(va) un "piccolo" intervento; esami pronti, data fissata... cadente, manco a dirlo, nel primo periodo di quarantena nazionale; ergo rinviato sine die. 
"Piccolo" intervento, quantomeno di routine, come lo aveva definito la dottoressa che dovrà eseguirlo, nell'opera di convincimento all'adesione; la stessa che si offre a un coniglio prima di matarlo.
E il coniglio, nello specifico, sono io... modestia a parte.
Partendo dal presupposto che per me già un prelievo di sangue per le analisi di laboratorio è 'intervento' poco meno che chirurgico, viene facile immaginare quanto dovrebbe essere insignificante questo per essere accettato come 'piccolo'; l'unico prelievo che non mi ha mai creato problemi è quello per l'esame delle urine. Mi pare di ricordare che da appena nato avessi dato spontaneamente il liquido, senza bisogno di sollecitazioni o rassicurazioni. Oltre quello, tutti gli altri mi angosciano... a prescindere.
C'è un verbo che ingloba i tre citati, ed è 'pregare'...
Non facciamo scherzi... pregare inteso come chiedere al medico di base di prescrivere i medicinali a suo tempo indicati dagli specialisti o richiedere le visite specifiche afferenti ciascuno.
Niente altro, niente di impegnativo. I medicinali, tra l'altro, non sono curativi, per i quali sarebbe necessario un monitoraggio di verifica; si tratta di farmaci comuni, atti a tamponare eventuali fughe in avanti dei verbi sperare e aspettare. Per le visite specialistiche, una volta compilata la richiesta, la palla passa al CUP e alle liste di attesa... di solito infinite, assai più del periodo di quarantena in atto.
Quarantena che sto rispettando pedissequamente, anche in considerazione di una ulteriore patologia, prima ignorata: l'età.
A forza di sentir dire che i più esposti al virus sono quelli di 'una certa età', per preservarmi, mi ci sono ficcato, con la speranza così di riuscire a raggiungere in vita quella famosa 'certa età', mai ben definita...
Ai domiciliari secchi, da subito...

E vado, in diretta streaming, a raccontare una settimana di calma affatto piatta..

Anno 2020: non vedevo né sentivo il mio medico dai primi di dicembre scorso anno.

Lunedì 23 marzo, quando l'estensione delle misure di contenimento a livello nazionale erano ormai in corso da circa un mese, lo avevo chiamato per vedere se fosse possibile inoltrare le ricette direttamente in farmacia, da cui avrei provveduto in qualche modo a ritirare i farmaci. Li aveva già nel data base del pc, forse le avrebbe mandate per email...
"Mi dispiace, Pietro, da pochi giorni non sono più medico di base, non sono più tuo medico di riferimento. Nel corso dell'anno è stato completato il concorso per quel posto, e un concorrente mi ha superato nel punteggio. Vai allo studio, ché il nuovo fa base là".
Una situazione che non mi giungeva nuova, in tempi normali avrei ripetuto l'iter burocratico previsto e chiuso il discorso.
In tempi normali.
Oggi, nel pieno della rivalutazione del ruolo, mi ritrovavo nuovamente apolide sanitario; in un momento quanto mai inopportuno.
Lo stesso lunedì mattina avevo interrotto la clausura per recarmi allo studio, ritenendo di andare a conoscere il nuovo medico e ottenere le ricette;  persone in attesa, ma di altro medico, il mio prevedeva un'ora di studio al pomeriggio. Gli attendenti mi avevano indicato alcuni foglietti attaccati al vetro con nastro adesivo, in cui era riportato il suo contatto telefonico, subito memorizzato sul mio cellulare. Strano, oltre al numero fisso ormai poco comune, mi aveva colpito lo scritto manuale dei messaggi; sta a vedere, avevo pensato, che mi ritrovo un medico amanuense, genere che ritenevo tramontato da un pezzo.
A casa, chiamo il numero; una voce femminile registrata mi segnala un altro numero per provvedere al cambio medico. Lo stesso altro numero che ricordavo di avere visto sul secondo foglietto.
Martedì 24: ritelefono al numero del medico, stessa risposta. Interrompo la clausura per andare a fotografare i due messaggi, che riporto qui sotto, regolarmente sbianchettati per via della privacy. Chiamata al numero, altrettanto fisso, per comunicare la scelta: operativo lunedì-mercoledì-venerdì, solo al mattino fino alle 13.









