lunedì 7 gennaio 2019

Su un libro di poesie

Commentare una poesia non è facile.
Chi la propone vede qualcuno o qualcosa in un modo tutto suo proprio, con una visione assolutamente personale; difficile per chi la legge riuscire a riproporsi gli stessi sentimenti, lo stesso vedere del poeta.
Questo per una singola poesia; quando si va a leggere un libro intero di poesie dello stesso autore, ci si trova ingarbugliati in una ragnatela di 'cosa' in ognuna egli intendesse dire, e di mai finiti 'perché' che a loro volta aprono a mille altre domande che restano tali, senza mai trovare una risposta.
Invogliato da un amico, appassionato lettore e altrettanto ferrato scrittore, ho acquistato un libro di poesie che lui aveva recensito con la passione che gli è congeniale verso tutte le opere che non abbiano una sola possibilità di lettura, vincolata da una trama troppo preconfezionata su binari da cui non è possibile deragliare, con prologo-cuore-epilogo tracciati su un unico filo conduttore che, pur essendo di possibile splendida lettura, non dà l'uggia di svariare al di fuori di fantasie correlate ai singoli testi.
Il libro è di Nicola Vacca, scrittore che non conosco né di persona né per altre sue opere precedenti, salvo qualche assaggio in letture veloci e, lo confesso, poco attente. Ho sette libri in lista d'attesa, me li sto sciroppando uno per uno e, almeno per un po', non ne voglio aggiungere altri.
Potrei non avere tempo a sufficienza per cominciarli, figuriamoci per finirli...
L'ho preso per curiosità, visto che nella recensione citata, queste poesie erano presentate non come porta in entrata di un sapere ridotto a singoli pensieri, ma come portone in uscita di dubbi, e relative domande, velati da una forma di amarezza e speranza.
In questo libro Vacca applica l'antica prassi (mefistofelica) del lancio del sasso in un lago che già tracima di dubbi e domande, con l'invito al lettore a seguire i cerchi concentrici fino al loro infrangersi sulle sponde.
Cerchi che si dissolvono in un nulla senza possibilità di recupero.
L'Autore si definisce laico, ma nelle sue poesie non esita a scivolare nell'agnostico.
Da laico osserva ed espone un suo pensare, non fa nulla per nascondere il suo non credere, pur lasciando apertamente capire che il suo è un agnosticismo sui generis: non crede ma vorrebbe credere, non crede ma vorrebbe sapere, non crede ma vorrebbe sperare di poter credere.
Il credente verace crede: punto e basta. Evita di fare e farsi domande su quello in cui crede, è granitico nella sua convinzione e difficilmente si riescono a iniettare in lui interrogativi, per altri umanamente accettabili, magari discutibili. Neanche nel senso corrente del pourparler., di parlarne per parlare.
Un poeta, vedendo, che dire, una nuvola, ne descrive sì la morfologia aerea, ma ne propone una visione più eterea, esprime la sensazione personale che la detta nuvola gli dà; chi lo legge capisce perfettamente sia la descrizione fisica che qualche spicchio di quelle sensazioni. Soggettivo il testo della poesia, soggettive le interpretazioni che ciascuno le dà.
Il poeta magari fa intravvedere dietro una nuvola, per nera che sia e gravida di piogge temporalesche, il sole che, superata questa, effettivamente deve esserci.
Nicola Vacca, in queste sue poesie va oltre, molto oltre.
Arrivato al sole non si ferma, e non si ferma neanche di fronte all'immensità dell'universo che gli si prospetta... Nicola vuole (vorrebbe) arrivare al nulla, a un niente che dovrebbe essere punto apice di un tutto che a noi appare limitato e irraggiungibile.
Non che creda che quell'apice possa essere Dio, e i motivi per tenerlo lontano da questa ipotesi sono ben evidenti. Ma la ricerca di quel grammo di salvezza, che dà il titolo al libro, deve assolutamente ricevere un riscontro.
Altrimenti non avrà mai pace.
Avrebbe reso più semplice la lettura se anziché un grammo di salvezza avesse voluto cercare un grammo di speranza.
Grammi di speranza sono tutti gli atti umani che ci fanno gonfiare il cuore, che ci rendono orgogliosi di far parte di questa umanità: gli eroi che, consapevolmente, gettano alle ortiche le loro vite per salvarne altre; samaritani anonimi che donano senza chiedere nulla in cambio; la natura che ci circonda; il sorriso innocente di un bimbo; una guarigione inaspettata... e altri enormi piccoli riscontri, ormai sempre più rari nel vivere odierno...
Piccoli petardi, micette, a confronto delle bombe atomiche di cattiverie, di malvagità, di soppressione di vite, di supremazie degli uni su altri...
Che però infondono la comunemente detta speranza.

