"Malapace", i dubbi di un tempo che è
Quando una lettura mi soddisfa la definisco deliziosa. In questo racconto sarebbe aggettivo quantomeno non appropriato; e peraltro, questo racconto delizioso lo è: quanto può essere deliziosa una lettura terribile, che per tutto il tempo a lei dedicato martella lo stomaco, manco questo fosse un sacco da punching ball.
Si tratta di una storia che si svolge all'interno di un campo di detenzione, in un periodo di grandi cambiamenti militari e politici. Da qui si dipana in tanti rivoli che, di volta in volta, ricordano avvenimenti passati rivissuti in prima persona da uno dei protagonisti del racconto. Il periodo copre dalla fine della prima guerra mondiale a poco oltre la fine della seconda.
In questo campo di prigionia si trovano alcuni personaggi che si affrontano senza sosta su temi apparentemente ideologici, che scivolano in considerazioni dal sapore vagamente teologico.
È un continuo scontro frontale sui due concetti che hanno accompagnato tutto quel periodo: comunismo e fascismo. Due ideologie che viaggiano su un unico binario, appaiate, contrapposte, ma in fondo similari, nei fini e nei mezzi messi in atto per la rispettiva affermazione.
Il libro porta, quasi inevitabilmente, a pensare cosa sarebbe cambiato se invece del dominio fascista/nazista, che aveva portato morte e distruzione in tutta Europa e non solo, avesse avuto premio la parte comunista/socialista. Appare chiaro che nulla sarebbe stato diverso: le violenze avrebbero solo avuto una casacca rossa anziché nera.
Viene rimarcata, nel libro, la tendenza al cambio d'abito in base all'andamento degli eventi e delle convenienze. O delle paure. Ed è la paura che aleggia su tutto il racconto: il timore di non essere nel giusto, ovvero la convinzione assoluta di possedere la verità, e di essere pronti ad affrontare il peggio per difenderla. E col dubbio immanente di avere sbagliato entrambe le scelte, sia in un campo che in quello, forse solo apparentemente, avverso.
Comunismo e fascismo, nei decenni successivi hanno assunto le denominazioni pudiche di destra e sinistra: la prima e la seconda sono continuamente date per morte, vivendo solo nei ricordi... fino a quando questi saranno periodicamente richiamati, peraltro appannati dalla polvere del tempo che passa, divenendo semplici stralci storici da trattare perlopiù a livello scolastico.
"Non sappia la sinistra quello che fa la destra" recita un passo del vangelo secondo Matteo. Superato dal più moderno "una mano lava l'altra, ed entrambe lavano la faccia". Ed è quello che ancora oggi succede, ufficialmente, nelle dispute su come governare. Ufficialmente, quando invece è ormai chiaro che i due raggruppamenti sono giustificativi l'uno dell'altro, e la politica non è più amministrazione della polis ma supporto indispensabile per la sopravvivenza reciproca delle parti in causa.
La vicenda raccontata si svolge in Francia, meglio nella parte meridionale della Francia, ma avrebbe potuto essere serenamente situata in Italia, tanto similari appaiono gli accadimenti qui raccontati.
Emerge, nel racconto affatto facilmente digeribile, la lotta costante tra il Bene e il Male; dove diventa difficile, direi impossibile, stabilire con assoluta certezza chi fosse il Bene e chi, invece, fosse il Male, tanto quanto, parafrasando il mozartiano 'questo o quello per me pari sono', aleggia per tutto il percorso e, nell'avanzare della lettura, si conferma come dubbio irrisolto, forse irrisolvibile.
Non manca, nel testo, una lotta, più intima che evidenzia le differenze tra la fede cristiana, meglio cattolica, e l'ebraismo, in un periodo che ha visto la nascita e lo sviluppo di una crociata anti ebraica di cui sono ben noti i risultati. Che spinge anche questo tema verso un dubbio che rinvia a scelte devastanti.
L'Autrice ha partorito altre opere meritevoli di attenzione. Questa, edita da Miraggi-Scafiblù, è in concorso per un premio prestigioso. Che vinca o si piazzi bene è fatto che interessa più che altro il battage pubblicitario per la migliore vendita del prodotto; che non è mai cosa negativa. Ma è il lettore che dal piacere di un bel romanzo, ancorché duro e crudo come questo, viene premiato.
Ecco: io sono stato premiato e tanto mi basta.
Recensione onesta e sentita... grazie, Pietro. Buona serata e buona settimana.
RispondiEliminaAbbraccio. Merita veramente, per contenuti non proprio usualmente trattati. È un romanzo, sì, ma che porta a tanti pensieri che di romanzo hanno nulla. Se ci ci vuole pensare... altrimenti è comunque un bel leggere. Che, oggi, non è dire poco. Ciau.
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