Mercoledì 25, per prima cosa effettuo la scelta del cambio medico.
Apprendo così che la burocrazia, in occasioni speciali, può essere abbattuta. Col precedente cambio, quello a inizio '19, mi ero dovuto recare all'ufficio con tessera sanitaria, compilare e firmare un modulo di rinuncia al medico transfuga, e altro modulo per la scelta del nuovo, compilato con data e firma. Stavolta: nome e cognome, con chi vuole andare? Punto, fatto...
Giovedì 26: per la terza volta, interrompo la quarantena... sto diventando un bersaglio del virus, che mi guata ormai, forse in attesa per ghermirmi, giochicchiando come gatto col topo.
Studio: quattro persone in attesa, tutte con cartoncini di medicine in mano, orario di ricevimento 10-12; sono le undici e mi dicono che è in visita una sola persona. Lascio perdere, rinvio; non prima di raccogliere l'invito dei presenti a tornare armato di mascherina e guanti, "altrimenti non la fa entrare". Bene, bravo.
Si vede che, oltre alla scrittura manuale, questo medico agisce come i medici condotti di un tempo: prima di dare un medicinale era d'obbligo una visita accurata per stabilire se de facto fosse adatta alla bisogna.
Eppure ero convinto che espressioni tipo: "apra la bocca e dica ahhhh", "dica trentatrè", "respiri profondo con la bocca, espiri col naso, trattenga il fiato" , "tossisca"...; non ricordo, presso i medici di base, il freddo dello stetoscopio sulla schiena, o il picchiettio con le dita alla ricerca nel torace dell'effetto botte, o l'affondare le mani nell'addome "fa male qui?"...
Meno che mai in questo periodo...

Ci riprovo venerdì 27, ultimo tentativo: orario 10-12, solo tre persone in attesa all'esterno, io sono il quarto, regolarmente mascherinato e guantato come tutti e, come gli altri, con in mano il foglietto lista medicine. Sospiro di sollievo, leggerissimo, onde evitare di ingerire macrogrammi di virus, forse oggi ce la faccio. Nel frattempo si erano aggiunti due pazienti, sicuramente ignari di quanta pazienza si dovevano armare. Santa, manco a dirlo.
Ma... si fanno le 10,30 e non ha ancora fatto entrare nessuno.
Perdonate il francesismo: palle a terra...
Presumo che il tempo trascorso lo abbia impegnato a
disinfettare gli attrezzi del mestiere, il pc (sperando che lo abbia), le sedie, il tavolo, i muri, il pavimento...
Alle 10,35, avanti il primo.
In poco più di un lampo i tre vengono accontentati e licenziati.
Beh, un lampo lungo, a dire il vero: alle undici e un quarto è il mio turno. Un colpo di tosse preventivo onde evitare allarmi nel cerusico.
Lui: intanto è munito di pc, con monitor di 24'', di stampante compattata in dimensioni ridotte e un altro aggeggio tecnologico che non sono riuscito a inquadrare,
Mezza età avanzata, occhiali da vista sulla fronte, mascherina, no guanti.
Nell'insieme una figura quasi paterna.
Chiede il nome e cognome, verifica sul monitor che non sia un abusivo e avvia il contatto.
Sorvola, forse per accelerare i tempi della visita, su domande insulse, sul tipo di "come sta?" o "quali sono i suoi malanni?" e passa direttamente a "cosa le serve?".
La stessa domanda e lo stesso tono che riscontro entrando in un negozio di ferramenta, in posta, al bar...
Ho quattro medicine, che ritengo (a me che le assumo da una cinquina d'anni a ritmo costante), siano ormai parte di me stesso e ritenevo essere d'uso molto comune; di ciascuna ho sempre evitato di leggere il cosiddetto bugiardino, per evitare crisi di rigetto a prescindere.
Molto ordinato, stende in bella vista i quattro cartoncini e di ciascuno cerca il codice relativo da citare nella ricetta (bianca).
Tre vanno via relativamente lisci.
Per uno non c'era verso di individuare la dicitura precisa. Avevo sempre creduto fosse un medicinale da poveri, e invece dà l'impressione di trattarsi di farmaco rarissimo. Evidentemente è talmente prezioso che la farmaceutica ne ostacola la diffusione.