Vorrei solo differenziare la speranza dalla salvezza. Per come la vedo io, quindi senza impegno e senza autorevolezza alcuna. 
Vacca, in queste poesie, non parla di speranza, e neanche di speranza di salvezza.
La speranza, nella prospettiva teologica, è un dono di Dio, che la concede come strada che a lui conduce. Con fede e carità, è uno dei pilastri della religione cristiana.
A parte la fede, che riguarda il credente nel proprio intimo, penso che la speranza come la carità abbiano bisogno di fisicità umane per raggiungere uno scopo credibile.
Quelle stesse fisicità che le rendono, tra l'altro, veramente universali.
Vacca fa precedere alcune poesie da richiami a Scritture, antiche e nuove, con particolare riguardo al Qohèlet del Testamento antico, all'Apocalisse, a filosofi che del pessimismo hanno fatto veste, senza peraltro disdegnare le proposte di profeti e studiosi del Testamento nuovo.
Il che farebbe pensare che la ricerca del suo grammo di salvezza sia orientata verso un Dio, mai chiaramente definito.
Instillando alcuni dubbi che si guarda bene dal dissolvere.
Il dio che lui cerca sarà quello ampiamente presente nell'Antico Testamento?
Non mi pare che quel dio proponga mai offerte di salvezza. È un dio che passa il tempo a punire l'essere umano che lui stesso ha creato, per mancanze e peccati difficili da individuare. Quando premia, lo fa dopo avere fatto provare i sorci verdi a quelli che, a suo dire, sono i suoi prediletti. Non a caso tra le citazioni in prologo a una poesia è citato Giobbe, passato alla storia come simbolo di pazienza oltre i limiti dell'umana sopportazione. Era una prova, dicono i racconti dell'epoca... ed erano prove tutti i disastri colà raccontati? Prove e castighi, raramente premi o riconoscimenti benevoli di un agire a lui gradito.
I santi non erano ancora stati inventati, per cui pensare che tutto il genere umano fosse dissoluto e peccatore (quindi degno delle peggiori punizioni) non è fantasioso.
Il Nuovo Testamento sembra portare le novità della misericordia e del perdono.
Qui Vacca, in alcuni altri preamboli alle poesie, raccoglie i messaggi di salvezza con citazioni dai Salmi, riferimenti a Profeti e studiosi della religione, e pure di santi o filosofi che fanno presagire qualcosa di diverso da quanto offerto dal dio dell'Apocalisse.
Parole.
È cambiato l'approccio, ma la sostanza è rimasta invariata: non si spiegano altrimenti i cataclismi che continuano a martoriare questa nostra Terra.
Potrebbe essere questo, il Dio cui il poeta chiede quel grammo di salvezza?

"Almeno" un grammo di salvezza: il minimo sindacale per una richiesta del genere.
Ma si tratta di un grammo che non è una semplice misura di peso.
È un grammo pesantissimo, che ha alle spalle migliaia di anni di dubbi, stracarico di punti interrogativi che lo scorrere dei secoli non ha minimamente scalfito; anzi, la loro crescita temporale ha rafforzato domande e richiesta, sempre più pressante, di almeno una risposta.
Almeno una, il peso di un grammo.
La speranza è attesa: che qualcosa, o qualcuno, dia questa risposta.
La salvezza è certezza: se questa risposta raggiungesse lo scopo di cancellare ogni dubbio, questa sarebbe la salvezza.
Ma quel grammo è pure leggerissimo...
Contravvenendo a ogni legge fisica a noi conosciuta, nonostante il suo peso infinito, sale verso il cielo, supera le nuvole della poesia, oltrepassa anche il sole, ignora il nostro firmamento, per ritrovarsi vagante in quel nulla in cui, forse, c'è il tutto.

Forse Vacca non pensava a questo, e se la mia lettura non collima col suo pensare è solo colpa della mia fantasia bacata, che sovente mi spinge oltre, bollicina di sapone che si aggiunge, in maniera sciocca, a perplessità che magari non esistono nelle menti sane.

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