Questa è la sua scatola.
Venti minuti abbondanti per imboccare la strada giusta per la prescrizione. Non mi chiedo più il perché dei tempi lunghi. È chiaro che era il computer a non trovare i codici precisi.
Durante la ricerca avevo buttato lì un timido "la scriva a mano...", ricevendo in risposta uno scandalizzato "noooo!".
Avevo anche pensato, solo pensato, di invitarlo a lasciar perdere, che € 1,41 potevo ancora permettermeli... che poi, in denuncia dei redditi, avrei recuperato 26,8 €/cent, quindi con una spesa effettiva di 1,14 €, nell'insieme accettabile. Lo avessi detto, forse mi avrebbe fulminato...
In corso di visita aveva squillato un cellulare, e non era il mio. Aveva risposto e, in corso di risposta, mi aveva chiesto se ci fosse alcuno in attesa.
"Un paio".
"No, tranquilla, puoi venire tra qualche minuto. Ciao, ciao".
Tramortito, sia dalla scoperta che aveva un cellulare, la cui linea era concessa ai parenti o pochi altri privilegiati, ma, soprattutto, dalla tempistica proposta all'interlocutrice.
Per farla breve (in questo paragrafo, intendo) libera uscita a mezzogiorno meno venti.
Non ho fatto commenti, un doveroso sguardo compassionevole ai due poverelli in attesa, e sono rientrato all'ovile.

Fin qui la cronaca.
Considerazioni durante il rientro in macchina: secondo me, ripeto secondo me, questo signore non è un medico, è uno sportellista delle poste, prestato, forse regalato, forse sbolognato, al servizio sanitario per fronteggiare la carenza di sanitari di base in questa fase di crisi nera; magari motivando il dono con la scarsa redditività allo sportello della posta, che nel complesso quanto a efficienza e precisione ha fatto scuola.

E per finire questa prima parte: lunedì 30 ho cambiato medico; nessun problema da parte dell'ufficio, salvo un leggero intoppo a inizio telefonata. Avevo detto nome e cognome, e l'addetta mi aveva bloccato, chiedendomi il codice del permesso di soggiorno. Avevo ribadito meglio il cognome e si era fatta una risata: "Dall'accento mi era sembrato uno straniero, mi scusi"...

Salto di palo in frasca, ma solo apparentemente.

Si dice "vox populi, vox Dei", che è notoriamente un falso storico.
Da sempre, la voce del popolo è quella di un gregge, dal quale emerge periodicamente qualche caprone astuto, sovente diabolico, sempre furbastro, che indovina la 'tigre' buona da cavalcare, convincendo il gregge che sia l'unica valida per risolvere ogni problema. Di questi caproni è pieno il passato e, 'imparati' da quelli del passato, oggi ne spuntano qua e là, riuscendo appunto ad imbonire il branco di pecore. Che con i loro belati di adesione e approvazione finiscono per autoconvincersi di essere la voce di Dio.
Di un Dio qualunque, non fa differenza...
Caproni che della Storia conoscono solo la parte gaudiosa e gloriosa, ignorando che tutti i predecessori hanno fatto una pessima fine.

Agganciato al discorso precedente su quel medico, passo un aggiornamento che credo, spero, sia un fake, una falsa notizia. Non ha una fonte precisa, è una specie di vox populi (sul tipo di Tizio l'ha passata a Caio e Sempronio, che l'hanno passata a quattro amici al bar, l'unico rimasto semiaperto, e così via moltiplicata come i chicchi di riso su una tastiera metaforica verbale) che non avrei preso in considerazione se non avessi vissuto in prima persona l'esperienza prima raccontata.
Dunque: intanto ha sbaraccato la mia ipotesi che si trattasse di un postaiolo prestato alla sanità.
Dice la vox che si tratta di un medico impiegato in guardia medica, dice che fra un anno va in pensione, dice che ha partecipato al concorso "per arrotondare lo stipendio" in quest'ultimo anno di lavoro (presumibilmente per 'ingrassare' un po' la prossima pensione), dice che non lascia il servizio di guardia medica, dice che conta di accettare un numero limitato di pazienti...
Il che spiegherebbe l'orario di studio ridotto all'osso e il numero esiguo di pazienti, che potrebbe essere dovuto a qualche regolamento sanitario che, in presenza di due piedi in una scarpa, ne contingenti l'assunzione a numero pieno...
Alla luce della situazione odierna nazionale, e mondiale, a fronte di decine e decine di medici che muoiono in trincea, e delle centinaia e centinaia che combattono in corsia, col supporto di migliaia di persone, tutte a rischio, una simile manovra (pur nella sua burocratica liceità) sarebbe abominevole. Nel caos sanitario in atto, nel momento in cui il medico di base è indicato come primo unico punto di riferimento nell'affrontare questa pandemia, aver messo in crisi centinaia di persone in un momento così topico, famiglie intere, un borgo vecchio e le campagne della zona montana, zeppe di persone anziane, cui il medico precedente dava assistenza anche domiciliare, anche perché paesano, e che ora (qualunque sia la verità sul come e sul perché del cambiamento), sono abbandonati a se stesse, visto che il nuovo viene da fuori e sicuramente non potrà essere presente in caso di bisogno urgente, mi strappa un commento che oscilla tra due aggettivi: miserevole e miserabile.
Miserevole, che ispira compassione, verso coloro che sono costretti a subire, senza armi per reagire, costretti in un vortice di incertezze in aggiunta ai timori sull'evolvere della situazione generale.
Miserabile, che ispira disprezzo, verso chi ha progettato e messo in atto l'operazione.
Da medico lo avevo declassato a signore (che comunque non era male, visto che signori si nasce), adesso, a fronte di quanto vociferato, diventa individuo e tale resta. Per non dire di peggio...

SE (che non è un errore di battitura ma un maiuscolo rafforzativo del residuo di dubbio) la vox dovesse confermarsi fondata, la mia reazione personale sarebbe di amarezza e di rabbia (lo so, la rabbia viene attribuita solo ai cani, il sinonimo più prossimo sarebbe di incazzatura, qual è).
L'amarezza è il tarlo che rode l'interno (fegato o stomaco) a livello personale e virtuale.
La rabbia, o incazzatura, è una manifestazione a livello globale, che potrebbe non limitarsi alla virtualità.
SE dovesse rivelarsi senza fondamento, parziale o totale, questo testo sarà solo una lettura per passatempo nelle lunghe ore di reclusione.
Nel caso riuscissi ad approfondire i fatti, sarà mia cura aggiornare prontamente quest'ultima parte di post.
La diretta precedente passa comunque agli atti.

Blocchi stradali

Le mie uscite dal nido hanno trovato il primo paletto nell'emanazione dei decreti relativi all'autocertificazione dei movimenti fuori casa.
Tutte le uscite citate hanno coinciso con nuovi editti a cadenza giornaliera, ciascuno nuovo sovrapponibile al precedente, a sua volta annullato.
Non sono tecnologicamente avanzato, ma sono in grado di scrivere quanto di mia competenza, negli spazi dedicati, direttamente sul computer. Ho compilato quattro autocertificazioni, identiche nella sostanza ma differenti l'una dall'altra per ricorrenti aggiunte governative.
Prontamente oggetto di satira su stampa e social...
Pignoletto come sono, prima di ogni uscita preparavo il papiro; sempre poiché pignoletto lasciavo in bianco gli spazi che ritenevo dovessero essere compilati da chi mi fermava.
La mia precisione non è mai stata premiata, del che mi rammaricavo, uscita dopo uscita: mai fermato, mai visto gente in divisa. Eppure non cercavo scorciatoie o vicoli sconosciuti.
Alla fine dei fatti prima descritti, ero andato in farmacia per ritirare i farmaci così avventurosamente ottenuti. L'autocertificazione, regolarmente stampata, era l'ultima versione, del 26 scorso mese.
Strada principale, in piena mattinata, arrivato in farmacia, ritirato il malloppo, ero sulla strada del rientro, regolarmente indicata sul modulo.
A circa un chilometro da casa,  due vigili mi avevano fermato. Li conosco. Accosto.
Ne abbiamo quattro, uno dedito ai servizi amministrativi (e mi chiedo cosa diavolo amministri quando tutto è bloccato), una vigilessa e due agenti operativi sulle strade. Più una comandante.
Trionfante, avevo sbandierato il mio modulo stampato di zecca, in attesa di commenti ammirati per la chiarezza e la precisione.
Uno dei due mi aveva invitato a completare con la data, l'ora e il luogo del blocco, suggerendomi, bontà sua, le tre voci richieste. Firmato. Arrivederci.
Magari! Rifermato.
"Devi compilare il campo dell'identificazione".
"Ma non dovreste farlo voi?".
"No, devi farlo tu, anche perché sono senza occhiali".
Col tempo ho imparato a non perdere tempo a contestare le forze dell'ordine, i vigili locali meno delle altre; non arrivo a dire che è sarebbe il classico "come lavare la testa all'asino", ma neanche spazzolarlo.
Ma qui lo posso fare, forse impunemente.
La dicitura rimasta in bianco dice: "Identificato a mezzo.......", seguita dalle voci relative all'avvenuta identificazione.
Avevo ritenuto, evidentemente a torto, che la conferma che il fermato (indagabile, ma sul momento non indagato) corrispondesse ai dati di un documento di riconoscimento, da visionare a cura degli agenti e confermare. Dal punto di vista suo, del fermante, nell'autocertificazione generale era da inserire un'autoidentificazione che il soggetto stesso garantisce corrispondere al vero.
Senza esibizione di alcun documento in controverifica...
L'ipotesi che i dati forniti possano essere falsi (frutto di smarrimento, o furto di un documento), usati in maniera fraudolenta, evidentemente non è previsto nella casistica.

Vabbé, avevo cacciato la biro, tolto gli occhiali (miope incallito) e avevo estratto dal mucchio il documento che mi identificasse.
Da anni non ero stato chiamato a mostrare patente o carta d'identità, nel tempo erano passate dal cartaceo classico alle tessere plastificate con chip di lettura. D'uso comune avevo solo la tessera sanitaria e la carta del banco posta.
Appoggiato al cofano, tra il riverbero del sole e la nulla dimestichezza nella lettura dei documenti delegati alla certificazione, avevo preso il primo capitato alla vista, iniziando a riprendere i dati richiesti dal regio editto.
Patente di guida... numero (ce n'era uno, malamente leggibile, in alto a destra, e uno più in grassetto in basso, sempre a sinistra).
"Qual è da mettere, quello in alto o quello in basso?".
Il mio assistente presbite aveva chiesto aiuto al collega, giovane e visivamente normodotato.
"Quello in alto", e nel dubbio non sapessi la differenza tra alto e basso, me lo aveva indicato con l'indice.
Rilasciato da 'Ministero dell'Interno'; data rilascio '2018'... perfetto, fatto tutto.
In corso di compilazione mi era caduto lo sguardo sulla data di scadenza, ma si era trattato di un brevissimo lampo, sul tipo delle vecchie lampadine a incandescenza quando, dopo un breve lampeggio, si fulminavano.
Data e luogo (l'ora l'avevo dimenticata), firma e consegna all'autorità in divisa.
Nel rientrare, con la lampadina ancora fulminata, mi era venuto spontaneo picchiettarci sopra per vedere se mai i filamenti si fossero ricollegati. Lo erano: e mi avevano illuminato sulla data di scadenza sbirciata di sguincio: '2028'.
Un po' anomala, visto che da parecchi rinnovi mi vengono concessi solo tre anni di vita (automobilistica).
Durante lo scambio di indicazioni e la compilazione, un via vai di auto, verso tutte le direzioni. Un colpetto di clacson o un gesto di saluto con la mano erano il lasciapassare virtuale. Si sa di gente che ogni giorno va a pescare, di altri che, con locali commerciali chiusi, vi si recano ogni mattina, alzano la saracinesca ed entrano, ufficialmente per pulire. Ogni giorno, altro che casalinghe assattanate dalla pulizia, altri ancora che oggi l'etto di burro, ieri la carta igienica, domani gli stuzzicadenti...
Tutta gente che viaggia sulla fiducia, non credo che ogni giorno sia munita di lasciapassare.
Solo i fessi ne sono forniti...
Arrivato a casa, controllo dei documenti, carta d'identità 2018 scadenza 2028, patente 2018 scadenza 2021: come volevasi dimostrare.
Compilato di corsa un nuovo modulo modificato, ero uscito alla ricerca dei due angeli custodi.
Spariti... Senza modulistica adeguata avevo girato tutto il paese, pensando avessero spostato il posto di blocco. Nada de nada, niente di niente...
Ero andato alla sede del loro comando, con l'intenzione di lasciare il mio papiro in deposito e li avevo trovati in sede.
Chiarito l'equivoco, dovevo solo firmare e indicare il luogo del blocco.
"Come orario, metti le 11,30".
E in effetti erano le 11,30... in quel momento.

Malignità: ho avuto l'impressione che fermassero solo quelli che sapevano essere sicuramente in regola, e io ero una certezza assoluta (il fesso prima accennato). Gli altri, quelli transitati, forse erano in regola o forse no. In entrambi i casi meglio non approfondire, i due conoscevano bene i loro polli... meglio evitare discussioni e probabili future inimicizie.
Della serie: ti conosco, mascherina, e per questo ti fermo; ma anche: ti conosco, mascherina, e per questo non ti fermo...
Altro: avevo messo l'ora indicatami, avallando il fatto che alle 11,30 i due erano ancora intenti al controllo su strada; la mia firma era una garanzia.
La garanzia del solito fesso, miope incensurato...

Alcuni giorni dopo dovevo recarmi a un centro a circa 15 km dal mio domicilio, attraversando, dall'esterno su una strada statale di collegamento, tre paesi, di cui uno particolarmente minuscolo. In quello di partenza gli agenti, come detto, erano bonari, caserecci; gli altri paesi erano stati blindati alle entrate e alle uscite della statale, bloccavano se privi di documento di viaggio.
Uno addirittura aveva chiuso i varchi con blocchi di cemento, i new jersey, che il prefetto aveva bocciato concedendo le chiusure con reti di cantiere, rosso vivo senza rischio di impatti violenti.
Le varie polizie locali non operavano sulla statale; qui era la polizia di stato o i carabinieri a imporre l'alt.
Un condomino, in uno dei rari incontri (in sicurezza, distanza tre metri e più, senza mascherine né guanti) mi aveva raccontato la sua esperienza di transito nel paese vicino. Vi si era recato per andare alla banca. Fermato dai mastini locali, si era sentito chiedere cosa andasse a fare in banca. Aveva trovato curiosa la domanda, al di là del fatto evidente che raramente si va in banca a comprare bistecche; dando retta recarsi in farmacia richiederebbe l'esibizione delle ricette.
Ma il fatto che mi aveva istruito sui futuri comportamenti era stato questo: all'andata aveva consegnato l'autocertificazione ai vigili, quelli che avevano indagato un po' più del dovuto. Al rientro era stato bloccato dai nostri angioletti, che volevano a loro volta sapere da dove venisse e dove andasse, volendo la documentazione relativa ai suoi spostamenti.
Di cosa fosse andato a fare in banca non gliene poteva fregava di meno.
Come detto, i nostri vigili sono vigili da caminetto e gli avevano creduto sulla parola.
Ma io, che dovevo transitare (dall'esterno) sulla statale, avrei trovato sicuramente polizia, carabinieri, finanza, protezione civile, unità cinofile... e non è detto che fossero tra loro collegati.
All'andata ero pronto all'alt sulla destra della carreggiata, al ritorno, difficilmente dirimpetto, li avrei trovati sempre sulla destra, ma dall'altra parte.
Da buon fesso, mi ero munito del documento in duplice copia ed ero partito.
Mascherina, guanti e carta di passaggio.
Non un'anima, non dico delle forze dell'ordine, ma proprio zero incontri; neanche un cane che mi avesse attraversato la strada per dimostrarmi che non ero solo.
Mi piace pensare che tutti i delegati ai controlli avessero appoggiato sul cruscotto dei mezzi il mio profilo, a indicare l'inutilità del fermarmi.
Oppure erano tutti in pausa caffè... ovviamente con la moka portatile, collegata agli accendisigari.

Fine, alla prossima, salvo contrattempi.

3 commenti:

  1. Noi in paese abbiamo un medico di base che somiglia, per attitudine, a quello che è capitato a te. Quest' anno compie 70 anni quindi dovrebbe andare in pensione, per fortuna.
    Per quanto riguarda il modulo di autocertificazione io mi meraviglio che ancora non lo cambino con un altro ma ormai è solo questione di tempo. I burocrati danno sempre il meglio di loro soprattutto durante le emergenze. Le forze di polizia non sanno che pesci pigliare, d' d'altronde non è mai tutto uniforme, non sia mai che qualche sviluppo nella nostra nazione vada di pari passo.

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    1. Ho voluto raccontare una settimana particolarmente balorda (tra tante); la parte del medico, più che per me, l'ho descritta per decine di famiglie che vivono sparse nelle montagne sopra il paese; pensando anche i tanti anziani del borgo vecchio lasciati a se stessi e letteralmente reclusi. Non hanno la posta, o se apre uno sportello lo fa per un paio di giorni per il pagamento delle pensioni; e la mancanza di un medico di pronto riferimento è un fatto gravissimo. Anziani che hanno faticato per una vita, combattendo i malanni con i "rimedi della nonna", uscendone sempre vincitori, ma la vecchiaia ne ha portati di nuovi che si accaniscono su organismi debilitati dall'età; e che proprio in un periodo così drammatico sprofondano in una solitudine sanitaria che ritengo criminale.
      Quanto ai controlli: forse sono l'unico modo per fermare coloro che snobbano questo accidente, ma sicuramente le dritte sono tuttora confuse, con una lettura dei ddl affidata più al senso individuale che ai blocchi. A parte il fatto che tutta l'operazione antivirus è stata pregna di pressapochismo e di valutazioni politiche più che sanitarie: un tutti contro tutti già a livello sanitario, dove tutti sanno cosa dire in contrasto con altri tutti che dicono il contrario, entrambi ottenendo una platea di seguaci che fanno proprie valutazioni su cui non sanno nulla, fidandosi del guru di turno.
      Forse la Terra è veramente piatta; se non lo fosse, piatti stiamo diventando noi, per simpatia...
      Ciao, buen retiro.

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